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    5 giugno 2009 - 13 Sivan 5769  
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Moked - il portale dell´ebraismo italiano
alef/tav    
  Roberto Colombo Roberto
Colombo,
rabbino
A Moshè che doveva fornire tutta una serie di risposte agli angeli che lo avevano attaccato criticando il suo operato, D-o Disse: "afferra la sedia del Mio onore e dai loro la tua opinione" (Shabbàt 88b). Per parlare veramente di Torà e fornire delle risposte alle domande e alle critiche è necessario essere uniti al trono di Dio. Chi pensa al proprio trono e alla propria sedia può dare tante risposte ma nessuna di queste può essere definita Torà.
E' stato detto ieri, da una fonte autorevole per il suo ruolo istituzionale, che Milano sembra una città africana. Prendiamo il paragone  sul serio, facendo finta di non aver capito che ci si voleva banalmente riferire al colore della pelle di alcuni dei suoi cittadini. E pensiamo: ma quale città africana? L'Africa è un grande continente, la terra dei nostri antenati. Nella sua lunghissima storia, che solo molto tardi è divenuta una storia di sottosviluppo, ha dato vita a civiltà fiorenti e a città imponenti. Ed anche le città di oggi, del post colonialismo, sono molto diverse l'una dall'altra. E come potrebbe essere altrimenti, in un continente così vasto? Ho sentito paragonare Vancouver, cioè una delle città più belle, ordinate e luminose del primo mondo, a Maputo, la capitale del Mozambico affacciata sull'ampia baia di Delagoa. O forse l'affermazione voleva riferirsi alle città del Sudafrica, alla straordinaria Città del Capo, che non conosco ma di cui ho letto in tanti libri? O alle città del Maghreb, affacciate sul Mediterraneo? Le generalizzazioni, come quella di "città africana", sono sempre per lo meno indice di incultura. In questo caso, sono anche pericolose, e possono dar via libera ai semi del razzismo.  Anna Foa,
storica
Anna Foa  
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  museo della shoah Il Museo della Shoah di Roma,
luogo di insegnamento, non di esposizione

Il progetto è stato approvato, i lavori partiranno prima della fine del 2009 e, se tutto andrà secondo i programmi, nel 2011 anche Roma inaugurerà il suo Museo della Shoah sulla scia di quelli che sono già stati realizzati a Berlino, Parigi, Londra, Gerusalemme e Washington.
Un percorso tutt'altro che liscio quello che ha accompagnato e seguito l'approvazione di questo progetto che fra le dimissioni dell'ex leader del Pd ed ex sindaco di Roma Walter Veltroni dal Consiglio di amministrazione della Fondazione del Museo (all'indomani delle dichiarazioni del sindaco Gianni Alemanno  su fascismo e leggi razziste in occasione delle celebrazioni per l'8 settembre), l'ingresso di Piero Marrazzo e Nicola Zingaretti con  fondi di Regione e Provincia  e le proteste di Francesco Storace de La Destra che considerava uno sperpero lo stanziamento di 13 milioni di euro (in aggiunta ai 16 della precedente amministrazione  Veltroni)) approvati dalla giunta Alemanno, sembrava aver innescato una polemica senza fine.
Il Museo della Shoah di Roma si farà e sarà  un parallelepipedo scuro, un po' infossato, con le pareti esterne coperte da migliaia di nomi luminosi: i nomi degli ebrei morti durante le persecuzioni nazifasciste, sorgerà in via Nomentana, sul limitare di Villa Torlonia, luogo particolarmente significativo per la storia e la cultura ebraica, innanzitutto  perché nel parco si trova una delle cinque necropoli ebraiche, un complesso di catacombe risalenti al terzo e quarto secolo,  scoperte nel 1919 e sfruttate vent'anni dopo Mussolini come bunker contro i bombardamenti, che testimoniano la presenza a Roma della più antica comunità ebraica d’Europa ed in secondo luogo perché Villa Torlonia è stata la residenza del Duce fino al 1943 (la sua residenza è in corso di restauro e diventerà la sede permanente delle opere della cosiddetta Scuola romana di pittura). 
In esso lo studente potrà trovare tutti gli strumenti necessari per fare un lavoro di studio e di ricerca utilizzando tutti i materiali migliori da un punto di vista storico  e i migliori specialisti che a fianco ai suoi insegnanti lo guideranno nel percorso.
Abbiamo chiesto a Luca Zevi uno dei due architetti (l'altro è Giorgio Tamburini) che lo hanno realizzato, di descriverci il progetto.

rampa museo della shoahArchitetto Zevi quali sono i principi cui ci si è ispirati nella realizzazione del  progetto Museo della Shoah
Il Museo della Shoah è stato concepito  e promosso per riconoscere e documentare il carattere monumentale dell'ingiustizia che ha attraversato il mondo occidentale.
La recente approvazione del progetto è frutto di un largo movimento di opinione che ha attraversato l'Europa a partire dagli anni '80 e che ha voluto fare della Shoah uno dei fondamenti della formazione della nuova generazione dell'Europa unita. Questo movimento è ben lungi dallo smobilitare e anche negli ultimi giorni abbiamo visto che deve essere quanto mai vigile.
Quali sono gli elementi di punta di questo progetto?
Innanzitutto il luogo, il significato storico del luogo in cui sorgerà il Museo nel senso della storia antica e della storia recente d'Italia. Come già si è detto molte volte all'interno di Villa Torlonia vi sono delle antichissime catacombe ebraiche e poi la villa fu la residenza di Mussolini, ma vorrei anche sottolineare che Villa Torlonia, dopo circa 30 anni di lavori di restauro, sta per diventare uno dei più importanti parchi museali della città di Roma un luogo dove vengono conservate le testimonianze della creatività che si è sviluppata in questa città a partire dall'antichità fino al secolo passato con le opere della scuola romana degli anni trenta e quaranta,
Un secondo punto fondamentale del progetto è che il percorso di avvicinamento al Museo sarà un percorso assolutamente coincidente per tutti i soggetti che lo visiteranno abili e diversamente abili, anziani e bambini, donne e uomini: dove la Shoah è un esaltazione delle differenze in funzione della sopraffazione della maggior parte delle componenti della società da parte di una, il Museo della Shoah deve rappresentare il luogo in cui le differenze vengono esaltate in funzione  dell'incontro e dello scambio fra le varie componenti..
Il percorso di cui parla è il viale dei Giusti?
Esattamente, si tratterà di un percorso in discesa, che condurrà all'ingresso del museo.  Questo percorso è dedicato ai Giusti, a coloro che mettendo a repentaglio la loro vita salvarono la vita di altri esseri umani contrapponendosi all'inumano che dilagava.  Ritengo che i Giusti siano il più importante insegnamento per le nuove generazioni ed il percorso in loro onore sta lì a dimostrare come le complicità furono criminali l'indifferenza  fu colpevole.
Al termine del viale dei Giusti si entrerà al Museo...
Sì, si entrerà al Museo e si raggiungerà subito la quota più alta dalla quale inizierà  un percorso a rampe in discesa, anch'esso alla portata di tutti, che percorrerà le varie sezioni, dall'antigiudaismo tradizionale  alla nascita dei totalitarismi, alla legislazione antiebraica alla deportazione e giù giù fino a scendere in profondità nel sottosuolo raggiungerà il racconto dello sterminio.  Nella parte più in basso vi sarà un plastico di Auchwitz a cui il professor Marcello Pezzetti sta lavorando da decenni e che sarà un'opera unica in questa rete di musei della memoria.
Quali sono i suoi sentimenti e le sue sensazioni nell'essere attore protagonista di un'impresa così importante?
Provo un'enorme emozione e la sensazione di essere in una rete di iniziative internazionali, il contributo che ne deriva è un contributo europeo nel dire che non c'è consolazione alla Shoah. Diversamente da Yad Vashem dove al termine del tunnel c'è una vista sulla valle di Gerusalemme, noi ricordiamo come l'Europa sia precipitata in un baratro morale in cui non si deve ricadere più.

Lucilla Efrati 

 
 
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  cartolineCartoline - A Milano se ne sono accorti

Per le cartoline elettorali indirizzate  Gerusalemme-Palestina, gli italiani che vivono a Gerusalemme protestano. Beniamino Lazar, presidente del Comites, il Comitato degli italiani all'estero, ha scritto al console Luciano Pezzotti, lamentando l'accaduto. E Pezzotti ha risposto, specificando che le direttive non sono impartite dal Ministero, né dal Consolato, bensì  da un approccio "creativo" dei Comuni di provenienza. Creatività che, sottolinea il Console, ha provocato imbarazzo per l'evidente e ingiustificato errore, che non appare in sintonia con le direttive del Ministero (che sarebbero? non viene specificato). I Comuni più "creativi" sono Roma ('Gerusalemme, Palestina') e Livorno ('Gerusalemme Orientale, Asia'), mentre Milano riconosce di fatto lo Stato di Israele e ai propri ex-residenti ha correttamente indirizzato la cartolina: "Gerusalemme, Israele". Ci si chiede se siano  solerti funzionari o chi altro a dare le direttive in materia. Ma sarebbe forse auspicabile che il ministero degli Esteri, o quello degli Interni, visto che di certificati elettorali trattasi, intervenisse spiegando dove, per l'Italia, si trova Gerusalemme. 
 
 
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E Barack Hussein Obama parlò al mondo arabo come a quello musulmano. I giornali in lingua araba mettono in rilievo il nome Hussein, a titolo di patronimico, che nell’idioma locale indica «di bell’aspetto e di buone maniere». Chi è Obama e come si rapporti all’elemento della religiosità come fatto identitario ci è raccontato da Guido Moltedo su Europa e da Andrea Margelletti per Liberal. Come invece lo veda una parte del mondo musulmano ci è detto da Alberto Stabile su Repubblica quando parla di «paura, speranze e narghilè, i giovani arabi colpiti da Obama» e da Francesca Paci su La Stampa. Sul quadro geopolitico si sofferma Gilles Kepel, sempre su La Stampa. Gli esiti del discorso tenuto ieri, all’università del Cairo, preceduto da un intenso colloquio con il leader egiziano Hosni Mubarak (le parole del rais sono ricordate da Il Messaggero) campeggiano peraltro un po’ su tutte le testate, imponendoci semmai un solo imbarazzo, quello della scelta. Citiamo, tra gli altri, Giorgio Ferrari su l’Avvenire, Paolo Valentino per il Corriere della Sera, Paolo Guzzanti su il Giornale così come, per la medesima testata, anche Marcello Foa, non meno che Vittorio Zucconi su la Repubblica, Mario Platero per il Sole 24 Ore e Maurizio Molinari per La Stampa.
Su quali siano state le linee guida di fondo del discorso obamiano, pubblicato per intero sul Corriere della Sera e analizzato da Alberto Flores D’Arcais su la Repubblica nei suoi diversi passaggi, demandiamo al lettore l’esercizio di identificazione e comprensione. Basti pensare alle premesse del viaggio stesso. L’obiettivo, richiamato dalla Casa Bianca, è quello di approfondire e rafforzare i legami con il mondo arabo-islamico, offrendo qualche chance alla «politica delle mani tese», che rischiano altrimenti di rimanere tali senza che nessuno le stringa. Il percorso, come sempre capita in questi casi, è stato studiato ripetutamente e nei minimi dettagli. Non siamo quindi in presenza di una visita di routine ma di un viaggio-evento la cui funzione è quella di segnare un «nuovo avvio», quanto meno sul piano simbolico, come commentano Fulvio Scaglione per l’Avvenire e Guido Ercolessi per il Secolo XIX. Non a caso Obama ha affermato che la sua presenza al Cairo è «per chiedere un nuovo inizio tra gli Stati Uniti e i musulmani nel mondo, un nuovo inizio basato sugli interessi reciproci e sul rispetto reciproco [nonché] sulla verità che America e Islam non sono esclusivi, non devono essere in competizione». Umberto De Giovannangeli ritorna ripetutamente su questi concetti per l’Unità.

Dopo di che, trattandosi di un percorso in sé difficile, tra mille insidie, è comunque destinato a segnare molte ma incerte tracce, accontentando certuni e lasciando insoddisfatti tanti altri. Su questo passaggio si sofferma Luisa Arezzo per Liberal. Le tappe messe in agenda non sono peraltro casuali, volendo operare una vera e propria ricucitura rispetto agli «strappi» operati dalla precedente Amministrazione, quella di Gorge Bush, come sottolinea Gianni Riotta su il Sole 24 Ore. Ciò su cui Obama intende marcare la differenza rispetto al passato non sono tanto i contenuti (democrazia, libertà d’espressione e così via) bensì i modi in cui intende ribadirli, L’offensiva, al momento, è portata essenzialmente sul piano mediatico, come riscontra Marilisa Palumbo su Europa ma anche sui nessi multiculturali, come sottolinea Stefano Trincia per il Messaggero. Ovviamente il cambiamento non è solo di forma ma, in prospettiva, anche di sostanza, soprattutto nei ripetuti richiami a quella «reciprocità di interessi e di rispetto» che dovrebbe essere ripristinata. L’intenzione di fondo è però quella di mantenere agli Stati Uniti un ruolo di arbitro nella partita mediorientale dalla quale, in prospettiva, rischia altrimenti di essere scalzato. Per dare fiato a questo work in progress, proiettato verso il futuro, Obama ha per l’appunto attentamente scansionato con il suo staff le diverse tappe. Dopo l’incontro, due giorni fa, con i sauditi a Riad e il discorso del Cairo di ieri, oggi sarà in Germania, a Dresda (ma non a Berlino), dove visiterà la città distrutta dal bombardamento alleato del febbraio del 1945 e poi, in rapida successione, il lager di Buchenwald, in ciò accompagnato da Elie Wiesel. Domani, infine, si recherà in Normandia per celebrare il D-Day, lo sbarco avvenuto sessantacinque anni fa. Se si fa attenzione al succedersi delle tappe si noterà come esse compongano una sorta di cerchio politico: presenza in due paesi fondamentali all’interno della strategia americana di sempre, l’Arabia Saudita, vigilante sugli equilibri nella penisola arabica (ma non solo), e l’Egitto di Mubarak, garante degli accordi di pace firmati a Camp David alla fine degli anni Settanta. Poi veloce corsa in Europa, passando per quella parte di Germania che più ricorda le ferite della guerra, inferte (la visita a Buchenwald) e subite (la distruzione della città di Dresda). Infine, passaggio per le spiagge dello sbarco delle truppe anglo-americane, quelle del 6 giugno 1944. Così facendo, prima di tutto Obama vuole celebrare la presenza americana in Europa, come nel Mediterraneo, ponendo in chiaro che essa data a molto tempo fa e non può essere messa in discussione troppo facilmente. Andrea Fiano lo lascia intendere nella sua analisi su MF. Di certo c’è la consapevolezza, tra amici e avversari degli Stati Uniti, che questi ultimi misurano una perdita di potenza, destinata a perdurare nel corso del tempo. Le sue radici sono molteplici ma la crisi economica che si è manifestata con l’esplosione della bolla finanziaria dei bond, nell’autunno sorso, le ha senz’altro messe a nudo. In questo contesto Obama ha detto cose importanti, ancorché di controversa interpretazione e assunzione, poiché rompono gli schemi che tradizionalmente vengono adottati per leggere le dinamiche di evoluzione del quadro politico in Medio Oriente. Così, a titolo di esempio, le analisi di Fiamma Nirenstein su il Giornale, di Vittorio Emanuele Parsi su la Stampa, le riflessioni di Ayaan Hirsi Ali su Liberal, così come, sempre su Liberal, Riccardo Paradisi. Su versanti opposti si leggano invece Valentino Parlato per il Manifesto e Bernardo Valli sulla Repubblica, con l’intervista, sullo stesso giornale, a David Grossman. Il primo passaggio è quello che demanda al fatto che se «estremisti violenti hanno sfruttato le tensioni in una piccola ma potente minoranza di musulmani» per alimentare il divario tra Oriente ed Occidente, l'Islam non è parte del problema. Semmai è componente imprescindibile dell'iniziativa per promuovere la pace. Peraltro l’Islam è esso stesso parte dell’America. C’è una moschea in ogni Stato della Federazione americana. E gli Usa lottano contro i pregiudizi poiché l’idea stessa che sta alla base del loro modo di essere è l’«uguaglianza», che si coniuga alla libertà individuale. L’eguaglianza insomma è l’altro piatto dell’idea di giustizia che accompagna la storia americana. Anche per questo l’attuale Presidenza intende adoperarsi affinché le «legittime» aspirazioni dei palestinesi trovino una soluzione negoziata nel principio di due Stati per due popoli, affinché questi «convivano in pace e sicurezza». Tutto ciò, ha voluto ribadire, «è nell'interesse di Israele, della Palestina, dell'America e del mondo». Ai palestinesi si chiede di cessare nella prassi del ricorso alla violenza. Agli israeliani di sospendere la politica della costruzione di nuovi insediamenti. Se il governo d'Israele ha diplomaticamente definito «importante» il discorso di Obama ed ha espresso la «speranza» che questo possa contribuire alla pace, portando alla fine del conflitto e al «riconoscimento di Israele quale Stato del popolo ebraico», nei fatti le perplessità di sostanza riecheggiano in più interventi tra i quali quello di Gerald Steinberg raccolto da Eric Salerno per il Messaggero e nell’articolo su il Foglio dedicato al «cedimento atomico». Una sintesi delle diverse risposte israeliane la si ha per la firma di Francesco Battistini sul Corriere della Sera e di Maurizio Debanne per Europa. A dare credito alle prime reazioni in campo palestinese, a partire da quelle raccolte a Betlemme da Paolo Crecchi per il Secolo XIX, queste parrebbero invece estremamente positive, soprattutto laddove l’Anp ha enfatizzato l’affermarsi di «una linea del dialogo invece di quella del confronto usata da Bush» mentre Hamas, come commentano Alberto Stabile su la Repubblica e Alessandra Cardinale per il Riformista, si è richiamato all’«inizio di un cambiamento basilare».
Un quadro più ampio delle tante reazione è infine quello ricostruito da Eric Salerno per il Messaggero e da Ugo Traballi per il Sole 24 Ore. Peraltro, irrisolto è il nodo Iran, che va alle urne il 12 giugno, così come ce ne parlano Roberto Di Caro su l’Espresso, Alberto Negri su il Sole 24 Ore e Christian Rocca su il Foglio del pari al controverso quadro libanese, così come lo delinea Stella Pende per Panorama.

Per concludere, facendo qualche riferimento ad altri argomenti, in una rassegna stampa altrimenti tutta dominata da un solo tema, si legga su l’Espresso il bel ricordo che David Grossman fa dello scrittore Bruno Schulz. 

Claudio Vercelli

 
 
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Il discorso di Obama al Cairo
e le reazioni della stampa dei Paesi del Golfo

Dubai, 5 giu -
“Siamo in attesa che le parole del presidente Barack Obama si traducano in fatti” questi i temi di titoli ed editoriali della stampa dei Paesi del Golfo a seguito dello storico discorso del Presidente americano all’Università del Cairo. "Ora è tempo che Obama agisca", scrive l'Arab News dell'Arabia Saudita, elogiando l'intervento del Presidente per "la poca retorica ed il molto pragmatismo", ma avvertendo che "se la sola retorica potesse portare giustizia, i palestinesi sarebbero già liberi". "Equilibrio" è invece la parola chiave dell'editoriale del Saudi Gazette, che riconosce ad Obama la sottigliezza di aver nominato per la prima volta la "Palestina" come Stato accanto ad Israele e di aver posto l'accento su ciò che unisce anziché su ciò che divide. "Un messaggio per ebrei ed arabi" è la lettura del Gulf Times del Qatar, mentre The Peninsula, parlando di "discorso spartiacque", ricorda al Presidente di aver pronunciato "abbastanza parole" e che "é tempo di agire". "L'inizio di una nuova era" è sottolineato dai quotidiani degli Emirati Arabi Uniti. Il Gulf News aspetta che "alle parole seguano i fatti", The National ammette che ci sia una lunga via "tra il podio del Cairo e uno Stato palestinese", ma scrive che l'attenzione al conflitto israelo-palestinese ha "raggiunto un momentum" che necessita ora della risposta internazionale quanto di quella araba, mentre il Kahleej Times dà risalto "al nuovo volto dell'America".

Frattini, “Sì alla riconciliazione con l’Islam moderato
e Israele accetti la creazione di uno Stato palestinese”

Roma, 5 giu -
“Se Israele ha ancora difficoltà a elaborare una politica chiara che veda lo Stato palestinese come un elemento imprescindibile, credo che gli amici israeliani sbaglino" così il Ministro degli Esteri ha commentato il discorso al Cairo di Barack Obama in un’intervista rilasciata al Messaggero.  E ancora "avere uno Stato palestinese che vive accanto in pace e sicurezza è anche interesse di Israele. La politica di Obama la condivido pienamente. Israele sa che noi ci batteremo per il suo diritto alla sicurezza”, ha affermato il capo della Farnesina. Il presidente americano Barack Obama nel suo storico discorso in Egitto ha affermato:  "Sosterremo in ogni modo, anche di fronte a quel mondo islamico moderato di cui siamo profondamente amici la volontà di riconciliazione con l'Islam". "E’ la mano tesa di Obama il quale, d'altra parte -  ha sottolineato Frattini nel suo commento - "sa bene che nel mondo islamico c'è una componente estremista che non vuole accettare la mano 
tesa".

Berlino, Angela Merkel con Barack Obama: 
"La pace è interesse di tutti"

Berlino, 5 giu -
"Sono stati fatti dei passi importanti. Ogni volta che un passo come questo viene fatto, noi tedeschi siamo lieti di poter contribuire a questo risultato positivo", ha commentato il premier Angela Merkel durante la conferenza stampa congiunta tenuta questa mattina a Dresda insieme al presidente Usa, Barack Obama, riferendosi al discorso pronunciato dal Presidente americano. "Noi abbiamo una relazione davvero speciale con Israele, vogliamo garantire la sicurezza di Israele - ha quindi sottolineato -, ma d'altra parte abbiamo anche degli amici all'interno della Palestina: vogliamo che venga costruito uno Stato per la Palestina". "Il discorso di ieri in un certo modo, ha aperto nuovamente le porte della comunità internazionale al mondo arabo e questa è una cosa assolutamente importante". Per questo, ha proseguito la Merkel, "questa agenda deve essere portata avanti passo dopo passo, ma le parti coinvolte devono dimostrare la volontà di fare qualcosa affinché la pace e la sicurezza del mondo intero siano migliorate". "Questa, ha sottolineato la cancelliera tedesca, é una questione cruciale per la pace e la stabilità del mondo, quindi deve essere una priorità per la nostra agenda politica. Credo che sia un'opportunità davvero storica che dobbiamo cogliere". Anche i paesi del mondo arabo "hanno un forte interesse a voler trovare una pace, perché per svilupparsi economicamente hanno bisogno di pace e di sicurezza nella regione - ha concluso - noi cercheremo di fare tutto il possibile per dare il nostro contributo".

 
 
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