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L'Unione informa |
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8 luglio 2009 - 16 Tamuz 5769 |
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alef/tav |
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Alfonso Arbib, rabbino capo di Milano |
Nella parashà di Balàk assistiamo a un fenomeno straordinario, un’asina
che parla. Non solo parla ma dà al suo padrone, mago-profeta, Bilàm,
una lezione di morale, accusandolo di scarsa gratitudine. Che senso ha
questo strano passo della Torà? Una possibile interpretazione è la
seguente: Bilàm è un grande intellettuale, possiede intelligenza e
conoscenze straordinarie. Però un’asina riesce a dargli un insegnamento
morale. Il messaggio della Torà potrebbe essere che ci sono norme
morali, come per esempio la gratitudine, che dovrebbero far parte della
natura degli esseri viventi. Ci sono però uomini che da queste norme si
allontanano per propria decisione. Ci possono essere grandi
intellettuali che non praticano i principi più elementari e naturali
della morale. Bilàm rappresenta questo tipo di uomo e a quest’uomo
viene data una lezione da un animale. |
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"Chi ha il cuore vuoto, ha la bocca che straborda" (Karl Kraus) |
Guido Vitale, giornalista |
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davar |
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Verso il digiuno del 17 di Tamuz
Moshé, il nipote di Avraham avinu e Rabbenu, nostro Maestro La
parashà di Ki-Tissà ci mette di fronte al terribile episodio del
vitello d'oro. Desideriamo soffermarci sull'atteggiamento di Moshé, che
appare qui in tutta la sua grandezza, di Rabbenu, nostro Maestro. Moshé
è ben lungi dal nascondere la gravità del peccato, tutt'altro: egli lo
riconosce espressamente: "Deh! O Sign-re, questo popolo ha commesso un grave peccato, si sono fatti una divinità d'oro" (Es. 32:31). Il
problema è ora cosa fare con il popolo peccatore; possiamo dire che ci
troviamo di fronte alla più grande prova alla quale viene sottoposto
Moshé come guida di Israele; il Sign-re gli fa intravedere la
possibilità di una dura punizione per il popolo, della sua distruzione,
con un nuovo inizio di un popolo che farà a capo a Moshé stesso:
"lascia che la mia ira si accenda contro di loro, che io li distrugga"
(Es. 32:10). La risposta di Moshé è articolata e contiene vari
elementi; fra l'altro abbiamo una supplica a D-o: "Ricordati di Abramo, di Isacco e di Israele tuoi servi…" come a dire, spiega Rashì: "Se essi non possono essere salvati per i meriti dei Patriarchi, perchè allora Tu dici: "Farò di te un grande popolo"?
Se una sedia a tre gambe (cioè i meriti dei tre Patriarchi) non resiste
di fronte a Te quando Tu sei in collera, a maggior ragione non
resisterà di fronte a Te una sedia con una gamba sola (cioè i meriti di
Moshé)" (Es. 32:13); "Ordunque perdona la loro colpa, altrimenti cancellami dal libro che Tu hai scritto"(Es.32:32). La
posizione di Moshé è assai chiara: egli è disposto a guidare il popolo
ebraico, il popolo di Avraham, Izchak e Jaakov nostri Padri e suoi
Padri; egli sa che vi saranno salite formidabili, ma anche enormi
cadute ed egli chiede al Sign-re di continuare con il cammino del
popolo ebraico, ché meglio non potrà essere. Moshé ha superato la prova
più grande della sua vita; una guida non deve avere davanti a se
l'interesse proprio, egoistico, ma quello del proprio popolo; egli deve
saper condurlo verso le più alte cime, con amore e abnegazione, ma deve
essere altrettanto pronto ad essere col suo popolo nei momenti di
caduta, pronto ad ogni sacrificio. Moshé si riconosce come nipote di
Avraham e vuole che il cammino da lui intrapreso non venga fermato.
Eternità della elezione di Israel Da
allora Moshé è diventato Rabbenu, il nostro Maestro, Maestro che non
solo chiede ai suoi allievi, ma che dà anche tutto se stesso per
loro, anche tutto il suo futuro. Moshé Rabbenu ci dà qui un
insegnamento eterno: non solo la Torà del Sign-re è eterna ma anche il
popolo del Sign-re è eterno; come D-o non cambierà mai la Sua Torà,
così egli non cambierà mai l'elezione del Suo popolo Israel. Moshé
viene a sottolineare che l'elezione non è sottoposta a condizione
alcuna: "Considera che questa nazione è il Tuo popolo" (Es. 33:13) e
Rashì commenta: "Non dire: "Io farò di te un grande popolo"
(32:10) ed abbandonerò loro; considera che essi sono il Tuo popolo da
gran tempo, e se Tu li respingessi, io non potrei confidare che i miei
discendenti sopravviveranno; il pagamento della mia ricompensa consiste
nel perdonare questo popolo":"am zho izarti li, mi sono creato questo
popolo, essi racconteranno la mia gloria…".
Gli attributi divini: Hashem, Hashem (Es.34:5 ss.) Alla
richiesta di Moshé: "Fammi vedere la Tua gloria" (Es.33:18),
"Hashem passò davanti a lui e proclamò: "Hashem, Hashem, D-o
misericordioso, longanime, lento nell'indignarsi, pieno di bontà,
verace nel mantenere le promesse…" (Es. 34:6). Il Rambam vede
nella preghiera di Moshé l'espressione del desiderio umano di conoscere
D-o il più possibile (Moré Nevuchim 1:54). Spiegando i primi due
attributi di misericordia, Rashì dice: "Hashem, Hashem",
questo è l'attributo di misericordia del Sign-re. Il primo allude alla
misericordia di D-o prima del peccato e il secondo (Hashem) dopo che ha
peccato e si è pentito. Dunque già nel momento del peccato Hashem
invita l'uomo a tornare a Lui, lo attende, è pronto ad accoglierlo con
misericordia… Il Rav Elia Benamozegh spiega l'enorme importanza di
questo Nome che "ci rivela l'unità di D-o nella sua essenza e, come
conseguenza, il monoteismo poiché la sua concezione sublime di D-o come
l'Essere assoluto, sopprime di fatto ogni possibilità di assimilazione
alle altre divinità. Designando così la sorgente di ogni vita, di ogni
forza, di ogni energia, il tetragramma è, più che una affermazione
della unità divina, tutta una filosofia e Maimonide ha avuto ragione di
dire che il Nome domandato a D-o da Mosè e comunicato a Israele, è la
dimostrazione dell'Essere necessario" (Scritti scelti, p.107). Espiazione per le generazioni "Ha
detto Rabbì Jochanan: se non fosse scritto nella Torà non si potrebbe
dirlo. Insegna che il Santo e Benedetto Egli sia si è ammantato (per
così dire) come un chazhan ed ha fatto vedere a Moshé l'ordine della
Tefillà. Gli ha detto: "Ogni volta che i figli di Israel
peccheranno, faranno dinnanzi a me secondo questo ordine, ed Io li
perdonerò". Ha detto Rabbì Jehudà: "E' stato stabilito un patto con i
tredici attributi (di misericordia), che non tornano indietro invano"
(Talmud bavlì, Rosh Hashanà 17b) e Rashì, in loco, spiega: "Se
ricorderanno questi attributi durante i lorto digiuni, essi non
torneranno indietro invano". Si comprende pertanto come questi
attributi siano entrati a far parte integrale delle preghiere
penitenziali di ogni giorno, dei giorni di digiuno e delle Selichot che
diciamo nei quaranta giorni fra Rosh Chodesh Elul ed il digiuno di
Kippur: sono appunto i quaranta giorni in cui Moshé Rabbenu pregò per
il popolo che aveva sì peccato, ma che si era anche amaramente pentito:
"Tu, o Sign-re, che ci insegnasti ad invocare I Tuoi tredici attributi,
ricorda oggi a favor nostro l'alleanza di questi tredici attributi,
secondo quanto hai annunciato nei tempi antichi all'umile Profeta…". In
questi attributi vi è quindi una forza divina, quella che ha promesso
che il popolo ebraico, come entità (a differenza dei singoli), non sarà
annientato. Riferendosi però alla tragica sorte dei singoli ebrei, il
Rav Avraham ben Jaakov Saba (Castiglia 1440-1508) nel suo Zror
Hamor si domanda come mai vediamo che talvolta, per le nostre
colpe, ci copriamo con il talled e diciamo i tredici attributi eppure
non veniamo esauditi (si tenga presente: il Rav visse nel periodo della
cacciata degli Ebrei dalla Spagna e dal Portogallo, subì supplizi
atroci e due suoi figli furono rapiti e battezzati; la figlia di suo
figli Izchak andò in sposa a Maran Rabbì Josef Caro, autore dello
Shulchan Aruch). Il Rav Saba dà questa risposta: "E' volere divino che
quando Israel fanno secondo questo ordine, abbiano pietà dei miseri e
poveri, siano compassionevoli, facciano opere di chesed (misericordia)
gli uni con gli altri, sappiano perdonare le offese, allora questi
tredici attributi non tornano invano. Ma se essi agiscono con crudeltà,
se essi fanno il male allora vengono giudicati sulla base di questi
Attributi". Il Rav Saba interpreta quindi il passo talmudico come una
richiesta per il penitente di agire come si deve, con grande
compassione e misericordia, nei nostri rapporti con il prossimo. Si
narra di un chassid che, riuscito a sfuggire ai campi di morte nazisti,
girava per un foresta e temendo una distruzione completa del popolo, chas veshalom,
si rivolse al Sign-re, dicendogli: "Tu uscirai d'obbligo verso la
promessa di non distruggere il popolo ebraico se lascerai in vita
almeno una coppia di Ebrei, onde possano riprendere il cammino iniziato
da Avraham e Sarah sua moglie…"
Alfredo Mordechai Rabello, giurista, Università Ebraica di Gerusalemme |
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Noterelle - Israele italiano
Oggi vorrei ricordare uno studioso che da tempo ci ha lasciato, Giorgio Romano. Fu corrispondente da Israele per La Stampa
e altri giornali e riviste, soprattutto dedicò l’intera vita a rendere
comprensibile ai lettori israeliani la letteratura italiana e a
studiare la presenza ebraica nella letteratura italiana.
Mi
è capitato di ripensare a lui in due situazioni diverse. In primo luogo
leggendo le cronache del recente viaggio di Roberto Saviano in Israele,
dopo la traduzione ebraica di Gomorra
e le sofferte sue parole sulla difficoltà del vivere quotidiano, a
Scampia come a Sderot. Poi mi è capitato di ripensare a Romano
constatando quanto oggi sia diventato un diffuso oggetto di studio,
nella ricerca accademica, il tema della presenza ebraica nella
letteratura italiana fra Otto e Novecento. Sugli scrittori ebrei
italiani hanno lavorato con profitto negli ultimi anni: Robert Gordon,
Domenico Scarpa, Luca De Angelis, Simon Levis Sullam. E’ fresco di
stampa il libro di Carlo Tenuta, Dal mio esilio non sarei mai tornato, io. Profili ebraici tra cultura e letteratura nell’Italia del Novecento (Roma, Aracne, 2009). Quando Romano pubblicava i suoi saggi, o la mirabile Bibliografia italo-ebraica,
il tema non interessava nessuno. Iniziai a frequentarlo a metà degli
anni Ottanta: era appena uscito il volume di Stuart Hughes, che non lo
convinceva per nulla. Conservo molte sue lettere. Aveva un modo
elegante e generoso di parlare ai giovani. Univa la schiettezza e la
gentilezza del sabra preda della nostalgia di Europa. Di un’idea di
Europa che già a quei tempi declinava. C’era in lui quell’umanesimo
ebraico che oggi si fatica a ritrovare nell’Italia che pure si nutre di
tanta letteratura israeliana. In modo empirico e senza il supporto di
mezzi informatici, scheda dopo scheda, aveva messo su un archivio
artigianale, imponente. Enrico Pea, che mi invitava a rileggere (La rosa di Sion).
Disperdeva informazioni biografiche, preziosissime per un giovane alle
prime armi. Scriveva su aerogrammi israeliani azzurri con sopra scritto
Visit Israel-the mirade on the Mediterranean. Sapeva essere spietato con il mondo editoriale italiano, incapace di “comprendere” il genio di Giorgio Voghera e del suo Quaderno d’Israele.
Debbo a lui la passione per uno dei massimi scrittori ebrei umoristi
dell’Ottocento, Alberto Cantoni, l’amico e corrispondente di
Pirandello. Israele italiano
è il titolo di uno dei racconti di Cantoni più interessanti, che lessi
grazie a lui. Di questo libresco Israele Giorgio Romano è stato per la
cultura italiana una specie di inascoltato Mosè.
Alberto Cavaglion |
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rassegna stampa |
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Benedetto XVI: “Nessun popolo dovrebbe soffrire di nuovo ciò che gli ebrei hanno sofferto” Undici
giorni dopo la sua storica visita nella Terra Santa, Benedetto XVI ha
scritto al presidente di Israele, Shimon Peres, una lettera personale
di ringraziamento, ribadendo ancora una volta la posizione dalla Santa
Sede su temi come l'antisemitismo, il ricordo della Shoah, la pace fra
israeliani e palestinesi, e i rapporti bilaterali fra lo stato ebraico
e la Santa Sede. Non è una lettera che corrisponde al protocollo. Non è
consuetudine del Papa inviarne ai capi di stato dopo ogni visita che lo
porta fuori dalle mura vaticane. La lettera serve a rafforzare le
posizioni della Santa Sede e a confermare in maniera inequivocabile il
pensiero e lo spirito del Papa rispetto al popolo ebraico e allo stato
d'Israele. Ecco il testo della lettera. A sua Eccellenza Shimon Peres, presidente di Israele Scrivo
per ringraziare sua Eccellenza per il calore della sua accoglienza e la
cordiale ospitalità che mi ha offerto in occasione della mia recente
visita nello stato di Israele. Sono sommamente grato per i suoi
numerosi doni e per le espressioni di amicizia, e apprezzo molto
l'immenso lavoro svolto per organizzare la visita e facilitare i vari
incontri che hanno avuto luogo in quei cinque giorni. Abbiamo parlato
in particolare dell'amicizia fra cristiani ed ebrei, un'amicizia che si
è rinnovata e rafforzata nel corso della mia visita attraverso i molti
incontri cordiali che hanno avuto luogo con i leader religiosi e altri.
In questo contesto rinnovo a lei le mie assicurazioni di solidarietà
dei cattolici nei confronti del popolo ebraico contro ogni
antisemitismo, ideologia che la chiesa rifiuta fermamente e in modo
inequivocabile. Questa solidarietà si estende al profondo orrore che
tutti noi sperimentiamo in connessione allo sterminio di sei milioni di
ebrei da parte del regime nazista. E' stato profondamente
commovente incontrare i sopravvissuti della Shoah, e insieme a loro
onorare coloro che sono morti. Come le ho detto in occasione della mia
partenza da Israele, la memoria di quello sconvolgente crimine contro
l'umanità deve rafforzare la nostra determinazione nel costruire i
ponti di un'amicizia salda e duratura, e per affermare che nessun
popolo dovrebbe soffrire di nuovo ci che gli ebrei hanno sofferto.
Presidente, lei mi ha parlato della pace che il suo stato ha raggiunto
con l'Egitto e la Giordania, e dei vostri continui sforzi per costruire
una pace stabile nella regione nel prossimo futuro. Come lei sa, la
Santa Sede sostiene fermamente questi sforzi ed è ansiosa di vedere una
rapida soluzione all'antico conflitto fra israeliani e palestinesi, una
soluzione che garantisca la sicurezza e la dignità per entrambi i
popoli, in modo da porre fine alla lotta e allo spargimento di sangue
che hanno afflitto la regione così a lungo. La Santa Sede confida di
concludere l'attuale tappa dei negoziati bilaterali con lo stato di
Israele, descritta nel Fundamental Agreement, in modo che gli aspetti
principali delle nostre relazioni possano essere costruiti su
fondamenta salde e sicure, e questo comporti sicurezza per la chiesa in
Israele, e quindi per relazioni bilaterali serene e amichevoli con la
Santa Sede e con la chiesa cattolica in tutto il mondo. Non mi
rimane che rivolgere i miei migliori auguri a sua Eccellenza, a tutti i
membri del governo e a tutti i popoli di Terra Santa. Possa
l'Onnipotente concedere abbondanti benedizioni di pace e prosperità su
tutti voi. Dal Vaticano, 26 maggio, Benedetto XVI Il Foglio, 8 luglio 2009 |
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Israele:
istituito un comitato interministeriale
per gli aiuti alla popolazione palestinese Gerusalemme, 8 lug - Apertura
ad oltranza per passeggeri e merci al ponte di Allenby, fra
Cisgiordania e Giordania. Assieme a questa sono state messe a
punto per la popolazione palestinese, da un apposito comitato
interministeriale presieduto dal premier Benyamin Netanyahu, una serie
di facilitazioni. A divulgare la notizia è stata radio Gerusalemme. Il
provvedimento di apertura per 24 ore al giorno del valico di Allenby
(chiuso in precedenza alle ore 20) è un esperimento. Se tale tentativo
di apertura sarà coronato da successo, ha affermato l'emittente, sarà
esteso ad altri valichi. Il comitato (di cui fanno parte anche i
ministri Ehud Barak, Avigdor Lieberman e Silvan Shalom), fra le altre
cose, ha ordinato che Israele cooperi con l'Autorità nazionale
palestinese per la realizzazione di "quattro iniziative economiche" e
ha approvato una serie di progetti di progetti per modernizzare in
Cisgiordania le reti idriche, fognarie, stradali ed elettriche
per i palestinesi
"Israele strangola l'economia palestinese", Gerusalemme respinge le accuse dell'esponente Ue Gerusalemme, 7 lug - Gli
insediamenti israeliani "strangolano l'economia palestinese" e
perpetuano la dipendenza dell'Autorità palestinese dagli aiuti esteri,
ha dichiarato un esponente dell'Ue. Il governo israeliano respinge le
accuse. In un comunicato emesso dal ministero degli Esteri si afferma
che l'ambasciatore dell'Ue in Israele Ramiro Cibrian Uzal è stato
convocato al ministero per dirgli che Israele "respinge decisamente le
affermazioni politiche fatte da un assistente tecnico della Commissione
Europea sull'impatto delle misure di sicurezza israeliane e degli
insediamenti sull'economia palestinese". "Dichiarazioni politiche di
questa natura - prosegue il comunicato - sono chiaramente al di fuori
del mandato dell'Ectao (ufficio di assistenza tecnica della Commissione
Europa) in questione". Secondo Israele esse ignorano il fatto che le
parti hanno deciso di affrontare la questione degli insediamenti
parallelamente all'attuazione di altri impegni e che nello sgomberare
gli insediamenti a Gaza e alcuni in Cisgiordania "Israele è andato
oltre i suoi obblighi previsti dagli accordi esistenti". "Ancora più
preoccupante è l'insinuazione dell'assistente tecnico che le misure di
sicurezza israeliane in Cisgiordania sono superflue e perfino illegali
e il suo mancato riconoscimento che sono le continue attività di gruppi
terroristici palestinesi a rendere sfortunatamente necessarie queste
misure". Nel comunicato Israele rimprovera all'Ue di ignorare i recenti
miglioramenti nell'economia palestinese in Cisgiordania e la favorevole
accoglienza del Quartetto ai piani del governo israeliano per
promuovere l'economia palestinese e la sua ammissione che Israele ha
legittime esigenze di sicurezza.
Conferenza stampa congiunta Egitto-Israele: Peres sostiene il progetto dei due Stati indipendenti Il Cairo, 7 lug - "Israele
è favorevole ai due Stati: un solo popolo palestinese da un lato, un
solo popolo israeliano dall'altro. Israele sarà uno Stato ebraico, e la
Palestina uno arabo”, questo quanto chiarito dal presidente israeliano
Shimon Peres in una conferenza stampa congiunta con il presidente
egiziano Hosni Mubarak. Peres ha anche assicurato che Israele non
intende "estendere alcun controllo sul popolo arabo", né tanto meno
"dare vita a nuove colonie o confiscare terre" ai palestinesi. Si è poi
detto favorevole a riprendere il processo di pace, per "mettere fine
all'odio". Per Peres "la proclamazione di uno Stato palestinese con
confini provvisori per un periodo determinato è contenuta nella Road
Map che è stata accettata da palestinesi, arabi, israeliani e
americani" e dunque "non è una nuova proposta, ma si basa su documenti
già scritti ". Mubarak, da parte sua, ha esortato Israele a
riprendere il processo di pace, sottolineando che il "problema
palestinese è centrale e cruciale" non solo "per la pace in Medio
Oriente". E ha aggiunto che una soluzione realistica che soddisfi tutte
le parti in Medio Oriente è oramai a portata. "L'esperienza ci ha
insegnato che bisogna tracciare una linea fra la propaganda e il
sedersi attorno ad un tavolo negoziale. Una volta che le parti si
mettono al tavolo, diventerà realtà", così Mubarak ha invece risposto
alla domanda se sia possibile discutere di pace con l' attuale governo
israeliano di Benyamin Netanyahu e del ministro degli esteri Avigdor
Lieberman. Per concludere il presidente egiziano si è detto convinto
che il soldato israeliano Gilad Shalit, nelle mani di Hamas dal giugno
del 2006, "stia bene" e che il problema si risolverà presto. |
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L'Unione
delle Comunità Ebraiche Italiane sviluppa mezzi di comunicazione che
incoraggiano la conoscenza e il confronto delle realtà ebraiche. Gli
articoli e i commenti pubblicati, a meno che non sia espressamente
indicato il contrario, non possono essere intesi come una presa di
posizione ufficiale, ma solo come la autonoma espressione delle persone
che li firmano e che si sono rese gratuitamente disponibili. Gli
utenti che fossero interessati a partecipare alla sperimentazione
offrendo un proprio contributo, possono rivolgersi all'indirizzo desk@ucei.it per concordare le modalità di intervento.
Il servizio Notizieflash è realizzato dall'Unione delle Comunità
Ebraiche Italiane in collaborazione con la Comunità Ebraica di Trieste,
in redazione Daniela Gross. Avete
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