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L'Unione informa |
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19 luglio 2009 - 27 Tamuz 5769 |
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alef/tav |
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Benedetto Carucci Viterbi, rabbino |
Si
è recentemente discussa, presso il Corso di laurea in studi ebraici
dell'Ucei, una tesi di Ilana Bahbout sulla filosofia della marginalità.
Il Messia, viene suggerito dall'autrice, è al confine tra il "dentro"
ed il "fuori" e solo grazie a questa bivalenza può guidare il
cambiamento. Paradigma dell'identità ebraica in generale? |
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Secondo
un dossier elaborato dal Servizio giovani della Provincia di Bolzano,
in Alto Adige - nella zona di Naturno, vicino Merano - alcuni ragazzi
starebbero tentando di organizzare una cellula della Hitlerjugend. I
dati riportati in quel dossier dicono che in un paese di poco meno 5
mila abitanti, circa 70 adolescenti – tra i 14 e 19 anni -
farebbero parte di quell’organizzazione. Una percentuale non
trascurabile, per un fenomeno comunque non trascurabile. La notizia è
dell’11 luglio e la prima fonte di diffusione è “RTT La radio di
Trento” che ne parla il 12 luglio. La notizia non è ripresa da nessuno
e giunge sulle pagine del Corriere della Sera di ieri. In breve
una informazione dettagliata in un Paese in cui la libertà di stampa
esiste, almeno così tutti dicono, a diffondersi e a diventare di
dominio pubblico ci mette un tempo smisuratamente più lungo che non le
immagini clandestine da Teheran. Se ne deduce quanto segue: a) i
telefonini funzionano a Teheran, qui siamo tecnologicamente più
arretrati; b) siamo d’estate, Naturno è un luogo d’attrazione turistica
e dunque perché rovinare la festa? Insomma la trama del film “Lo Squalo
1”; c) a differenza dei fotografi, il giornalismo di inchiesta, su
carta e televisivo, è agonizzante. Mi fermo qui. In ogni caso è
rilevante che nessun altro – eccetto il Corriere della Sera – abbia
avuto la curiosità (in tempi diversi avremmo addirittura parlato di
“senso civico”), di studiare quel fenomeno, magari spendendoci anche
dei soldi, perché mandare qualcuno in un posto costa. Forse abbiamo un
problema di qualità dell’informazione. O quello è solo uno dei tanti
problemi che questo silenzio denuncia? |
David Bidussa,
storico sociale delle idee |
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Redazione aperta – Questa sera al via la due settimane di lavori a Trieste
Due
settimane di inteso lavoro, di apprendimento e di incontri vedranno
impegnata da stamane alla fine del mese di luglio, l'intera redazione
del Portale dell'ebraismo italiano www.moked.it Alcuni
giovani ebrei italiani cominceranno, proprio in questa occasione, il
loro praticantato giornalistico. La piccola redazione che offre
quotidianamente alla minoranza ebraica in Italia e alla società
circostante informazione e approfondimenti crescerà, gettando le basi
di un salto di qualità. “In questi giorni – ha affermato rivolgendosi agli iscritti il Presidente della Comunità Ebraica di Trieste Andrea Mariani
che ospita la redazione - la nostra Comunità accoglierà un'importante
iniziativa promossa dall'Unione delle Comunità ebraiche italiane volta
a formare un gruppo di giovani praticanti giornalisti destinati ad
operare nel settore strategico dell'informazione ebraica. Si
susseguiranno nelle nostre strutture (la Scuola, il Museo e la Colonia)
incontri e confronti con numerosi e significativi esponenti del mondo
ebraico italiano e della nostra realtà territoriale su tematiche di
grande attualità”. I lavori prenderanno avvio questa sera, quando
Mariani e altri esponenti della Comunità triestina accoglieranno il
Presidente dell'Unione Renzo Gattegna e la vicepresidente Claudia De Benedetti. Alla serata inaugurale, che si svolgerà a Villa Opicina, sul Carso triestino, sarà presente fra gli altri anche Daniela Misul
Presidente della Comunità ebraica di Firenze (dove avrà luogo uno dei
praticantati giornalistici). Altri esponenti delle Comunità coinvolte
nel progetto e molti collaboratori della redazione del Portale
dell'ebraismo italiano sono attesi nelle prossime giornate. In
queste settimane la piccola redazione che offre quotidianamente alla
minoranza ebraica in Italia e alla società circostante informazione e
approfondimenti raccoglierà la sfida di una crescita significativa. Agli
incontri di Trieste parteciperanno molti giovani ospiti e collaboratori
della redazione, numerosi rabbanim e leader delle realtà ebraiche
italiane, molti intellettuali italiani, ebrei e non ebrei che hanno
aderito all'invito. La redazione inoltre incontrerà esponenti,
giornalisti e scrittori del Friuli Venezia Giulia per cogliere il
significato di una realtà complessa e ricca di storia, di differenze e
di sfide. In totale una sessantina di voci diverse. Nell'intenso
programma le porte della redazione saranno più volte aperte per
condividere con tutti coloro che vorranno partecipare alcuni momenti
comuni. “Al di là della sfida professionale e di una nuova
occasione di conoscenza e di lavoro – ha affermato il Coordinatore
informazione e cultura Ucei Guido Vitale
in un messaggio di ringraziamento alla Comunità giuliana – Trieste
riafferma ogni giorno, e sulla base di fatti concreti, la propria
vocazione a essere laboratorio, crocevia e luogo di incontro fra le
realtà ebraiche del Mediterraneo e del Centro Europa. Una Comunità che
continua a offrire all'Italia ebraica l'occasione di essere a casa e di
aprirsi al mondo, di essere felici della propria identità e di
riscoprire l'emozione di stare assieme”.
«Dopo il G8 l'Italia è più forte»
«In
Afghanistan si verificheranno nuovi attacchi». Nel giorno in cui torna
in Italia la salma del militare Alessandro Di Lisio, ucciso in un
attentato, e a pochi giorni dalla fine del G8, il ministro degli Esteri
Franco Frattini fa il bilancio
sulla politica internazionale. Dai rapporti con la nuova
amministrazione americana allo scacchiere Mediorientale. Dai successi
diplomatici in Abruzzo al futuro dell'Iran.
Ministro Frattini quale fattore distingue il G8 dell'Aquila dai grandi incontri internazionali? «È
stato il vertice che ha segnato una svolta. Questo per tre ragioni.
Prima di tutto è stato creato un nuovo meccanismo di governance, con il
G4, che associa il G8 e le cinque potenze emergenti: una formula che ha
segnato la fine della governance elitaria e ha dato modo al inondo di
essere veramente rappresentato. Poi, è stato il G8 della concretezza
sui grandi temi di sostanza. Abbiamo discusso le modalità per ridare
moralità, per restituire un'etica, alla finanza internazionale. Abbiamo
affrontato la sfida del clima e abbiamo rimesso l'Africa al centro
dell'agenda internazionale. Per la prima volta questo Continente è
stato considerato un attore politico». Il G8 della concretezza cosa ha cambiato? «Cambia
che grazie all'Italia, un paese medio come dimensioni, si raggiungono
risultati di politica internazionale che in passato grandi nazioni non
riuscivano a realizzare. L'Italia esce dal vertice de L'Aquila più
forte di prima». Il giorno dopo
il vertice, Barack Obama è volato proprio in Africa per un discorso che
ha dettato la quarta e ultima linea di politica estera della sua
amministrazione. Come giudica i passi fin qui compiuti dal presidente
degli Usa? «Quella del presidente americano è una
politica di grande lungimiranza, che rafforza la leadership
dell'America senza paternalismi. Dall'Iran all'Africa la sua è una
politica estera che a noi piace. Posso dire che su tutti i punti
l'Italia è in linea con gli Stati Uniti». Roma sarà ancora il ponte tra Mosca e Washington? «Il
nostro merito è riuscire a smussare le asprezze, come è accaduto per la
crisi in Georgia grazie all'opera di persuasione sul presidente
Medvedev e sullo stesso Putin. Quell'opera di diplomazia ci ha salvato
da una crisi devastante. Il nostro ruolo è quello di incoraggiare il
dialogo e ora siamo davanti a uno scenario in cui gli Usa danno vita a
un negoziato con la Russia. L'anno prossimo sarà un anno chiave .
Dovremo rinegoziare il trattato di non proliferazione. Servirà una road
map per il disarmo nucleare, solo così i nostri nipoti potranno godere
di un mondo senza armi di distruzione. di massa. Ma a proposito
dell'Aquila, mi permetta di sottolineare un altro episodio». Prego. «La
stretta di mano tra Obama e Gheddafi. L'Italia ha ripristinato un ruolo
di amicizia con la Libia e ha così predisposto il terreno per far
riavvicinare anche la Libia con gli Stati Uniti. I due leader si sono
incontrati, si sono guardati negli occhi e parlati. Non era scontato
che accadesse». Ministro, l'Afghanistan è una delle aree più calde». La nostra missione si concluderà solo il giorno in cui regnerà la pace? «Sì,
l'ho scritto in una lettera al Corriere (nell'edizione di ieri ndr). È
lì la risposta positiva a Obama che parla di una exit strategy. Il
nostro è un lavoro che punta a una strategia d'uscita. Siamo arrivati
in Afghanistan perché quello è il serbatoio delle minacce più grandi,
del terrorismo. Siamo lì per difenderci. Ce ne andremo quando gli
afghani potranno vivere in pace e sicurezza avranno un proprio
esercito, una rete commerciale e la droga sarà un problema del passato.
È il contrario dell'approccio devastante della sinistra, che vuole il
ritiro immediato dei soldati e apre le porte al terrorismo. Il
terrorismo va sradicato, questa è la differenza profonda tra noi e
loro». Un anno, cinque, dieci? Quali sono i tempi per il ritiro? Esiste una deadline? «Tempi
certi non ce ne sono. Intanto però c'è un tempo tecnico: le elezioni
del presidente dell'Afghanistan ad agosto. È questa la prima tappa
della nostra exit strategy. Gli afghani avranno una pluralità di
candidati da votare, segno di democrazia, e poi un presidente con un
governo. Avremo messo il primo mattone sul nostro progetto. Le altre
tappe saranno sostituire la produzione della droga con la produzione
agricola, creare infrastrutture per il Paese e addestrare il loro
esercito». Non teme un'escalation di violenze in vista delle elezioni? «Sì,
ci sarà un'escalation di violenze. I terroristi hanno capito che si sta
andando verso un consolidamento della democrazia e dobbiamo aspettarci
nuovi attacchi. Ma non vogliono colpire italiani. Ho sentito alcune
stupidaggini in merito: gli attacchi sono contro la coalizione, non
contro di noi. Al contrario, noi lì siamo amati grazie al lavoro fatto
sul campo dai nostri soldati». Qual è la chiave per stabilizzare l'area? «Dobbiamo coinvolgere gli attori regionali. È un lavoro che abbiamo iniziato a Trieste». Può spiegare la sua idea? «L'Afghanistan
non è solo un problema dell'Isaf, ma di tutta la regione. Lì c'è il
Pakistan, la Cina e l'Iran che per ha perduto questa opportunità. Ci
sono i Paesi del Golfo e la Turchia. Tutti i vicini degli afghani
condividono i nostri interessi. Come per esempio l'Iran che vuole
bloccare il traffico di droghe. O la Cina che vede il terrorismo
diffondersi sul suo territorio». Il Pakistan che ruolo potrà ricoprire? «Il
Pakistan è un Paese che oggi conta tre problemi. Quello di un attacco
interno da parte degli estremisti contro lo Stato. Quello degli aiuti
economici per rilanciare l'economia pachistana. A proposito l'Italia ha
già investito decine di milioni di euro e vuole far riconciliare India
e Pakistan: a Trieste i ministri degli Esteri indiano e pachistano si
sono incontrati e una loro futura collaborazione è auspicabile, anche
per la lotta al terrorismo. Il terzo problema sono le regioni di
confine con l'Afghanistan, 1ì dove si trovano le zone tribali». Le forze internazionali dovranno concentrarsi su quel confine? «Questa è a mio avviso l'area più critica del mondo, su cui la maggiore attenzione deve essere prestata». Intanto
l'Iran va per la sua strada. L'Occidente ha lasciato la porta
«socchiusa». Crede sia possibile tornare sulla via del dialogo? «Sull'Iran
ci sono due questioni. Nessun Paese può andare verso una nuova
proliferazione, vale anche per la Corea del Nord. Sul nucleare
chiediamo un dialogo trasparente, basato sui principi delle Nazioni
Unite. Poi c'è la stabilizzazione dell'Afghanistan: Teheran ha
interesse a contrastare il traffico di droga e la lotta al terrorismo?
È su questi temi che devono aiutarci. La nostra mano è tesa, ma ci deve
essere qualcuno pronto a prenderla. E non possiamo attendere a tempo
indeterminato. A metà settembre ci sarà una riunione a New York dei
membri del G8 per fare il punto. La nostra posizione è di sgomento per
la repressione nel periodo elettorale e di sostegno all'Iran impegnato.
Quel popolo è vitale e ciò è ricchezza». Israele si sta preparando per un attacco all'Iran. Assisteremo a una nuova guerra? «L'Italia
è considerata il Paese più amico di Israele. Ma un attacco all'Iran
sarebbe una catastrofe per il mondo intero. L'Iran reagirebbe e si
innescherebbero delle reazioni belliche che oggi non possiamo
immaginare. Capisco la minaccia iraniana, ma auspico sia un'azione
tattica e non di guerra. Concentriamoci sull'azione internazionale
volta al dialogo e alla pace in Medio Oriente». Il
processo di pace tra israeliani e palestinesi viaggia lentamente.
Netanyahu e Abu Mazen sono i leader giusti per raggiungere l'obiettivo?
La pace è un obiettivo di tutti e l'apertura di Netanyahu
ci ha colpito positivamente. La sicurezza di Israele non è negoziabile
ma il tema delicato è la continuazione degli insediamenti. A riguardo
mi auguro si opti per la proposta di una moratoria per gli
insediamenti, che permetterebbe la continuazione dei negoziati. Credo
che una soluzione possibile sia la restituzione dei territori occupati
nel 1967. Magari non gli stessi luoghi, ma la restituzione della stessa
percentuale dei territori. Poi, oltre a questo, non dimentichiamo che
una pace richiede anche sviluppo economico per i palestinesi. La
soluzione è una combinazione tra pace politica ed economica». Gli Stati Uniti sono ancora i fidati alleati di Israele? «L'America
oggi vuole arrivare a una pace in fretta. E bisogna dire con amicizia a
Israele che su qualcosa deve cedere. Chiaramente ciò è possibile se
Hamas non condizionerà più la politica palestinese».
Fabio Perugia, Il Tempo, 17 luglio 2009 |
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pilpul |
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Rotschild Boulevard - A Tel Aviv il rialzo serve per migliorare la sicurezza
Tel
Aviv. Un'amica architetto mi ha informato di una legge da poco
introdotta a Tel Aviv. Per incentivare la ristrutturazione delle
vecchie case del centro, l'amministrazione comunale avrebbe stabilito
quanto segue: chi si accolla gli oneri di ristrutturare tutto il
palazzo, e soprattutto di adeguarlo alle normi antisismiche, ha diritto
di costruire per sé un nuovo piano. Sopra il tetto.
Nella
foto potete vedere uno dei risultati: una casa ristrutturata, nella
zona chic a Nord di Tel Aviv, con un piccolo "attico" costruito proprio
dove una volta finiva il palazzo. Per semplicistico che possa
sembrare, a me pare una buona idea. Lo dico senza pretendere di essere
un'esperta (davvero, non lo sono): viste tutte le polemiche sulle norme
antisismiche che ci sono state da noi dopo il terremoto dell'Aquila,
non si potrebbe introdurre una legge simile anche in Italia? Almeno si
potrebbe mantenere l'idea generale: permessi di costruire e ampliare
per chi ristruttura. Anche qui a Tel Aviv, va detto a onor del
vero, è più facile a dirsi che a farsi: "Convincere i condomini - mi ha
spiegato l'architetto - è un'impresa titanica".
Anna Momigliano |
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La trappola di Netanyahu: mostrare che i palestinesi non vogliono i due Stati [...]
La dichiarazione della Clinton che la corsa dell'Iran all'arma nucleare
è "inaccettabile" e l'invito ai Paesi arabi ad assumere "adesso"
iniziative per giungere alla normalizzazione dei rapporti con Israele
hanno creato soddisfazione anche se non sono bastate a cancellare i
sospetti. Per il governo di Gerusalemme la politica di "conversazione
col nemico" del presidente Obama resta preoccupante tanto più che si
teme che gli ostacoli incontrati da questa politica con la Russia e con
l'Iran non vengano compensati da un avvicinamento coi Paesi arabi a
scapito di Israele. Nella cerchia del premier Netanyahu si comincia a
credere che l'apparente realismo della Clinton verso gli arabi e in
particolare dei palestinesi sia anche l'effetto del piano di pace in
cinque punti varato dal governo e immediatamente respinto dai
palestinesi che lo considerano "una trappola". [...] R.A. Segre, Il Giornale, 19 luglio 2009
Quelli che tifano per la laicità di Gerusalemme Qualcuno
è sul piede di guerra a Gerusalemme. E non sono solamente i gruppi più
oltranzisti della comunità ultra-ortodossa, le cui proteste stanno
scuotendo la capitale ormai da quattro settimane. Per la prima volta da
quasi dieci anni, anche gli abitanti laici della città santa hanno
deciso di organizzarsi, scendere in piazza e fare valere i propri
diritti. Nel corso dell'ultimo decennio infatti gli ebrei
ultra-ortodossi hanno assunto un peso sempre maggiore nella capitale.
Tenere i negozi e i ristoranti aperti di sabato (giornata in cui la
religione ebraica prescrive il riposo) è diventato sempre più
difficile; un numero crescente di strade è stato chiuso al traffico
automobilistico durante lo Shabbat; e la principale compagnia di
trasporti locale Egghed ha inaugurato alcune linee di autobus
"segregate" in base al sesso: gli uomini davanti, le donne dietro, -
Per anni i laici e i religiosi moderati hanno accettato la
trasformazione di Gerusalemme senza quasi opporre resistenza. In molti
hanno lasciato l'austera capitale per trasferirsi nella "città del
peccato" Tel Aviv: l'esodo delle giovani coppie laiche da Gerusalemme è
ormai diventato proverbiale, tanto che il gruppo rap Ha-dag Ha-nachash
ci ha persino scritto una canzone. Poi qualcuno ha deciso che troppo è
troppo. [...] Anna Momigliano, Il Riformista, 19 luglio 2009
E' nascosta negli obitori di Teheran la verità su quel sabato di sangue L'Ironia
della sorte vuole che l'obitorio della facoltà di Medicina legale nella
capitale iraniana si trovi a Behesht Street, la via del Paradiso. Qui
sono stati ammassati i cadaveri di chi era stato massacrato a
bastonate, trivellato delle pallottole o trucidato sotto le torture
dopo le manifestazioni di piazza all'indomani delle elezioni del 12
giugno. Ufficialmente il numero delle vittime era 20, ma l'opposizione
riformista ha sostenuto che si è trattato invece di centinaia di morti,
per lo meno 120. Per giorni i congiunti delle vittime hanno fatto la
fila ai cancelli dell'obitorio per avere notizie dei figli, figlie,
mariti e padri e a qualcuno è stata persino chiesta una «tassa sui
proiettili», qualcosa pari a 3000 dollari per avere indietro la salma e
risarcire lo Stato delle spese sostenute per ucciderlo. Ma non tutti i
cadaveri erano in via del Paradiso. [...] Bijan Zarmandili, La Repubblica, 19 luglio 2009
Paragone improponibile Caro
Direttore, paragonare l'attuale legge sulla sicurezza, come ha fatto
una lettrice domenica 5 luglio, alle leggi razziali del 1938 e a quelle
successive del 1943 è assurdo. Gli ebrei non erano immigrati o
clandestini: erano italiani e tra l'altro erano arrivati a Roma circa
200 anni prima dei cristiani. Erano in tutto 50mila e avevano alle
spalle secoli di più o meno feroci persecuzioni; erano perfettamente
integrati e avevano dato notevoli contributi alla scienza, all'economia
e alla cultura italiana. La signora milanese può recarsi al Cdec
(Centro di documentazione ebraica contemporanea), che ha sede proprio
nella sua città, e vedere documentate le conseguenze delle leggi
razziali in Italia. Vada inoltre alla Stazione Centrale e si rechi al
binario 21, da dove il 30 gennaio 1944 600 ebrei di ogni età e
condizione sociale, furono caricati su vagoni bestiame alla volta di
Auschwitz. Francesco Zanatta Brescia, lettera, Avvenire, 19 luglio 2009
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Gerusalemme est: pressioni
statunitensi
per congelare un progetto edilizio Gerusalemme 19 lug - La
stampa israeliana riferisce che gli Stati Uniti hanno chiesto alle
autorità israeliane di bloccare un progetto edilizio a Gerusalemme est,
nel rione Sheikh Jarrah. Le autorità israeliane avrebbero intenzione di
abbattere l'Hotel Sheperd per realizzare una trentina di edifici
destinati ad una organizzazione ebraica. Il progetto di demolizione
dell’edificio, costruito nel secolo scorso dal Mufti Haj Amin
al-Husseini e situato nelle vicinanze dell’Orient House, dove si
trovavano un tempo alcuni uffici dell’OLP, ha scatenato l’ira fra i
palestinesi di Gerusalemme Est. “Le pressioni diplomatiche statunitensi
non saranno accolte” ha detto Yitzhak Aharonovic (Israel Beitenu),
ministro israeliano per la sicurezza interna. I progetti sono infatti
già stati approvati dal Municipio. L’arrivo in Israele di George
Mitchell, emissario statunitense inviato da Obama per discutere con i
dirigenti israeliani le modalità e i tempi di un congelamento delle
attività di colonizzazione in Cisgiordania, è nel frattempo slittato
alla prossima settimana.
Pressione Usa: Netanyahu interviene Gerusalemme 19 lug - Il
premier israeliano Benyamin Netanyahu, commentando le notizie stampa
sulle pressioni statunitensi per il congelamento di un progetto
edilizio ebraico nel rione di Sheikh Jarrah, a Gerusalemme est, ha
dichiarato: "Gerusalemme unificata è la capitale del popolo ebraico e
dello Stato di Israele. La nostra sovranità a Gerusalemme non può
essere messa in discussione". Le dichiarazioni sono state espresse in
occasione dell'apertura della seduta settimanale del Consiglio dei
ministri.
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L'Unione
delle Comunità Ebraiche Italiane sviluppa mezzi di comunicazione che
incoraggiano la conoscenza e il confronto delle realtà ebraiche. Gli
articoli e i commenti pubblicati, a meno che non sia espressamente
indicato il contrario, non possono essere intesi come una presa di
posizione ufficiale, ma solo come la autonoma espressione delle persone
che li firmano e che si sono rese gratuitamente disponibili. Gli
utenti che fossero interessati a partecipare alla sperimentazione
offrendo un proprio contributo, possono rivolgersi all'indirizzo desk@ucei.it per concordare le modalità di intervento.
Il servizio Notizieflash è realizzato dall'Unione delle Comunità
Ebraiche Italiane in collaborazione con la Comunità Ebraica di Trieste,
in redazione Daniela Gross. Avete
ricevuto questo messaggio perché avete trasmesso a Ucei
l'autorizzazione a comunicare con voi. Se non desiderate ricevere
ulteriori comunicazioni o se volete comunicare un nuovo indirizzo
e-mail, scrivete a: desk@ucei.it indicando nell'oggetto del messaggio “cancella” o “modifica”. |
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