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L'Unione informa
 
    15 giugno 2009 - 23 Sivan 5769  
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Moked - il portale dell´ebraismo italiano
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  Riccardo Di Segni, rabbino capo di Roma Riccardo
Di Segni,

rabbino capo
di Roma
Abbiamo letto questo Shabbat al capitolo 12 del libro dei Numeri lo strano episodio di Miriam, sorella di Moshè, che viene punita per aver parlato male di suo fratello. La punizione che riceve è lo tzara'at, una malattia della pelle che oltre a essere sgradevolmente visibile rende impuro il portatore, che, come dice Aron invocandone la guarigione, somiglia a un morto. Una delle morali di questo racconto è che la maldicenza, ciò che di improprio esce dalla bocca, rende impuri. Quindi secondo la Torà ciò che rende impuro l'essere umano è sia ciò che entra nella bocca (come un alimento proibito), che ciò che ne esce (uso degenere della parola). Una grande religione nata dall'ebraismo ha rivoluzionato questa regola, affermando il principio che l'uomo è impuro solo per ciò che gli esce dalla bocca. Con tutto il rispetto, ci sono differenze tra il pensiero basato sulla Torà e altri pensieri, che non possono essere dimenticate. 
A vent'anni esatti da Tien An Men, la repressione in Iran contro i giovani che protestano per i brogli elettorali del regime di Ahmadinejad ci riporta a quel clima di violenza  e di assoluto disprezzo del diritto. Con la Cina di oggi, l'Occidente fa affari, chiudendo tutti e due gli occhi di fronte alle quotidiane condanne a morte, in media ventidue, che danno a quel Paese il primato mondiale delle esecuzioni capitali. Succederà lo stesso con Teheran, una volta placate, se lo saranno, le tensioni politiche più forti? Continueremo a stringere accordi  e trattati sacrificando i diritti umani? Lo abbiamo fatto con l'Est Europa negli anni Settanta, sacrificando il dissenso al riavvicinamento fra i blocchi. Lo abbiamo fatto di nuovo in molti altri casi, ad esempio con la Russia di Putin, e ancora ieri, ospitando nel cuore della nostra capitale l'arrogante dittatore libico. Giungeremo mai a capire che gli accordi economici, i riavvicinamenti politici, i trattati si fanno chiedendo come garanzia diritti per chi non ne gode, uguaglianza per chi non la possiede, e non sacrificando il diritto ad un astratto realismo politico che non è altro, a vederlo bene da vicino, che viltà e opportunismo? Anna Foa,
storica
Anna Foa, storica  
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  manifesto JJAC, "Profughi palestinesi e profughi ebrei, due realtà e un uguale diritto"
 

Un'audizione alla Commissione Esteri della Camera apre domani il programma di iniziative romane della organizzazione Justice for Jews from Arab Countries (JJAC), all'incontro che farà seguito nella sala del Mappamondo di Montecitorio cui interverranno l'ex ministro della Giustizia canadese ed esperto di diritto internazionale Irwin Cotler (nella foto in basso), David Meghnagi, professore di psicologia all'Università di Roma Tre, espulso dalla Libia nel 1967, Stan Urman, presidente della JJAC e l'onorevole Fiamma Nirenstein, vicepresidente della Commissione Esteri della Camera, promotrice dell'iniziativa.

cotler"Lo scopo dell'audizione è affrontare il tema dei diritti degli ebrei espulsi dagli Stati arabi e sottolineare come dal conflitto israelo-palestinese siano scaturiti profughi palestinesi e profughi ebrei e non soltanto profughi palestinesi" spiega Regina Bublil Waldman, vicepresidente della JJAC che a San Francisco ha fondato la Jews Indigenous to the Middle East and North Africa (Jimena), un'organizzazione che si occupa, parallelamente alla JJAC, di difendere i diritti degli ebrei rifugiati dal Medioriente e dal Nord Africa. "L'onorevole Irwin Cotler renderà la testimonianza da un punto di vista giuridico, mentre David Meghnagi lo farà in qualità di espulso. Speriamo che da questa audizione il Parlamento italiano adotti una risoluzione sui diritti degli ebrei espulsi dai Paesi arabi come è già stato fatto negli Stati Uniti e che il Governo italiano si faccia promotore dell'adozione di una risoluzione analoga da parte del Parlamento europeo".
Il programma degli incontri prevede anche un'iniziativa aperta al pubblico: la proiezione del film " The forgotten Refugees - I rifugiati dimenticati " che avrà luogo sempre domani alle 20.30 al Palazzo della Cultura di Portico d'Ottavia  cui parteciperanno lo stesso Cotler, Stan Urman e i rappresentanti degli ebrei protagonisti dell'esodo dal mondo arabo. Il film, prodotto dal David Project di Boston ripercorre la vicenda dei profughi ebrei dai Paesi arabi con testimonianze di ebrei libici ed egiziani.


 
 
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pilpul    
 
  donatella di cesareIl valore dell'individuo non può essere ridotto
a valore di mercato

L’economia capitalistica è stata quasi sempre giudicata in termini solo economici, cioè quantitativi. Di fronte ai dati, pressoché inoppugnabili, di una produzione in aumento, di un profitto in crescita, è parso, negli ultimi anni, che anche le voci più critiche dovessero finalmente tacere. Può forse esserci un altro sistema economico anche solo lievemente diverso? Il tracollo dei paesi dell’est non è stata forse la conferma decisiva?
Ma la grande questione è piuttosto un’altra, e cioè se sia possibile giudicare un sistema economico solo sulla base dell’economia, dimenticando la politica e soprattutto l’etica. Come se il criterio fosse solo quello della quantità, come se non contassero i rapporti interpersonali, e perciò il benessere dell’anima, la felicità, l’amicizia, l’amore.
Alla luce di una crisi, che pare incalcolabile, oggi si tende a mettere in discussione il sistema, ragionando però alla fin fine solo in termini economici. Eppure forse mai come ora emerge con chiarezza che il capitalismo ha danneggiato terribilmente la vita di ciascuno, ha deteriorato nel profondo le relazioni interpersonali. Tra uomo e uomo non è rimasto che puro interesse mentre il valore dell’individuo si è ridotto a valore di mercato. La logica del capitale ha favorito l’egoismo della buona coscienza, ha spinto ciascuno a credere di poter  essere una monade autonoma, ha fatto della concorrenza, della rivalità, della competizione senza scrupoli, i nuovi brutali valori.
Tutto ciò che eccede dalla logica del profitto, a cominciare dall’amicizia, da un investimento di tempo ed energie nella vita dell’altro, senza torna-conto, sembra dileguarsi ineluttabilmente.

Donatella Di Cesare, filosofa
 
 
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Due i fatti principali di oggi: gli esiti delle elezioni iraniane e il discorso di Netanyahu.
Sul primo tema è ormai chiaro che Ahmadinedjad ha il controllo della situazione, anche se continuano le proteste (e lo Stato fa "retate" fra i ragazzi
dell'opposizione - Vannucci su Repubblica) e impedisce la comunicazioni tecnologiche, come racconta ancora Repubblica. C'è una precisa "responsabilità" di Obama nella vittoria del tiranno di Teheran, sostiene Carlo Pannella in un'analisi molto interessante sul Tempo, cioè aver rinunciato a punire la sua strategia aggressiva. Gli americani esprimono ora "dubbi" sulle elezioni iraniane (così il vicepresidente Biden secondo la corrispondenza di Molinari sulla Stampa) ma è chiaro che è tardi per influenzarne gli sviluppi. Se "il governo ha truccato le schede", come sostiene Bill Keller su Repubblica, adesso è difficile fare qualcosa. La rete di potere di Ahmadinedjad è particolarmente forte (Bijan Zarmandili su Repubblica) e l'amministrazione americana, con la sua politica di "engagement" a tutti i costi, non ha gli strumenti per una pressione efficace per la democrazia, e probabilmente neppure la volontà di esercitarla. La richiesta del candidato soccombente Mussawi di annullare le elezioni (Il Corriere) non ha speranza di essere accolta, nonostante le manovre di Rasfajani (Il Messaggero). Anzi, Akbar Ganji, giornalista ed esule negli Stati Uniti, vede questi sviluppi in un'intervista al Corriere come la premessa del tentativo della "guida" Kamenei di liberarsi degli altri potentati del regime, "l'inizio di un golpe" .

Il discorso del premier israeliano (che sarà a Roma il 23 giugno per incontrare Belusconi all'inizio di un giro diplomatico europeo, La Repubblica), non sarà "storico" come quello di Obama al Cairo, ma certamente è giudicato importante da tutti gli organi di stampa. Il riconoscimento di uno Stato palestinese smilitarizzato, che cioè non sia una minaccia per Israele, viene coindizionato alla reciprocità, cioè al riconoscimento da parte palestinese di Israele come "Stato degli ebrei", secondo un concetto che fu già riconosciuto dalla comunità internazionale alla fondazione di Israele, sessant'anni fa. Nel frattempo Israele si impegna a non allargare gli insediamenti e Netanyahu è disposto a iniziare subito i colloqui di pace, incontrando "dovunque" i dirigenti arabi (Battistini sul Corriere). Il discorso, sostiene Glauco Maggi sulla Stampa, ha "spiazzato" Obama, ponendo condizioni militari e politiche per l'accettazione dello Stato palestinese desiderato dal Presidente americano. Interessante le analisi di Bidussa sul Secolo XIX e di Segre sul Giornale. Molto negative le reazioni dei palestinesi, che evidentemente si erano illusi sulla capacità di Obama di provocare una vera e propria resa israeliana. "A queste condizioni", avrebbe detto il negoziatore palestinese Erkat, "Israele troverà un partner di pace fra mille anni" (Il messaggero): se lo dice lui...  Non diversa la posizione della deputata araba (alla Knesset) Asrawi, in un'intervista al Corriere.
Interessante nel frattempo un sondaggio riportato dal Messaggero: il 56% degli israeliani si oppone a un blocco totale degli insediamenti, inclusa la loro "crescita naturale" o demografica: questo mostra il sostegno alla posizione di Netanyahu.

Ugo Volli 

 
 
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notizieflash    
 
 
La stampa araba e le reazioni al discorso di Netanyahu              
Il Cairo, 15 giu -
"Netanyahu risponde al discorso di Obama con un discorso puramente sionista, provocatore e intransigente uno Stato palestinese paralizzato, l'ebraicità di Israele e nessun diritto al ritorno dei profughi: è una delle migliori espressioni delle tendenze politiche intransigenti del governo israeliano estremista di Netanyahu determinato a continuare la sua linea di distruzione", così il quotidiano siriano Al Baath ha commentato il discorso del premier israeliano Benyamin Netanyahu. La stampa qatariota non è stata da meno, il quotidiano Al Sharq ha scritto: "Non siamo stati sorpresi dal discorso avvelenato del primo ministro israeliano: un discorso che riflette la sua ideologia estremista razzista, che demolisce tutti gli sforzi e le iniziative di pace regionali e internazionali". "E' un clown politico di primo livello: cerca di imbrogliarci - ha rilevato ancora Al Sharq - cerca di prendere tutto senza restituire, vuole una pace senza prezzo: di quali negoziati parla dopo aver ostacolato tutte le risoluzioni e le iniziative di pace?"

Hosni Mubarak e il discorso del Premier israeliano
Il Cairo, 15 giu -
"Il Medio Oriente resterà teatro di instabilità fino a quando non ci sarà una soluzione giusta e pacifica della questione palestinese" questa la conclusione del presidente egiziano Hosni Mubarak a seguito del discorso del premier israeliano Benyamin Netanyahu. Mubarak ha spiegato stamane, durante un discorso alle forze armate egiziane a Ain Shas, località nella quale ha sede un reattore nucleare non attivo, che è in corso di rinnovamento che l'invito di Netanyahu “a riconoscere Israele come stato ebraico complicherà ancor più la situazione e farà abortire tutte le possibilità di pace” e ha aggiunto come l'invito dell'israeliano "non troverà reazioni né dell'Egitto né di altri”. “Il problema palestinese resta la chiave di volta per la soluzione di tutti i conflitti e le crisi della regione - ha concluso - che è ora davanti ad una reale possibilità di pace, che spero non si perda, come è già successo in passato. La situazione in Medio Oriente è allarmante e lontana da sicurezza e stabilità...con ricadute sulla sicurezza regionale dell'Egitto”.

 
 
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