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    29 luglio 2009 - 8 Av 5769  
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Moked - il portale dell´ebraismo italiano
alef/tav    
  Adolfo Locci Adolfo
Locci,

rabbino capo
di Padova
Il Talmud insegna che tre profeti hanno utilizzato la parola Ekhà (come mai): Mosè nel verso della parashà di Devarim: "Ekhà essà levaddì torchakhem umasaakhem verivekhem - come posso da solo sopportare i vostri fastidi, il vostro peso e le vostre liti?" (Devarim 1:12); Isaia nella Haftarà di Devarim: "Ekhà hayetà lezonà kirià neemanà - come mai è diventata una prostituta la città che era fedele (Gerusalemme)" (Yeshaya 1:21); Geremia nel libro delle Lamentazioni: "Ekhà yashevà vadad hair rabbati am - come mai risiede desolata la città che era piena di gente?" (Echà 1:1). Il Midrash Rabbà nota nelle profezie differenze e consequenzialità: Mosè parlò in un epoca di tranquillità e gloria per Israele, Isaia in un tempo di grandi tumulti e Geremia nel momento della disgrazia. Forse, la decadenza di una nazione ha inizio quando non si risolvono alla radice, e al tempo debito, i propri contrasti interni...
"La più bella e profonda esperienza che un uomo possa vivere è il senso del mistero".
(Albert Einstein) 
Guido
Vitale,

giornalista
Vitale  
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  Redazione aperta - Governare le città,
il sindaco di Trieste con la redazione ebraica

Sindaco DipiazzaLa splendida Sala Azzurra del Palazzo municipale di Trieste fa da cornice all’incontro tra la redazione e il sindaco di Trieste Roberto Dipiazza, al termine della conferenza stampa di presentazione della Giornata della cultura ebraica. Roberto Dipiazza è un uomo che gode di grande popolarità tra la popolazione triestina per il suo pragmatismo e le sue capacità comunicative. Si è sempre impegnato per il dialogo tra le varie minoranze della città e il risultato è una città coesa e concentrata serenamente nello sviluppo economico e sociale.
Dottor Dipiazza, cosa significa essere sindaco di Trieste?
È un grandissimo onore. Trieste è una città straordinaria, meravigliosa, di cui ci si innamora a prima vista. Abbiamo il Carso alle spalle e un mare bellissimo di fronte. Siamo in testa alle classifiche della qualità della vita delle città italiane. Primi nei trasporti, nei depositi bancari e in tanti altri parametri. I triestini non possono però dimenticare il loro terribile passato. Nel 1953, l’anno in cui sono nato, c’erano ancora tantissime persone che morivano per la questione dell’”italianità” di Trieste. Piazza dell’Unità è una della più belle piazze italiane, ma a pochi chilometri da qua si trova la Risiera di San Sabba, un luogo terribile. Senza dimenticare il dramma delle foibe.
Il tema della Giornata della Cultura è l’accoglienza. Trieste viene spesso definita “laboratorio di convivenza” oppure “capitale delle minoranze”.
Qual è il segreto della multiculturalità di questa città, mentre nel resto del paese infuria una polemica fortissima sull’accettazione o meno di un modello multiculturale per la nostra società?

Nessun segreto. Qui attuiamo una politica di mediazione invece che di contrapposizione. Non è facile, vista la grande quantità di gruppi etnici e religiosi che vivono nel territorio, ma è l’unico modo affinché il passato non si ripeta. Il nostro impegno in tal senso è costante. Riguardo al fenomeno dell'immigrazione poi, a Trieste non facciamo come in gran parte d’Italia dove, sotto la maschera di una finta accoglienza, vengono sfruttate indegnamente milioni persone. Noi aiutiamo veramente gli immigrati a trovare una casa e un lavoro. Chi viene da fuori è una risorsa, un valore aggiunto, non un nemico. In città lavorano 15000 serbi che sono ben integrati col resto della popolazione. Succede lo stesso anche nelle altre città italiane?
Trieste potrebbe essere un modello di riferimento per molte città italiane, eppure si ha la sensazione che non abbia molta visibilità a livello nazionale. Come mai?
È solo una questione economica, come gran parte delle cose a questo mondo. Trieste una volta era il grande mercato dell’Europa dell’Est. Migliaia di persone venivano dalla Jugoslavia e dall’Europa Orientale a comprare prodotti che non trovavano nel loro paese. Adesso, con la globalizzazione, Trieste ha perso questa funzione. Stiamo comunque cercando di ripartire, coinvolgendo nei nostri progetti anche i paesi vicini, in particolar modo Slovenia e Croazia.
Qual è stato il momento più emozionante della sua esperienza di sindaco?
Sicuramente quando è stato abbattuto il confine tra Italia e Slovenia il 21 Dicembre 2007.
Mi sono battuto tanto perché ciò avvenisse.È stata una sensazione incredibile, una forma di libertà straordinaria difficile da comprendere se non si vive in una città di confine.

Adam Smulevich




Redazione aperta - I giornalisti del Portale
ospiti del Presidente della Regione Friuli Venezia Giulia


Regione“L’esperienza del vostro praticantato è qualcosa che va aldilà di una grande opportunità di carriera. È la possibilità e la responsabilità di parlare di una realtà importante del territorio italiano”, questo il messaggio di Renzo Tondo, Presidente della Regione autonoma del Friuli Venezia Giulia, durante l’incontro con la redazione del Portale dell’ebraismo italiano www.moked.it, avvenuta nello storico palazzo del Lloyd triestino, una delle più antiche Compagnie di Navigazione del mondo. Il Presidente ha parlato soprattutto di multiculturalità e dell’importanza simbolica della città di Trieste. “La multiculturalità di Trieste è un esempio da seguire”, ha affermato. Quando gli viene chiesto cosa potrebbe mettere a rischio il funzionamento di  questo modello multiculturale, risponde: “Il radicamento di alcune posizioni ostili che si è verificato negli ultimi anni. È un fenomeno che va combattuto con costanza. Fortunatamente le istituzioni politiche cittadine sono sensibili a questo problema”. Tondo sottolinea l’importanza della Comunità ebraica triestina che, pur essendo numericamente piccola, è ben radicata nel territorio e attiva culturalmente. Il dialogo tra Comunità e istituzioni è considerato eccellente. “La Comunità ebraica non ha un dialogo proficuo solamente con le istituzioni, ma anche con le altre comunità presenti nel territorio. Basta guardare il programma  triestino della Giornata della Cultura ebraica, che coinvolge la Comunità serba ortodossa della città. È questo il modello vincente di multiculturalità triestino, questo curioso mix di popoli e etnie che convivono pacificamente, dopo decenni di ostilità e sangue versato.”

a.s. 
 
 
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pilpul    
 
  RabelloRispettare i Saggi, costruire la nostra salvezza

Ci troviamo nel periodo delle tre settimane di lutto; una delle principali cause delle nostre disgrazie è da ricercare nella mancanza di rispetto l'uno verso l'altro e in particolare verso il Saggio. In questo periodo il Rav Zvi Jehuda Kook usava metterci in guardia sull'importanza di questa Mitzvà e il Ben Ish Chay dice espressamente nelle Halakhòt di questa settimana  che per il bizzuy Talmidè Chakhamim è avvenuto il churbàn.
L'espressione Kevod talmid chacham non appare nel Talmud, ove invece appare l'espressione Kevod haTorà. Il Maimonide stabilisce: "È mitzvà onorare ogni talmid-chacham, anche se non è suo maestro (diretto)…" (Hilchot Talmud Torà 6:1; Tur, Joré Deà 243) e il Talmud (Shevuot 30b) ci dice che il Kevod Hatorà ha la precedenza su una serie di mitzvot.
Come mai il Talmud usa l'espressione Kevod Hatorà? Essa ci vuole insegnare che non si tratta di un affare privato del Saggio ma dall'onore della Torà e del Sign-re stesso che ha dato la Torà. Tale onore deriva dalla nostra fede nella Torà scritta e in quella orale, che si rivela nella sua verità attraverso il Talmid chacham. Vi sono senz'altro dei gradi fra i Talmidé Chachamim ma ognuno di loro è la continuazione della vitalità della Torà, è una scintilla che prosegue l'operato di Moshé Rabbenu; pertanto l'onore verso un Talmid Chacham è considerato Kiddush Hashem, mentre all'opposto una offesa verso il Talmid Chacham è considerata profanazione del Nome divino e il Talmud (Sanhedrin 99b) ci mette in guardia che perfino una frase come: "A che cosa ci servono i Chachamim" viene duramente punita.
Non vi è come il libro del Chafez Chaim, Shemirat halashon, che ci può insegnare come comportarci in questo campo; è uscita da poco una traduzione italiana curata da Ralph Anzarout e Raphael Barki, con prefazione di Rav Della Rocca "Le leggi della maldicenza". Talvolta potremmo pensare di agire per il bene dell'Ebraismo, ed invece contribuiamo – D. liberi! -  alla sua rovina: questo aureo libro ci aiuterà a comprendere la gravità della cosa verso il Talmid Chacham ed anche verso noi stessi e potrà servirci a fermarci di fronte a un pericoloso precipizio. In Italia abbiamo pochi Talmidé Chachamim, quasi tutti Rabbini di Comunità: sappiamo apprezzarli, mettendone in luce il loro lato positivo ed essendo disposti ad apprendere da loro.

Alfredo Mordechai Rabello, giurista, Università Ebraica di Gerusalemme
 
 
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rassegna stampa    
 
 
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E Netanyahu punta a spaccare Kadima

Tel Aviv. Due riforme ambiziose e uno scontro aperto con Kadima. Obiettivo: ridurre l'opposizione ai minimi termini. Mentre i riflettori dei media internazionali si concentravano sulla questione delle coloniee sull'atomica iraniana, per il premier israeliano Benyamin Netanyahu sono stati giorni di fuoco anche, se non soprattutto, sul fronte interno. Che si sono conclusi con una mezza sconfitta e una vittoria a discapito di Kadima. Prima la riforma della terra, un progetto che (nel bene o nel male) scuote uno dei fondamenti dello Stato: la terra appartiene tutti. O meglio: la terra appartiene allo Stato, oppure al Keren Kayemet Le-Israel, il Fondo nazionale ebraico. La proprietà privata praticamente non esiste. Le ragioni di questa peculiarità sono soprattutto storiche, ma anche strategiche e sociali, Israele è nato proprio grazie al Keren Kayemet, un ente fondato nel 1901 dall'Organizzazione Sionista Mondiale con l'obiettivo di comperare terre, soprattutto dai proprietari turchi, nella Palestina ottomana (poi passata sotto il Mandato britannico). Ancora oggi il Keren Kayemet possiede circa il 13% del suolo israeliano, anche se ora il suo scopo principale è salvaguardare l'ambiente piantando alberi e bonificando zone semi-desertiche. Circa il 90 per cento dei terreni rimanenti appartiene direttamente allo Stato, che li governa attraverso la Israel Land Administration, che a sua volta li affitta a investitori e cittadini per periodi che vanno dai 50 ai 100 anni.
Una legge del 1960, voluta dallo stesso padre fondatore David Ben Gurion, vieta di vendere la terra ai privati. La preoccupazione era che degli stranieri comprassero una buona parte delle terre cambiando l'assetto del Paese, proprio come il Keren Kayemet aveva fatto ai tempi dell'impero ottomano, Adesso Netanyahu per vuole annullare questa legge. E ha già ottenuto l'appoggio dei laburisti per farlo.
L'unico grande partitico che si è schierato nettamente contro è Kadima, la principale forza dell'opposizione, nonché del Paese, visto che ha 28 seggi, uno in più rispetto al Likud, la formazione di destra del premier. La leader di Kadima Tzipi Livini ha bollato la riforma di Netanyahu come «una legge per il traffico della terra nazionale». «Il Likud si oppone all'indipendenza di Israele», ha detto il parlamentare Otniel Schneller. In un primo momento Kadima è riuscita a bloccare l'approvazione della legge. Anche se non è chiaro se riuscirà a bloccare la seconda versione, leggermente modificata: in base al nuovo testo, solo le terre della lsrael Land Administration (cioè la stragrande maggioranza) saranno privatizzate, mentre il Keren Kayemet potrà tenersi il suo 13%. Tutti soldi che entreranno nelle casse dello Stato.
Tzipi Livni potrà consolarsi. «Se non altro sono riusciti a umiliare Netanyahu» dice al Riformista il politologo Arye Carmon, presidente dell'Israel Democracy Institute. «Per il premier, un liberista convinto, la riforma della terra è sempre stata un punto d'onore», dice Carmon. «il problema è che ogni volta che si parla di riforme della terra, in Israele si toccano i fondamenti stessi dell'ideologia sionista, quasi una cosa sacra». In più, spiega il politologo, esistono preoccupazioni di carattere sociale: «Israele è un Paese cosi piccolo, qualche speculatore edilizio senza scrupoli potrebbe trovarsi a controllarne una grande fetta».
Kadima invece ha perso completamente sulla seconda riforma, meno importante dal punto di vista strategico ma decisiva per gli equilibri interni. Una legge soprannominata “dividi-Kadima”, oppure legge Mofaz , in onore di Shaul Mofaz, ex ministro della Difesa nonché attuale numero due del partito centrista. Lunedì sera il Parlamento ha approvato, 62 voti contro 47, una riforma che facilita la scissione di un gruppo parlamentare. Una volta, affinché un partito presente in Parlamento potesse dividersi in due fazioni legalmente riconosciute, era necessario che il gruppo separatista contasse almeno due terzi dei legislatori del partito da cui intende separarsi. Ora invece ne bastano sette. La legge, apparentemente innocua, sembra disegnata apposta per spingere Mofaz e i suoi sostenitori a lasciare Kadima per unirsi al governo. Dal canto suo, Mofaz ha negato ogni interesse in questo senso, e ha anzi accusato il premier di «piegare le regole della democrazia». Tzipi Livni dice di non avere paura. Quanto a Netanyahu, è convinto che la nuova legge potrebbe segnare la fine dei suoi avversari. E non ne fa mistero: «Kadima vuole rovesciare il mio governo, e io voglio dividerla, Che cosa c'è dì male?».

Anna Momigliano, il Riformista, 29 luglio 2009 

 
 
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notizieflash    
 
 
Un gruppo di palestinesi in visita allo Yad Vashem                        
Gerusalemme, 28 lug -
Palestinesi in visita al museo della Shoah di Gerusalemme Yad Vashem. L'iniziativa partita da un giovane palestinese, Mujhad Sarsur, di un villaggio vicino a Nablus, in Cisgiordania, ha portato nei giorni in scorsi alla insolita visita. Da anni Sarsur studia negli Stati Uniti, lì ha potuto approfondire la conoscenza della Shoah. L'iniziativa, secondo il quotidiano Haaretz, è stata apparentemente coronata da successo. "Se davvero vogliamo arrivare a un accordo di pace con Israele - ha spiegato Sarsur - dobbiamo anche comprendere l'altra parte; non basta accontentarsi di capire solo una parte".

“Il giorno della Shoah”, realizzato in Abruzzo,
a Casentino, il primo film dopo il sisma
Roma, 29 lug -
Una storia vera di una famiglia ebrea che negli anni Quaranta fu salvata dalle leggi razziali da una famiglia abruzzese. Questo il tema del film Il giorno della Shoah. E' il primo film a girarsi nella terra sconvolta dal terremoto dello scorso 6 aprile. Claudia Cardinale e Giorgio Albertazzi, fra i protagonisti della pellicola, sono a Casentino fin dalle prime ore del mattino, impegnati sul set allestito proprio in una delle cittadine più colpite dal sisma.  La pellicola racconta la storia vera di una famiglia ebrea che negli anni Quaranta fu salvata dalle leggi razziali da una famiglia abruzzese. Il legame tra le due famiglie non si è mai spento e la notte del terremoto Alberto ed Ester (Albertazzi e Cardinale) corrono in Abruzzo per aiutare gli amici e portarli nella loro casa. Albertazzi nel film interpreta Alberto, un impresario ebreo. Le riprese degli anni Quaranta, immagini di guerra e rastrellamenti, saranno riportate in bianco e nero. Il film per Mediaset sarà diretto da Pasquale Squitieri. "Il titolo viene dalla Bibbia - ha spiegato Squitieri - in cui la parola 'Shoah' aveva il significato di devastazione naturale. Ho letto questa storia vera recuperata dal giornalista inglese Ariel David, mi ha appassionato. Il cinema racconta gli ebrei come vittime - afferma il regista -nel film li vedremo da salvatori di altre vittime".
 
 
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