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L'Unione informa |
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22 luglio 2009 - 1 Av 5769 |
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alef/tav |
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Alfonso
Arbib, rabbino capo di Milano |
Nelle
settimane tra il 17 di Tamuz e il 9 di Av i sefarditi e gli ashkenaziti
usano leggere delle haftarot speciali, la prima delle quali è l'inizio
del libro di Geremia. Geremia viene incaricato di diventare profeta ma
egli afferma di non essere adatto alla profezia perché non sa parlare,
visto che è un ragazzo. Dio risponde all'obiezione di Geremia dandogli
il dono della parola ma respingendo l'obiezione "sono un ragazzo", come
se Dio volesse comunicare a Geremia che essere un ragazzo non è un
difetto ma addirittura un pregio. Tutto il popolo ebraico viene
chiamato nà'ar - ragazzo, giovane. Essere o sentirsi ragazzi significa
sentirsi inadeguati, non ancora pronti ma contemporaneamente sentirsi
in crescita. La coscienza della propria inadeguatezza unita alla
volontà di crescere è la condizione fondamentale che dovrebbe
caratterizzare ognuno di noi in maniera particolare il popolo ebraico.
Tutti noi dovremmo sentirci in qualche modo ragazzi, incompleti,
inadeguati ma capaci di perfezionamento. |
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"Il pessimismo è un lusso che noi ebrei non possiamo permetterci" (Golda Meir) |
Guido Vitale,
giornalista |
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davar |
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L'ebraismo italiano verso il Mezzogiorno Presentata oggi la Giornata della cultura ebraica
Nella
Genesi, per ordine di Dio, il cammino di Abramo alla volta della Terra
promessa si dirige a Gerusalemme: a sud, in ebraico negba. Riecheggia
questa suggestione millenaria il richiamo lanciato quest'anno dalla
Giornata della cultura ebraica che in Italia vedrà come città capofila
Trani dove domenica 6 settembre prenderà il via “Negba – Verso il
Mezzogiorno”. Primo Festival della cultura ebraica in Puglia, fino al
10 settembre Negba proporrà una fitta scaletta d'appuntamenti di
approfondimento, musica, spettacoli e mostre sullo sfondo di alcune
delle più belle località pugliesi: da Bari a Otranto, da San Nicandro
Garganico a Lecce. Presentata oggi a Roma, nella sede del
Ministero dei Beni e delle attività culturali, in un'affollata
conferenza stampa cui hanno preso parte tra gli altri il presidente
dell'Ucei Renzo Gattegna, il presidente della Regione Puglia Nichi
Vendola e Alain Elkann, la Giornata della cultura ebraica – promossa
dall'Ucei sotto l'alto Patronato del Presidente della Repubblica, con
il patrocinio del ministero dell'Istruzione, dell'università e della
ricerca, del ministero per i Beni e le attività culturali e del
ministro per le politiche europee e, per la parte pugliese, in
collaborazione con la Regione Puglia - vivrà dunque quest'anno
un'edizione molto particolare. Nel suo decennale la
manifestazione, che nelle recenti edizioni ha totalizzato oltre 50 mila
visitatori, coniugherà infatti alle iniziative nelle 59 località
coinvolte a livello nazionale una proposta nuova che consentirà di
scoprire e riscoprire un ebraismo per secoli dimenticato che in questi
ultimi anni sta vivendo una straordinaria rinascita. A
caratterizzare l'edizione 2009 sarà in tutt'Italia il tema delle feste
e delle tradizioni ebraiche, simboleggiato dal bel melograno contenente
il desco della festa che campeggia sui materiali illustrativi. Ciascuna
località declinerà a modo suo l'argomento, così legato ai temi
dell'accoglienza e dell'ospitalità, abbinandovi – come vuole ormai la
tradizione – l'apertura dei siti ebraici dove le visite saranno spesso
curate dagli stessi iscritti delle Comunità ebraiche. E in Puglia la
festa avrà un sapore tutto particolare, ha sottolineato Renzo Gattegna. “In
quest'edizione – spiega - abbiamo trovato il coraggio di lanciarci per
la prima volta in un'emozionante avventura diretta verso il Meridione.
Si tratta solo del primo passo verso la riscoperta di un intero
capitolo della storia italiana e della storia ebraica”. “L'emozione è
grande – continua - perché avere alle spalle cinquecento anni di vuoto
fa venire le vertigini, perché è sconvolgente sollevare il velo di
silenzio per scoprire una realtà storica rimasta, non per caso, così a
lungo sconosciuta. La forza e la determinazione per affrontare questa
prova sono certamente scaturite dal consenso, dalla solidarietà,
dall'interesse e dalla sincera volontà di conoscenza di cui gli ebrei
in questo momento si sentono circondati in Italia”. Dopo cinque
secoli la gloriosa storia dell'ebraismo pugliese, finora approfondito
solo da pochi e appassionati studiosi, tornerà così all'attenzione
pubblica. Facendo rotta verso torneranno alla luce storie ed emozioni
antiche, canti e rituali affascinanti e persino i gusti speziati,
altrettanto indimenticabili, della cucina del nostro sud ebraico.
d.g.
Gattegna: "Trani, città
capofila della Giornata della Cultura, scelta emozionante e coraggiosa"
Di
seguito la versione integrale del discorso sostenuto dal Presidente
dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, Renzo Gattegna, in
occasione della presentazione della prossima Giornata Europea della
Cultura Ebraica (6 settembre 2009).
La
decima edizione della Giornata Europea della Cultura Ebraica coincide
con una interessante ed entusiasmante svolta, sempre mantenendo fermo
l’obiettivo di apertura dell’ebraismo verso tutti coloro che sono
interessati a conoscerne la cultura, la vita, i valori. Le
precedenti edizioni sono passate attraverso il recupero e la diffusione
della cultura tradizionale, l’apertura delle porte per consentire le
visite delle nostre sinagoghe, la conoscenza dei luoghi nei quali gli
ebrei hanno vissuto, la scoperta dei segni della presenza ebraica e
degli itinerari che sono stati percorsi nel corso della millenaria
diaspora. L’edizione del 2009 ci sta facendo provare l’emozione e
l’ebbrezza di una coraggiosa avventura: scegliere Trani come città
capofila per l’Italia della Giornata Europea della Cultura Ebraica e,
nello stesso tempo, promuovere in Puglia il primo Festival della
Cultura Ebraica denominato “Negba - Verso il Mezzogiorno”, è una
decisione che comporta rischi e incognite di varia natura. E’ la
prima volta che l’ebraismo italiano propone un’iniziativa così
importante in una regione dove la presenza di correligionari è limitata
e sparsa nel territorio. Ma la Puglia è ricca di storia e di tracce
della presenza ebraica. E proprio in Puglia assistiamo oggi ad un
interessante risveglio di vita ebraica e di interesse verso l’ebraismo
e la cultura ebraica. Anche per queste ragioni abbiamo ritenuto
non più rinviabile la riscoperta di un intenso capitolo della storia
italiana e della storia ebraica che da oltre 500 anni, e non per caso,
è rimasto quasi sconosciuto, e che è stato approfondito solo da pochi
appassionati studiosi.
Abbiamo trovato la forza e la
determinazione necessarie per proporre questo difficile argomento
perché in questo momento in Italia gli ebrei sentono di poter contare
su larghi consensi, solidarietà, interesse, simpatia e sincera volontà
di conoscenza. La prova di tutto ciò è data oltre che dall’Alto
Patronato del Presidente della Repubblica e dai numerosi e
significativi patrocini concessi alla Giornata Europea della Cultura
Ebraica, anche e soprattutto dalle strette sinergie operative nate, e
continuamente rafforzate, sia con il Ministero per i Beni e le Attività
Culturali che con la Regione Puglia. Cinquecento anni dopo la
scomparsa delle numerose comunità ebraiche dal sud d’Italia, il
desiderio di verità supera le passioni e il dolore per le persecuzioni
subite. Prevale ancora una volta il desiderio di conoscere, e di far
conoscere, il contributo ebraico allo sviluppo del Meridione, e quanto
l’Italia ha perduto con l’applicazione dei provvedimenti contro gli
ebrei anche nel Regno delle Due Sicilie, come era avvenuto nella
penisola iberica ad opera dell’Inquisizione spagnola, a partire dal
1492. Abbiamo deciso quindi di non limitarci ad aprire le nostre
porte e a far conoscere noi stessi e la nostra cultura, ma di andare
oltre, partendo dal presupposto che la storia e la civiltà sono un
patrimonio comune. A Trani città capofila della Giornata della Cultura,
che con Andria, Bari, Lecce, Oria, Otranto, San Nicandro Garganico,
ospiteranno il Festival, compiamo il primo passo verso la riscrittura
di un intero capitolo, che è parte integrante della storia d’Italia e
degli ebrei italiani.
Renzo Gattegna, Presidente dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane
L'identità ebraica in scena al di là degli stereotipi Parla Gioele Dix, direttore artistico del festival Negba
Uno
sguardo nuovo sull'identità ebraica. Al di là di quegli stereotipi che
nell'immaginario collettivo si condensano in modo quasi inevitabile
attorno ai temi della Shoah e del conflitto arabo israeliano. Sarà
questa la cifra di contenuto e di stile, che, nell'intenzione del
direttore artistico Gioele Dix, attore e autore teatrale, una delle
voci più interessanti della scena italiana contemporanea,
contraddistinguerà il primo Festival della cultura ebraica in Puglia.
“In questa regione, che vanta antiche e illustri tracce d'ebraismo,
vorrei fornire al pubblico alcune chiavi di lettura e conoscenza capaci
di superare qualche luogo comune e di generare spunti diversi di
riflessione. Il programma degli spettacoli si caratterizza dunque per
la scelta di coinvolgere alcuni autori e interpreti italiani nella
messa a fuoco, da differenti punti d'osservazione, delle principali
tematiche dell'ebraismo contemporaneo”. Gioele Dix, quale sarà la proposta artistica del Festival Negba? Metteremo
in scena alcune novità opera di autori che sono accomunati da una
scrittura convincente e attuale. Ho voluto così evitare il clichè dei
grandi nomi e le ritualità per offrire un panorama drammaturgico più
interessante dal punto di vista teatrale. Il criterio è stato quello di
privilegiare il teatro come forma d'interpretazione della realtà più
che come descrizione. Se il linguaggio teatrale ha una forza è proprio
nella sua possibilità di fornire nuove visioni e letture della realtà
che ci circonda. I quattro spettacoli che compongono il festival
vedranno dunque al centro la parola declinata attraverso diverse
sfaccettature dell'identità ebraica. Il
programma artistico si apre domenica 6 a Trani con il tuo spettacolo
“La Bibbia ha (quasi) sempre ragione”, incentrato sul tema delle radici
e dell'identità ebraica. Un'apertura non casuale. Questo
spettacolo è stato il mio modo di affrontare questioni centrali per
ciascuno di noi nella forma più vicina alla mia sensibilità e dunque in
chiave comico ironica sperimentando un intreccio di generi e una
poliedricità che credo si leghi bene al cosmopolitismo che contrassegna
il mondo ebraico. Si tratta di una piéce che rimanda alla Bibbia e
dunque a un patrimonio culturale fertilissimo di curiosità e di
passioni condiviso dal mondo cristiano. Partire dalla Bibbia significa
dunque tenere aperta la comunicazione con il mondo. Non solo. Il
rapporto con la Torah è il paradigma che informa tutte le nostre vite,
dal rapporto con il divino alle più minute abitudini quotidiane. Un
grande nome è però presente al festival ed è quello di Ottavia Piccolo
che lunedì 7 a Lecce offrirà, insieme a Bebo Baldan, un recital in
esclusiva intitolato “Ma che razza di mondo ...” Ottavia
Piccolo coltiva da sempre un grande interesse per la cultura ebraica
che qui trova un'espressione di grande fascino attraverso una serie di
contributi letterari che spaziano da Brecht a Singer a Dorothy Parker.
Questa grande interprete ci offrirà dunque una straordinaria
testimonianza di una passione intellettuale di lunga data. Vi
è poi uno stereotipo rovesciato in “L'ultima lettera di Shylock” di
Nicola Fano con Vittorio Viviani in scena mercoledì 9 a Lecce. Si
tratta di una provocazione teatrale che vede uno Shylock redivivo
scrivere a Shakespeare contestandogli i pregiudizi a cui l'ha costretto
per secoli. Si tratta di un testo molto divertente anche perché gioca,
in modo pirandelliano, sull'autoreferenzialità del teatro. La sezione teatrale si chiude il 10 settembre a Trani con i “I silenzi di Joe”, di Fabio Della Seta, con Elia Shilton. Scoperto
da André Ruth Shammah, quello di Della Seta è in testo che indaga con
acume e sensibilità tutta ebraica il complesso tema del quotidiano
dialogo che intratteniamo con l'Onnipotente. Nella finzione scenica
domina il silenzio del divino che il protagonista legge però con ironia
e fiducia anche quando si ritrova immerso nel dolore più profondo.
Daniela Gross
Dall'ebraismo del Sud un messaggio di pace Intervista a Nichi Vendola
Una
ricerca delle radici. Ma non solo. “Per la Puglia la riscoperta del suo
ebraismo si lega in modo inestricabile ai temi della pace, della
solidarietà e della fratellanza dei popoli. E rappresenta una
straordinaria possibilità in più di perlustrare la nostra stessa
umanità”. Nasce da queste premesse, dice Nichi Vendola, presidente
della Regione Puglia, la decisione di promuovere insieme all'Ucei e
alle amministrazioni comunali coinvolte il primo Festival della cultura
ebraica in Puglia. Presidente Vendola, che significato ha per la Puglia questo rilancio culturale del mondo ebraico? S'inserisce
appieno nel solco tracciato in questi anni dal governo regionale. La
rinascita in atto dell'ebraismo pugliese ci rimanda a una delle radici
più forti che attraversano il nostro Meridione e suscita in tutti noi
una forte emozione. La riapertura dopo cinque secoli della Sinagoga di
Trani, una delle cittadine più incantevoli della mia regione, è una
buona notizia per tutti. E' un segno della vita che torna a fiorire. Senz'altro.
In questi anni la Regione ha proposto una sorta di percorso di
conoscenza della realtà ebraica orientato verso Nord. Per anni abbiamo
organizzato i Treni della memoria grazie a cui i ragazzi delle nostre
scuole hanno potuto conoscere cos'è stata la Shoah. Adesso
andiamo a Sud, alla ricchezza del mondo ebraico, alle sue feste, sapori
e tradizioni con un festival che vorrei potesse divenire annuale.
Parliamo dunque di vita, di accoglienza, di convivialità delle
differenze. E a questo proposito mi piace ricordare che di recente è
stata la medaglia d'oro al valore civile a Nardò, cittadina dove ai
tempi della seconda guerra mondiale la popolazione accolse con grande
generosità gli ebrei in fuga dalle persecuzioni. Un messaggio importante di questi tempi che vedono risorgere con sempre maggiore forza i razzismi e le intolleranze. La
speranza è che il Festival possa contribuire a riannodare i fili della
cooperazione tra i popoli, della solidarietà e della condivisione, gli
unici veri anticorpi in grado di scacciare i fantasmi della paura delle
diversità e di combattere i pregiudizi. Vorrei fossimo capaci di
costruire una festa dello scambio in direzione di un Mediterraneo che
torna a essere centro di relazioni feconde e di pace”.
d.g.
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Redazione aperta - Rav Riccardo Di Segni e le sfide dell'informazione
Quali
sono le principali differenze tra il modello d’informazione
anglosassone e quello che si configura qui in Italia? Esiste la
possibilità di uniformare i canali d’accesso alla professione che
collocano l’Italia in una posizione di embargo normativo? Sull’analisi
di queste problematiche ha preso il via la seconda giornata di lavoro
per la redazione di moked.it La redazione si è lanciata alla scoperta di alcuni concetti
chiave della professione giornalistica, analizzando nello specifico
l’identità stessa del giornalista connessa con le modalità di accesso
alla carriera.
Se si ha intenzione di operare in ambiti specifici come quello ebraico,
si presenteranno ulteriori problematiche, chi infatti è idoneo ad
esercitare la professione in un contesto così peculiare? È sufficiente
una formazione meramente professionale? Secondo Rav Riccardo Di Segni, rabbino capo della Comunità Ebraica di Roma, invitato a Trieste in occasione dell’iniziativa Redazione aperta,
si dovrebbe avere sia una formazione professionale, sia un’educazione
ebraica, egli afferma infatti che nessun argomento per quanto
controverso è in definitiva inaffrontabile se si ha cognizione profonda
delle sue premesse. Per comprendere i temi che ogni giorno
infuocano il dibattito comunitario, un giornalista ebreo deve poter
contare su un solido background religioso e culturale che gli permetta
di comprendere le realtà che ruotano intorno al mondo ebraico senza
travisarne il significato. La sfida per il futuro sarà quella di
riuscire ad informare all’interno per creare un ebraismo consapevole,
in grado di affrontare adeguatamente e senza timidezza le sfide
lanciate dal mondo esterno. In Italia si è giornalisti professionisti se si è
iscritti all’albo, previo praticantato di 18 mesi e superamento
dell’esame d’accesso all’ordine, negli Stati Uniti la realtà è ben
diversa: lo stretto legame tra università e produzioni
editoriali, già da molti anni ha permesso di individuare un cammino
definito per chi oggi vuole intraprendere oltre oceano la professione
giornalistica. È impensabile che in America un giornalista non sia
laureato e che provenendo da una formazione universitaria non ad hoc
possa anche solo definirsi tale, inoltre la possibilità di accesso alla
professione è legata a filo doppio con la disponibilità di un editore
ad assumere con contratti minimi che spesso rasentano la prestazione
gratuita e comunque senza nessuna garanzia sul piano della durata. La giornata si è conclusa con la visione del mitico film Citizen Kane
(Quarto potere) di Orson Welles presentato da David Pagliaro: una riflessione sul potere, in generale nella
società capitalistica americana e, nello specifico, sul potere in essa
della stampa e dell’informazione.
Michael Calimani |
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Viaggio a Modiin. La grande colonia che non sa di esserlo
Vallata
di Modiin, (Israele e Cisgiordania). Provate a chiedere a un abitante
qualsiasi di questa città se sa che uno dei più grandi sobborghi di
Modim è, tecnicamente, una “colonia”. Lui vi guarderà come se veniste
da un altro pianeta. Piccole villette in pietra con giardino, qualche
palazzina ordinata e senza pretese, un grande centro commerciale e
pessimi, servizi di trasporto pubblico (in alcuni quartieri l'autobus
passa una volta ogni ora): Modiin è una città moderna, fondata nel
1993, circa a metà strada tra Gerusalemme e Tel Aviv. Ci abitano
soprattutto giovani coppie che lavorano nelle città vicine ma che non
possono permettersi un affitto salato: 67 mila anime, collegate
metropoli da una nuova rete ferroviaria. Laici e religiosi, che
convivono tranquillamente senza le tensioni che ci sono a Gerusalemme:
mamme super-moderne in minigonna spingono passeggini negli stessi
giardini pubblici dove gioca a pallone un gruppo di ragazzini con
“kippà srugà” (la papalina all'uncinetto) e scialle rituale. La
municipalità di Modiin è interamente al di qua della linea verde che
separa Israele dai Territori palestinesi conquistati nel 1967 (prima
della guerra, facevano parte della Giordania). Dal 1997 è gemellata con
Hagen, ridente cittadina del Nord Reno-Westfalia. Il contenzioso
sorge però quando si arriva a Modiin Illit, o Modiin Alta , il
principale sobborgo di questa città. Che è costruito circa due
chilometri al di là della Linea Verde. Di conseguenza, con i suoi quasi
40 mila abitanti, Modiin Alta è la più grande colonia ebraica nei
Territori palestinesi. Problema: in pochi, da queste parti, sembrano
sapere che si tratti di una colonia. “E' solo una parte di Modiin, noi
vi sembriamo dei coloni?” dice una coppia di immigrati francesi
dall'abbigliamento decisamente moderno e laico. La popolazione di
Modiin Alta tende a essere più religiosa rispetto a quella del centro
città. C' è anche una prestigiosa scuola rabbinica, ma sono quasi tutti
ortodossi della tradizione lituana, che passano il tempo a studiare i
testi sacri. Non hanno nulla a che vedere con il movimento “nazional
religioso” che sostiene l'espansione delle colonie, e che è composto da
agricoltori armati di zappa e mitraglietta, più che da studiosi di nero
vestiti. Sorpresa: non tutte le colonie sono abitate da coloni.
O meglio: non tutte le colonie sono abitate da coloro che normalmente
si definiscono coloni. Ovvero i “settler” che spesso compaiono sui
media, persone determinate a insediarsi nei Territori palestinesi (loro
ovviamente preferiscono chiamarli Giudea e Samaria), guidate
dall'ideologia della Grande Israele . I settler duri e puri esistono,
eccome: ce ne sono molti in insediamenti armati fino ai denti, come
Tekoa; ce n'erano molti a Gush Katif, il più grande gruppo di colonie
evacuate a Gaza; nella città di Hebron sono relativamente pochi ma si
fanno notare, visto che il loro comportamento aggressivo nei confronti
dei vicini di casa palestinesi ha ripetutamente attirato l'attenzione
delle organizzazioni umanitarie. Esistono però anche molti
coloni che non sanno neppure di esserlo. Israeliani che vivono qualche
chilometro, se non addirittura qualche centinaia di metri, al di là
della Linea Verde senza che nessuno li abbia informati della cosa. Non
vuole essere una giustificazione. Ma il fatto è che la questione delle
colonie e del loro congelamento, sollevata dal presidente americano
Barack Obama, è molto più complicata di quanto non potrebbe sembrare. A
parte i casi ovvi di cittadelle ebraiche costruite nei bei mezzo della
Cisgiordania, non sempre è così facile stabilire che cosa sia una
colonia e che cosa no Tecnicamente, alcuni dei principali
quartieri di Gerusalemme abitati da una maggioranza ebraica sono stati
conquistati durante la Guerra dei Sei Giorni. La lista include Han
Hatzofim, o Monte Scopus dove sorge il campus principale
dell'Università. Obama vuole bloccare le costruzioni anche lì? Oppure
Givà Tzarfatit (la “collina francese”), che sta tra il quartiere
universitario e la parte occidentale della città. Giusto o sbagliato,
ormai quelli sono quartieri ebraici dove abita gente tranquilla che si
è gradualmente stabilita lì nel corso dei decenni. Esistono per anche
quartieri arabi dove si insediano di proposito attivisti della destra
religiosa: è il caso di Silwan, un quartiere arabo nei pressi delle
mura antiche che l'organizzazione di destra “Elad” sta tentando di
trasformare in una zona ebraica. Per il resto, esistono tante zone
grigie. L'ultimo contrasto tra il primo ministro israeliano
Benyamin Netanyahu e l'amministrazione Obama è sorto proprio attorno ad
alcune costruzioni a Gerusalemme Est. Il magnate Irving Moskowitz
vorrebbe demolire l'hotel Shepher, da lui acquistato negli anni
Ottanta, per costruirci venti appartamenti. Il consiglio comunale ha
dato l'approvazione. Due giorni fa la stampa israeliana riportava che
il presidente americano avrebbe chiamato a colloquio l'ambasciatore
Michael Oren per protestare.
Anna Momigliano, Il Riformista, 22 luglio 2009 |
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Israele e il diritto incontestabile su Gerusalemme Est Tel Aviv, 21 lug - Israele
non cederà alle pressioni internazionali per uno stop dei suoi
programmi edilizi a Gerusalemme Est (annessa dallo Stato israeliano nel
1967). Israele ritiene i propri diritti sulla parte est della città
incontestabili. Queste la risposta del viceministro degli Esteri, Dany
Ayalon, ai richiami giunti da Mosca, in sintonia con quelli degli Stati
Uniti e dell'Europa. "Israele continuerà a operare in accordo con i
propri interessi nazionali vitali", ha affermato Ayalon. "Il nostro
diritto di governare e sviluppare Gerusalemme è inconfutabile", ha
aggiunto, ribadendo il concetto espresso dal premier, Benyamin
Netanyahu, secondo cui l'intera città di Gerusalemme è ormai "capitale
indivisibile" d'Israele. L'amministrazione Obama, anche in conseguenza
del caso sulla demolizione di un albergo nel cuore di Gerusalemme Est,
destinato a fare spazio ad appartamenti appaltati da un uomo d'affari
ebreo-americano (legato a gruppi della destra nazionalista israeliana),
ha convocato l'ambasciatore israeliano a Washington per protestare
contro il progetto e rinnovare la richiesta di un congelamento di tutti
gli insediamenti israeliani nei territori occupati, mentre un passo
analogo è stato compiuto oggi dalla Francia. Russia e Ue - componenti
con Usa e Onu del Quartetto dei mediatori per il Medio Oriente - si
sono a loro volta aggiunte al coro, invocando la fine di ogni
intervento edilizio a Gerusalemme Est in ragione del fatto che la
comunità internazionale non riconosce la sovranità rivendicata da
Israele su questa parte della Città Santa.
Frattini: “I problemi dell'area mediterranea devono essere risolti con la politica” Milano, 21 lug - "La
crisi di Gaza ha congelato le attività politiche dell'Unione per il
Mediterraneo", questa la dichiarazione del ministro degli Esteri Franco
Frattini, che ha partecipato a Milano al Forum economico finanziario
sul Mediterraneo. Nel suo discorso il titolare della Farnesina ha
sottolineato che deve essere la politica a risolvere i problemi
dell'area mediterranea: "Deve essere la politica - ha spiegato - a dare
la pace a Israele e alla Palestina, perché l'economia non può fare la
differenza. E' quindi necessario far ripartire il dialogo tra tutti i
paesi interessati". Se si vuole arrivare ad un'integrazione economica
dell'area mediterranea è necessario "risolvere il problema di Cipro" e
quello della Turchia che "deve avere un futuro europeo perché non
possiamo dire no solo perché ci sono 80 milioni di cittadini
musulmani". "Tutto questo - ha concluso - può esser fatto in un momento
in cui l'Unione europea e gli Stati Uniti, dopo molti anni, hanno una
voce sola. Bisogna cogliere questo momento magico". |
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L'Unione
delle Comunità Ebraiche Italiane sviluppa mezzi di comunicazione che
incoraggiano la conoscenza e il confronto delle realtà ebraiche. Gli
articoli e i commenti pubblicati, a meno che non sia espressamente
indicato il contrario, non possono essere intesi come una presa di
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che li firmano e che si sono rese gratuitamente disponibili. Gli
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Il servizio Notizieflash è realizzato dall'Unione delle Comunità
Ebraiche Italiane in collaborazione con la Comunità Ebraica di Trieste,
in redazione Daniela Gross. Avete
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