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    15 luglio 2009 - 23 Tamuz 5769  
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Moked - il portale dell´ebraismo italiano
alef/tav    
  Alfonso Arbib Alfonso
Arbib,

rabbino capo
di Milano
Con il 17 di Tamuz comincia il periodo chiamato nella tradizione ebraica Ben hametzarìm che si conclude il 9 di Av, giorno della distruzione del Santuario. Il periodo ricorda la fine dell'assedio di Yerushalaim da parte dei babilonesi, la distruzione del Santuario e l'inizio dell'esilio. Il termine Ben hametzarìm - fra le ristrettezze - deriva da un versetto del libro di Ekhà in cui si dice, riferendosi al popolo ebraico, che tutti i suoi inseguitori - persecutori - lo hanno raggiunto ben hametzarìm. Questo termine ben definisce un periodo terribile della storia ebraica e l'inizio dell'esilio e della diaspora che saranno caratterizzati da gravi difficoltà e spesso da terribili persecuzioni. Ma la diaspora non è stata solo questo: è stato anche un momento straordinario di sviluppo culturale e spirituale. Il popolo ha dimostrato di riuscire ad affrontare le difficoltà più terribili e di riuscire a trasformare queste stesse difficoltà in occasioni di crescita. Un commento chassidico, giocando sul termine "kol rodefèa" - tutti i suoi inseguitori - e cambiandone la vocalizzazione, legge il verso in questo modo: chiunque è alla ricerca di Dio può raggiungerlo tra le ristrettezze.
Barack Obama ha scelto come consigliere per i rapporti con le Comunità ebraiche Susan Sher, capo di gabinetto della First Lady e ex vicepresidente del Medical Center di Chicago. Il nuovo presidente della Conferenza dei presidenti delle maggiori organizzazioni ebraiche americane è Alan Solow, avvocato di fama proprio nella "Wind City". Siamo nel bel mezzo della stagione degli ebrei di Chicago. Maurizio
Molinari,
giornalista
Maurizio Molinari  
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davar    
 
  Ariel Sharon Il coma privato del soldato Ariel Sharon

Tel Aviv. Sono passati più di tre anni dal giorno in cui un'emorragia celebrale ha ridotto Ariel Sharon in uno stato di coma permanente. Da allora l'ex primo ministro israeliano giace in un letto di ospedale: respira senza l'aiuto di macchinari, ma i medici dicono che le speranze di un suo risveglio sono pressoché nulle. La famiglia non vuole interrompere la sua permanenza ospedaliera, anche contro il parere della struttura. Ma la questione non ha catalizzato più di tanto l'attenzione dei media israeliani: nessun caso alla Terry Schiavo, alla Eluana Englaro, alla Piergiorgio Welby.
In un primo momento, quando ancora si sperava che "il vecchio generale" (come lo chiamano da queste parti) potesse farcela, c'era anche una questione politica: quando dichiarare il premier incapacitato? Quando e se destituirlo dalla carica? Ma adesso è una vicenda privata, che riguarda la famiglia e gli amici più intimi. «La questione Sharon non è una questione tout court», dice al Riformista David Satran, docente di religioni comparate all'Università ebraica di Gerusalemme. «C'è poco da dire. Certamente qui non è un big deal come lo sarebbe in un Paese cattolico». «Perché la gente dovrebbe impicciarsi? Sharon non è più un leader politico», risponde sullo stesso tono Jeffrey Macy, esperto di religione e politica dello stesso ateneo. Perché in Israele le questioni di bioetica non suscitano lo stesso dibattito infuocato che hanno prodotto in Italia e negli Stati Uniti? E pensare che questo è un Paese in cui i conflitti tra laici e religiosi sono forti più che mai: negli ultimi giorni, per fare un esempio, nella capitale ci sono stati scontri violenti tra gruppi di ultra-ortodossi e la polizia per l'apertura di un grande negozio durante il Sabato (giornata in cui la religione ebraica prescrive il riposo).
Cionondimeno la Knesset, il parlamento unicamerale di Gerusalemme, nel dicembre del 2005 ha approvato senza incontrare troppi problemi una legge che stabiliva le modalità per interrompere il sostegno artificiale alla vita di pazienti senza speranze di guarigione. La legge impone il rispetto di volontà scritte (una specie di testamento biologico) dello stesso paziente in caso non sia più in grado di intendere e di volere, e inoltre obbliga i medici a discutere con i malati terminali fino a che punto intendano spingersi. Sempre secondo la legge un paziente ha il diritto, se lo desidera, di andare avanti con i trattamenti indipendentemente dall'aspettativa di vita. Infine se i familiari o lo stesso paziente dovessero decidere di "staccare la spina", il compito deve essere affidato a un timer automatico, in modo da non gravare sulle coscienze di medici e infermieri - e di non essere in conflitto con il diritto rabbinico. In altre parole, massimo rispetto delle volontà individuali, una combinazione che ha messo d'accordo laici e religiosi, in un Paese in cui difficilmente le due categorie la vedono allo stesso modo: «Israele è il primo paese in cui elementi laici e religiosi sono riusciti a produrre un documento condivisibile virtualmente da tutte le parti, sul trattamento dei malati terminali», aveva commentato Michael Barilan, docente di medicina all'Università di Tel Aviv, sul quotidiano Yediot Ahronot all'indomani del voto in parlamento. Solamente i partiti ultra-ortodossi si erano opposti alla legge.
Ma perché le grandi questioni di bioetica suscitano meno trambusto tra gli ultra-ortodossi israeliani, rispetto a questioni apparentemente più banali, come l'apertura di un negozio durante il sabato? Una spiegazione possibile è che non esiste un'unica regola accettata sull'argomento. Tutti i rabbini invece concordano sulla necessità di rispettare il riposo sabbatico, anche se la stragrande maggioranza condanna i fanatici che per salvaguardarlo tirano pietre contro la polizia.
A differenza del Cattolicesimo, l'Ebraismo non riconosce alcuna autorità suprema, senza contare che le questioni bioetiche sono assai complesse e che gli ultimi progressi della medicina rendono difficile rifarsi ai testi antichi: «Quando una persona è viva? Quando è morta? A che punto un intervento diventa inappropriato? Sono tutte domande che non hanno più una risposta netta nel mondo moderno», aveva dichiarato un rabbino esperto di bioetica, Noam Zohar, proprio in occasione della malattia di Sharon. Per esempio i rabbini sono divisi su come classificare l'utilizzo dei respiratori artificiali: secondo un'opinione diffusa tra i dottori del diritto religioso, è vietato interrompere le cure o accelerare l'agonia di un moribondo, ma è consentito rimuover gli «ostacoli irragionevoli» alla morte naturale. Un respiratore è un ostacolo irragionevole? Ogni rabbino ha una risposta diversa.
Tornando al caso di Sharon, l'unica questione legale che si pone è se possa rimanere o meno in ospedale. Lo scorso febbraio l'ospedale di Tel Ha-Shomer, che ospita l'ex primo ministro, aveva chiesto ai due figli di Sharon, Omri e Gilad, di riportarlo a casa: ormai non ci sono più speranze di migliorare le sue condizioni, è stata la spiegazione, si possono somministrare soltanto le cure di routine, che possono essere effettuate anche a domicilio. La struttura ospedaliera avrebbe avanzato la richiesta onde liberare la stanza nel reparto di Rieducazione respiratoria, uno dei migliori in Israele, in previsione che possa servire ad altri. Omri e Gilad Sharon hanno rifiutato di trasferire il padre: temono che, in caso di peggioramento improvviso delle sue condizioni, a casa sarebbe più difficile salvargli la vita.

Anna Momigliano, il Riformista, 15 luglio 2009
 
 
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pilpul    
 
  BarenboimNiente concerti a Ramallah
per Cohen e Barenboim

Il direttore d’orchestra israeliano di origini argentine, Daniel Barenboim, e il cantante canadese, Leonard Cohen, hanno entrambi cancellato concerti che si erano impegnati a tenere a Ramallah, dopo che diversi esponenti palestinesi ne avevano chiesto il boicottaggio. Barenboim avrebbe dovuto debuttare ieri sera al Cultural Palace della città, con la sua ormai celebre orchestra giovanile «Divan»: 33 giovani strumentisti provenienti da Israele e dalla Palestina chiamati a far musica insieme, un’orchestra «contro la paura e l’ignoranza - diceva il maestro -. Il segno che un'altra via è possibile, quella di fare qualcosa di bello insieme». Il Presidente palestinese, Mahmoud Abbas aveva conferito a Barenboim la cittadinanza onoraria dei territori nel 2008, prima che il direttore d’orchestra facesse infuriare i palestinesi dichiarando che Israele aveva diritto a difendersi nei giorni dell’offensiva contro la Striscia di Gaza.
Leonard Cohen era invece atteso sempre a Ramallah più avanti questa estate, durante una tournée che lo avrebbe portato anche in Israele. Il cantautore è stato criticato per essersi rifiutato di cancellare il concerto che aveva in programma a Tel Aviv.

La Stampa, 15 luglio 2009
 
 
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rassegna stampa    
 
 
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Giornalisti israeliani: perché ci discriminano

Pubblichiamo la lettera che la Federazione nazionale dei giornalisti israeliani ha scritto il 13 luglio alla Federazione internazionale dei giornalisti.
La Federazione internazionale dei giornalisti (Fig) ha distorto i fatti nei messaggi che riguardano l'espulsione della Federazione nazionale dei giornalisti israeliani (Fngi). Siamo costernati dal fatto che l'autore di questi messaggi, Aidan White, guidi un'organizzazione che si occupa dell'etica nei media. Questa triste visione delle cose deve essere corretta. La Fig ha consultato i suoi membri palestinesi e arabi mentre stava compiendo una missione cosiddetta di ricerca di fatti per investigare gli eventi riguardanti i media a Gaza durante gli scontri in primavera. La Fig non ha ritenuto di dover cercare un contributo anche da parte della Fngi, definendo “irrilevante” tale contributo. I media israeliani, definiti non patriottici da molti nella società israeliana dopo la guerra in Libano a causa della loro copertura indipendente, sono stati lasciati fuori dalla missione della Fig. Forse perché la loro voce avrebbe potuto rovinare le accuse preconfezionate e pubblicate contro Israele. li resoconto su Israele e i media è stato scritto senza consultare un singolo israeliano. Una lezione su come NON essere giusti nel ricercare i fatti, soprattutto da parte di coloro che si dichiarano reporter.
La Fig non ha invitato i membri israeliani a prendere parte a importanti incontri a Varna e a Bruxelles senza fornire alcuna ragione. La decisione di cacciare la Fngi è stata presa a Oslo senza che noi fossimo invitati a dire la nostra versione. La Fig non ha citato nei messaggi alla stampa che White - in una visita a Tel Aviv e in un incontro con la Fngi - fosse d'accordo sul fatto che il sindacato israeliano dovesse pagare le rate alla stessa tariffa prevista per i paesi vicini, come la Siria e la Giordania. Dopo aver stretto la mano e aver dichiarato risolta la questione, White si è comportato come se l'accordo non fosse mai stato raggiunto. I membri israeliani durante un incontro con i membri della Fig a Gerusalemme hanno chiesto ancora una volta alla Fig di darci una mano a creare un forum regionale per i media che costituisca un ponte tra noi e i nostri vicini palestinesi un club di giornalisti professionisti basato sul mutuo aiuto tra professionisti. Una joint venture tra professionisti al di là della politica potrebbe essere un aiuto per ogni giornalista che viene nella regione. Questa sfida non è mai stata raccolta dalla Fig che era troppo occupata a cacciare la parte israeliana. Speriamo che la leadership della Fig capisca che non è una questione di soldi, ma di una membership completa e uguale per tutti. 
Federazione nazionale dei giornalisti israeliani

Il Foglio, 15 luglio 2009 

 
 
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notizieflash    
 
 
Lieberman: “Con gli Usa un legame molto stretto,                        
con l'Europa incomprensioni”
Roma, 15 lug -
"La pace può essere edificata, sviluppata, ma non imposta dall'Europa” così Avigdor Lieberman, ministro degli esteri israeliano, ha replicato all'idea presentata da Javier Solana,  Alto rappresentante per la politica estera dell'Unione Europea. L'idea di Solana è quella di prestabilire una data entro la quale la comunità internazionale riconosca lo Stato palestinese. La secca replica di Liberman è stata: "Non mi impressionerei eccessivamente per le dichiarazioni di Solana, la cui carriera nell'Unione Europea volge al termine". In merito al rapporto con gli Stati Uniti invece Liberman ha dichiarato, in un'intervista La Stampa che il legame “resta forte, profondo e molto stretto", per poi tornare a parlare dei rapporti con il Vecchio Continente: “Più che insoddisfazione quella dell'Europa nei confronti della politica israeliana è incomprensione di quanto avviene in Medio Oriente" Ovvero: "Con i palestinesi - spiega - abbiamo discussioni, ma non un confronto, noi non minacciamo l'Anp, al contrario la sosteniamo". Il problema, osserva, è interno al movimento palestinese: "Abu Mazen cerca di scaricare su di noi i suoi problemi interni, anche indurendo le sue posizioni". Agli Usa, che hanno chiesto un congelamento delle colonie, Israele ha "offerto un gesto di buona volontà. Ma sia chiaro, è molto limitato nel tempo. Noi non vogliamo alterare la situazione demografica, non costruiamo nuovi insediamenti, ma non ci si può chiedere di asfissiare gli insediamenti ebraici in Giudea-Samaria". Nell'immediato futuro, spiega il ministro degli Esteri israeliano, la politica di Gerusalemme è decisa: "In primo luogo dobbiamo garantire sicurezza agli israeliani e sviluppo economico e stabilità ai palestinesi. Solo dopo si potrà pensare a soluzioni politiche. Invertire i termini sarebbe un fallimento sicuro".

Hamas, Israele denuncia incontro in Svizzera
Gerusalemme, 15 lug -
L'invito di una delegazione di Hamas da parte del governo svizzero ha suscitato la collera di Israele. “Israele è indignato, ha spiegato il portavoce del ministro degli esteri Yigal Palmor, perché Hamas è sempre considerata un'organizzazione terroristica dall' Unione Europea, anche se la Svizzera non ne fa parte. "Hamas, ha aggiunto, è in guerra non solo con Israele ma anche con l' Autorità palestinese e l'Egitto. Ricevendo ufficialmente una delegazione di Hamas, ha detto Palmor, la Svizzera non si è messa dalla parte dei moderati. Secondo una fonte israeliana qualificata, diversi stati arabi, come il Marocco, l' Algeria e emirati del Golfo, si rifiutano di concedere visti di ingresso nel loro territorio a esponenti di Hamas da quando questo movimento islamico ha preso il potere con la forza nella striscia di Gaza nel giugno del 2007. Secondo il quotidiano Haaretz la delegazione di Hamas, guidata da Mahmud Al-Zahar, è stata in Svizzera due settimane fa. 
 
 
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