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L'Unione informa |
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2 luglio 2009 - 10 Tamuz 5769 |
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alef/tav |
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Riccardo
Di Segni, rabbino capo di Roma |
Il
brano biblico che leggeremo questo sabato (Chuqqat- Balaq) contiene tra
l'altro l'affascinante storia del re di Moav che, spaventato dal
passaggio degli ebrei, invita un mago-profeta a maledirli. All'inizio
del racconto (numeri 22:3) c'è una parola "chiave" che descrive lo
stato d'animo dei Moabiti nei confronti degli ebrei: "wayàqotz",
un'espressione parente a qetz, che indica la fine, e a qotz che indica
lo spino. La traduzione comune è "ebbe schifo", o disprezzo. La stessa
espressione al plurale ricorre all'inizio del libro dell'Esodo
(1:12) per descrivere quello che gli egiziani provavano nei confronti
degli ebrei. In entrambi i casi questa sensazione è all'origine di una
reazione di odio antiebraico, persecutoria da parte degli egiziani,
magica, almeno inizialmente, da parte dei Moabiti. E' quindi importante
capire che vuol dire quell'espressione, che interpreta i meccanismi
psicologici dell'odio, ma non c'è un'unica spiegazione: potrebbe
significare che provavano disprezzo per gli ebrei, che per loro erano
come spine, oppure che provavano disprezzo per loro stessi, nel senso
che avevano perso la gioia di vivere (come in Gen. 27:46). Insomma,
cosa è che scatena l'odio antiebraico? Una semplice sensazione di
repulsione per qualcosa che viene avvertita come un pericolo, o una più
radicale crisi di valori interni che mette in discussione il senso
della propria esistenza?. |
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Gli
israeliani si sentono ancora ebrei? E qual'è l’impatto della storica
appartenenza askenazita e sefardita nel gioco dell’identità israeliana
contemporanea? Ce lo rivela una nuova indagine dell’Ufficio Centrale di
Statistica di Gerusalemme, che ha intervistato 7 mila e 400 persone dai
20 anni in su per scoprire le scelte della popolazione ebraica di
fronte alle possibili alternative identitarie religiose, nazionali,
regionali o professionali. Con il consolidarsi dello Stato d’Israele, è
l’identità di israeliano (43% come prima scelta) che tende a prevalere
sull’identità di ebreo (27%). Sappiamo anche che la seconda scelta
identitaria è speculare alla prima e quindi il peso complessivo delle
due identità principali è quasi identico. Al terzo posto l’identità di
un paese o città d’origine (13%), solo quarte quelle etno-regionali
(sefardita/askenazita, 12%), e infine un 5% di altre opzioni.
L’identità di israeliano predomina fra i nati nel paese (52%) e fra i
nati all’estero fuori dall’ex-URSS (34%), mentre gli immigrati
dall’ex-URSS preferiscono l’identità di ebreo (50%). Ma la loro
identità israeliana cresce con il trascorrere degli anni di residenza
in Israele. La scelta fra israeliano e ebreo è fortemente legata alla
religiosità: all’estremo dei Haredim, 42% si dicono ebrei e 18%
israeliani; al centro moderato tradizionale, 40% ebrei e 31%
israeliani; all’estremo dei secolari, 20% ebrei e 50% israeliani. Le
sezioni estreme religiose e secolari hanno in comune una certa
resilienza dell’identità askenazita, 10% in entrambi i casi, contro
l’1% al centro moderato tradizionale. Sembra invece uscire di scena
l’identità sefardita/orientale, prescelta solamente dal 7% delle
persone originarie dei paesi islamici. |
Sergio Della Pergola, demografo, Università Ebraica di Gerusalemme |
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Gilad Shalit, cittadino di Roma
Il sindaco di Roma Gianni Alemanno ha conferito la cittadinanza onoraria a Gilad Shalit. Alla fine di una giornata densa di appuntamenti con le istituzioni italiane e capitoline, Noam Shalit,
padre del soldato israeliano rapito, ha ritirato la pergamena
simboleggiante il conferimento onorario per il figlio. Un lungo
applauso ha accompagnato il momento della consegna. Alla cerimonia,
come anche agli altri appuntamenti della giornata (in ordine a partire
dalla mattina con il presidente della Camera Gianfranco Fini, poi con il presidente del Senato Renato Schifani, a seguire con il ministro degli Esteri Franco Frattini, la commissione Diritti Umani del Senato e il deputato del partito democratico Piero Fassino) erano presenti, fra gli altri, il presidente della Comunità Ebraica di Roma Riccardo Pacifici, il rabbino capo di Roma Riccardo Di Segni, il presidente dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane Renzo Gattegna,
la vicepresidente della Commissione Esteri della Camera (nonché
portavoce dell’Associazione parlamentare di Amicizia
Italia-Israele) Fiamma Nirenstein, il deputato del Pdl Alessandro Ruben e l'ambasciatore di Israele Gideon Meir. Alemanno, nel suo intervento ha affermato di provare "un'emozione da sindaco e una da uomo e padre". Conferire
la cittadinanza a Shalit, per il primo cittadino, "é un gesto di alto
valore simbolico con cui Roma sceglie di salutare i valori della vita,
della solidarietà, del rispetto dei diritti della persona umana".
Dall'altra parte rappresenta un mezzo per rilanciare il messaggio che
"non si può vincere usando la violenza, il rapimento e il ricatto".
Quello
espresso nell'aula Giulio Cesare (nell'immagine a fianco), ha
sottolineato il sindaco, "é il severo giudizio di Roma nei confronti
dei rapitori". Noam oltre a ringraziare i presenti ha ribadito a gran
voce ciò che aveva detto più volte negli incontri della giornata: "Mio
figlio è ostaggio ormai da 1100 giorni, è privato di ogni diritto non
ha mai ricevuto alcuna visita, mai abbiamo avuto notizie del suo stato
di salute. Anche il popolo palestinese è ostaggio dell'embargo dello
Stato israeliano da quando è stato rapito mio figlio. Chiediamo la
liberazione di Gilad anche per liberare i palestinesi". "Hamas
non rispetta la convenzione internazionale di Ginevra e non a caso è
inserita nella black list delle organizzazioni terroristiche" aveva già
dichiarato il ministro degli Esteri Gianfranco Fini nel suo
incontro nella mattinata di ieri con Noam. Da sottolineare,
fra i numerosi interventi della giornata, quello del presidente del
Senato Renato Schifani che ha definito il rapimento come una “barbarie
inumana”, "un giovane soldato viene trattenuto, non si sa in quali
condizioni - ha affermato Schifani e ha aggiunto che "sarebbe dovere di
tutta la comunità internazionale porre al primo punto della questione
mediorientale questo tema". Noam, dal canto suo, ha
richiesto espressamente, nel corso dell'audizione alla commissione per
i Diritti Umani del Senato, a tutti i paesi che si riuniranno per il
vertice del G8 che spingano per la liberazione di suo figlio, il
ministro degli Esteri Franco Frattini che lo aveva incontrato prima
della Commissione, sulla stessa linea, ha promesso: “Mi impegnerò a
fare pressioni in sede europea per la richiesta di liberazione
immediata perché - ha spiegato - la richiesta di liberazione
immediata di Shalit è una questione cruciale, riguarda il tema
universale del rispetto dei diritti umani e della libertà
dell'individuo”. "Non dobbiamo mollare, continuiamo la lotta
perché Gilad torni a casa". Questo l'appello accorato mosso da Noam
Shalit in chiusura del suo intervento di ieri sera al Campidoglio.
v.m.
Per Gilad, per Jonathan e per tutti i ragazzi d'Israele
“L'Espresso”
di questa settimana racconta di Jonathan Pietra e riprende a modo
proprio uno dei servizi apparsi sulla pubblicazione “pagine ebraiche”
curata dall'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane. Fa sempre piacere
essere apprezzati. Ma ancora di più fa piacere aggiungere un granello
di conoscenza alla realtà di Israele. Ogni giorno continuiamo ad averne
nuove dimostrazioni di quanto sia importante riaffermare i motivi della
democrazia israeliana. Facciamolo raccontando anche di due ragazzi
d'Israele. Dai momenti di altissima emozione che hanno visto i genitori
di Gilad Shalit a Roma ricevere la cittadinanza onoraria in Campidoglio
per il figlio ostaggio dei terroristi, alla vicenda di Jonathan Pietra,
l'italiano campione d'Israele tenuto lontano dalle gare di Pescara dei
Giochi del Mediterraneo cedendo al ricatto di regimi che hanno voluto
sporcare la competizione sportiva con il razzismo e la discriminazione.
Attendiamo il ritorno di Gilad, facciamo il tifo per gli atleti negati,
raccogliamo continue dimostrazioni, nuovi promemoria per i distratti.
La libertà d'Israele nessuno ce l'ha regalata. E' una conquista da
difendere giorno per giorno. gv
Atleta del dialogo
Ha
sperimentato sulla propria pelle il peso della discriminazione. E oggi
tocca a lui, atleta rifiutato perché israeliano, raccontare al mondo il
volto reale d’Israele. Jonathan Pietra (primo in piedi a sinistra,
insieme ai compagni della squadra israeliana di Karate) è stato infatti
chiamato dal Ministero degli affari esteri israeliano a far parte della
ristretta taskforce a cui quest’anno è stato affidato il compito di
sfatare pregiudizi e stereotipi sul paese. “All’estero — spiega
Jonathan — la gente è convinta che Israele s’identifichi con la guerra
e con la questione palestinese. Noi vogliamo mostrarne la capacità
d’accoglienza e la vivacità culturale”. Tra i primi appuntamenti in
scaletta, il Gay pride di Tel Aviv che si tiene a giugno nel quadro
delle manifestazioni per i cent’anni della città. A prendervi parte la
taskforce ha invitato un gruppo di gay, lesbiche e transgender
stranieri. Un’occasione per toccare con mano l’effervescenza della
“città bianca”, ormai divenuta una delle capitali del divertimento
mondiale. E mostrare a chi nel proprio paese sconta il peso
dell’intolleranza quell’incredibile mix di genti e culture che in
Israele vivono fianco a fianco.
Nome Jonathan Pietra Nato 5 aprile 1982 Milano Paese Italia/Israele
- Studia alla scuola elementare ebraica di Milano e alla scuola Lubavitcher. - Maturità al liceo di Renana. - Laurea in antropologia e sociologia all'Università di Tel Aviv. - Nel 2002 entra a far parte della Nazionale israeliana di Karata. - Nel 2003 primo postonel campionato nazionale categoria fino ai 65 chili. - Nel 2005 partecipa agli europei di Tenerife.
- Dopo il servizio militare in Israele lavora alla Divisione Internazionale marketing Coca cola
pagine ebraiche, 29-30 maggio 2009
Elyezer Ben- Yehuda, un genio dei nostri tempi ricordato al seminario per insegnanti Ort/Ucei
Elyezer
Ben- Yehuda, ritenuto uno dei protagonisti della rivitalizzazione
della lingua ebraica moderna, può essere realmente considerato un
"genio" dei nostri tempi. Questa l'opininoe della Dottoressa Orly
Albeck, linguista, esperta di sintassi, responsabile dei
corsi di aggiornamento dell'Accademia di Lingua Ebraica di Gerusalemme,
chiamata a tenere le sessioni di didattica di lingua al
seminario ORT/UCEI in corso a Roma. Molto è stato detto e scritto
sulla peculiare personalità e sulla vita di Ben - Yehuda e sul suo
rapporto con la lingua ebraica; resta indiscutibile che il primo
dizionario da lui solo iniziato, alla cui stesura ha lavorato fino alla
morte nel 1922 e terminato poi nel 1959, resta tuttora, secondo la
Albeck, uno strumento indispensabile per il mondo scientifico.
Soprattutto resta inimmaginabile che una sola persona abbia potuto
affrontare un lavoro e uno studio così complesso, con gli
strumenti scientifici e tecnici allora a disposizione. E'
sufficiente pensare che sono oggi una quindicina gli studiosi
specialisti che da anni lavorano al progetto del Dizionario Storico
della Lingua Ebraica (HDP) che l'Accademia ha avviato nel 1959, e
per la conclusione del quale sono previsti ancora molti anni di lavoro
, di dibattito e di confronto. Odelia Liberanome, Coordinatore Centro Pedagogico DEC - UCEI
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Qui Milano - Stasera in piazza della Scala con gli studenti iraniani per la democrazia
Ormai
ben poco riesce a raggiungere i media occidentali, ma le manifestazioni
contro Ahmadinejad, a sostegno della democrazia in Iran continuano,
così come la spietata repressione del regime, gli arresti, le torture.
Di ieri poi la notizia di sei impiccagioni. Sono i giovani a
scendere in piazza a Teheran, gli universitari, i liceali, le donne,
già da tempo esasperati per le sistematiche limitazioni poste alla loro
libertà di scegliere, di esprimere la propria opinione, di poter vivere
come vogliono, i brogli elettorali rappresentano solo la goccia che ha
fatto traboccare il vaso. Proprio nel segno della
solidarietà a questa gente, i giovani italiani si mobilitano, stasera a
Milano con una manifestazione che si terrà in piazza della Scala alle
ore 19, promossa dall’Unione Giovani Ebrei d’Italia, insieme ad altre
associazioni, tra cui gli Studenti Iraniani di Milano e le sezioni
giovanili dei principali partiti politici italiani. Giovani proprio
come quelli che scendono in piazza a Teheran. Vite che dovrebbero
essere simili ma che sono invece così diverse. Perché in Iran è davvero
difficile sentirsi padrone della propria vita e del proprio futuro. Parliamo con Daniele Nahum, presidente dell’Ugei. Daniele, come nasce il coinvolgimento dell’Ugei in queta iniziativa? L’Ugei
è impegnato nel sostegno dei diritti umani e della battaglia degli
studenti iraniani contro il regime già dallo scorso anno. Nel maggio
del 2008, dalle pagine de “Il Riformista”, Emanuele Ottolenghi
(direttore del Transatlantic Institute, organizzazione non governativa
con sede a Bruxelles ndr) in occasione della partecipazione di
Ahmadinejad alla conferenza della Fao a Roma, propose di dedicare una
via della capitale a Nikou-Nesbati, uno dei principali dissidenti
iraniani. Dal carcere (dove si trovava per aver criticato un discorso
del presidente iraniano e quindi “messo in pericolo la sicurezza
nazionale” ndr), Nikou-Nesbati ringraziò, ma chiese che la via fosse
invece dedicata al 9 luglio 1999, data di una grandissima rivolta
studentesca in cui persero la vita oltre venti studenti. L’Ugei ha
scelto allora di sostenere questa iniziativa. Il 9 luglio 2008 mi sono
recato personalmente dal Sindaco di Roma Alemanno, insieme ad altri due
dissidenti iraniani Ahmad Rafat e Alì Afshar, per rilanciare la
proposta. Alcuni mesi fa abbiamo poi fondato un Comitato per
l’intitolazione di una via agli studenti iraniani, insieme alle
principali organizzazioni del mondo politico giovanile. E quindi a che punto siamo? A
Roma il Sindaco Alemanno si è detto favorevole a intitolare una via
agli studenti iraniani, e un Consigliere Comunale del Partito
Democratico, Paolo Masini, ha presentato di recente una mozione in
Consiglio. Abbiamo scelto però di andare oltre, e di lanciare un
appello per dedicare una via agli studenti iraniani a tutti i sindaci
d’Italia. L’idea è stata subito accolta da Vittorio Sgarbi, sindaco di
Salemi, che si è impegnato a realizzarla nel più breve tempo possibile.
Anche a Milano le cose si stanno muovendo; con il sostegno del
presidente del Consiglio comunale Manfredi Palmeri infatti, i
consiglieri Lorenzo Malagola del PDL e Pierfrancesco Maran del PD
presenteranno domani (oggi ndr) la mozione per una via anche agli
studenti iraniani anche nel capoluogo lombardo. E la
manifestazione di Piazza della Scala servirà anche a sostenere questa
iniziativa. A proposito della
manifestazione, cosa senti di dire ai giovani ebrei e a tutti i
cittadini di Milano? Perché è importante esserci? Io credo
semplicemente che sostenere la battaglia per i diritti umani e la
libertà di quei ragazzi rappresenti per tutti un obbligo morale. Noi
abbiamo la fortuna di vivere in un paese in cui la libertà è garantita
e data per scontata, e abbiamo quindi il dovere di sostenere chi non ha
avuto lo stesso privilegio. Inoltre tutti noi della Comunità ebraica
sappiamo bene quale enorme pericolo Ahmadinejad e il regime degli
Ayatollah rappresentino per il mondo intero , certo, ma ancora di più
per Israele, ed è quindi doppiamente necessario per noi
supportare la ribellione dei giovani iraniani contro il regime . Ecco
perché essere in piazza il più numerosi possibile, sarà fondamentale.
Rossella Tercatin |
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rassegna stampa |
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Dedico
il commento alla rassegna di oggi ad alcune, a mio avviso, piacevoli
letture, non per forza legate alla stretta attualità. Certo, occhi
sempre vigili sull’Iran: sulle lotte interne, su quelle tra gli
Ayatollah e l’Occidente, ma anche su quelle all’interno dell’Unione
europea (Repubblica).
Mi fermo solo per ricordare che ieri Alemanno ha consegnato
ufficialmente nelle mani del padre Noam, la cittadinanza onoraria di
Roma di Gilad Shalit. Un evento a cui molti appartenenti alla Comunità
ebraica hanno partecipato. Curiosità: tra il pubblico spunta anche un
gruppetto di Rom (Il Tempo). Torniamo
a una lettura rilassata. In Spagna si sta assistendo a un particolare
litigio sui campi di calcio. Il giocatore dell’Espanyol Ben Sahar è un
gran professionista di nazionalità israeliana. Un ottimo attaccante,
che a 17 anni aveva già conosciuto il grande soccer al Chelsea. Peccato
sia arrivata l’ora di fare il militare. Così, arrivata la lettera di
richiamo, i tifosi si sono scatenati in una sorta di protesta per farlo
disertare. E il caso ha addirittura impegnato gli ambienti diplomatici
israeliani e spagnoli (Corriere della Sera). A
proposito di sport. Finalmente sui giornali tornano i Giochi del
Mediterraneo di Pescara e l’esclusione di Israele. Dopo aver assistito
a tanto iniziale rumore, le proteste si sono dissolte nel nulla. Le
bandiere con la Stella di David che dovevano sventolare, almeno per
contrastare la scelta dell’esclusione, non sventoleranno. L’Opinione pubblica una bella lettera di Michael Sfaradi indirizzata al presidente Pescante. Complimenti. Di lettere ne troviamo su tutti i giornali, ma quella di oggi sull’Unità
firmata “Andrea Camillari ed altri” ci riguarda forse da vicino. Titola
così: “No al ritorno delle leggi razziali”. Fatevi un’idea. Passiamo a tre brevi articoli, riguardanti tutti il capo rabbino della Comunità romana, Rav Riccardo Di Segni. Il primo, su Italia Oggi, mette in evidenza il feeling che c’è tra il Rav e il ministro delle Politiche agricole Luca Zaia. Nel secondo Libero paragona i racconti di Di Segni sui comportamenti (con le donne) del Re Salomone a quelli del premier. Il terzo, sul Messaggero, annuncia a novembre la visita del Papa in sinagoga. Infine due storie che riguardano Israele e “il vicinato”. Sul Corriere Magazine vengono raccontate le crude realtà del carcere di Hamas. Sul Giornale
è invece narrata la bellissima storia di uno scienziato di Bolzano che
oggi, in Israele, colora di rosa i salmoni nel deserto del Neghev. Buona lettura.
Fabio Perugia |
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notizieflash |
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Piombo fuso, perplessità sul rapporto di Amnesty International Gerusalemme 2 lug - Un
rapporto "squilibrato", che ignora gli sforzi esercitati dalle forze
armate israeliane per evitare vittime civili. Questa la secca replica
del portavoce militare israeliano al rapporto che Amnesty International
ha scritto sull'operazione Piombo fuso (l'offensiva militare israeliana
contro Hamas a Gaza lanciata all'inizio dell'anno). Sami Abu Zuhri,
portavoce di Hamas dal canto suo ha affermato, in una conferenza stampa
a Gaza City, che il rapporto di Amnesty "non è equo e nemmeno
equilibrato", rivolge "false accuse a Hamas e riduce la gravità dei
crimini commessi dall'occupante". "Inoltre - ha continuato - rimescola
le carte per celare la vastità dei crimini israeliani", "pone il
carnefice e la vittima sullo stesso piano" e "omette la vastità dei
danni e delle distruzioni" causati dalle forze armate israeliane. Ma il
portavoce militare israliano spiega "il tono generale del rapporto
prova che Amnesty è stata vittima delle manipolazione di Hamas,
un'organizzazione terroristica". E aggiunge “nel rapporto Amnesty ha
accusato Israele di crimini di guerra, di non aver fatto distinzioni
tra obiettivi civili e militari e di aver fatto uso di civili, bambini
inclusi, come scudi umani. Israele rimprovera ad Amnesty di aver
esposto un punto di vista distorto delle leggi di guerra, che non è in
armonia con le norme applicate da stati democratici nella lotta contro
il terrorismo. Inoltre - afferma - Amnesty ha ignorato gli sforzi
attuati dalle forze armate israeliane per evitare vittime civili
e i nove anni durante i quali un quarto di milione di israeliani
sono stati sotto il costante tiro dei razzi di Hamas". |
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L'Unione
delle Comunità Ebraiche Italiane sviluppa mezzi di comunicazione che
incoraggiano la conoscenza e il confronto delle realtà ebraiche. Gli
articoli e i commenti pubblicati, a meno che non sia espressamente
indicato il contrario, non possono essere intesi come una presa di
posizione ufficiale, ma solo come la autonoma espressione delle persone
che li firmano e che si sono rese gratuitamente disponibili. Gli
utenti che fossero interessati a partecipare alla sperimentazione
offrendo un proprio contributo, possono rivolgersi all'indirizzo desk@ucei.it per concordare le modalità di intervento.
Il servizio Notizieflash è realizzato dall'Unione delle Comunità
Ebraiche Italiane in collaborazione con la Comunità Ebraica di Trieste,
in redazione Daniela Gross. Avete
ricevuto questo messaggio perché avete trasmesso a Ucei
l'autorizzazione a comunicare con voi. Se non desiderate ricevere
ulteriori comunicazioni o se volete comunicare un nuovo indirizzo
e-mail, scrivete a: desk@ucei.it indicando nell'oggetto del messaggio “cancella” o “modifica”. |
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