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L'Unione informa
 
    22 luglio 2009 - 1 Av 5769  
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Moked - il portale dell´ebraismo italiano
alef/tav    
  Alfonso Arbib Alfonso
Arbib,

rabbino capo
di Milano
Nelle settimane tra il 17 di Tamuz e il 9 di Av i sefarditi e gli ashkenaziti usano leggere delle haftarot speciali, la prima delle quali è l'inizio del libro di Geremia. Geremia viene incaricato di diventare profeta ma egli afferma di non essere adatto alla profezia perché non sa parlare, visto che è un ragazzo. Dio risponde all'obiezione di Geremia dandogli il dono della parola ma respingendo l'obiezione "sono un ragazzo", come se Dio volesse comunicare a Geremia che essere un ragazzo non è un difetto ma addirittura un pregio. Tutto il popolo ebraico viene chiamato nà'ar - ragazzo, giovane. Essere o sentirsi ragazzi significa sentirsi inadeguati, non ancora pronti ma contemporaneamente sentirsi in crescita. La coscienza della propria inadeguatezza unita alla volontà di crescere è la condizione fondamentale che dovrebbe caratterizzare ognuno di noi in maniera particolare il popolo ebraico. Tutti noi dovremmo sentirci in qualche modo ragazzi, incompleti, inadeguati ma capaci di perfezionamento.  
"Il pessimismo è un lusso che noi ebrei non possiamo permetterci" (Golda Meir)  Guido
Vitale,

giornalista
Guido Vitale  
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  L'ebraismo italiano verso il Mezzogiorno
Presentata oggi la Giornata della cultura ebraica


Logo CulturaNella Genesi, per ordine di Dio, il cammino di Abramo alla volta della Terra promessa si dirige a Gerusalemme: a sud, in ebraico negba. Riecheggia questa suggestione millenaria il richiamo lanciato quest'anno dalla Giornata della cultura ebraica che in Italia vedrà come città capofila Trani dove domenica 6 settembre prenderà il via “Negba – Verso il Mezzogiorno”. Primo Festival della cultura ebraica in Puglia, fino al 10 settembre Negba proporrà una fitta scaletta d'appuntamenti di approfondimento, musica, spettacoli e mostre sullo sfondo di alcune delle più belle località pugliesi: da Bari a Otranto, da San Nicandro Garganico a Lecce.
Presentata oggi a Roma, nella sede del Ministero dei Beni e delle attività culturali, in un'affollata conferenza stampa cui hanno preso parte tra gli altri il presidente dell'Ucei Renzo Gattegna, il presidente della Regione Puglia Nichi Vendola e Alain Elkann, la Giornata della cultura ebraica – promossa dall'Ucei sotto l'alto Patronato del Presidente della Repubblica, con il patrocinio del ministero dell'Istruzione, dell'università e della ricerca, del ministero per i Beni e le attività culturali e del ministro per le politiche europee e, per la parte pugliese, in collaborazione con la Regione Puglia - vivrà dunque quest'anno un'edizione molto particolare.
Nel suo decennale la manifestazione, che nelle recenti edizioni ha totalizzato oltre 50 mila visitatori, coniugherà infatti alle iniziative nelle 59 località coinvolte a livello nazionale una proposta nuova che consentirà di scoprire e riscoprire un ebraismo per secoli dimenticato che in questi ultimi anni sta vivendo una straordinaria rinascita.
A caratterizzare l'edizione 2009 sarà in tutt'Italia il tema delle feste e delle tradizioni ebraiche, simboleggiato dal bel melograno contenente il desco della festa che campeggia sui materiali illustrativi. Ciascuna località declinerà a modo suo l'argomento, così legato ai temi dell'accoglienza e dell'ospitalità, abbinandovi – come vuole ormai la tradizione – l'apertura dei siti ebraici dove le visite saranno spesso curate dagli stessi iscritti delle Comunità ebraiche. E in Puglia la festa avrà un sapore tutto particolare, ha sottolineato Renzo Gattegna.
“In quest'edizione – spiega - abbiamo trovato il coraggio di lanciarci per la prima volta in un'emozionante avventura diretta verso il Meridione. Si tratta solo del primo passo verso la riscoperta di un intero capitolo della storia italiana e della storia ebraica”. “L'emozione è grande – continua - perché avere alle spalle cinquecento anni di vuoto fa venire le vertigini, perché è sconvolgente sollevare il velo di silenzio per scoprire una realtà storica rimasta, non per caso, così a lungo sconosciuta. La forza e la determinazione per affrontare questa prova sono certamente scaturite dal consenso, dalla solidarietà, dall'interesse e dalla sincera volontà di conoscenza di cui gli ebrei in questo momento si sentono circondati in Italia”.
Dopo cinque secoli la gloriosa storia dell'ebraismo pugliese, finora approfondito solo da pochi e appassionati studiosi, tornerà così all'attenzione pubblica. Facendo rotta verso torneranno alla luce storie ed emozioni antiche, canti e rituali affascinanti e persino i gusti speziati, altrettanto indimenticabili, della cucina del nostro sud ebraico.

d.g.




Gattegna: "Trani, città capofila della Giornata della Cultura,
scelta emozionante e coraggiosa"


gattegnaDi seguito la versione integrale del discorso sostenuto dal Presidente dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, Renzo Gattegna, in occasione della presentazione della prossima Giornata Europea della Cultura Ebraica (6 settembre 2009).

La decima edizione della Giornata Europea della Cultura Ebraica coincide con una interessante ed entusiasmante svolta, sempre mantenendo fermo l’obiettivo di apertura dell’ebraismo verso tutti coloro che sono interessati a conoscerne la cultura, la vita, i valori.
Le precedenti edizioni sono passate attraverso il recupero e la diffusione della cultura tradizionale, l’apertura delle porte per consentire le visite delle nostre sinagoghe, la conoscenza dei luoghi nei quali gli ebrei hanno vissuto, la scoperta dei segni della presenza ebraica e degli itinerari che sono stati percorsi nel corso della millenaria diaspora.
L’edizione del 2009 ci sta facendo provare l’emozione e l’ebbrezza di una coraggiosa avventura: scegliere Trani come città capofila per l’Italia della Giornata Europea della Cultura Ebraica e, nello stesso tempo, promuovere in Puglia il primo Festival della Cultura Ebraica denominato “Negba - Verso il Mezzogiorno”, è una decisione che comporta rischi e incognite di varia natura.
E’ la prima volta che l’ebraismo italiano propone un’iniziativa così importante in una regione dove la presenza di correligionari è limitata e sparsa nel territorio. Ma la Puglia è ricca di storia e di tracce della presenza ebraica. E proprio in Puglia assistiamo oggi ad un interessante risveglio di vita ebraica e di interesse verso l’ebraismo e la cultura ebraica. 
Anche per queste ragioni abbiamo ritenuto non più rinviabile la riscoperta di un intenso capitolo della storia italiana e della storia ebraica che da oltre 500 anni, e non per caso, è rimasto quasi sconosciuto, e che è stato approfondito solo da pochi appassionati studiosi.

Abbiamo trovato la forza e la determinazione necessarie per proporre questo difficile argomento perché in questo momento in Italia gli ebrei sentono di poter contare su larghi consensi, solidarietà, interesse, simpatia e sincera volontà di conoscenza.
La prova di tutto ciò è data oltre che dall’Alto Patronato del Presidente della Repubblica e dai numerosi e significativi patrocini concessi alla Giornata Europea della Cultura Ebraica, anche e soprattutto dalle strette sinergie operative nate, e continuamente rafforzate, sia con il Ministero per i Beni e le Attività Culturali che con la Regione Puglia.
Cinquecento anni dopo la scomparsa delle numerose comunità ebraiche dal sud d’Italia, il desiderio di verità supera le passioni e il dolore per le persecuzioni subite. Prevale ancora una volta il desiderio di conoscere, e di far conoscere, il contributo ebraico allo sviluppo del Meridione, e quanto l’Italia ha perduto con l’applicazione dei provvedimenti contro gli ebrei anche nel Regno delle Due Sicilie, come era avvenuto nella penisola iberica ad opera dell’Inquisizione spagnola, a partire dal 1492.
Abbiamo deciso quindi di non limitarci ad aprire le nostre porte e a far conoscere  noi stessi e la nostra cultura, ma di andare oltre, partendo dal presupposto che la storia e la civiltà sono un patrimonio comune. A Trani città capofila della Giornata della Cultura, che con  Andria, Bari, Lecce, Oria, Otranto, San Nicandro Garganico, ospiteranno il Festival, compiamo il primo passo verso la riscrittura di un intero capitolo, che è parte integrante della storia d’Italia e degli ebrei italiani.

Renzo Gattegna, Presidente dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane 





L'identità ebraica in scena al di là degli stereotipi
Parla Gioele Dix, direttore artistico del festival Negba


Logo NegbaUno sguardo nuovo sull'identità ebraica. Al di là di quegli stereotipi che nell'immaginario collettivo si condensano in modo quasi inevitabile attorno ai temi della Shoah e del conflitto arabo israeliano. Sarà questa la cifra di contenuto e di stile, che, nell'intenzione del direttore artistico Gioele Dix, attore e autore teatrale, una delle voci più interessanti della scena italiana contemporanea, contraddistinguerà il primo Festival della cultura ebraica in Puglia. “In questa regione, che vanta antiche e illustri tracce d'ebraismo, vorrei fornire al pubblico alcune chiavi di lettura e conoscenza capaci di superare qualche luogo comune e di generare spunti diversi di riflessione. Il programma degli spettacoli si caratterizza dunque per la scelta di coinvolgere alcuni autori e interpreti italiani nella messa a fuoco, da differenti punti d'osservazione, delle principali tematiche dell'ebraismo contemporaneo”.
Gioele Dix, quale sarà la proposta artistica del Festival Negba?
Metteremo in scena alcune novità opera di autori che sono accomunati da una scrittura convincente e attuale. Ho voluto così evitare il clichè dei grandi nomi e le ritualità per offrire un panorama drammaturgico più interessante dal punto di vista teatrale. Il criterio è stato quello di privilegiare il teatro come forma d'interpretazione della realtà più che come descrizione. Se il linguaggio teatrale ha una forza è proprio nella sua possibilità di fornire nuove visioni e letture della realtà che ci circonda. I quattro spettacoli che compongono il festival vedranno dunque al centro la parola declinata attraverso diverse sfaccettature dell'identità ebraica.
Il programma artistico si apre domenica 6 a Trani con il tuo spettacolo “La Bibbia ha (quasi) sempre ragione”, incentrato sul tema delle radici e dell'identità ebraica. Un'apertura non casuale.
Questo spettacolo è stato il mio modo di affrontare questioni centrali per ciascuno di noi nella forma più vicina alla mia sensibilità e dunque in chiave comico ironica sperimentando un intreccio di generi e una poliedricità che credo si leghi bene al cosmopolitismo che contrassegna il mondo ebraico. Si tratta di una piéce che rimanda alla Bibbia e dunque a un patrimonio culturale fertilissimo di curiosità e di passioni condiviso dal mondo cristiano. Partire dalla Bibbia significa dunque tenere aperta la comunicazione con il mondo. Non solo. Il rapporto con la Torah è il paradigma che informa tutte le nostre vite, dal rapporto con il divino alle più minute abitudini quotidiane.
Un grande nome è però presente al festival ed è quello di Ottavia Piccolo che lunedì 7 a Lecce offrirà, insieme a Bebo Baldan, un recital in esclusiva intitolato “Ma che razza di mondo ...”
Ottavia Piccolo coltiva da sempre un grande interesse per la cultura ebraica che qui trova un'espressione di grande fascino attraverso una serie di contributi letterari che spaziano da Brecht a Singer a Dorothy Parker. Questa grande interprete ci offrirà dunque una straordinaria testimonianza di una passione intellettuale di lunga data.
Vi è poi uno stereotipo rovesciato in “L'ultima lettera di Shylock” di Nicola Fano con Vittorio Viviani in scena mercoledì 9 a Lecce.
Si tratta di una provocazione teatrale che vede uno Shylock redivivo scrivere a Shakespeare contestandogli i pregiudizi a cui l'ha costretto per secoli. Si tratta di un testo molto divertente anche perché gioca, in modo pirandelliano, sull'autoreferenzialità del teatro.
La sezione teatrale si chiude il 10 settembre a Trani con i “I silenzi di Joe”, di Fabio Della Seta, con Elia Shilton.
Scoperto da André Ruth Shammah, quello di Della Seta è in testo che indaga con acume e sensibilità tutta ebraica il complesso tema del quotidiano dialogo che intratteniamo con l'Onnipotente. Nella finzione scenica domina il silenzio del divino che il protagonista legge però con ironia e fiducia anche quando si ritrova immerso nel dolore più profondo.

Daniela Gross




Dall'ebraismo del Sud un messaggio di pace
Intervista a Nichi Vendola

Logo NegbaUna ricerca delle radici. Ma non solo. “Per la Puglia la riscoperta del suo ebraismo si lega in modo inestricabile ai temi della pace, della solidarietà e della fratellanza dei popoli. E rappresenta una straordinaria possibilità in più di perlustrare la nostra stessa umanità”. Nasce da queste premesse, dice Nichi Vendola, presidente della Regione Puglia, la decisione di promuovere insieme all'Ucei e alle amministrazioni comunali coinvolte il primo Festival della cultura ebraica in Puglia.
Presidente Vendola, che significato ha per la Puglia questo rilancio culturale del mondo ebraico?
S'inserisce appieno nel solco tracciato in questi anni dal governo regionale. La rinascita in atto dell'ebraismo pugliese ci rimanda a una delle radici più forti che attraversano il nostro Meridione e suscita in tutti noi una forte emozione. La riapertura dopo cinque secoli della Sinagoga di Trani, una delle cittadine più incantevoli della mia regione, è una buona notizia per tutti.
E' un segno della vita che torna a fiorire.
Senz'altro. In questi anni la Regione ha proposto una sorta di percorso di conoscenza della realtà ebraica orientato verso Nord. Per anni abbiamo organizzato i Treni della memoria grazie a cui i ragazzi delle nostre scuole hanno potuto conoscere cos'è stata la Shoah.  Adesso andiamo a Sud, alla ricchezza del mondo ebraico, alle sue feste, sapori e tradizioni con un festival che vorrei potesse divenire annuale. Parliamo dunque di vita, di accoglienza, di convivialità delle differenze. E a questo proposito mi piace ricordare che di recente è stata la medaglia d'oro al valore civile a Nardò, cittadina dove ai tempi della seconda guerra mondiale la popolazione accolse con grande generosità gli ebrei in fuga dalle persecuzioni.
Un messaggio importante di questi tempi che vedono risorgere con sempre maggiore forza i razzismi e le intolleranze.
La speranza è che il Festival possa contribuire a riannodare i fili della cooperazione tra i popoli, della solidarietà e della condivisione, gli unici veri anticorpi in grado di scacciare i fantasmi della paura delle diversità e di combattere i pregiudizi. Vorrei fossimo capaci di costruire una festa dello scambio in direzione di un Mediterraneo che torna a essere centro di relazioni feconde e di pace”.

d.g.

 
 
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  Rav Di SegniRedazione aperta - Rav Riccardo Di Segni
e le sfide dell'informazione


Quali sono le principali differenze tra il modello d’informazione anglosassone e quello che si configura qui in Italia? Esiste la possibilità di uniformare i canali d’accesso alla professione che collocano l’Italia in una posizione di embargo normativo? Sull’analisi di queste problematiche ha preso il via la seconda giornata di lavoro per la redazione di moked.it  La redazione si è lanciata alla scoperta di alcuni concetti chiave della professione giornalistica, analizzando nello specifico l’identità stessa del giornalista connessa con le modalità di accesso alla carriera.
Se si ha intenzione di operare in ambiti specifici come quello ebraico, si presenteranno ulteriori problematiche, chi infatti è idoneo ad esercitare la professione in un contesto così peculiare? È sufficiente una formazione meramente professionale? Secondo Rav Riccardo Di Segni, rabbino capo della Comunità Ebraica di Roma, invitato a Trieste in occasione dell’iniziativa Redazione aperta, si dovrebbe avere sia una formazione professionale, sia un’educazione ebraica, egli afferma infatti che nessun argomento per quanto controverso è in definitiva inaffrontabile se si ha cognizione profonda delle sue premesse.
Per comprendere i temi che ogni giorno infuocano il dibattito comunitario, un giornalista ebreo deve poter contare su un solido background religioso e culturale che gli permetta di comprendere le realtà che ruotano intorno al mondo ebraico senza travisarne il significato. La sfida per il futuro sarà quella di riuscire ad informare all’interno per creare un ebraismo consapevole, in grado di affrontare adeguatamente e senza timidezza le sfide lanciate dal mondo esterno.

In Italia si è giornalisti professionisti se si è iscritti all’albo, previo praticantato di 18 mesi e superamento dell’esame d’accesso all’ordine, negli Stati Uniti la realtà è ben diversa:  lo stretto legame tra università e produzioni editoriali, già da molti anni ha permesso di individuare un cammino definito per chi oggi vuole intraprendere oltre oceano la professione giornalistica. È impensabile che in America un giornalista non sia laureato e che provenendo da una formazione universitaria non ad hoc possa anche solo definirsi tale, inoltre la possibilità di accesso alla professione è legata a filo doppio con la disponibilità di un editore ad assumere con contratti minimi che spesso rasentano la prestazione gratuita e comunque senza nessuna garanzia sul piano della durata.
La giornata si è conclusa con la visione del mitico film Citizen Kane (Quarto potere) di Orson Welles presentato da David Pagliaro: una riflessione sul potere, in generale nella società capitalistica americana e, nello specifico, sul potere in essa della stampa e dell’informazione.

Michael Calimani
 
 
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Viaggio a Modiin. La grande colonia che non sa di esserlo

Vallata di Modiin, (Israele e Cisgiordania). Provate a chiedere a un abitante qualsiasi di questa città se sa che uno dei più grandi sobborghi di Modim è, tecnicamente, una “colonia”. Lui vi guarderà come se veniste da un altro pianeta. Piccole villette in pietra con giardino, qualche palazzina ordinata e senza pretese, un grande centro commerciale e pessimi, servizi di trasporto pubblico (in alcuni quartieri l'autobus passa una volta ogni ora): Modiin è una città moderna, fondata nel 1993, circa a metà strada tra Gerusalemme e Tel Aviv. Ci abitano soprattutto giovani coppie che lavorano nelle città vicine ma che non possono permettersi un affitto salato: 67 mila anime, collegate metropoli da una nuova rete ferroviaria.
Laici e religiosi, che convivono tranquillamente senza le tensioni che ci sono a Gerusalemme: mamme super-moderne in minigonna spingono passeggini negli stessi giardini pubblici dove gioca a pallone un gruppo di ragazzini con “kippà srugà” (la papalina all'uncinetto) e scialle rituale. La municipalità di Modiin è interamente al di qua della linea verde che separa Israele dai Territori palestinesi conquistati nel 1967 (prima della guerra, facevano parte della Giordania). Dal 1997 è gemellata con Hagen, ridente cittadina del Nord Reno-Westfalia.
Il contenzioso sorge però quando si arriva a Modiin Illit, o Modiin Alta , il principale sobborgo di questa città. Che è costruito circa due chilometri al di là della Linea Verde. Di conseguenza, con i suoi quasi 40 mila abitanti, Modiin Alta è la più grande colonia ebraica nei Territori palestinesi. Problema: in pochi, da queste parti, sembrano sapere che si tratti di una colonia. “E' solo una parte di Modiin, noi vi sembriamo dei coloni?” dice una coppia di immigrati francesi dall'abbigliamento decisamente moderno e laico. La popolazione di Modiin Alta tende a essere più religiosa rispetto a quella del centro città. C' è anche una prestigiosa scuola rabbinica, ma sono quasi tutti ortodossi della tradizione lituana, che passano il tempo a studiare i testi sacri. Non hanno nulla a che vedere con il movimento “nazional religioso” che sostiene l'espansione delle colonie, e che è composto da agricoltori armati di zappa e mitraglietta, più che da studiosi di nero vestiti.
Sorpresa: non tutte le colonie sono abitate da coloni. O meglio: non tutte le colonie sono abitate da coloro che normalmente si definiscono coloni. Ovvero i “settler” che spesso compaiono sui media, persone determinate a insediarsi nei Territori palestinesi (loro ovviamente preferiscono chiamarli Giudea e Samaria), guidate dall'ideologia della Grande Israele . I settler duri e puri esistono, eccome: ce ne sono molti in insediamenti armati fino ai denti, come Tekoa; ce n'erano molti a Gush Katif, il più grande gruppo di colonie evacuate a Gaza; nella città di Hebron sono relativamente pochi ma si fanno notare, visto che il loro comportamento aggressivo nei confronti dei vicini di casa palestinesi ha ripetutamente attirato l'attenzione delle organizzazioni umanitarie.
Esistono però anche molti coloni che non sanno neppure di esserlo. Israeliani che vivono qualche chilometro, se non addirittura qualche centinaia di metri, al di là della Linea Verde senza che nessuno li abbia informati della cosa. Non vuole essere una giustificazione. Ma il fatto è che la questione delle colonie e del loro congelamento, sollevata dal presidente americano Barack Obama, è molto più complicata di quanto non potrebbe sembrare. A parte i casi ovvi di cittadelle ebraiche costruite nei bei mezzo della Cisgiordania, non sempre è così facile stabilire che cosa sia una colonia e che cosa no
Tecnicamente, alcuni dei principali quartieri di Gerusalemme abitati da una maggioranza ebraica sono stati conquistati durante la Guerra dei Sei Giorni. La lista include Han Hatzofim, o Monte Scopus dove sorge il campus principale dell'Università. Obama vuole bloccare le costruzioni anche lì? Oppure Givà Tzarfatit (la “collina francese”), che sta tra il quartiere universitario e la parte occidentale della città. Giusto o sbagliato, ormai quelli sono quartieri ebraici dove abita gente tranquilla che si è gradualmente stabilita lì nel corso dei decenni. Esistono per anche quartieri arabi dove si insediano di proposito attivisti della destra religiosa: è il caso di Silwan, un quartiere arabo nei pressi delle mura antiche che l'organizzazione di destra “Elad” sta tentando di trasformare in una zona ebraica. Per il resto, esistono tante zone grigie.
L'ultimo contrasto tra il primo ministro israeliano Benyamin Netanyahu e l'amministrazione Obama è sorto proprio attorno ad alcune costruzioni a Gerusalemme Est. Il magnate Irving Moskowitz vorrebbe demolire l'hotel Shepher, da lui acquistato negli anni Ottanta, per costruirci venti appartamenti. Il consiglio comunale ha dato l'approvazione. Due giorni fa la stampa israeliana riportava che il presidente americano avrebbe chiamato a colloquio l'ambasciatore Michael Oren per protestare.

Anna Momigliano, Il Riformista, 22 luglio 2009

 
 
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notizieflash    
 
 
Israele e il diritto incontestabile su Gerusalemme Est                  
Tel Aviv, 21 lug -
Israele non cederà alle pressioni internazionali per uno stop dei suoi programmi edilizi a Gerusalemme Est (annessa dallo Stato israeliano nel 1967). Israele ritiene i propri diritti sulla parte est della città incontestabili. Queste la risposta del viceministro degli Esteri, Dany Ayalon, ai richiami giunti da Mosca, in sintonia con quelli degli Stati Uniti e dell'Europa. "Israele continuerà a operare in accordo con i propri interessi nazionali vitali", ha affermato Ayalon. "Il nostro diritto di governare e sviluppare Gerusalemme è inconfutabile", ha aggiunto, ribadendo il concetto espresso dal premier, Benyamin Netanyahu, secondo cui l'intera città di Gerusalemme è ormai "capitale indivisibile" d'Israele. L'amministrazione Obama, anche in conseguenza del caso sulla demolizione di un albergo nel cuore di Gerusalemme Est, destinato a fare spazio ad appartamenti appaltati da un uomo d'affari ebreo-americano (legato a gruppi della destra nazionalista israeliana), ha convocato l'ambasciatore israeliano a Washington per protestare contro il progetto e rinnovare la richiesta di un congelamento di tutti gli insediamenti israeliani nei territori occupati, mentre un passo analogo è stato compiuto oggi dalla Francia. Russia e Ue - componenti con Usa e Onu del Quartetto dei mediatori per il Medio Oriente - si sono a loro volta aggiunte al coro, invocando la fine di ogni intervento edilizio a Gerusalemme Est in ragione del fatto che la comunità internazionale non riconosce la sovranità rivendicata da Israele su questa parte della Città Santa.


Frattini: “I problemi dell'area mediterranea
devono essere risolti con la politica”
Milano, 21 lug -
"La crisi di Gaza ha congelato le attività politiche dell'Unione per il Mediterraneo", questa la dichiarazione del ministro degli Esteri Franco Frattini, che ha partecipato a Milano al Forum economico finanziario sul Mediterraneo. Nel suo discorso il titolare della Farnesina ha sottolineato che deve essere la politica a risolvere i problemi dell'area mediterranea: "Deve essere la politica - ha spiegato - a dare la pace a Israele e alla Palestina, perché l'economia non può fare la differenza. E' quindi necessario far ripartire il dialogo tra tutti i paesi interessati". Se si vuole arrivare ad un'integrazione economica dell'area mediterranea è necessario "risolvere il problema di Cipro" e quello della Turchia che "deve avere un futuro europeo perché non possiamo dire no solo perché ci sono 80 milioni di cittadini musulmani". "Tutto questo - ha concluso - può esser fatto in un momento in cui l'Unione europea e gli Stati Uniti, dopo molti anni, hanno una voce sola. Bisogna cogliere questo momento magico". 
 
 
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