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L'Unione informa |
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16 giugno 2009 - 24 Sivan 5769 |
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alef/tav |
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Roberto Della Rocca, rabbino |
Nella
Parashà di Beaalotechà che abbiamo letto Shabbat scorso, è detto: "l'uomo Moshè era molto umile, più di ogni uomo sulla faccia della
terra.....". Di tutte le virtù che Moshè aveva, era senza dubbio
saggio, pio, coraggioso, la Torah elogia solo l'umiltà, sottolineando
il fatto che egli eccelleva in questo "più di ogni uomo sulla faccia
della terra". Cosa c'è di tanto grande nel fatto di essere
umile? Perché all'umiltà viene data tanta importanza qui come in
altre parti della Tradizione ebraica? Esaminando la vita e le azioni di
Moshè, risulta evidente che non si è trattato di una vita
all'insegna della timidezza o della docile acquiescenza. Moshè non si
sarebbe facilmente piegato o arreso nelle sue richieste o nelle
sue dispute sia nel rapporto con Dio che in quello con gli
uomini. Se Moshè deve servire come supremo esempio di umiltà "più
di ogni uomo sulla faccia della terra", allora umiltà non significa
certamente debolezza, né mitezza, né resa. Dunque l'umiltà merita di
essere definita tale solo quando nasce da una posizione di forza e di
autoaffermazione. Solo quando una persona ha molto di cui vantarsi, è
possibile verificare se egli ha la consapevolezza del suo vero posto e
del suo valore, se la sua egocentrica vanagloria possa essere messa a
freno per lasciare spazio ad altre persone. |
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"Rabbì
Shimon disse tre sono i segni (rivelatori) nell'uomo: il pallore è
segno di ira; parlare è segno di follia; stimarsi è segno di
ignoranza". (Zohar III, pag 193b) |
Vittorio Dan Segre, pensionato |
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davar |
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Gli ebrei del Mediterraneo salgono a Montecitorio: "Non c'è pace senza il riconoscimento dei diritti"
"Ci
sono esodi ignorati e circondati dal silenzio. Uno di questi è quello
che ha coinvolto la quasi totalità delle comunità ebraiche del mondo
arabo. Un tempo numerose e floride, le comunità ebraiche del mondo
arabo e islamico sono oggi nei loro paesi un flebile ricordo.
Emigrati in massa sotto i colpi dei pogrom, animati da un speranza
messianica di riscatto, la maggioranza degli ebrei che hanno
abbandonato il mondo arabo hanno ricostruito le loro vite spezzate
nell’antica Terra dei padri. Le loro peripezie e sofferenze sono poco
note". Inizia così, la testimonianza di David Meghnagi,
professore di psicologia all'Università di Roma Tre, espulso dalla
Libia nel 1967, all'audizione parlamentare che l'organizzazione Justice
for Jews from Arab Countries (JJAC), in questi giorni a Roma per il
raduno annuale, ha ottenuto grazie all'intervento dell'onorevole Fiamma Nirenstein,
giornalista e deputato alla Camera nelle fila del Popolo della Libertà
dove è vicepresidente della Commissione Affari Esteri e Comunitari, che
ne è stata promotrice.
La
parlamentare esperta di Medio Oriente, da sempre in prima linea nella
battaglia contro la violenza e per la salvaguardia dei diritti
umani e della democrazia, torna a far sentire la sua voce a favore
degli ebrei espulsi dai Paesi Arabi per ritorsione contro la nascita
dello Stato di Israele. L'audizione parlamentare, cui oltre alla
Nirenstein e al presidente della JJAC Stanley Urman hanno partecipato
l'ex ministro della Giustizia canadese ed esperto di diritto
internazionale Irwin Cotler, David Meghnagi, la vicepresidente dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane Claudia De Benedetti e il Consigliere Ucei Victor Magiar,
ha infatti lo scopo di affrontare il tema dei diritti degli ebrei
espulsi dagli Stati arabi e sottolineare come dal conflitto
israelo-palestinese siano scaturiti profughi palestinesi e profughi
ebrei e non soltanto profughi palestinesi. "Per un senso di verità
e per stabilire un fatto che può aiutare la pace" risponde Fiamma
Nirenstein a margine della conferenza stampa che si è svolta nella sala
del Mappamondo di Montecitorio alla domanda di perché ha ritenuto
importante organizzare questa audizione che accende una luce sui
diritti degli ebrei espulsi dai Paesi Arabi "Nonostante quella che io
definisco la "nakba" ebraica sia stata molto più consistente di quella
palestinese, e che gli ebrei cacciati dai Paesi arabi hanno
subìto pogrom sanguinosi, quello che mi interessa è stabilire il
principio che a fianco a una sofferenza palestinese usata continuamente
come un'arma esiste la sofferenza dei profughi ebrei strappati
dalle proprie case e cacciati dai paesi arabi dove hanno dovuto
lasciare tutto quello che possedevano. Non è un caso se i palestinesi
di fronte ai veri tentativi di una trattativa per la pace con Israele
ripropongono continuamente la questione dei profughi, che poi non sono
profughi, sono i figli dei figli dei figli, artificialmente conservati
nei campi profughi durante questi anni. Al contrario la nakba ebraica
non ha avuto questa caratteristica, questi profughi sono totalmente
assenti dal ricordo, il mondo non li riconosce". Una questione di
stretta attualità in seguito alla proposta del Primo ministro
israeliano Netanyahu che condiziona le trattative di pace al
riconoscimento dello Stato di Israele e duramente criticata dal
presidente egiziano Mubarak "Mubarak non ha detto tutto quello che
pensa - osserva la Nirenstein - non ha voluto aiutare il riconoscimento
dello Stato ebraico e in questo sbaglia. Il presidente egiziano ricalca
il rifiuto arabo, nonostante con questo stato arabo Israele abbia già
fatto la pace. Non a caso Netanyahu l'ha messa al centro delle
trattative e ha fatto benissimo". L'importanza del riconoscimento
dello Stato ebraico ritorna anche nelle parole di David Meghnagi che
sostiene che bisogna curare le parole e che l'arabo è pieno di parole
malate come "nakba" termine che gli arabi usano per indicare una loro
catastrofe o "harsa" termine che indica la distruzione del popolo
ebraico, secondo Meghnagi invece è importante "tenere aperta la porta
della comunicazione", "Se non curiamo le parole, ha concluso Meghnagi,
non ci sarà alcuna riconciliazione. E la riconciliazione passa
attraverso il riconoscimento dello Stato di Israele". Victor
Magiar, intervenuto nella sua qualità di consigliere Ucei e di
testimone della cacciata dalla Libia del 1967, nel paragonare la
posizione palestinese e quella ebraica sostiene che "sono due tragedie
non paragonabili, perché i palestinesi sono vittime di un conflitto
armato mentre gli ebrei cacciati dai Paesi arabi sono vittime di una
ideologia fanatica che ha voluto sempre lo scontro, le due questioni
sono diverse ma bisogna trovare una soluzione contestuale per entrambi. "E'
stata una grande tragedia, ha ricordato Magiar, fuggire lasciare la
casa, gli amici, tutto, ma non mi sono mai sentito una vittima,
perché si è trattato di una tragedia da un punto di vista pratico, ma
ha consentito l'affermazione della nostra libertà, siamo finiti in
Israele o in Paesi democratici e questo fa una grande differenza". Nel
ricordare quanto sia stato grande il numero degli ebrei cacciati dai
Paesi arabi e quanto questo fenomeno sia stato trascurato dal mondo
intero, Irwin Cotler ha sostenuto che la difesa dei diritti degli ebrei
cacciati dai Paesi arabi si posa su tre fattori: il ricordo, la ricerca
della verità e il perseguimento della giustizia, "Se non ci sarà
ricordo non ci sarà verità, se non ci sarà verità non ci sarà
giustizia", ha concluso il giurista.
Lucilla Efrati
Irwin Cotler: combattiamo per rendere giustizia
Giurista
di fama internazionale, ex ministro della Giustizia canadese, strenuo
difensore dei diritti degli ebrei costretti ad abbandonare i paesi
mediterranei d'origine, il professor Irwin Cotler, presidente onorario
della Justice for Jews from Arab Countries
(Giustizia per gli ebrei cacciati dai Paesi arabi), ha partecipato, fra
le altre cose, agli accordi di pace di Camp David fra Israele ed
Egitto. In queste ore è a Roma per partecipare agli incontri
organizzati a difesa dei diritti degli esuli ebrei provenienti dalle
realtà del Mediterraneo.
Quando e perché ha iniziato a occuparsi del tema dell’espulsione degli ebrei dai Paesi arabi? Ho iniziato questa attività e lo studio sulla triste condizione degli ebrei nei paesi arabi nel 1972, mentre ero presidente del Canadian Professor for Peace in Middle East,
tale ricerca faceva comunque parte dei miei studi sulla questione dei
rifugiati in Medio Oriente. E in seguito feci parte di una delegazione
accademica che visitò il Medio Oriente negli anni 1975,1976 e 1977,
durante questi viaggi ho incontrato ebrei egiziani e siriani e potuto
capire meglio la drammatica condizione dell’ebraismo in questi Paesi. Quando ero presidente del Canadian Jewish Congress
(carica da me ricoperta dal 1980 al 1983), avevamo un comitato
nazionale molto attivo sulla condizione degli ebrei provenienti dai
Paesi arabi, che faceva ricerca e pubblicava contenuti in merito a tale
tema con particolare attenzione all'ebraismo in Siria. Nel 1987
fui copresidente del Tribunale civile, insieme ad Arthur J.Goldberg
ex-giudice della Corte di Cassazione americana. Abbiamo ascoltato tante
testimonianze e in seguito abbiamo pubblicato un report sulla
drammatica condizione degli ebrei negli Paesi arabi. In seguito ho sempre continuato a interessarmi alla questione e attualmente ricopro la carica di co-presidente onorario del Justice for Jews from Arab Countries
Nonostante
la loro presenza millenaria nel Medio Oriente, gli ebrei sefarditi sono
stati sradicati, espropriati illegalmente e in maniera criminale
espulsi dalla maggior parte dei Paesi arabi, esiste un luogo dove le
comunità ebraiche possano depositare le loro querele e attraverso il
quale possano reclamare i loro diritti nella speranza di ricevere un
minimo di indennità per la tragiche perdite che hanno dovuto subire? La
normativa internazionale sui diritti umani ha sviluppato una serie di
diritti per le vittime di violazioni di diritti umani, inclusi i
diritti di ricordo, memoria, riconoscimento, verità e riparazione, ma
finora non è stato sviluppato il foro legale dei cittadini israeliani
di origine egiziana che potrebbero avere interesse a chiedere tale
indennità indirizzandola a una commissione come previsto dalla
normativa internazionale dei diritti umani. In ogni caso non è mai
stata fondata tale commissione e pertanto le richieste delle vittime
non hanno avuto, fino a oggi, alcun riscontro.
Mentre
queste comunità ebraiche sradicate mandano avanti la loro nuova vita
nei loro paesi adottivi, il mondo apprende molto raramente delle
perdite gravi che questi hanno patito nei loro paesi d'origine. Che
tipo di azione coordinata bisogna intraprendere, secondo lei, per
diffondere in maniera più vasta informazione e fatti in merito a tale
sradicamento così sconosciuto al mondo esterno? L'organizzazione Justice for Jews from Arab countries
è stata fondata per coordinare azioni in comune e fornire informazioni
in appositi uffici di mediazione in merito alla condizione dei
rifugiati ebrei dai loro rispettivi paesi arabi d'origine. Il sito web
dell'organizzazione può servire come riferimento per tale scopo.
Alla
luce dei recenti miglioramenti nelle relazioni diplomatiche
italo-libiche, ritiene che il governo italiano potrebbe fare lo sforzo
di sostenere e promuovere un piano compensativo libico in favore degli
ebrei espulsi residenti in Italia? Direi che questa
questione può essere valutata meglio dai leader dell'ebraismo italiano
assieme agli ebrei libici residenti in Italia.
Alcuni
ebrei libici fanno pressione sulla direzione delle loro comunità per
promuovere e partecipare a una conferenza con il colonnello Gheddafi.
Gheddafi le sembra realmente intenzionato a offrire un’indennità agli
ebrei in esilio? Secondo lei la comunità dovrebbe cercare
di negoziare per nome e conto di tutti gli ebrei libici,
indipendentemente dal fatto se erano ricchi o poveri, o dovrebbe
semplicemente fornire un canale attraverso il quale poter inoltrare
richieste individuali, direttamente localizzato a Tripoli, come
proposto informalmente dal governo libico? Anche in questo caso
non posso parlare per conto delle comunità ebraiche libiche. Tale
decisione dovrebbe essere lasciata a loro e le querele in ogni caso
dovranno essere sia individuali che comuni a nome della comunità in
quanto tale.
Come potrebbe aiutare la comunità ebraica libica le altre comunità sefardite? Credo
che la cosa migliore sia che le realtà sefardite condividano le loro
esperienze ed esperienze al fine di sviluppare degli standard per
attivare procedure che riflettano le caratteristiche distintive di ogni
comunità.
Quale tipo di messaggio ha voluto trasmettere nel suo discorso a Roma? E che importanza attribuisce a questa opportunità? Il
tema principale sarà certamente che la drammatica condizione degli
ebrei rifugiati dai paesi arabi deve essere reintrodotta nella pace
internazionale e nella narrativa giuridica, dalla quale era stata
tralasciata negli ultimi 60 anni. Tutto questo dovrebbe diventare una
priorità nell'agenda di Israele e delle comunità ebraiche. Proporrò a
tal proposito un piano di azione articolato in 10 punti.
Loren Raccah
Legge e razzismo, esperti a confronto sul “Codice della persecuzione”
Legge
e razzismo saranno al centro di un incontro, questa sera alle 17.45
nella sala Refettorio della Camera dei deputati, in via del Seminario,
destinato a presentare l'ultima opera del professor Ernesto De Cristofaro Codice della persecuzione – I giuristi e il razzismo nei regimi fascista e nazista.
L'autore, ricercatore di Profili della cittadinanza nella costruzione
dell'Europa e di Storia del diritto medievale e moderno della facoltà
di Giurisprudenza di Catania, interverrà alla presentazione. “Trovo
interessante il confronto doppio fra le due legislazioni razziste,
l'analisi fra gli atteggiamenti dei giuristi dei due Paesi, la
comparazione fra i regimi aiuta a capire meglio sia l'uno che l'altro”,
commenta il direttore del Centro di Documentazione Ebraica
Contemporanea, lo storico Michele Sarfatti che interverrà, fra gli altri, alla serata. Il professore Luigi Ferrajoli, insegnante di Teoria generale del diritto all'Università di Roma Tre, il professor Guido Neppi Modona, giudice della Corte Costituzionale e Salvatore Mazzamuto professore di Diritto privato all'Università di Roma Tre sono gli altri giuristi che parteciperanno all'incontro. “Quella
di stamane sarà l'occasione per chiedere delucidazioni all'autore sulle
differenze nella configurazione del diritto razzista antisemita in
Italia e Germania”, ha detto ancora Sarfatti. Come si è venuto a
creare il diritto razzista? Quali le forme e i modi in cui tale
progetto è venuto sviluppandosi? E soprattutto quale il ruolo dei
giuristi? Questi alcuni degli argomenti da approfondire. […] Se
è corretto riferirsi al razzismo come a una "forma di ingegneria
sociale" e dire che esso "acquista i suoi caratteri specifici solo nel
contesto fornito dal progetto di una società perfetta e dall'intenzione
di realizzarlo attraverso sforzi pianificati e coerenti, occorre tener
conto, sullo sfondo di questa pianificazione, del peculiare ruolo
svolto da una categoria, quella dei giuristi, che coglie con questa
scelta non solo l'opportunità di ingraziarsi il potere, ma altresì
l'occasione di restituire al proprio canone epistemico lo smalto di
un'antica tradizione, segnata dalla centralità nella composizione
dell'architettura sociale [...] così recita un inciso dell'introduzione al volume. Altro tema centrale, come anticipato da Sarfatti, il confronto: […] Con
la politica razziale che solo in Italia (e anche in questo contesto,
con riserve su cui si avrà modo di tornare) può essere qualificata alla
stregua di una svolta ideologica, essendo la stessa molto
esplicitamente annunciata in tutti i documenti teorici del partito
nazista, si crea un decisivo piano di confronto. Le
matrici teoriche del razzismo attingono alle scienze mediche e
biologiche e promuovono l’idea che la specie umana si possa coltivare e
selezionare come avviene con l’allevamento degli animali, che la
fertilità possa aumentare e l’incidenza di determinate patologie
diminuire. Il nazismo e, successivamente, il fascismo si rivolgono a
questi saperi, ne accreditano le acquisizioni e le utilizzano come
vessillo di una nuova idea di ordine sociale: un ordine fondato sulla
gerarchia, sulla forza, sulla prevalenza dei meglio dotati e la
marginalizzazione e progressiva cancellazione degli individui meno
riusciti, delle “vite di minor valore”, dei nemici della salute
pubblica. Questo
tema, come detto fortissimamente avvertito nella Germania hitleriana,
si introduce assai più lentamente in Italia, ma in entrambi i paesi
finisce per visualizzare l’ebreo come il pericolo per antonomasia: da
secoli inviso all’Europa cristiana, additato sulla base di frusti
quanto granitici stilemi come incarnazione dell’avidità e del
parassitismo e, finalmente, qualificato come estraneo e portatore di un
bagaglio genetico tarato attraverso l’utilizzo delle categorie
scientifiche che individuano nelle razze altrettanti ceppi omogenei al
loro interno quanto separati da altri diversamente composti. La
scienza giuridica non trae da sé la questione razziale, ma concorre,
con i suoi strumenti concettuali, a garantire il suo mantenimento come
questione generativa di senso, ossia come questione fondata sulla
“costituzione di un orizzonte unico di oggettività”, laddove questo si
può definire come “il meccanismo delle regole che rendono possibile per
un dato periodo la comparsa di oggetti: oggetti che vengono delimitati
da misure di discriminazione e di repressione, oggetti che si
differenziano nella pratica quotidiana. nella giurisprudenza, nella
casistica religiosa, nella diagnosi medica”. Certamente,
sul piano dei vincoli concreti il diritto ha operato le divisioni e i
trattamenti differenziali conseguenti alla classificazione biologica
delle razze ma, una volta accolto il dato per cui tocca sempre anche ai
giuristi in veste di esperti burocrati stabilire chi e perché
appartenga all’una o all’altra utilizzando metodi e schemi in cui la
pratica religiosa può finire (come è accaduto) per sovrapporsi
all’indagine bio-genealogica onde evitarne un regresso interminabile,
bisognerà aggiungere che è proprio all’interno della discorsività
giuridica specificamente considerata che il tema mostra una densità
teorica tutt’altro che secondaria. […] Il professor Ferrajoli,
dal canto suo, sottolinea che uno degli elementi più importanti del
libro è “quello di tentare di tracciare un'antropologia del razzismo
europeo, un'analisi delle radici del razzismo e dell'antisemitismo
aiuta a difendersi dai pericoli attuali, perché il razzismo e
l'antisemitismo sono sempre presenti e l'autoanalisi trovo che sia
l'elemento centrale di questo studio”.
Valerio Mieli |
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pilpul |
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16 giugno 1944 - Il ricordo di Genova
La città di Genova commemora oggi i terribili accadimenti di 65 anni
fa. Il 16 giugno 1944, una giornata caldissima - anche allora - le
forze di occupazione tedesche, con la partecipazione di polizia e
brigate nere, penetrarono in alcune delle fabbriche più attive nelle
agitazioni dei mesi precedenti, a partire dagli scioperi del dicembre
1943. Furono arrestati circa 1.500 operai, deportati in Germania.
Quasi tutti furono rinchiusi nel campo di sterminio KZ di Mathausen.
Molti di loro, poi, vennero avviati al lavoro coatto in diverse
località tedesche. Soltanto nel 1945 riuscirono a rimpatriare. La
deportazione degli operai fece seguito, a distanza di pochi mesi, alla
deportazione di 238 ebrei genovesi, avvenuta nei primi giorni di
novembre 1943.
Valerio Di Porto, Consigliere dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane |
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rassegna stampa |
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L'Occidente ha l'obbligo di aiutarli Siamo
di fronte a brogli elettorali su scala massiccia, oppure no? A una
nuova forma di colpo di Stato, oppure no? E come interpretare queste
strane elezioni, i cui risultati sono stati annunciati dalle agenzie di
stampa legate alle milizie filogovernative ancor prima che gli scrutini
fossero terminati?
Nell’assenza di osservatori
internazionali, dato che gli scrutatori inviati dagli oppositori di
Ahmadinejad sono stati cacciati dai seggi a colpi di manganello, e
visto il clima di terrore, è difficile pronunciarsi con certezza. Ma
tre punti, in ogni caso, restano fermi. 1) Le elezioni iraniane sono
state democratiche solo in apparenza. Mir Hossein Mousavi, il
principale antagonista di Ahmadinejad, è comunque anche lui figlio del
sistema. A proposito del «diritto» dell’Iran al nucleare, le sue
posizioni non differiscono poi tanto da quelle del presidente
riconfermato.
Interrogato sulle dichiarazioni negazioniste
dell’avversario, Mousavi non ha esitato ad affermare: «Ammettendo che
ci sia stato lo sterminio degli ebrei in Germania (notate la
sottigliezza di quel 'ammettendo che'...), cosa c’entra l’Olocausto
ebraico con il popolo oppresso della Palestina, vittima dell’olocausto
di Gaza?» (E già questo dice tutto...). In altre parole, un Gorbaciov
iraniano non è ancora sceso in lizza. L’uomo capace di avviare
un’autentica perestroika resta inconcepibile, e tuttora inesistente, in
una repubblica islamista che oggi appare più blindata che mai. Gli
osservatori che commentavano l’«alternativa» proposta da Mousavi per
l’appunto, già primo ministro di Khomeini, oltre che direttore
onnipotente dell’equivalente iraniano della Pravda, peccavano per
ingenuità — un po’ come quelli che, ai tempi dell’Unione Sovietica
trionfante, discettavano sulle impercettibili lotte tra fazioni in seno
a un apparato abilissimo, anch’esso, nell’inscenare la sua stessa
commedia. È un dato di fatto.
2) L’altro fatto
incontestabile, peraltro, è il desiderio di cambiamento avvertito da
una percentuale non indifferente, e forse addirittura maggioritaria,
della società iraniana. Gli elettori esasperati che vediamo, da
domenica, pronti a sfidare i paramilitari delle milizie... Le donne che
a Teheran, ma anche a Isfahan, Zahedan e Shiraz, reclamano
l’uguaglianza dei diritti... I giovani, collegati in permanenza a
Internet, che hanno trasformato Facebook, Dailymotion e il sito «I love
Iran» nel teatro di una guerriglia ludica ed efficace... I conducenti
di taxi, araldi della libertà di espressione... Gli intellettuali... I
disoccupati... I mercanti dei bazar, in rotta contro un governo che li
manda in rovina... In breve, i ribelli contro gli imbroglioni. I
blogger e i burloni contro i sepolcri imbiancati dell’apparato militare
islamista. L’autore anonimo della barzelletta che è rimbalzata tramite
Sms su milioni di cellulari e che, a quanto pare, fa sghignazzare i
manifestanti: «Perché Ahmadinejad porta la riga in mezzo? Per separare
i pidocchi maschi dalle femmine»... Tutti costoro hanno votato per
Mousavi. Ma senza farsi illusioni.
Come i polacchi di
Solidarnosc, che negli ultimi anni del comunismo tenevano a freno
consapevolmente la loro rivoluzione in attesa di vedere il regime
autodistruggersi e sparire.
3) La terza certezza, infine, è
che l’iniziativa, all’improvviso, torna più che mai nel campo delle
democrazie. In realtà, esistono solo due alternative. O vincono i
partigiani della realpolitik: ci incliniamo davanti al presunto
verdetto delle urne e ci limitiamo a ratificare il peggio, come quel
ministro degli Affari esteri francese che, nel 1981, al momento del
colpo di Stato contro Solidarnosc pronunciò il suo famoso «Sia chiaro
che noi non faremo nulla». Oppure, davanti a un Paese diplomaticamente
isolato, davanti a un regime al quale tutti gli Stati confinanti
augurano più o meno velatamente la caduta, davanti a un’economia
sfibrata e incapace persino di raffinare il suo petrolio, decidiamo di
ricorrere ai mezzi che abbiamo a disposizione e che sono molto più
numerosi di quanto si pensi.
Eviteremo così la doppia
catastrofe che sarebbe, da un lato, l’inasprimento della repressione,
forse addirittura un bagno di sangue a Teheran, e dall’altro il
rafforzamento inevitabile di uno Stato jihadista che rappresenterebbe
un pericolo terribile per il mondo intero, perché dotato di un arsenale
nucleare che non esiterebbe a mettere immediatamente al servizio
dell’Imam nascosto e della sua apocalittica riapparizione (e di questo
non ha mai fatto mistero).
Per riassumere; da queste tre
certezze, esaminate congiuntamente, scaturisce un obbligo chiaro:
aiutare e rafforzare, con tutti i nostri mezzi, la società civile
iraniana in rivolta. L’abbiamo già fatto, in passato, con l’Unione
sovietica. Abbiamo finalmente compreso, dopo decenni di vigliaccheria,
che il totalitarismo, arrivato a un tale stadio di putrefazione, traeva
la sua forza esclusivamente dalle nostre debolezze. Abbiamo saputo
organizzare catene di solidarietà verso coloro che venivano definiti
dissidenti e che alla fine trionfarono sul sistema. In Iran esiste
l’equivalente di quei dissidenti che sono, come apprendiamo oggi,
infinitamente più numerosi e potenti. A costoro deve andare oggi il
nostro sostegno e il nostro incoraggiamento. La «mano tesa» di Obama?
Speriamo che sia tesa anche in direzione di questa gioventù, che fa
onore a un popolo che ha dato i natali ad Avicenna, Razi,al-Ghazali,
Kasifi e tanti altri. È questa la nostra sfida. Bernard Henri Levy, Corriere della Sera 16 giugno 2009 |
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Netanyahu: “Sì alla creazione di uno Stato palestinese”, così la sua popolarità è salita in Israele Tel Aviv, 16 giu - Sale
la popolarità del premier israeliano Benyamin Netanyahu. Dopo il suo
discorso all'Università Bar Ilan di Tel Aviv dove per la prima volta si
è espresso a favore di uno Stato palestinese purché smilitarizzato, i
suoi consensi nel popolo israeliano sono passati dal 28 al 44 per
cento. Questo il risultato di un sondaggio pubblicato oggi dal
quotidiano Haaretz. Un altro dato da non sottovalutare è il fatto che
il 71 per cento degli israeliani è comunque d'accordo con il contenuto
del discorso. Lo scetticismo generale resta però molto alto, il 67 per
cento degli intervistati da Haaretz crede che il discorso del premier
non basterà a smuovere il processo di pace, e il 70 per cento non
credono che nei prossimi anni sarà costituito uno Stato palestinese.
Allo stesso tempo, alla luce delle posizioni più pragmatiche espresse
da Netanyahu, il 39 per cento degli israeliani pensano che il partito
centrista Kadima di Tzipi Livni debba ora entrare nel governo. Il 41
per cento ritengono che sia preferibile che resti invece alla
opposizione. |
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L'Unione
delle Comunità Ebraiche Italiane sviluppa mezzi di comunicazione che
incoraggiano la conoscenza e il confronto delle realtà ebraiche. Gli
articoli e i commenti pubblicati, a meno che non sia espressamente
indicato il contrario, non possono essere intesi come una presa di
posizione ufficiale, ma solo come la autonoma espressione delle persone
che li firmano e che si sono rese gratuitamente disponibili. Gli
utenti che fossero interessati a partecipare alla sperimentazione
offrendo un proprio contributo, possono rivolgersi all'indirizzo desk@ucei.it per concordare le modalità di intervento.
Il servizio Notizieflash è realizzato dall'Unione delle Comunità
Ebraiche Italiane in collaborazione con la Comunità Ebraica di Trieste,
in redazione Daniela Gross. Avete
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