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L'Unione informa
 
     14 giugno 2009 - 22 Sivan 5769  
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Moked - il portale dell´ebraismo italiano
alef/tav    
  Benedetto Carucci Viterbi Benedetto Carucci Viterbi,
rabbino 
Buon modello di leader emerge dalla parashà di Behaalotekhà: Mosè è umile e accogliente; riconosce quando non sa e si rivolge a Dio per avere chiarimenti; è umano nel suo scoramento di fronte alle lamentele costanti del popolo, ma sente di avere la responsabilità di garantirne la sopravvivenza; è totalmente dedito a Dio e al popolo, al punto di rinunciare ai rapporti con la moglie, ma non dimentica di pregare per la guarigione della sorella, che pure aveva parlato male di lui. Che qualcuno dei tanti leaderoni/leaderini debba imparare da Mosè?
I dati delle ultime elezioni europee dicono molte cose: la disillusione sull’Europa degli europeisti, alcuni venti di estrema destra che sarebbe sbagliato sottovalutare (per esempio il consenso al partito Jobbik Magyarországért Mozgalom,   Movimento per un’Ungheria migliore) - il ritorno in campo di un’idea di Europa in cui l’antiamericanismo è un ingrediente rilevante.
In questo scenario l’antiamericanismo  allude alla costruzione di un possibile asse verso Mosca.
E’ un percorso che non è nuovo e che già si è prodotto nel corso degli anni ’90 durante la guerra nella ex-Jugoslavia. Lo sguardo benevolo su Milosevic che fu condiviso da molti trasversalmente a destra e a sinistra, Lega Nord compresa, si fondava su quel sentimento che in Italia ha una storia: proprio del fascismo, ma sopravvissuto al regime. Anche nell’Italia della Prima Repubblica, al di là della fedeltà al Patto atlantico quel sentimento andava forte. Non era solo nella politica (di nuovo a destra e a sinistra e nel mondo cattolico), era anche nel rifiuto a considerare la sociologia, l’antropologia, la ricerca sociale discipline e saperi con statuti scientifici e non “tentazioni” di una società materialista.
Ma negli anni ’90 il tempo politico ancora non era maturo. Invece la Russia è oggi una potenza politica dotata di un modello di governo, che molti invidiano: non mira alla coabitazione multiculturale e esprime un’idea di società ordinata. Anche per questo Putin è considerato un amico e costituisce un punto di riferimento solido: ha risorse energetiche, minerali, metalli preziosi. Ogni tanto ci scappa il morto – soprattutto se è un giornalista ficcanaso - ma sono dettagli. Ha un futuro l’Europa dei federalisti?
David Bidussa, storico sociale delle idee David Bidussa  
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  un rifugiato dall'Irak Jjac, "Giustizia per gli ebrei
profughi dal mondo arabo"

E’ stato un esodo imponente, drammatico e oggi troppo spesso dimenticato. Quando si parla di profughi del Medio oriente l’immaginario collettivo dell’Occidente corre infatti immediato ai palestinesi. Dimenticando che dal 1948 oltre un milione di ebrei hanno dovuto lasciare i paesi arabi (nell'immagine, un ebreo in fuga dall'Irak) cacciati dalla violenza dei pogrom o da leggi che li hanno spogliati dei loro diritti di cittadinanza e talvolta di tutti i loro averi.
La questione degli ebrei profughi dai paesi arabi – già messa con forza in risalto, nei
giorni della visita di Gheddafi, dalla comunità tripolina e dal presidente della Comunità
ebraica romana Riccardo Pacifici (vedi l’intervista sotto) – tornerà all’attenzione dell’opinione pubblica italiana grazie a una giornata d’iniziative promosse martedì a Roma da Justice for Jews for Arab Countries (Jjac). In calendario un’audizione alla Commissione affari esteri alla Camera, una conferenza stampa, l’incontro tra i leader ebraici europei e un incontro pubblico di sensibilizzazione e dibattito (il programma nel box sotto).
L’obiettivo della Jjac, organizzazione ebraica internazionale che dal 2002 si batte per la
utela dei diritti ebraici e che vede tra i suoi membri l’Unione delle Comunità ebraiche
italiane, è quello di assicurare giustizia agli ebrei espulsi dal mondo arabo garantendo a questo tema un ruolo corretto nell’agenda della politica mondiale. “La comunità
internazionale – afferma infatti il presidente Stan Urman – non ha mai cercato di
difendere e di proteggere i diritti di questi rifugiati. Se si vuole che le trattative di
pace siano credibili e legittime si devono invece prendere in considerazione i diritti di
tutti i rifugiati del Medio oriente, inclusi gli ebrei e le altre minoranze”.
In questo senso la Jjac rivolge un appello preciso all’Italia e all’Unione europea perché
si facciano carico della questione. “E’ importante – sostiene infatti l’organizzazione –
riconoscere che il problema esiste così che quando sarà discusso il tema dei rifugiati in Medio oriente i rappresentanti europei, coscienti dei fatti, possano avanzare anche la
questione dei rifugiati ebrei”. Quanto all’Italia, sottolineano i rappresentanti Jjac, le
sue buone relazioni con Israele e il suo essere stata rifugio di tanti ebrei in fuga
dall’Egitto negli anni Cinquanta e dal nord Africa tra i Sessanta e i Settanta, potranno
senz’altro risultare determinanti al tavolo delle trattative.
Va comunque rimarcato, afferma l’organizzazione, che il trattamento degli ebrei nei paesi arabi non è stato uniforme. “In alcuni paesi, tra cui la Siria, – spiega – era interdetto agli ebrei di uscire dal paese. In altri, ad esempio l’Irak, si è realizzata una
deportazione di masse mentre altrove la popolazione ebraica ha potuto vivere in pace”.
Altrettanto importante sottolineare che questa campagna non è rivolta contro il mondo
arabo, con cui va invece stabilito un ravvicinamento, né contro i rifugiati palestinesi, i
cui diritti vanno sempre considerati. “Sarebbe giusto – dicono infatti gli esponenti di
Jjac – che durante le trattative bilaterali e multilaterali si venga a discutere di tutta
la popolazione di rifugiati proveniente dal conflitto arabo israeliano: palestinesi o
ebrei che siano”.

Daniela Gross


jjac Jjac, il programma delle iniziative

Le iniziative promosse Justice for Jews for Arab Countries si aprono martedì mattina con un’audizione formale alla Commissione esteri della Camera. Obiettivo, affrontare il tema dei diritti degli ebrei espulsi dai paesi arabi e sottolineare come dal conflitto arabo
israeliano siano scaturite due popolazioni di profughi, palestinesi ed ebrei, rimarcando il ruolo che l’Italia può svolgere nella ricerca di una soluzione. A seguire, una conferenza stampa nella sala del Mappamondo di Montecitorio cui prendono parte l’ex ministro della Giustizia canadese ed esperto di diritto internazionale Irwin Kotler; David Meghnagi, docente di psicologia all’Università Roma Tre, espulso dalla Libia nel ’67 e Fiamma Nirenstein, vicepresidente della Commissione esteri della Camera e promotrice dell’iniziativa.
Alle 20, al Palazzo della cultura in Portico d’Ottavia, nell’ambito di un evento pubblico
di sensibilizzazione e confronto si proietta il film “I rifugiati dimenticati”. Prodotto dal David project di Boston e premiato a molti festival internazionali, il film ripercorre la vicenda dei profughi ebrei dai paesi arabi con testimonianze di ebrei libici ed egiziani. Intervengono Irwin Kotler, il presidente della Jjac Stan Urman, i rappresentanti degli ebrei protagonisti dell’esodo dal mondo arabo insieme ai rappresentanti della Comunità ebraica romana.


riccardo pacifici L'ira degli ebrei romani 

 “Questa visita è un insulto. Il viaggio di Gheddafi in Italia si sta risolvendo in un tour penoso, che per il nostro Paese si è rivelato un fallimento politico e economico. E anche Berlusconi non lo riconosco più”. Riccardo Pacifici è scosso. Il presidente della Comunità ebraica romana cerca di controllare la voce, di parlare con calma, ma ci riesce solo a tratti. Non quando rievoca la fuga precipitosa degli ebrei libici nel '67 o l'attentato di un commando di terroristi palestinesi nell'82 alla sinagoga di Roma. Nell'agguato rimasero uccisi due bambini e furono ferite 43 persone, fra cui il padre di Pacifici. Uno dei terroristi, dopo varie peripezie, fu consegnato dalla Grecia alla Libia, e da allora non se ne è saputo più niente. Il presidente della Comunità ebraica romana si sente quasi tradito, non si capacita di come "l'Italia, il Governo, questo Governo che è quello che forse nella storia repubblicana vanta le migliori relazioni con Israele, possa aver lasciato libero Gheddafi di visitare tutti i luoghi più sacri della democrazia, insultando la democrazia”. Sull'incontro richiesto dal Colonnello con la Comunità ebraica romana per oggi, sabato, shabbat, giorno sacro, in cui gli ebrei devono evitare ogni impegno, dice: “Non nutro alcuna speranza che si faccia”.
Presidente, anche lei pensa che quella dell'incontro sia stata solo una provocazione?
Più che una provocazione è uno schiaffo. Per una richiesta del genere nutro solo
disprezzo. Mi sento offeso da uomo, da ebreo, da cittadino italiano. Qui il problema
supera la questione religiosa. Questa visita è stata un'umiliazione. Come si può accettare di sentire deridere le istituzioni repubblicane da un uomo che non rispetta la democrazia, i diritti umani, le donne? Guardi cosa è stato capace di dire al Campidoglio: uno sberleffo. Alla nostra storia di italiani democratici, ai padri costituenti, alla Costituzione, di un Paese, certo litigioso, certo diviso, ma democratico.
Ma se alla fine questo incontro dovesse avvenire, magari un altro giorno, cosa fareste?
Dia retta a me, l'incontro non si farà. Ma sarei ben felice di essere smentito. Per dirgli
in faccia, da uomini liberi, cosa pensiamo. E dopo tutto quello che è avvenuto sarebbe un riscatto. Abbiamo già pronta una lettera con le nostre richieste.
L'annosa questione dei risarcimenti agli ebrei libici cacciati tra il '67 e il '70?
Sì, anche se occorre una precisazione. La storia degli ebrei libici è in parte diversa da
quella degli italiani che vivevano in Libia. Gli ebrei cominciarono a fuggire dal Paese
africano prima degli italiani, subito dopo la guerra dei sei giorni. Fuggivano dai pogrom,
fuggivano dalla morte sicura. Imbarcandosi sulle navi per l'Italia con nient'altro che
paura, nostalgia e una valigia. Questi ebrei libici trovarono in Italia la patria che li
ha accolti e integrati
Gheddafi dice di non riconoscere i misfatti del governo precedente alla sua Rivoluzione…
Tesi interessante. All'Italia repubblicana chiede miliardi per i danni del colonialismo
dello Stato liberale e del fascismo, mentre lui non riconosce il governo di Re Idris di
pochi anni prima. Il principio della continuità dello Stato vale solo per l'Italia. Per
lui vale una sola continuità: lo sfruttamento dei pozzi di petrolio…
Il petrolio, è per questo che il Governo è stato così accondiscendente nei confronti del leader libico?
Berlusconi non lo riconosciamo più. Non è il Berlusconi che ha sostenuto Israele, che si è impegnato per far annoverare Hamas tra le organizzazioni terroristiche. Un'umiliazione. Che però non può giungere fino ad accettare che Gheddafi salga in cattedra a darci lezioni di democrazia.
Presidente, però non può negare che in questa visita italiana Gheddafi abbia pronunciato delle parole importanti: sui diritti delle donne e sulla lotta al terrorismo.
Se sulla lotta al terrorismo Gheddafi fosse sincero ci direbbe dove si nasconde Al Zomar, un palestinese che nell'82 uccise due bambini colpevoli solo di essere ebrei davanti alla sinagoga di Roma. Vuole davvero combattere il terrorismo internazionale? Lo rimandi in Italia, lo attende una condanna. All'ergastolo.

Marco Innocente Furina - Il Riformista, 13 giugno 2009 

 
 
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pilpul    
 
  Come avvicinarsi agli "ebrei invisibili"

Chiamateli invisibili, indifferenti o “distratti” (come li ha ironicamente definiti una
relatrice al workshop sul tema all’ultimo Moked) il fatto è che in pochi decenni gli
iscritti alle Comunità italiane sono passati da 35 a soli 23 mila. In questi ultimi sei
mesi ho cercato di approfondire le cause di questa realtà, di identificare il target e ho
riscontrato da parte di tutti, a livello nazionale e locale, un’autentica, motivata e
competente voglia di affrontare il problema. Ora è necessario andare avanti. Occorre
comunicare alla nostra opinione pubblica la volontà di procedere in questo senso? Le nuove azioni da implementare per il futuro e le idee di molti devono trovare un appoggio ed un riferimento nazionale? Penso di sì, con differenti  responsabilità e con un punto fermo per logica e attribuzioni. Le azioni di avvicinamento sono iniziative culturali, sociali, istituzionali o meno, che non affrontano, perché non ne hanno competenza, i temi e le prerogative del Rabbinato. Partirei da qui, senza pregiudizi e senza pretendere di avere una soluzione, ma coinvolgendosi con creatività, affinando la nostra volontà e la capacità d’ascolto e di approfondimento delle realtà sociali e culturali, veri presupposti, a mio avviso del possibile avvicinamento e del coinvolgimento di chi è lontano, vicino o in mezzo. La mia è un’opinione, vorrei sentirne altre: il dibattito è aperto.

Riccardo Hofmann, Consigliere UCEI  
 
 
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rassegna stampa    
 
 
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La visita di Gheddafi a Roma e la vittoria elettorale di Ahmadinejad. La rassegna stampa si organizza oggi intorno a questi due filoni che toccano nel profondo il mondo ebraico. Sul Corriere della sera Fabrizio Caccia, ripercorrendo la visita del premier libico, sottolinea come sia venuto meno l'appuntamento con gli esuli ebrei perché fissato di shabbat. “I rappresentanti della comunità ebraica – scrive Caccia -hanno disertato l'appuntamento con gli esuli. Era giorno di «shabbat», perciò hanno mandato una lettera: «Se non sarà concordata un'altra data, l'incontro non avverrà. Gli ebrei libici e gli ebrei di Roma non abbasseranno la testa e non dissacreranno il sabato» così ha scritto, a Gheddafi, il tripolino Shalom Tesciuba, vicepresidente della comunità ebraica della Capitale. Gli ebrei libici presenti ieri a Villa Pamphili, in effetti, erano appena tre o quattro. Tra questi, David Gerbi, che quando fuggì dalla Libia nel 67 aveva 12 anni: «Io all'incontro ci sono andato spiega perché lo shabbat è giorno di pace e la pace dev'essere il nostro finale obiettivo. Rispetto il presidente Riccardo Pacifici, anch'io sono un membro della comunità ebraica di Roma, però a Gheddafi ho stretto la mano e gli ho ricordato il vecchio impegno a ristrutturare la sinagoga di Tripoli. M'è sembrato d'accordo»".
E proprio la memoria della cacciata dalla Libia torna con accenti toccanti sul Messaggero in un’intervista di Francesca Nunberg a David Meghnagi, costretto diciottenne a lasciare Tripoli insieme alla famiglia per il pogrom scatenatosi contro gli ebrei in contemporanea alla guerra dei sei giorni.
Passando ad Ahmadinejad, Francesco Battistini analizza sul Corriere la posizione d’Israele in merito alle ultime elezioni in Iran oscillante, scrive tra “pubblico sconcerto e malcelata soddisfazione”. A inquadrare la tappa romana di Gheddafi e la questione iraniana è Fiamma Nirenstein sul Giornale in un commento dal titolo più che eloquente, “Il mondo diventa vittima impotente dell'odio di piccoli e grandi dittatori”.
In tema di diritti si segnala quindi su Libero un’intervista a Vito Kahlun, ebreo romano, esponente del Partito repubblicano italiano dove è responsabile delle Politiche giovanili, che ieri ha voluto sfilare con il gay pride in difesa, dice, della democrazia. Da leggere infine su Repubblica il bel reportage di Alix Van Buren dedicato al ritorno degli ebrei a Damasco.

 
 
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notizieflash    
 
 

Roma, ebrei libici “Adesso Berlusconi si occupi dei nostri diritti”
Roma, 12 giu
"Per senso di responsabilità", la comunità degli ebrei libici ha scelto di tenere "un
basso profilo, avendo ben chiara l'importanza di questa visita per il governo italiano". Ma chiede che al termine del viaggio di Gheddafi in Italia il governo italiano si occupi anche dei loro diritti. "La nostra comunità - afferma Raffaele Sassun, esponente della comunità degli ebrei di Libia - ha scelto di non cavalcare critiche e polemiche, perché consapevole che in occasioni come questa gli interessi nazionali hanno la priorità rispetto a quelli, seppur legittimi e fondamentali, di una comunità". "Tuttavia - aggiunge - chiediamo che, una volta esaurito il clamore, il presidente Berlusconi voglia finalmente occuparsi anche di noi e dei nostri diritti, poiché anche noi siamo Italiani e non meno dei nostri connazionali".

Italia-Libia, Ruben “Inopportuno l’accostamento tra i raid su Tripoli e l’11 settembre”
Roma, 11 giu
“L'accostamento tra i bombardamenti su Tripoli dell'86 e l'attacco terroristico dell'11 settembre 2001 fatto dal colonnello Gheddafi è inopportuno”. Ad affermarlo è il parlamentare del Pdl Alessandro Ruben. “L'Italia - osserva Ruben - è tra i migliori alleati degli Stati Uniti, e da parte di Gheddafi dovrebbe esserci maggior cautela, quale nostro 'nuovo' amico, nel puntare l'indice su Washington. Quel che avvenne oltre venti anni fa, quando il terrorismo imperversava in Italia, in Europa e nel mondo e lui era considerato tra i suoi maggiori sponsor, è cosa diversa dall'attacco sferrato da Al Qaeda nei confronti del mondo Occidentale e dalla reazione degli Usa”.
“La nostra alleanza con gli Stati Uniti - conclude Ruben - era e resta ben salda.
Gheddafi, quando parla del passato, dovrebbe ricordare che se oggi ha la possibilità di parlare in un Paese democratico come il nostro è anche e soprattutto dovuto al fatto che gli Stati Uniti hanno liberato l'Italia dal gioco del nazi-fascismo, lo stesso dominio che opprimeva il suo paese”.

Italia-Libia, Nahum “Berlusconi chieda a Gheddafi l’estradizione per il terrorista Al Zomar”
Roma, 11 giu
“Il Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, che in questi giorni come vediamo è
impegnato a tessere relazioni commerciali, politiche, militari e sociali con il leader
libico Gheddafi, si dimentica, che lo stesso Gheddafi presta il fianco e offre un tetto all’assassino di Stefano Gay Tache un bambino di soli due anni che aveva come unica colpa l’essere ebreo”. Così  - Daniele Nahum, Presidente dell’Unione Giovani Ebrei d’Italia. “Molto spesso – prosegue - questo esecutivo si è mostrato intransigente ed esigente nei confronti di Paesi che ospitano personaggi che hanno legato la propria attività ad episodi terroristici negli anni ’70 e proprio per questo non capiamo l’amnesia da parte di Berlusconi su questo tragico episodio.”.
“Per una vera pacificazione storica con la Libia crediamo che la consegna al Governo italiano di Al Zomar sia un atto indispensabile – conclude Nahum - altrimenti saremmo costretti a pensare che le parate e le parole di questi giorni siano esclusivamente una ostentazione di una politica estera di facciata che si dimostra carente nelle questioni reali e fatto ancora più grave che per questo Esecutivo esistano terrorismi di serie A e vittime di serie B”. 

 
 
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