se non visualizzi correttamente questo messaggio, fai  click qui  
 
  logo  
L'Unione informa
 
    22 giugno 2009 - 30 Sivan 5769  
alef/tav   davar   pilpul   rassegna stampa   notizieflash  
 
Moked - il portale dell´ebraismo italiano
alef/tav    
  Riccardo Di Segni, rabbino capo di Roma Riccardo
Di Segni,

rabbino capo
di Roma
Oggi inizia il mese ebraico di Tamuz. Il nome di questo mese, come di molti altri, non è originariamente ebraico, ma viene dalla Babilonia. In questo caso il nome è problematico, perché ricorda una divinità dell'antico vicino oriente, dell'area sumero-babilonese. In corrispondenza del ciclo solare (le giornate in questo periodo diventano le più lunghe e quindi calano) si celebrava la morte e resurrezione di un dio maschile. Con orrore il profeta Ezechiele, vissuto ai tempi della distruzione del primo Tempio, denuncia la diffusione del culto tra le donne ebree di Gerusalemme, che vede "piangere per Tamuz" (Ez. 8:14-15). La storia ha spazzato l'influsso di questo culto allora alla moda, sistematicamente sostituito in ogni epoca da qualcosa più attraente. Tamuz, malgrado il nome, è diventato nella memoria ebraica il mese nella cui seconda metà si fa lutto per la distruzione di Gerusalemme. E quasi nessuno ricorda più l'origine di quel nome. Ma è troppo presto per dire che la nostra storia vince il paganesimo. Quando ci riesce, è sempre a caro prezzo.
Una notiziola in breve su Repubblica di oggi: a Kansas Citty hanno intitolato un tratto di autostrada ad un rabbino. A far notizia, è il fatto che la strada in questione era stata "adottata" precedentemente da un gruppo neonazista. Una strada contesa tra ebrei e neonazisti, quindi!  Quello che non viene detto, però, è che il rabbino a cui è stata intitolata la strada è un personaggio di grande rilievo, Abraham Yoshua Heschel, uno studioso di grande prestigio universalmente noto e, per di più, un militante di rilievo negli anni Cinquanta, del movimento ebraico di supporto alla lotta per i diritti civili dei neri americani. Guido Vitale ha pubblicato mesi fa su queste pagine una foto famosissima in cui si vede Heschel marciare accanto a Martin Luther King nella marcia di Arlington del 1968. La strada di Kansas City è così intitolata al simbolo stesso dell'impegno degli ebrei americani  nella lotta per l'uguaglianza dei neri. Una doppia sfida per i neonazisti di Kansas City.
Anna Foa,
storica
Anna Foa, storica  
  torna su
davar    
 
  rav leviQui Firenze - Si nasce o si diventa?
Valori ebraici e problemi di bioetica


Si nasce o si diventa? Come viene affrontata la questione dalla religione e dalla scienza? È stato questo l’argomento del dibattito organizzato dalla Comunità Ebraica di Firenze, che ha visto come relatori Rav Joseph Levi (nella foto) e il professor Marcello Buiatti, docente di Genetica dell’Università degli Studi di Firenze.
Rav Levi ha citato i filosofi razionalisti ebraici, Maimonide in primis, che si chiedevano se esistesse un progetto divino per il mondo, e i cabalisti che, attraverso le loro metafore, descrivevano il mondo come un processo in divenire, che si sviluppa dunque nel tempo e non è ancora terminato. Ai cabalisti, che collegano il processo della creazione a quello del divenire del mondo, si riconduce anche il pensiero di Hans Jonas, pensatore ebreo tedesco del Novecento, che sosteneva che Dio, dopo aver creato l’universo, e cioè le condizioni per lo sviluppo della materia, avesse lasciato spazio per il divenire. L'uomo, quindi, diventa a sua volta responsabile del futuro della creazione. Rav Levi ha utilizzato come modello di riferimento per il dibattito il modello di Piaget, psicologo svizzero, secondo il quale, pur nel rispetto dei limiti naturali, il divenire è condizionato dall'attivazione del bagaglio genetico e quindi è l'azione umana che definisce il futuro dello sviluppo della specie. La Torah stessa è tutta fondata sul divenire. Dal testo sacro si evince come sia necessario per l’uomo essere responsabile e attivo per ricreare nella nuova generazione le potenzialità possedute. Nel Deuteronomio Mosè pone il popolo ebraico di fronte a una scelta: scegliere tra la vita e la morte. L'osservazione delle proposte etiche della Torah oppure la loro negazione. La scelta della vita consente al popolo ebraico di attivare le proprie potenzialità latenti.
Uno dei passaggi più interessanti del dibattito è stato quello inerente alla Zchut Avot, ovvero il concetto secondo il quale noi godiamo della salvezza grazie ai meriti dei nostri patriarchi. In quale misura le nostre origini influiscono sulle nostre esistenze? Non è facilmente determinabile. In un passo del libro di Ezechiele, il Signore dice al suo angelo di entrare a Gerusalemme e di tracciare un segno (la lettera Tav) sulla fronte degli uomini che si affliggono per le atrocità commesse nella città. Molti rabbini e studiosi hanno fornito diverse interpretazioni sul significato della lettera Tav. Secondo alcuni è il segno che serve a identificare gli uomini, che, anche se malvagi, sono sottratti alla morte grazie alla Zchut Avot. Secondo altri invece identifica quegli uomini, la cui salvezza dipende esclusivamente dal loro comportamento in vita e non dalle loro origini.
Sempre a proposito della questione se siano più importanti le azioni della persona o la Zchut Avot, Rav Levi ha citato un salmo che parla dei convertiti. Come potrebbero essi vantare alcun merito nelle origini, non essendo ebrei dalla nascita? Ecco la risposta: la felicità può essere raggiunta dall’uomo che si sazia delle sue opere (e dunque anche dal convertito). Infine, secondo l’interpretazione della Zchut Avot propria di alcuni rabbini del medioevo, è solo attraverso la Teshuvà, la Tefillà e la Tzedaka che l’uomo è in grado di salvarsi.
Il professor Buiatti ha esordito affermando di non cessare mai di stupirsi per il legame fortissimo che esiste tra cabala e scienza (con particolare riferimento alla biologia e alla fisica). Per esempio, il concetto della multidimensionalità del creato è trattato in molteplici circostanze dai cabalisti. Facendo riferimento alla Genetica del Comportamento, argomento dei suoi studi, Buiatti si domanda quanto contino i geni e quanto l’ambiente (fondamentalmente le relazioni umane) nel comportamento umano. È ormai scientificamente dimostrata l’importanza dell’ambiente. Il DNA, infatti, può essere immaginato come una mappatura di strumenti potenziali che influenzano i comportamenti individuali, senza però l’indicazione di come questi strumenti saranno attivati. Il loro diverso utilizzo dipenderà dalle condizioni ambientali in cui l’essere umano vive e si relaziona (con i suoi simili e non solo). Il cervello umano non è molto differente da quello degli scimpanzé. Nei primi anni di vita le funzioni cerebrali umane sono molto simili a quelle degli animali dai quali, secondo le teorie evoluzionistiche, deriviamo. Uomo e scimpanzé, fino all’età di due anni e mezzo circa, hanno infatti più o meno le stesse abilità manuali e hanno entrambi assimilato vari concetti, tra i quali quello di quantità (possono per esempio distinguere se viene loro offerta “poca” o “tanta” cioccolata). Qual è allora la principale causa del diverso comportamento tra uomo e scimpanzé negli anni dello sviluppo e della maturità, considerato che lo scimpanzé ha un patrimonio genetico sovrapponibile a quello dell’uomo per oltre il 98,5% e più simile a quello umano che a quello del gorilla? Il fatto che lo scimpanzé abbia un encefalo meno sviluppato (minore quantità = minore qualità) e sia in grado di scambiare un numero limitato di informazioni con i propri simili, condiziona lo sviluppo della specie. Buiatti sottolinea come la tenera età sia il momento più importante per la crescita e lo sviluppo degli esseri viventi quando alcuni geni possono essere attivati o disattivati in modo semipermanente. È classico l’esperimento del topolino che, appena nato, viene lasciato in una stanza buia per una decina di giorni. Una volta liberato alla luce diventa cieco perché non ha avuto la possibilità di attivare il senso della vista.
Riferendosi all’ebraismo e alla questione se ebrei si nasca o si diventi, secondo Buiatti, l’ebraismo, a differenza delle altre religioni monoteiste, è la vera religione del “divenire” piuttosto che del “nascere”, vista la grande importanza che viene data alla discussione e allo studio piuttosto che all’accettazione acritica di alcuni dogmi. Discutere e studiare sono pratiche che determinano un doppio benefico effetto: una gratificazione spirituale (aspetto qualitativo), ma anche l’ampliamento delle dimensioni dell’encefalo e il conseguente potenziamento delle funzioni cerebrali (aspetto quantitativo).


Adam Smulevich
 
 
  torna su
pilpul    
 
  donatella di cesareIl senso della festa: celebrare il tempo

Non solo per il ritmo del nostro tempo abbiamo oggi difficoltà a capire il valore della festa. Celebrare una festa non vuol dire soltanto non lavorare. Molto più del lavoro, la festa accomuna. Ma è qualcosa che noi conosciamo poco. Festeggiare è infatti un’arte, diffusa nel passato e divenuta ormai rara, l’arte di stare insieme, di raccogliersi in una comunità, che è tale grazie alla festa – a cominciare dallo Shabbat.
È qui che facciamo un’esperienza altra del tempo. Perché nell’esperienza di ogni giorno ci lega un rapporto conflittuale al tempo che abbiamo, o crediamo di avere, che abbiamo calcolato male, che può essere riempito dall’affaccendarsi o restare vuoto nella noia. Al contrario il tempo della festa, se la festa è ben celebrata, è un tempo pieno, che ferma il calcolo e lo fa arrestare, è anzi la celebrazione stessa del tempo. Celebrare il tempo, proprio quando sembra sfuggirci, è una esperienza straordinaria, eppure alla portata di tutti, da cui si esce sollevati dalla propria soggettività e si può guardare di nuovo alla propria vita con quella distanza perduta nell’incalzare del tempo.

Donatella Di Cesare, filosofa
 
 
  torna su
rassegna stampa    
 
 
leggi la rassegna
 
 

Il tema politico più importante del momento è senza dubbio ancora l'Iran, la resistenza dei manifestanti alla durissima repressione cui sono sottoposti e le conseguenze della loro azione. Su questo argomento è utile leggere l'intero dossier presentato dal Foglio, a partire dall'articolo siglato dall'elefantino di Giuliano Ferrara, in cui si critica l'appeasement dell'amministrazione americana perché "la Sharia non è conciliabile con la democrazia" (Il Foglio), per proseguire con l'analisi di Christian Rocca sulle reazioni americane e il possibile cambio di politica dell'amministrazione (Il Foglio), con quella di Carlo Panella sulla situazione a Teheran, dove l'aspetto principale è la delegittimazione della gerarchia religiosa del regime (Il Foglio), e finire con l'opinione di Michael Leeden sulle importanti conseguenze di politica internazionale che derivano del rifiuto popolare di accettare le elezioni truccate: è il progetto obamiano di accordo con gli ayatollah il principale perdente della situazione. Un pezzo che espirime le reazioni dell'opinione pubblica neo-con in America, che sta vigorosamente battendosi per un atteggiamento più attivo di solidarietà, in perfetta consonanza con l'articolo di Charles Krauthammer pubblicato sul "Washington Post", ma riportato nella nostra rassegna dalla ripresa che ne fa il Jerusalem Post.
Tornando in Italia, da leggere ancora l'opinione di Sofri pubblicata su Repubblica, con considerazioni interessanti, anche se tagliate al solito più come una testimonianza personale che come un'analisi vera e  propria. Maurizio Caprara, in un articolo sul Corriere, dà conto della timidezza delle reazioni europee e in particolare di quelle della diplomazia italiana, che suscitano insoddisfazioni anche nell'ambito del governo Berlusconi. In Israele, un editoriale di Haaretz sostiene le ragioni del popolo iraniano contro il regime e sottolinea che è giusto il riserbo israeliano in questo sostegno, per non compromettere i manifestanti. Più interessante e, al solito, più giornalistico e meno ideologico, l'articolo –anch'esso un editoriale non firmato- del Jerusalem Post sullo stesso tema, che si spinge fino a paragonare la situazione in Iran alla "rivoluzione arancione" che portò qualche anno fa l'Ucraina nel campo democratico. Sullo stesso Jerusalem Post è certamente utile l'articolo di Barry Rubin, che pone in termini generali e politologici le ragioni per appoggiare le spinte democratiche nei paesi islamici.
Un altro tema che ricorre negli articoli della rassegna riguarda la questione infinita di Pio XII. L'ambasciatore israeliano presso il vaticano, Mordecahi Lewy, rispondendo nei giorni scorsi a un'intervista del Boston Globe, ha dichiarato con molto buon senso che "che Pio XII «non fu un eroe, ma nemmeno un criminale», e ribadendo: «Noi guardiamo a lui attraverso l'ottica della Chiesa post-conciliare. Lui è stato certamente un protagonista della Chiesa pre-conciliare, che come massimo compito aveva quello di cercare ogni mezzo possibile per salvare il suo gregge. Non era un papa per gli ebrei, non era un papa per i musulmani, non era un papa per chiunque non fosse cattolico. Ma non fece un concordato perché era il papa di Hitler. E' un concetto errato. Lo fece per sopravvivere, per far sì che la chiesa sopravvivesse a un regime senza dio» Vale la pena di riportarne per esteso la sintesi dell'articolo di Repubblica  firmato da Giampaolo Cadalanu,  "Nelle parole dell'ambasciatore Lewy, papa Pacelli appare come un pontefice «timido», un «diplomatico», la cui responsabilità maggiore davanti al popolo ebraico è quella di aver scelto la neutralità durante la Seconda Guerra Mondiale, seguendo l'insegnamento di Benedetto XV, ma, dice Lewy, «ha frainteso del tutto la situazione e non può esserne considerato responsabile». Per Pio XII, aggiunge il rappresentante dello Stato ebraico, «essere neutrale voleva dire essere silenzioso, fare affidamento su una diplomazia tranquilla. Il grande problema è perché sia stato silenzioso, non perché sia rimasto inerte». S'intende comunque che «è sbagliato dire che non salvò ebrei. Chiunque conosca la storia dei sopravvissuti dell'ebraismo romano sa che essi si nascosero nelle chiese, in monasteri, persino in Vaticano. Ma cercarne prova scritta, un ordine del Papa, beh... questo è bizzarro. Non è così che vanno le cose». "
Fra le altre notizie, da notare in un corsivo di Maurizio Capara sul Corriere la ripresa della giusta polemica per l'esclusione di Israele dai "Giochi del Mediterraneo", che a questo punmto dovrebbero cambiare nome, sostiene Caprara.

Ugo Volli 

 
 
  torna su
notizieflash    
 
 
Mustafa Abu Al-Jazid, Al Qaida pronta a usare l'atomica              
Dubai, 21 giu -
Mustafa Abu Al-Jazid, noto anche come Abu Said Al-Masri, considerato il capo della cellula afghana dell'organizzazione di Osama bin Laden ha dichiarato in un'intervista alla Tv satellitare del Golfo, Al Jazira, che se ce ne fosse la possibilità Al Qaida non avrebbe esitazione a impiegare l'atomica del Pakistan nella sua guerra contro contro gli Stati Uniti ma sarebbe pronta anche a una tregua con l'America se ritirasse le sue forze dai paesi musulmani. Al-Jazid ha detto anche che i massimi leader di Al Qaida, Bin Laden e Ayman al-Zawahri compresi, "stanno bene e sono a distanza di sicurezza dal nemico" ma non ha voluto indicare dove siano in questo momento. "Se Dio vorrà, l'arma nucleare non cadrà in mano agli americani e i mujaheddin se ne impadroniranno e la useranno contro gli stessi americani", ha affermato Al Jazid quando gli é stato chiesto dell'arsenale del Pakistan che gli Stati Uniti non vogliono far cadere in mano a talebani o miliziani di Al Qaida. Il leader di Al Qaida per l'Afghanistan, di nazionalità egiziana, ha inoltre affermato che le forze armate del Pakistan non hanno alcuna possibilità di vincere la battaglia contro i talebani in corso nella valle dello Swat.

Israele, prolungato l'incarico del capo del Mossad Meir Dagan
Gerusalemme, 21 giu -
Il governo israeliano, su proposta del premier Benjamin Netanyahu ha prolungato per un altro anno il mandato del capo del Mossad, il servizio di spionaggio israeliano, Meir Dagan che scadrà nel 2010 elogiandone l' "eccellente" opera svolta. Si tratta dell'ottavo anno di incarico per Dagan. Sotto la  sua guida il Mossad ha concentrato i suoi sforzi sul programma nucleare iraniano e sui tentativi di sabotarlo.
 
 
    torna su
 
L'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane sviluppa mezzi di comunicazione che incoraggiano la conoscenza e il confronto delle realtà ebraiche.
Gli articoli e i commenti pubblicati, a meno che non sia espressamente indicato il contrario, non possono essere intesi come una presa di posizione ufficiale, ma solo come la autonoma espressione delle persone che li firmano e che si sono rese gratuitamente disponibili.
Gli utenti che fossero interessati a partecipare alla sperimentazione offrendo un proprio contributo, possono rivolgersi all'indirizzo desk@ucei.it per concordare le modalità di intervento.
Il servizio Notizieflash è realizzato dall'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane in collaborazione con la Comunità Ebraica di Trieste, in redazione Daniela Gross.
Avete ricevuto questo messaggio perché avete trasmesso a Ucei l'autorizzazione a comunicare con voi. Se non desiderate ricevere ulteriori comunicazioni o se volete comunicare un nuovo indirizzo e-mail, scrivete a: desk@ucei.it indicando nell'oggetto del messaggio “cancella” o “modifica”.