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L'Unione informa |
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9 giugno 2009 - 17 Sivan 5769 |
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Roberto Della Rocca, rabbino |
La
settimana scorsa si è svolto presso l’Università di Bologna un
interessante convegno sulla filosofia ebraica dal titolo un pò
singolare “Between Shem and Yafet – Orizzonti e Frontiere della
filosofia ebraica”. Vi hanno preso parte accademici e intellettuali di
fama internazionale tra cui molti israeliani e francesi che si sono
interrogati sui complessi rapporti che vi sono stati nel corso dei
secoli tra la Tradizione ebraica e la filosofia greca. La mia relazione
ha preso spunto da quell’insegnamento rabbinico che si interroga circa
la possibilità di tradurre la Bibbia in un’altra lingua. Secondo la
tradizione rabbinica infatti i libri sacri devono essere scritti nella
lingua originale e con carattere quadrato pur se la posizione dei
Maestri rispetto alla prima traduzione in greco, cioè la versione dei
70, fu tuttavia piuttosto conciliante. Nel commento, che i Maestri del
Talmùd fanno intorno a questa mishnah, emerge tuttavia che alla
traducibilità universale della Bibbia che secondo i Maestri
conserverebbe il suo significato in tutte le lingue - secondo alcuni
soltanto se tradotta in greco - c'è un ebraismo
inalterabile e intraducibile, quello dei Tefillìn e delle
Mezuzòt. Questi oggetti, che leghiamo su noi stessi e attacchiamo
nelle nostre case, hanno una loro intimità che deve restare
obbligatoriamente ebraica. |
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Banalità e volgarità sono frutto della tendenza a considerarsi sufficienti a se stessi, dunque simili alle bestie. |
VIttorio Dan Segre,
pensionato |
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Giochi proibiti - A Pescara la discriminazione è uno sport
Il
15 maggio scorso si è inaugurata alla sede espositiva delle
Ciminiere di Catania l’edizione del “Premio Nazionale delle Arti”,
una mostra tradizionalmente riservata a una rappresentanza dei
migliori studenti delle Accademie italiane. Per la prima volta, su
iniziativa dell’Accademia di Catania, ente ospitante, e
dell’AFAM-MIUR, il Premio includeva una rappresentanza internazionale
che, data la sede della mostra, nel cuore del Mediterraneo, si è
intitolata “Mediterranean Workshop” e si è rivolta alle
Università delle Arti e alle accademie del Mediterraneo. Curata
da chi scrive, questa sezione, organizzata in poco tempo e con ancora
meno mezzi, ha potuto includere solo una modestissima rappresentanza
delle istituzioni mediterranee dedicate alle arti. Tuttavia fra le
sette istituzioni invitate, che hanno partecipato ciascuna con 2
studenti, c’era la Hamidrasha School of Art di Beit Berl, Israele,
insieme alla Helwan University – Faculty of Applied Art del Cairo
e all’Institut Superieur des Beaux Arts di Tunisi (e poi a
un’istituzione serba, una croata e una spagnola). I palestinesi
non c’erano perché non c’era stato letteralmente il tempo di
coinvolgere un’istituzione e provvedere alla necessaria,
complicata logistica (visti , permessi ecc.). Ma l’anno scorso
avevo curato, sempre in prima persona per la Regione Piemonte, la
grande mostra intitolata Le Porte del Mediterraneo:
e questa volta sì, avendone avuto il tempo, fra gli artisti
invitati c’era l’israeliano Tsibi Geva e il palestinese
Steve Sabella, oltre a un egiziano, un marocchino, un libanese
(!), un turco, un’armena, un serbo, una spagnola, ecc ecc.
Come
sempre in queste occasioni poi, gli artisti fanno amicizia,
collaborano, si scambiano idee, progetti, pensieri. E così a
Catania, dopo il primo momento di diffidenza, i ragazzi delle
scuole d’arte hanno collaborato, si sono divertiti, hanno
fraternizzato e hanno realizzato tutti insieme in una settimana
delle bellissime installazioni. (Nell'immagine un particolare della mostra). Allora
viene da domandarsi: perché l’arte sì e lo sport no? Perché nelle
mostre d’arte è possibile affiancare arabi e israeliani, o se
così si vuole dire israeliani e palestinesi, e nello sport no?
Semplice: il problema non è che “quei due Stati proprio non riescono a
parlarsi” ma che in diversi paesi arabi (Libano, Siria ecc..)
ancora esistono leggi che considerano imputabili di alto
tradimento tutti quei cittadini che abbiano commercio di qualsiasi
tipo con Israele. E anche altrove (Egitto) è comunque visto
malissimo chi lo faccia per qualche ragione, anche se non viene punito
per legge. Allora, per evitare il problema, gli organizzatori
soprassiedono. Bisogna fare uno sforzo aggiuntivo importante per
superare queste difficoltà, addirittura trovare la complicità di
qualcuno che rischi in prima persona per invitare, per esempio, un
libanese e un israeliano. In teoria questo non sarebbe possibile
nemmeno alla Biennale di Venezia, anche la semplice partecipazione
potrebbe, a rigore, essere considerato “alto tradimento”. Eppure, se questo sforzo non si fa qui, dove mai si potrà fare? Al check point?. Martina Corgnati, docente di Storia dell'Arte Contemporanea all'Accademia Albertina - Torino |
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pilpul |
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Roma ricorda la riapertura della Sinagoga
Ricorre in questi giorni il sessantacinquesimo anniversario della
riapertura della sinagoga di Roma, in concomitanza con la liberazione
della città. L’evento
è stato ricordato in una cerimonia svoltasi il 4 giugno, alla quale ha
preso parte anche il sindaco Alemanno, secondo il quale “la rottura dei
sigilli alla Sinagoga da parte di un soldato della brigata ebraica è
l’atto più significativo della liberazione di Roma”. Alla rottura
dei sigilli seguì, il 9 e 10 giugno 1944, la celebrazione dello
shabbat, dopo i mesi bui dell’occupazione nazista e la deportazione
degli ebrei dal ghetto del 16 ottobre 1943. Lo shabbat cadeva, secondo
la data ebraica, il 18 e 19 Tammuz del 5704.
Valerio Di Porto, Consigliere dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane
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rassegna stampa |
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Tre sono i temi principali della rassegna di oggi. Il
più importante è ancora quello delle elezioni libanesi. C'è stato uno
"stop per Hezbollah", una "vittoria franca per Hariri", il premier
uscente (Tramballi sul Sole). Ma come dice il Jerusalem Post,
è un po' troppo presto per esultare: Hezbollah mantiene in sostanza il
suo potere di veto, le sue armi, la sua ideologia di "resistenza
all'occupazione", anche se non esiste un'occupazione israeliana in
Libano. E' probabilmente opera sua il grave tentativo di attentato di
ieri al confine di Gaza, che ha innescato un conflitto a fuoco con
quattro attentatori uccisi da Tzahal. Come dice lo stesso Hariri in
un'intervista al Sole,
poco cambierà nella politica libanese. Diciamo che si tratta di una
catastrofe scampata e ci congratuliamo, ma certo non è la soluzione di
tutti i problemi libanesi. Appare particolarmente bizzarro il
tentativo da parte di alcuni di attribuire ad Obama questa vittoria del
fronte antisiriano in Libano, come fanno Vittorio Emanuele Parsi sulla Stampa e Gad Lerner su Repubblica.
E' vero che una quindicina di giorni fa un inviato americano ha
minacciato di sospendere gli aiuti militari in caso di vittoria di
Hezbollah, ma è anche vero che l'amministrazione americana sta cercando
di sdoganare i suoi grandi protettori, cioè la Siria e l'Iran. Questa
attribuzione fa parte di un tentativo di culto della personalità di
Obama, con sottotoni decisamente anti-israeliani, di cui troviamo
traccia anche nella rassegna di oggi, (Sull'aspetto anti-israeliano
della politica israeliana è utile leggere il paragone storico con certe
politiche di Eisenhower nel pezzo di Yoav Tenenbaum sul Jerusalem Post) Decisamente apologetico l'articolo di Enrico Beltramini sul Riformista,
che legge un sottotesto afro-americano nel discorso del Cairo; per non
parlare di Nadia Hijab, che dirige un centro di studi palestinesi a
Washington (Herald Tribune), di Stephanie Le Bars che su Le Monde
sottolinea la comunanza di visioni fra Obama e Sarkozy: insomma si
tratta di un coro bene intonato. Il problema, come molti hanno
sottolineato, sta nel passaggio fra le parole e i fatti. Il
secondo tema è quello delle elezioni europee. "Cresce la pattuglia dei
contestatori," dice con qualche preoccupazione Franco Serra sull'Avvenire. L'Unità pubblica un articolo di Mario Mongelo sul "plotone dell'ultradestra". Repubblica
propone un'inchiesta di Andrea Tarquini fra gli antisemiti del partito
Jobbik ungherese, nostalgici del regime di Horthy fra le due guerre,
nemici dei Rom e degli ebrei. E' chiaro che l'affermazione di partiti
antisemiti e razzisti va guardata con grande preoccupazione. Ma non è
giusto inserire in questo gruppo il Pvv olandese di Wilders, che non è
affatto antisemita né razzista, ne trarre pretesto da questa
assimilazione per criminalizzare ogni opposizione all'immigrazione
islamica e al multiculturalismo. Il fatto che esista nell'elettorato
una profonda diffidenza per la burocratizzazione politically correct
dell'Europa e una spinta ancora più radicata per il mantenimento
dell'identità europea non può essere nascosto. Più queste spinte sono
negate e criminalizzate, più è probabile che si esprimano in termini
aberranti. Il terzo tema riguarda il contrasto fiscale fra Israele
e il Vaticano, che richiede un'esenzione per le sue proprietà
israeliane come quella di cui gode in Italia. Sembra che due o tre
settimane fa un anonimo funzionario delle finanze israeliano abbia
considerato che il rifiuto di pagare le tasse da parte del Vaticano,
nonostante le trattative in corso, costituisca una sorta di evasione
fiscale e abbia sequestrato dei beni di proprietà di un ente cattolico.
Il Vaticano ha protestato e ora da parte israeliana si dice che il
sequestro è stato "un equivoco" (Carlo Marroni su Il Sole, Barbara Uglietti su Avvenire, Galeazzi sulla Stampa). Fra
le varie, da notare qualche fuoco tardivo della polemica su Pio XII,
nel senso della sua canonizzazione sulla carta stampata (Giuseppe Della
Torre sull'Avvenire; Gian Guido Vecchi sul Corriere). Da leggere infine con molta amarezza l'articolo di Neri Livneh su Haaretz,
a proposito delle manifestazioni ultraortodosse contro l'apertura per
Shabbat di un parcheggio a Gerusalemme vicino alla città vecchia
(peraltro gestito da drusi e non da ebrei): la ricostruzione storica
mostra che questo è l'ultimo atto di una lotta antisionista dell' Eda
haredit che dura da prima della fondazione dello Stato, mostrando
una continuità fra i nemici espliciti dello Stato di Israele, come i
Naturei Karta o i Satmar e la maggioranza degli ultraortodossi di Meah
Shearim e dintorni.
Ugo Volli |
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Jobbik,
il partito ungherese di estrema destra
e il pericoloso successo alle europee Budapest , 8 giu - "L'Ungheria
è stata venduta, la situazione della nazione è tragica, i nemici da
combattere sono le multinazionali, gli ebrei, gli tzigani (rom) e i
comunisti!", questo lo slogan del nuovo partito di estrema destra
ungherese, Jobbik (migliori), che ha sbancato alle europee con il 15%
dei voti. Il leader del partito è Gabor Vona. Capolista invece era una
donna, Krisztina Morvai, 46 anni, giurista, moglie di un noto
personaggio televisivo e madre di tre bambini. Il suo volto ha
contribuito molto al successo del partito: immagine femminile ma dal
linguaggio pesante: "Faremmo la fine dei palestinesi, privati dalla
nostra terra a casa nostra", ha argomentato sull'impegno di battersi a
Strasburgo per impedire che gli stranieri possano comprare terreni
agricoli in Ungheria. "Ungheria agli ungheresi!" è un altro degli
slogan che ha reso celebre il partito Jobbik, fondato nel 1999 e
diventato attualmente la terza forza del paese. Fra i voti ricevuti
quelli dei molti disillusi della sinistra. Il leader Gabor Vona, 31
anni, insegnante di storia, e funzionario di una società di
assicurazione, è una creatura di Viktor Orban, leader dell'opposizione
conservatrice Fidesz, e rischia ora di diventare per lui un boomerang:
nato come una sua costola nel 2002 è diventato ora un temibile
concorrente (senza di lui Fidesz avrebbe preso molto più del 56,37%)
specie fra i giovani estremisti. Con appelli ai fedeli alla lotta
armata, Vona indica in rom, ebrei e comunisti il nemico da abbattere.
Il suo programma proclama ordine e disciplina e la ri-nazionalizzazione
del servizio sanitario, del trasporto pubblico, e l'energia. Via le
multinazionali, che comunque vorrebbe tartassare di tasse come pure le
banche e non da ultimo la riunificazione della nazione ungherese
costretta oggi in un territorio smembrato nel 1918 dalle grandi
potenze. Nel trattato di pace di Trianon a Parigi del 1920, l'Ungheria
perse due terzi del territorio: una ferita viva ancora oggi.
La passione per il teatro unisce israeliani e palestinesi, insieme a Napoli per un workshop di due settimane Napoli, 8 giu - Per
due settimane quindici giovani dell'area euro-mediterranea,
professionisti del settore delle performing arts e provenienti dalle
scuole d'arte drammatica o dalle facoltà umanistiche delle università
dei Paesi coinvolti vivranno sotto lo stesso tetto, al Convitto
Vittorio Emanuele II, vivranno all'insegna di workshop e confronti
culturali. I quindici ragazzi selezionati quest'anno, cinque
palestinesi, cinque israeliani e cinque italiani, hanno festeggiato con
danze e musiche tradizionali l'apertura della Summer School "Tradition
and New Creativity in the Performing Arts", progetto di
specializzazione professionale teatrale che si svolgerà a Napoli per
tutto il mese di giugno. Il progetto è organizzato dal Napoli Teatro
Festival Italia, in collaborazione con l'Università degli studi di
Napoli, nell'ambito della seconda edizione della Euro-Mediterranean
Summer School promossa dalla EMUNI University. La selezione
internazionale dei partecipanti, di età compresa tra i 20 e 35 anni, è
stata condotta dal Galilee College di Nahalal, dall'An-Najah National
University di Nablus e dalla Fondazione Campania dei Festival sul
rispettivo territorio nazionale, in collaborazione con le due
Università partenopee. L'attività didattica è inoltre stata aperta agli
studenti universitari che, partecipando alle selezioni e iscrivendosi,
seguono le lezioni e assistono ai laboratori in qualità di uditori. La
Summer School si tiene dall'8 al 14 giugno presso l'Università degli
Studi di Napoli e dal 15 al 21 giugno presso l'Università degli Studi
di Napoli Federico II. Il progetto, realizzato in partnership
internazionale con l'Università degli Studi di Napoli e l'Università
degli Studi di Napoli Federico II, il Galilee College di Nahalal
(Israele), l'An-Najah National University di Nablus, l'Institut
Superieur des Beaux-Arts dell'Università di Sousse (Tunisia), nasce
dall'idea della centralità storico-culturale del teatro nelle culture
del Mediterraneo. All'apertura ufficiale hanno partecipato Lida
Viganoni, Rettore dell'Orientale, i professori Masullo e Corrao della
stessa università e la presidente della Fondazione Campania dei
Festival Rachele Furfaro che ha salutato affettuosamente i 15 ragazzi
sottolineando il filo conduttore del progetto: promuovere e diffondere
lo scambio culturale. |
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L'Unione
delle Comunità Ebraiche Italiane sviluppa mezzi di comunicazione che
incoraggiano la conoscenza e il confronto delle realtà ebraiche. Gli
articoli e i commenti pubblicati, a meno che non sia espressamente
indicato il contrario, non possono essere intesi come una presa di
posizione ufficiale, ma solo come la autonoma espressione delle persone
che li firmano e che si sono rese gratuitamente disponibili. Gli
utenti che fossero interessati a partecipare alla sperimentazione
offrendo un proprio contributo, possono rivolgersi all'indirizzo desk@ucei.it per concordare le modalità di intervento.
Il servizio Notizieflash è realizzato dall'Unione delle Comunità
Ebraiche Italiane in collaborazione con la Comunità Ebraica di Trieste,
in redazione Daniela Gross. Avete
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