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L'Unione informa |
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29 giugno 2009 - 7 Tamuz 5769 |
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alef/tav |
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Riccardo
Di Segni, rabbino capo di Roma |
Il
mio maestro Augusto Segre z.l. raccontava spesso la storiella di quel
predicatore che sapeva fare il commento a una sola parashà, quella di Korach. E' il brano che abbiamo letto questo sabato, che racconta la rivolta fallita contro Mosè, guidata dal cugino Korach,
ricco e demagogo. Il predicatore si guadagnava il suo magro
sostentamento girando di paese in paese e ogni volta riproponeva il suo
commento usando un pretesto (a esempio: faceva abbaiare un cane e gli
diceva: “Zitto, sei peggio di Korach! A proposito di Korach...”). La storiella è nota e qualcuno ha dato una spiegazione al fatto che fosse proprio la storia di Korach
l'unica nota dal predicatore, che in definitiva continuava grazie a
questo a “campare”. Il fatto è che la lotta per il potere a tutti i
costi, tema della storia di Korach, è un argomento attuale tutti i giorni dell'anno. |
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Di
fronte a quanto sta succedendo in queste settimane in Iran, nessuno può
dubitare che ci troviamo di fronte a un evento fondamentale non solo
per il popolo iraniano in lotta contro una dittatura fondamentalista e
sanguinaria, ma anche per il resto del mondo e il suo futuro. E siamo
dilaniati da sentimenti contrastanti: da una parte, lo sconforto di
fronte a quello che ieri Bidussa
definiva "l'ebbrezza del silenzio" e che oggi, sul Corriere, Pierluigi
Battista proietta in uno scenario sconfortante, "Quando tutti
scorderanno Teheran": la viltà dell'Occidente, la sua prudenza di
fronte alla repressione di Teheran, che ci ricorda passate prudenze,
passate viltà. Dall'altra, la speranza che ci viene dallo scorgere
aspetti di novità e di cambiamento in quella rivoluzione: la maggiore
delle quali è, credo, il ruolo che vi hanno le donne, un ruolo che
entra nel cuore del problema islamico, quello dell'uguaglianza fra
generi, che scavalca di colpo il problema dell'importazione
dall'Occidente dei diritti, e che fa delle donne iraniane, ce lo
ricorda oggi Cecilia Zecchinelli sul Corriere,
un modello per le donne dell'intero mondo islamico. Aggrappiamoci a
questa speranza e ai volti puliti e coraggiosi delle ragazze di
Teheran. |
Anna Foa,
storica |
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Qui Milano – Il pensiero corre a Teheran
Nel
2005 Mahmud Ahmadinejad è stato eletto per la prima volta alla
presidenza della Repubblica islamica, e da allora il negazionismo e le
continue minacce verso lo Stato d’Israele del Presidente iraniano hanno
occupato costantemente i media. È quindi del tutto comprensibile
che se tutti coloro che credono nei valori di libertà e democrazia
stanno seguendo con indignazione la brutale repressione delle
manifestazioni contro i brogli elettorali che hanno consentito la
rielezione di Ahmadinejad, il mondo ebraico osserva gli eventi con
un’attenzione ancora maggiore, e c’è qualcuno che si sente più
coinvolto degli altri, le folte comunità di ebrei persiani che vivono a
New York, in Israele e a Milano. La signora Mary Hasan è nata a
Milano, ma ha trascorso in Iran due mesi tutte le estati fino ai dodici
anni. Il padre è arrivato in Italia dall’allora Persia all’inizio degli
anni ’60, dopo un breve intermezzo in Israele. Erano gli anni del boom
economico. A Milano i primi ebrei persiani erano finiti un po’ per
caso, ma trovarono un ambiente ideale per le loro attività economiche,
soprattutto il commercio di tappeti e, come nel caso del signor Hasan,
di preziosi. Gli affari andavano talmente bene che cominciò a
spargersi la notizia del benessere e delle possibilità che la città
aveva loro offerto, e altri li raggiunsero. La comunità persiana di
Milano si infoltì. Ma i legami con la Persia dello Scià rimanevano
fortissimi, perché molti erano gli amici e i familiari che ancora
vivevano laggiù. “Sentivo dire che lo Scià era un dittatore, ma
io ricordo le estati che trascorrevo dai miei parenti come qualcosa di
meraviglioso.” racconta la signora Hasan “I miei nonni vivevano in una
bellissima casa, e bellissima era anche Teheran. Tutto si stava
evolvendo velocemente, ricordo le strade, i caffè, la gente… era un
paese che stava andando avanti, il progresso coinvolgeva ogni cosa. Poi
con la rivoluzione e l’avvento di Khomeini nel 1978, tutto cambiò. Mia
nonna e tutti i miei parenti furono costretti ad abbandonare da un
giorno all’altro il paese in cui le loro famiglie avevano sempre
vissuto. Scapparono per salvarsi e persero tutto. I beni della mia
famiglia sono stati requisiti dallo Stato e anche oggi non ci viene
riconosciuto alcun diritto. Come è stato per la sua famiglia ambientarsi in Italia? È
stata davvero dura, soprattutto per mia nonna, che aveva già una certa
età… Vivere in una città nuova, senza conoscere la lingua, in una
società completamente diversa…In realtà è stato difficile per molti. La
comunità persiana ha fama di essere piuttosto chiusa ed è senz’altro
vero. Molti ebrei persiani sentono il bisogno di stare con gente che
condivide le loro stesse origini, gli stessi modi di pensare, gli usi,
il cibo, anche se naturalmente col passare del tempo le cose stanno
cambiando. Da ragazzina facevo fatica a capire e ad accettare tutto
questo. Crescendo ho realizzato che si trattava di un modo per
difendersi e per reagire allo sradicamento che siamo stati costretti a
subire.” Cosa pensa vedendo le immagini degli scontri di questi giorni? Provo
una gran rabbia. Penso che, se tanti giovani arrivano ad essere
disposti a rischiare l’arresto, quando non la vita, per protestare
contro questo regime, la situazione deve essere ancora peggiore di
quella che immaginavamo. Quanti anni di sopraffazione, di soprusi, di
privazione dei diritti devono essere stati necessari per esasperare gli
animi a questo punto. Anche mia madre negli Stati Uniti passa il tempo
a guardare telegiornali e i siti internet in lingua per capire ciò che
sta succedendo, e anche lei si indigna. Speriamo davvero che la
situazione possa risolversi presto. Avete mantenuto dei contatti con gli ebrei rimasti laggiù? Per
fortuna nessuno dei nostri parenti vive ancora a Teheran, ma so di
persone che hanno ancora amici o familiari in Iran. I contatti che si
possono avere sono pochi, e la situazione per loro è molto dura, ma
purtroppo col tempo anche scappare è diventato sempre più difficile, se
non impossibile. Vorrebbe tornare in Iran? Per
quella che è la situazione oggi, non vorrei andarci a trascorrere
nemmeno qualche giorno per vacanza. Non riesco a concepire l’idea di
stare in un posto in cui non hai nemmeno la libertà di scegliere come
vestirti. Per le donne poi la situazione è ancora peggiore, perché sono
completamente prive di diritti. Solo a pensarci mi sento soffocare. Quali sono quindi i suoi sentimenti verso l’Iran oggi? Io
non sono mai vissuta in Iran, perciò i miei sentimenti sono forse
diversi da quelli per esempio dei miei genitori, che laggiù hanno
trascorso l’infanzia.. Ma questo paese rappresenta comunque una
parte di me e della mia vita. È un legame che non si può spezzare.
Continuerò sempre a mantenere il ricordo delle mie estati di bambina,
trascorse in un posto stupendo.
Rossella Tercatin |
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A chi appartiene Paolo di Tarso?
Paolo
di Tarso viene festeggiato dalla chiesa cattolica nel bimillenario
della sua nascita. Soprattutto negli ultimi mesi si sono susseguiti gli
incontri ecumenici e le celebrazioni. Nonostante ogni richiamo alla
riscoperta della sua figura, sembra scontato che a lui spetti la
fondazione della ecclesia, della cosiddetta “nuova alleanza”. E i
pregiudizi restano a offuscare un capitolo già particolarmente oscuro della storia della religione ebraica e di quella cristiana.
Ma chi era davvero Paolo, cioè Shaul di Tarso? In un libro profondo e suggestivo La teologia politica di San Paolo
(edito in Italia da Adelphi 1997) Jacob Taubes (1923-1987), rabbino
ortodosso, filosofo, esegeta, propone una lettura originale e rivendica
Paolo all’ebraismo. Il libro, che è divenuto un bestseller nelle
università americane e europee, guadagnando al contempo notevole
autorità nel mondo ebraico, contiene gli appunti di un seminario che
Taubes tenne a Heidelberg nel 1987, poco prima di morire.
All’indomani
della Shoah Taubes riconduce la storia escatologica dell’Occidente alle
sue radici ebraiche. Di qui il suo interesse per lo scontro di Israele
contro l’Impero romano e l’attenzione per le figure di Gesù di Nazareth
e Paolo di Tarso. Anticipando quello che sarà un importante filone di
ricerca, vede in Gesù un “fenomeno dell’ondata apocalittica in
Israele”. Carpentiere itinerante, del ramo impoverito della stirpe di
David, Gesù chiede al popolo un atto politico decisivo per il Regno di
Dio. A differenza però degli “zeloti”, che avevano impugnato le armi
contro Roma, insegna a non opporre resistenza. Se tutta l’ecumene è
sottomessa all’Impero, al popolo libero di Israele non resta che
l’esodo nel deserto. Ma la sua profezia non è adempiuta e immensa è la
delusione nelle comunità ebraiche.
È qui che entra in
scena Paolo, fariseo figlio di farisei, allievo di Gamliel ha-Zaqen.
Mentre l’Impero si espande ineluttabilmente, Paolo cerca di mantenere
la tensione messianica e spinge le masse ormai svuotate a un
“epocale raccoglimento”: allontanarsi dall’Impero è seguire il Messia.
Contro la versione cattolica che fa di Paolo un normalizzatore e
soprattutto il fondatore di una nuova religione, Taubes lo interpreta
come un eversore, esponente radicale del messianismo ebraico.
Paolo
non è un “ebreo convertito”, né mai da nessuna parte è attestata una
sua “conversione”. Perché non ha mai inteso negare la halakhah,
ma ha voluto piuttosto ripensare il rapporto tra Legge e fede. E perciò
ha spinto l’attesa messianica nell’interiorità (ambito che troppo
spesso – come ha sottolineato anche Moshe Idel criticando una tesi di
Scholem – l’ebraismo ha concesso al cristianesimo). “Zelota
spirituale”, Paolo è stato antinomista per motivi messianici, perché
credeva che questo mondo stesse per finire. Le premesse da cui muoveva
erano “ebraiche, persino farisaiche”; ma da qui ha tratto “conclusioni eretiche” pensando che la Legge fosse superata.
È
questa la via di Damasco, l’eresia che l’ebraismo ovviamente non può
seguire. Ma è un’eresia ebraica, come eresie ebraiche sono quelle di
Gesù di Nazareth o di Shabbatai Zvi. Per Taubes non si tratta tuttavia
di riportare a casa un eretico, ma di giungere attraverso Paolo a una
comprensione più complessa dell’ebraismo post Christum. “La Lettera ai Romani – scrive Taubes – è una teologia politica perché è una dichiarazione di guerra politica”
contro l’Impero romano. Quando la profezia viene meno, la speranza
della redenzione vacilla, la grandezza di Paolo sta nel fronteggiare
interiormente la crisi e di farne l’epicentro stesso della vita
messianica.
Donatella Di Cesare, filosofa |
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Continua
il confronto a Teheran: ci sono stati nuovi scontri e il regime ha
arrestato otto dipendenti dell'ambasciata britannica, suscitando la
reazione dei ministri degli esteri della Comunità Europea riuniti a
Corfù (servizio sul Messaggero; Francesca Paci sulla Stampa). Alberto d'Argenio, su Repubblica
sostiene che in questa riunione "si ricomincia a sentire la parola
sanzioni, cancellata dall'avvento di Obama, anche se nessuno osa
pronunciarla apertamente": che coraggio l'Europa! Dopo decine o
centinaia di morti, una repressione casa per casa, la violazione dei
diritti diplomatici, le truffe ammesse alle elezioni e quant'altro,
qualcuno pensa alle sanzioni, ma per carità, senza dirlo... se no il
buon Obama si turba. Si continua nel frattempo a discutere sulle conseguenze della rivolta iraniana. Sul Corriere
Ennio Caretto intervista Michel Walzer sulla ragione per cui il regime
degli ayatollah se la prenda con la Gran Bretagna invece che con
l'America. John Lloyd su Repubblica affronta storicamente e in maniera più dettagliata lo stesso tema dei rapporti fra Iran e Gran Bretagna. Il Messaggero
pubblica un'analisi del generale Carlo Jean sul problema del nucleare
iraniano. La conclusione è che non è affatto utile allo stato dell'Iran
e che quindi per Jean quelle di Ahmadinejad sono solo sparate
propagandistiche e che il regime si arresterà prima di costruire le
atomiche. Al generale sfugge però il peculiare carattere millenarista e
fanaticamente antisemita del regime iraniano: forse non converrà allo
Stato iraniano, ma al regime interessa moltissimo poter distruggere
Israele. Anche a Hitler sarebbe convenuto dirottare sul fronte le
risorse impiegate per realizzare la Shoà. Molto più concreta,
anche se meno ottimista l'analisi di Amir Oren su Haaretz:
il punto focale delle relazioni fra Usa e Iran è il Golfo persico, con
il suo immenso traffico petrolifero. Ed è lì che bisogna guardare per
capire i dati reali, che sono al momento un'alleanza fra America e
Stati sunniti che taglia fuori Israele. Ancora sul Corriere Cecilia Zecchinelli parla del possibile effetto di imitazione per le donne in tutto il mondo islamico. Il Messaggero
intervista Stephen Zunes, esperto americano di Medio Oriente, il quale
esprime l'opinione che il movimento non è finito e che esso ha ancora
un grande potere di attrazione sulle popolazioni degli altri Stati
mediorientali, per esempio sui giovani egiziani. Interessante
l'articolo di Krauthammer che il Jerusalem Post
riprende dal Whashington Post: l'Iran ha bisogno di un Eltsin, perché
la rivoluzione segua la strada di Mosca e non quella di Pechino e Tien
An Men. Di nuovo sul Corriere
leggiamo un articolo per molti versi criticabile di Robert Kaplan sui
grandi problemi strategici che sono di fronte all'amministrazione Obama
riguardo al cosiddetto "asse del male" cioè oggi essenzialmente Iran e
Corea del nord. Kaplan sembra convinto come Obama che l'alternativa sia
fra il trattare con questi regimi e lasciarli fare quel che vogliono,
mentre in questo caso è vero esattamente il contrario: trattare
significa fargli prendere il tempo di cui hanno bisogno e legittimarli;
l'alternativa è contenerli attivamente con misure economiche e militari
serie. Interessante infine come sempre l'analisi di Maurizio Molinari sulla Stampa:
il "golpe di Khamenei" è appena incominciato e procederà eliminando gli
avversari e "blindando" il regime islamico. Una risposta unitaria è
necessaria contro l'Iran che ne uscirà e sarà anche presto fornito
dell'atomica; questo è il tema che saranno chiamati ad affrontare i
capi di stato del prossimo G8 all'Aquila. Per quanto riguarda il
piano umano della situazione a Teheran, interessante la storia di due
fratelli sui fronti opposti del movimento raccontata da Serge Michel,
che La Stampa riprende da "Le monde".
Un'altra
notizia interessante, anche se ha attirato poca attenzione sulla stampa
italiana, viene dal Libano. Ci sono stati scontri a fuoco a Beirut fra
i seguaci dello schieramento filo occidentale della maggioranza
governativa e quelli del fronte filo-iraniano guidato da Hezbollah
(notizia non firmata sul Corriere)
In Israele continua il dibattito sulle prospettive di pace. Molto interessante l'articolo di Gerald Steinberg sul Jerusalem Post,
che documenta come i fondi europei per le organizzazioni non
governative vadano a quelle NGO che lavorano alla demonizzazione di
Israele, secondo gli slogan della conferenza di Durban, con l'effetto
di non aiutare affatto la prevalenza dei punti di vista moderati, che
in teoria la Comunità Europea dice di voler aiutare. Un effetto
analogo, dice Barry Rubin, sempre sul Jerusalem Post
lo ottiene l'impressione che americani e europei hanno dato di recente
ai palestinesi di voler e poter ottenere per conto loro una resa di
Israele alle loro condizioni. Il risultato è che l'Autorità Palestinese
ha praticamente rinunciato all'idea di condurre trattative col governo
attuale. Obama dice di voler sviluppare il processo di pace, ma di
fatto lo sta bloccando. Al fronte di quelli che vogliono
il riconoscimento di Hamas, o almeno di un governo unitario palestinese
che comprenda il movimento terrorista, si è infine unito il giornale di
sinistra israeliano Haaretz,
con un editoriale non firmato. E' uno sviluppo interessante del
post-sionismo della sinistra israeliana, sempre più minoritaria nel
Paese e accecata dalla sua ideologia. L'argomento è il solito, il
realismo e il rispetto della volontà degli elettori palestinesi.
L'ovvia obiezione è se abbia senso riconoscere chi ha lo scopo
esplicito e continuamente riaffermato di ucciderti ed estirparti, e che
dunque non si può non sconfiggere, se si vuole vivere; se sia opportuno
fornire una copertura e un vantaggio morale ai terroristi, sapendo che
in questa maniera altri stati finiranno per legittimarli, appoggiarli,
finanziarli esplicitamente; ma questo tipo di realismo sfugge alle
anime belle di Haaretz.
Fra gli articoli che non riguardano l'attualità, da leggere sul Secolo XIX
la rievocazione di Giuseppe Mercenaro delle Olimpiadi di Berlino del
1936, con il razzismo ai danni degli ebrei e dei neri. Interessante
anche l'editoriale non firmato del Jerusalem Post
in favore della condotta che dovrebbe portare acqua dal Mar Rosso al
Mar Morto: un vecchio sogno di Herzl, dice il giornale, che dovrebbe
realizzarsi al più presto.
Ugo Volli |
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notizieflash |
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Elezione
delle sette nuove meraviglie del mondo
Il Mar Morto escluso per l’opposizione palestinese Gerusalemme, 28 giu - Il
Mar Morto resta escluso dalla gara per la nomina delle sette nuove
meraviglie del mondo. Causa le obiezioni mosse dalle Autorità
palestinesi. Il Mar Morto avrebbe avuto ottime possibilità di entrare
nella lista dei finalisti ma le regole della gara impongono che i siti
che appartengono a più di uno Stato debbano ottenere l' appoggio di
Comitati di Sostegno di ciascuno Stato. Israele e Giordania hanno già
dato il loro appoggio ma da parte dei palestinesi è giunto invece un
rifiuto di cui è stato preso atto. L'obiezione, ha spiegato il ministro
del Turismo dell' Autorità palestinese Khouloud Duaibes, deriva dal
fatto che il comitato di sostegno israeliano ha contatti con
insediamenti ebraici in un'area occupata del Mar Morto e ciò, a suo
dire, "é una violazione del diritto internazionale". Le regole della
gara stabiliscono che il prossimo 7 luglio saranno annunciati i 77
nuovi siti più votati, dai quali alcuni giorni dopo un panel di esperti
sceglierà 21 siti che saranno di nuovo sottoposti al voto del pubblico
di tutto il mondo nel 2010-11 per scegliere i sette finalisti. Restano
perciò pochi giorni di tempo per indurre la parte palestinese a
cambiare posizione e a questo scopo si stanno esaminando diverse
possibilità, inclusa la sostituzione del comitato di sostegno
israeliano con un'altro che non abbia rapporti con insediamenti ebraici
in aree occupate. La presa di posizione palestinese mal si concilia con
quella dello svizzero Berbard Weber, presidente della fondazione, per
il quale "la natura non conosce e non riconosce confini e limiti che
noi umani abbiamo tracciato nelle nostre menti". Alla gara, promossa
dalla Fondazione New Seven Wonders of Nature, partecipano via internet
decine, forse centinaia, di milioni di elettori in tutto il mondo. Tra
i finalisti della precedente votazione, i cui risultati furono
annunciati nel luglio del 2007, ci sono il Colosseo, l' Acropoli, la
Statua del Cristo Redentore a Rio de Janeiro. L' esclusione del Mar
Morto dalla lista delle meraviglie potrebbe dare un grave colpo alle
possibilità di ripresa di un mare che, a causa del ridotto afflusso di
acque e della forte evaporazione, cala ogni anno di circa un metro e
già adesso si é prosciugato per quasi un terzo della sua superficie di
un migliaio di chilometri quadrati. Le rovine di Petra in Giordania
hanno visto raddoppiare il numero di turisti dopo l'inclusione del sito
nella lista delle meraviglie del mondo. Il Mar Morto si trova 397 metri
sotto la superficie del mare e oltre alle attrattive paesaggistiche ha
particolari qualità terapeutiche per la sua forte concentrazione di
sali. La posizione palestinese, afferma una fonte israeliana, è causa
di rammarico poiché il Mar Morto "é un sito unico al mondo che va al di
là della politica. Se non sarà salvato chi non ne potrà beneficiare
saranno i ragazzi israeliani e palestinesi".
Il vice capo del Mossad si è dimesso per protesta Tel Aviv, 29 giu - Il
vice-capo del Mossad (i servizi segreti israeliani), indicato con la
sola iniziale ebraica del suo nome 'Taf' si è dimesso. “E’ un gesto di
protesta” affermano i commentatori, in quanto 'Taf' riteneva di essere
ormai maturo per guidare il Mossad e sarebbe rimasto molto contrariato
nell'apprendere la settimana scorsa che il suo capo Meir Dagan è stato
invece confermato al comando, per l'ottavo anno consecutivo. Secondo il
quotidiano israeliano Yediot Aharonot Taf è dotato di grandissima
esperienza avendo guidato "centinaia di operazioni" segrete Fra lui e
Dagan, oltre a contrasti personali, ci sarebbero anche divergenze di
opinione sulla opportunità e sulla misura della cooperazione fra il
Mossad ed altri servizi di intelligence stranieri. Il suo sostituto,
affermano alcuni analisti, dovrebbe essere scelto nelle file del
Mossad. Ma altri (come il sito di intelligence Debka) non escludono che
il posto di 'Taf' possa essere affidato ad un generale della riserva
distintosi in passato. Fra i nomi menzionati: Eliezer Shkedi, ex
comandante della aviazione militare, e Yedidia Yaari, ex comandante
della marina militare. |
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L'Unione
delle Comunità Ebraiche Italiane sviluppa mezzi di comunicazione che
incoraggiano la conoscenza e il confronto delle realtà ebraiche. Gli
articoli e i commenti pubblicati, a meno che non sia espressamente
indicato il contrario, non possono essere intesi come una presa di
posizione ufficiale, ma solo come la autonoma espressione delle persone
che li firmano e che si sono rese gratuitamente disponibili. Gli
utenti che fossero interessati a partecipare alla sperimentazione
offrendo un proprio contributo, possono rivolgersi all'indirizzo desk@ucei.it per concordare le modalità di intervento.
Il servizio Notizieflash è realizzato dall'Unione delle Comunità
Ebraiche Italiane in collaborazione con la Comunità Ebraica di Trieste,
in redazione Daniela Gross. Avete
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