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L'Unione informa |
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31 luglio 2009 - 10 Av 5769 |
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alef/tav |
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Roberto Colombo, rabbino |
Dio
ha permesso la distruzione del Santuario perché molti ebrei pensavano
bastasse avere un bel Tempio e Maestri debitamente mantenuti per essere
a posto con la propria coscienza. (ha-rav Fucks) |
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Mogli
e buoi dei paesi tuoi. Per non dire dei professori. Che
dovrebbero conoscere se non il dialetto, almeno le tradizioni, le
usanze, le ricette dei luoghi dove insegnano. In modo da tramandare una
conoscenza (non chiamiamola cultura!) sempre più locale. E intanto si
perde l’uso della lingua italiana e della storia di come si è fatto il
nostro Paese. Durante gli ultimi esami di storia che ho fatto
all’Università dove insegno, due studenti, che portavano un programma
sul ghetto di Roma, ignoravano cosa fosse il 1870. Sollecitato, uno ha
azzardato: “La Repubblica”. La mia generazione queste cose le studiava
già alle elementari, magari sbuffando per la retorica nazionalista di
cui si ammantavano. Ora non ci sono proprio più. Altro che memorie
locali, è la memoria dell’Italia, della sua storia e della sua cultura,
che va recuperata. |
Anna Foa,
storica |
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davar |
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Redazione aperta - Raccogliere risorse per difendere il futuro dell'ebraismo italiano
Redazione aperta, le due settimane di lavori e di incontri, che hanno visto i giornalisti del Portale dell'ebraismo italiano www.moked.it impegnati a Trieste, ha concluso i suoi lavori con un incontro con Anselmo Calò,
assessore al Bilancio e al Personale dell’Unione delle Comunità
Ebraiche Italiane. Tema dell’incontro le risorse a disposizione della
minoranza ebraica in Italia e la possibilità di garantire un futuro
alle nuove generazioni di ebrei italiani superando problematiche non
facili. “È un dovere per gli ebrei italiani, ma è un'interesse per
l'intera collettività reperire risorse che garantiscano la
sopravvivenza di questa minoranza”, il pensiero dell’assessore. “La
nostra comunità rappresenta valori, idee e culture insostituibili, è
presente in Italia da millenni, fa parte della storia e della identità
di questo Paese. Per questo è fondamentale garantirne la
sopravvivenza”. Calò ha sottolineato l’importanza dell’otto per mille,
il meccanismo con cui lo Stato italiano ripartisce una percentuale del
gettito fiscale Irpef tra le varie confessioni religiose. Analizzando i
dati della ripartizione del gettito Irpef del 2008 emerge che l’Unione
delle Comunità Ebraiche Italiane ha raccolto il consenso di circa 63800
italiani e ha ottenuto risorse inferiori ai quattro milioni di euro. I
valdesi, dal canto loro ottengono un numero di preferenze (e
conseguentemente di introiti) oltre quattro volte superiore a quelle
ricevute dall’Ucei. Qual è il motivo di questa grande differenza
numerica di sostenitori, visto che in Italia ebrei e valdesi si
equivalgono numericamente? Di nuovo Calò: “Questa minoranza ha fatto
una scelta determinata. Il denaro raccolto non viene utilizzato sul
fronte interno, ma esclusivamente per progetti sociali, assistenziali e
culturali. Agendo in questo modo ottiene la preferenza di molti laici.
Anche le istituzioni degli ebrei italiani hanno provato nel passato a
essere il punto di riferimento del mondo laico ma dobbiamo ricordarci
che siamo costretti a spendere gran parte di queste risorse per
mantenere vive le istituzioni ebraiche. Di conseguenza, oltre ai
valori della laicità dobbiamo rappresentare altri valori insostituibili
e dobbiamo svolgere il ruolo di garante delle minoranze e di una
società articolata, ricca di identità e tollerante”. Oltre
sessantamila italiani, quindi, al momento di compilare la dichiarazione
dei redditi hanno scelto l’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, il
loro numero è largamente superiore a quello degli ebrei in
Italia. Esistono dunque decine di migliaia di cittadini non ebrei
che testimoniano con la loro scelta la loro volontà di sostenere questa
piccolissima minoranza nel nostro Paese. “Chi ci dà fiducia
solitamente lo fa perché ha un livello di conoscenza del mondo ebraico
significativo. Questo grazie al forte radicamento delle comunità
ebraiche locali nel territorio” spiega l’assessore. In alcune regioni
il dato è molto significativo. In Emilia Romagna, dove esistono quattro
piccole comunità che non raggiungono mille iscritti complessivamente,
quasi settemila persone hanno scelto l’Ucei. Più o meno la stessa
proporzione può essere notata in Piemonte e in Veneto. I dati sono
purtroppo meno confortanti in altre regioni italiane come per esempio
il Lazio. Il risultato più interessante è però quello di alcune regioni
del Mezzogiorno, dove non esistono comunità ebraiche all’infuori della
piccolissima Comunità di Napoli che attualmente è responsabile di tutto
il territorio dell'Italia meridionale e comprende anche l'antico
insediamento ebraico di trani in Puglia. In Sicilia, Puglia e Sardegna
l’Ucei ha raccolto un numero consistente di preferenze. Da dove deriva
questa simpatia per il mondo ebraico? “Ritengo fondamentale l’aiuto
delle istituzioni locali, che sono molto sensibili alle nostre
iniziative culturali e che ci sostengono economicamente, favorendo la
conoscenza del mondo ebraico nella popolazione. Quest’anno Trani è la
città capofila della Giornata della cultura ebraica e la collaborazione
della Regione Puglia è stata determinante per l'organizzazione
dell'evento”. Calò ha poi parlato dei progetti di comunicazione
dell’Ucei, sottolineando l’importanza strategica di rafforzare la
community di italiani, ebrei e non ebrei, che vogliono battersi per
garantire un futuro a questa minoranza. " Il Portale dell’ebraismo
italiano e altre iniziative di informazione e di cultura possono
costituire a questo fine degli strumenti preziosi". La comunicazione,
secondo Calò, dovrebbe essere rivolta contemporaneamente sia verso
l’interno (gli iscritti alle comunità ebraiche italiane), sia verso
l’esterno (i non ebrei). Una domanda sorge però spontanea: servirà un
linguaggio differenti per le due anime di questo pubblico così
articolato? “ È importante che si parli un linguaggio chiaro ed
efficace per tutti”. Un messaggio finale alla redazione: “Avete
una grande responsabilità, trasmettere alla pubblica opinione il
messaggio e i valori dell'ebraismo dell’ebraismo italiano.”
Adam Smulevich
Redazione aperta – Testimoniare, conoscere denunciare. Il nostro impegno per tutelare la Memoria
Nella
giornata del 9 di Av la redazione del Portale dell’ebraismo italiano ha
visitato la Risiera di San Sabba, situata in un rione di Trieste,
l’unico campo di sterminio presente sul territorio del Paese. Alla
Risiera si arriva percorrendo le strade cittadine senza la necessità di
allontanarsi dall'abitato. Non ci sono separazioi fisiche fra quel
luogo di morte e la vita della città. Alla struttura si accede
attraverso un corridoio tra alte pareti di cemento. Un soffocante
corridoio a cielo aperto, realizzato dall’architetto Romano Boico,
ideatore del progetto di ristrutturazione del campo del 1975. Nella sua
fisionomia attuale, molti edifici non ci sono più, compreso quello che
ospitava il forno crematorio e le strutture in cui i prigionieri
venivano uccisi. Negli anni ’50 la Risiera, che prima della guerra era
stata una fabbrica per la lavorazione del riso e poi una caserma, fu
riconvertita in campo profughi. Solo uno spazio non fu toccato, quello
delle celle. Diciassette stanzette dalle dimensioni di uno sgabuzzino,
in cui venivano rinchiusi i prigionieri destinati a essere torturati
per ottenere informazioni, e poi eliminati in fretta. Ore, giorni, che
a volte diventavano mesi, in cui ogni momento del giorno e della notte
poteva essere l’ultimo. La maggior parte degli ebrei invece passava da
qui per essere deportata altrove, di solito ad Auschwitz. La
visita alla Risiera ha costituito per la redazione anche un momento
importante per approfondire alcuni temi trattati nei giorni precedenti.
Dopo averne discusso con molti ospiti, tra cui Rav Riccardo Di Segni e Rav Benedetto Carucci Viterbi, gli storici Anna Foa e Massimo Todeschini, lo scrittore Boris Pahor, si dibatte ancora una volta di Shoah e di memoria con Donatella Di Cesare, docente di filosofia all’Università La Sapienza, e con lo storico triestino Marco Coslovich, autore di diversi libri e documentari sul tema. Coslovich
si concentra prima di tutto sul ruolo della testimonianza orale nella
storia, e racconta la sua raccolta delle memorie di oltre settanta
sopravvissuti nel documentario “Gli anni negati” (Trieste, 2004). “Penso
sia fondamentale costruire con il testimone un legame umano – racconta
– non si può ritenere che la persona davanti a te sia solo uno
strumento da cui estrarre le informazioni che ti interessano. Durante
le riprese del documentario ho incontrato molte donne, ormai anziane,
che hanno accettato di parlare per la prima volta, dopo aver taciuto
tutta la vita per paura di non essere credute o riaccettate dalla
società. Ora posso dire di sentirmi figlio di tutte loro.” Uno
storico che svolge questo tipo di lavoro deve essere anche capace,
secondo Coslovich, di azzerare ogni volta quello che già sa
dell’argomento. In caso contrario correrebbe il rischio di assuefarsi
alle storie di sofferenza che ascolta, cosa che gli impedirebbe di
entrare in contatto con le persone, e quindi di raccogliere nel modo
giusto la loro testimonianza. “Il mio sogno – conclude – è quello
di registrare su supporti informatici tutto il materiale che ho
raccolto e metterlo a disposizione su internet, in un archivio
consultabile da tutti”. Sulla questione di quale sia il modo
giusto per ricordare la Shoah e trasmetterne memoria, Coslovich si
confronta anche con la professoressa Di Cesare. Tema molto
discusso, soprattutto dopo l’istituzione del Giorno della Memoria, è il
rischio di banalizzazione nel trattare la Shoah, nonchè quello di
stimolare un eccesso di retorica e superficialità. “Probabilmente
è vero che oggi l’informazione sulla Shoah non è sempre di ottima
qualità – spiega la docente – Ho la possibilità di fare il confronto
con l’esperienza tedesca. In Germania il Giorno della Memoria esiste
solo sulla carta. Le pochissime iniziative, sempre calate dall’alto,
rimangono deserte. Gli episodi di antisemitismo si moltiplicano, mentre
i ragazzi nelle scuole sono sottoposti a un vero lavaggio di coscienza,
per sollevarli dal sentirsi responsabili delle colpe dei loro padri”.
Partendo da questi presupposti diventa evidente, secondo lei, che
superare tutto questo, come sta lentamente avvenendo in Italia, risulta
fondamentale, anche a costo di cadere nella retorica. “È anche
necessario distinguere i ruoli – conclude la professoressa – Lavorare
sulle fonti e descriverle in modo asciutto è il compito dello storico.
Per raggiungere il grande pubblico forse può essere più funzionale un
film come La vita è bella. Il
pericolo più grande è che non si parli di Auschwitz, per timore di non
parlarne nel modo giusto. Nulla è più temibile del silenzio”.
Rossella Tercatin
Redazione aperta - Il quotidiano "Il Piccolo" apre le porte ai praticanti
Il capo redattore de “Il Piccolo” Livio Missio
ha guidato i praticanti della redazione di Moked.it, nella visita alla
sede centrale del giornale, principale quotidiano italiano di Trieste,
diffuso anche nella provincia di Gorizia, con le edizioni di Gorizia e
Monfalcone e un'edizione speciale per la minoranza di lingua
italiana dell'Istria e di Fiume, in Croazia e in Slovenia. All’entrata
del palazzo è esposta con grande evidenza la pagina di apertura
del primo numero del giornale. Era il 29 dicembre del 1881. Il
giovanissimo ebreo triestino,Teodoro Maier, editore e direttore del
nuovo quotidiano appena compiuti i 21 anni, si rivolgeva ai lettori di
lingua italiana nella seconda città dell'impero dell'Austria-Ungheria
con un fulmineo editoriale che avrebbe costituito una pagina nella
storia del giornalismo: "Ai lettori. Compendiamo in poche parole il
nostro programma. Saremo indipendenti, imparziali, onesti. Ecco tutto”. Missio ha
guidato i giovani praticanti, alla scoperta di alcune realtà del
giornalismo prima della rivoluzione tecnologica caratterizzato da
macchinari come la Linotype, complesso apparecchio utilizzato per la
composizione tipografica, costituita da una tastiera su cui si
componevano le parole comandando per ogni singolo tasto una leva che
liberava la corrispondente matrice di piombo situata nel magazzino. Le
matrici andavano a disporsi nel compositoio fino a completamento del
testo, su cui veniva poi versato, metallo fuso per
fondere l'intera riga. Nel caso in cui si si fosse presentata
l’esigenza di effettuare delle correzioni era obbligatorio sostituire
tutta la riga contenente l'errore e quindi rifondere il metallo e
ripetere il processo dal principio. Dopo la visita la redazione
del portale dell'ebraismo italiano è stata invitata ad assistere alla
riunione di redazione di mezzogiorno durante la quale si impostano i
contenuti del giornale che andrà in stampa nella notte. Il meeting ,è
iniziato in religioso silenzio per dare la possibilità al capo
redattore di Gorizia Roberto Kovach, connesso in conference call, di
comunicare alla direzione della sede di Trieste le notizie fresche
giunte dalle zone limitrofe. Ha preso poi la parola il capo cronista
Maurizio Cattaruzza per comunicare al vicedirettore Alberto Bollis e al
capo redattore Marco Pacini le ultime di cronaca da Trieste. Tra
termini giornalistici in codice, come otto per tre in due o otto per
sette a colori o in bianco e nero, si sono affrontate le notizie
relative alla cultura e all’economia rispettivamente con i capi
servizio Alessandro Mezzena Lona (cultura e spettacoli) e Piercarlo
Fiumanò (economia) per passare poi allo sport con il capo servizio
Roberto Degrassi. Infine si è parlato di attualità e politica con il
capo redattore Roberto Altieri. Allusioni, gergo giornalistico, battute
taglienti talvolta in dialetto triestino, sguardi d'intesa. I
partecipanti accumulano correndo contro il tempo centinaia di decisioni
in uno scambio frenetico di idee e opinioni che si fa fatica a seguire
in ogni suo passaggio. Al termine della riunione il contenuto del
giornale di domani è già delineato e c'è chi si allontana dalla
redazione per uno spuntino e anche per un breve tuffo nel mare visto
che gli uffici sono a pochi metri dalle acque che bagnano una delle
coste più affascinanti del Mediterraneo. Dalle prime ore del pomeriggio
comincerà la grande corsa di tutta la redazione per chiudere le pagine
senza ritardi. poco prima di mezzanotte il gruppo
ritrova Missio per la visita alla rotativa del giornale dove si è
potuto vedere nel concreto la realizzazione su carta delle idee
discusse durante la riunione di redazione. I rulli della rotativa
sfornano nel cuore della notte decine di migliaia di copie a ritmo
sostenuto. I componenti della redazione di moked salutano gli ultimi
colleghi del Piccolo che chiudono la loro giornata di lavoro e si
allontanano portando con loro una copia di giornale, il giornale che
porta la data del giorno seguente, ancora carica dell'odore di
inchiostro fresco.
Michael Calimani
Redazione aperta - Venga a prendere un caffè da noi Illy svela i segreti di una comunicazione efficace
Ore
14.30 lezione di marketing alla Illy caffè. Alcuni dirigenti accolgono
la redazione del Portale dell'ebraismo italiano sotto i pennoni dove
assieme alla bandiera dell'Unione europea, a quella italiana e a quella
di Trieste, sventola la bandiera di Israele (il Paese ebraico sta
infatti diventando uno dei mercati più interessanti per l'azienda
triestina) Illy, che ha fatto della comunicazione d'impresa una
bandiera, ospita la redazione del Portale per una full
immersion dove si impara di tutto sulla bevanda scura conosciuta
nel mondo e il cui consumo è secondo soltanto all'acqua. Portare alle
labbra una tazza di caffé fumante è un gesto comune, ma pochi si
pongono domande sulle sue origini, la sua storia, il suo significato
sociale, cose che vengono insegnate alla Illy attraverso i corsi
organizzati dall' Università del Caffè istituita in seno all'azienda. Trieste,
dove l'ungherese Francesco Illy arrivò durante la Prima Guerra
Mondiale, sembrava la città ideale per avviare un'attività
imprenditoriale legata al caffè. Nel 1933, Illy fonda la sua
azienda di produzione e vendita del caffè che ancora oggi è di
proprietà della famiglia ed è diretta da Andrea Illy che in questi anni
ha guidato l'azienda oggi uno dei marchi italiani più famosi e
apprezzati nel mondo, verso l'internazionalizzazione, innovandone i
processi, la cultura e la ricerca della qualità.
Lucilla Efrati
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Dopo il 9 di Av - Superare il lutto
Hanno insegnato i Maestri che dopo la distruzione del secondo
Santuario, vi furono numerose persone che manifestarono il loro dolore
decidendo di non mangiare carne e non bere vino. Si rivolse loro Rabbì
Jehoshua (allievo di Rabban Yochanan ben Zaccai) chiedendo perché mai
non mangiassero carne e non bevessero vino; al che essi risposero che
non avrebbero potuto mangiare carne, che veniva sacrificata sull'altare
e bere vino, che pure faceva parte del servizio, e ora tutto ciò era
stato abolito dopo la distruzione del Santuario stesso. Rabbì
Jehoshua rispose che in tal caso non si dovrebbe mangiare neppure pane,
frutta e neanche bere acqua dato che anche questi facevano parte del
servizio nel Santuario. Come risposta al loro silenzio, il Chacham si
rivolse loro con affetto: "Figli miei, lasciatemi dirvi: non
manifestare il nostro lutto assolutamente, è impossibile, essendo il
Santuario già distrutto; manifestare troppo il lutto (come fate voi) è
impossibile, dato che non si stabilisce un decreto per il pubblico,
altro che nel caso che la maggioranza del pubblico possa applicarlo."
(Tosefta, Sotà 15,11; Talmud Bavli, Bava Batra, 60 b). E
l'insegnamento dei Chachamim è quello di lasciare una parte della
parete di fronte all'ingresso di casa senza intonaco, di mangiare
regolarmente lasciando un po' di cibo, e di ricordare Jerushalaim
nelle nostre occasioni liete dicendo: "Se ti dimenticherò o
Jerushalaim, che sia dimenticata la mia destra" (Salmi, 137, 5-6) ed il
passo conclude dicendo che chi prende il lutto per Jerushalaim ha il
merito di vederla nella sua gioia (cfr. Talmud Bavli, Ta'anit 30b). È
un dato di fatto che l'insegnamento ha servito per 1939 anni, nei quali
abbiamo ricordato ogni giorno Jerushalaim; Rabbì Jehoshua si rivolge a
coloro che volevano reagire con rigore invitandoli a unirsi
all'insegnamento dei Saggi, rivolto a comprendere tutto il popolo. Una
guida deve sapere in quale misura potrà essere seguita dal suo popolo:
meglio essere meno rigorosi nell'aspirazione di essere seguiti da molti
e per lungo tempo. In tal modo l'insegnamento non perderà la sua
freschezza, così come il nostro lutto è un lutto attuale e non storico. Non
possiamo però nascondere la nostra gioia nel vedere Jerushalaim ed Erez
Israel accogliere i suoi figli, provenienti da ogni parte del mondo e
rimaniamo sorpresi nel vedere parte dei nostri fratelli non partecipi
della nostra gioia; un fenomeno simile si verificò nei grandi giorni
dopo la dichiarazione Balfur e la conferenza di San Remo in cui i
popoli riconobbero il diritto degli Ebrei a Erez Israel; il Rav Kook
reagì allora spiegando che solo chi era stato in lutto anche per la
situazione fisica di Erez Israel, che era rimasto addolorato per il suo
abbandono, poteva "avere il merito di vederla nella sua gioia", (Mo'ade
Hareaià, p. 567) onde il nostro Tish'à beav è un misto di dolore
intenso per tutto quello che ci manca ancora nella nostra vita
spirituale, che impedisce ancora la ricostruzione del Santuario (che
avverrà a suo tempo con il consenso generale), ma è anche
occasione di ringraziamento al Sign-re per quanto è stato realizzato in
questi anni, in cui abbiamo potuto godere dello Stato di Israel
indipendente in Erez Israel; "nachamù nachamù amì", consolate,
consolate il Mio popolo (Isaia, 40,1).
Alfredo Mordechai Rabello, giurista, Università Ebraica di Gerusalemme
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rassegna stampa |
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Da
dove iniziare, oggi? L’estate non porta consiglio, così come invece
qualcuno dice della notte, ma solo afa, nel mentre i giornali si fanno
un po’ appiccicosi, cercando quelle «notizie» che in assenza di eventi
di rilievo faticano a imporsi all’attenzione di un lettore distratto e
volubile. L’autunno ci riserverà di certo qualche sorpresa, soprattutto
in Medio Oriente, ne siamo certi. Peraltro, sulle evoluzioni
diplomatiche del mentre, in quei luoghi, ci tiene informati il Foglio
quando ci avvisa che «Israele dialoga con il terzetto di Obama, ma
Hillary non si vede». Tuttavia, al di là dei singoli frammenti di
notizie, per il momento prevale quell’atteggiamento di sospensione che
certuni chiamano «vacanza», altri «indifferenza» o giù di lì. Così
riappare il tema, mai dismesso, dell’identità: individuale, di gruppo,
d’origine, d’acquisizione e quant’altro. L’argomento è al centro del
libro di Josh Bazell Vedi di non morire, un romanzo del quale Matteo Persivale ci parla su Il Corriere della Sera.
Il testo dà corpo, attraverso la figura del protagonista, tale dottor
Peter Brnwa (si scrive così, come lo si legga non sappiamo dirlo),
all’idea di un ebreo che piuttosto che prendere colpi e mazzate dà gli
uni e le altre in debito anticipo. Figura parossistica, evidentemente,
ma che nella sua iperbolica e a tratti sgradevole costituzione
(manesco, spaccone, corruttibile) segnala il mutamento di coscienza che
accompagna una parte dell’ebraismo, laddove l’assunzione delle vesti di
vittima della storia non è più accetto come un ruolo consono a sé e
all’immagine che si vuole coltivare della propria persona. Non a caso
l’articolo titola sul fatto che «Woody Allen è tramontato. Oggi un
ebreo deve combattere». L’Iran dei giorni nostri continua a essere una
babele di messaggi, di fatti visti e di cose invisibili, di percezioni,
di impressioni, di attese, di angosce e di labili speranze. Così i
resoconti sulle ultima violenze da parte di Siavush Randjbar-Daemi per
il Messaggero e di Vanna Vannuccini per la Repubblica.
A molti dei lettori tutto ciò, trascorsi gli scalpori di un mese fa e
le prima pagine con le notizie “gridate”, potrebbe sembrare puramente
inerziale, ossia il prodotto di un trascinamento di un qualcosa che già
si è concluso. Ma così non è, a ben guardare. Cecilia Zecchinelli su il
Corriere della Sera
ci parla infatti della frattura che attraversa, come una faglia
sismica, il fronte dei conservatori. L’elezione di Mahomud Ahmadinejad
non solo non ha consolidato il loro potere ma potrebbe tradursi, nel
lungo periodo, in un boomerang, scomponendone i ranghi. In quest’ultima
settimana si è misurata la dimensione del contrasto tra il Presidente
della Repubblica islamica e la «Guida suprema» Alì Khamenei sul fronte
delle nomine dei titolari di dicastero e dei funzionari di più alto
rango, a partire dai servizi segreti. Ahmadinejad si è visto bocciare,
in rapida successione, una serie di candidati per lui preziosi o
comunque prossimi alla sua persona. Dei nove Grandi Ayatollah residenti
in Iran, peraltro, solo due hanno “approvato moralmente” l’investitura
popolare del leader radicale. In un parlamento dominato dai
conservatori (che occupano almeno il 75% degli scranni), e che dovrà
ora ratificare la contestata vittoria del mese scorso, il disappunto
per i metodi usati nel sedare le manifestazioni di piazza si sta
traducendo in un malcelato malcontento. Più che un anelito umanitario
quel che entra in gioco è il calcolo politico, poiché l’eccesso di
violenze, ma anche le torsioni causate dallo scontro in corso tra
poteri, nel loro reiterarsi potrebbero risultare molto pericolose (se
non fatali) per il delicato equilibrio interno all’Iran
post-khoeminista. La coalizione di interessi che si raccoglie intorno
ai pasdaran e ai basiji sta cercando tumultuosamente di incassare
l’assegno ottenuto con la vittoria elettorale del loro leader e
maggiore esponente politico. Ma se dovesse prevalere una volta per
sempre sulla parte restante della composita società iraniana, la sua
monocrazia (che è fatta soprattutto dell’esercizio di interessi
economici) creerebbe frizione tali con le altre parti del sistema
sociale ed economico nazionale da causare, in tutta probabilità,
insanabili contrasti destinati a degenerare in una lotta politica
interna senza fine. E di lotta politica, sempre in Medio Oriente
ma in un altro scenario, quello palestinese, ci dà conto Paola Caridi
per l’Espresso
quando ci racconta della prossima apertura, prevista per il 4 agosto, a
Betlemme, del sesto congresso di Fatah (che in arabo vuol dire
«giovane»), l’organizzazione che fu di Yasser Arafat, azionista di
maggioranza dell’Olp, e che dal momento della sua morte, nel 2004, è
rimasta praticamente acefala. Lotte di potere interne, che in
quest’ultimo lustro hanno concorso a logorare ancora di più quella che
era una stuttura già sfibrata dal trascorrere nel vuoto del tempo,
dall’inerzialità politica, dalla dilagante corruzione, dalla
competizione violenta con Hamas nella Striscia di Gaza, si trova oggi a
fare i conti con quel che resta di sé. Una finestra sul rilancio
economico dei Territori palestinesi è quella che ci offre Stella Pende
su Panorama.
Cosa ne verrà fuori sul piano politico, a parte la già prevedibile
lotta senza esclusione di colpi, lo misureremo anche in questo caso in
autunno. Ad agosto si vota anche in Afghanistan, paese nell’occhio del
ciclone. Gli interrogativi sull’esito, così come sul presidente
uscente, Hamid Karzai, destinato ad una probabile riconferma per
mancanza di alternative, sono raccontati da Matteo Spina, ancora per Panorama.
Dinanzi alle tre più importanti sfide alle quali da molti anni è
sottoposto il paese (l’aggressione talebana, le colture e l’economia
dell’oppio e la corruzione devastante perché dilagante) il capo della
Loya Jirga, l’assemblea dei capi tribali, parrebbe avere tutte le carte
fuori posto, avendo fallito negli obiettivi che egli stesso si era
prefisso ed in ragione dei quali era stato “scelto” dagli interlocutori
internazionali. Ma la sua abilità di perdente di successo è stata
quella di fare sì che nessuna alternativa alla sua persona maturasse in
questi anni. Poiché la politica è spesso fatta non grazie alle proprie
competenze bensì in ragione delle altrui incongruenze. L’Afghanistan di
oggi, nella sua drammatica condizione, ci parla anche di ciò in fondo,
soprattutto laddove i talebani si sostituiscono ad una società politica
fatta di corruttele e di clientele, di dipendenze e di sudditanze. Claudio Vercelli |
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Israele:
Yediot Aharonot perde lettori,
Israel ha-Yom
nuova realtà della stampa israeliana Tel Aviv, 30 lug - Yediot
Ahronot, da molti anni il quotidiano più venduto in Israele, sta
perdendo lettori. Sta infatti cambiando rapidamente il panorama della
stampa israeliana con l'ingresso del giornale gratuito Israel ha-Yom,
che oramai rappresenta una seria minaccia per Yediot. I dati diffusi
dall'agenzia Tgi parlano di un calo di lettori del 4,2 per cento.
Yediot Ahronot, se pur in perdita, resta il il giornale più diffuso,
letto dal 34,2 per cento degli israeliani. Al secondo posto Israel
ha-Yom, finanziato dall'uomo d'affari statunitense Sheldon Edelson,
vicino al premier Benyamin Netanyahu (Likud). Giunto al suo secondo
anno di vita Israel ha-Yom (distribuito gratuitamente nei mezzi di
trasporto di massa e nelle cassette postali in diversi quartieri
residenziali) viene letto dal 26,9 per cento degli israeliani, il 16
per cento in più rispetto al 2008. Al terzo posto si piazza Maariv
(14,4 per cento, in crescita) e al quarto Haaretz (7,5 per cento),
sostanzialmente stabile. |
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L'Unione
delle Comunità Ebraiche Italiane sviluppa mezzi di comunicazione che
incoraggiano la conoscenza e il confronto delle realtà ebraiche. Gli
articoli e i commenti pubblicati, a meno che non sia espressamente
indicato il contrario, non possono essere intesi come una presa di
posizione ufficiale, ma solo come la autonoma espressione delle persone
che li firmano e che si sono rese gratuitamente disponibili. Gli
utenti che fossero interessati a partecipare alla sperimentazione
offrendo un proprio contributo, possono rivolgersi all'indirizzo desk@ucei.it per concordare le modalità di intervento.
Il servizio Notizieflash è realizzato dall'Unione delle Comunità
Ebraiche Italiane in collaborazione con la Comunità Ebraica di Trieste,
in redazione Daniela Gross. Avete
ricevuto questo messaggio perché avete trasmesso a Ucei
l'autorizzazione a comunicare con voi. Se non desiderate ricevere
ulteriori comunicazioni o se volete comunicare un nuovo indirizzo
e-mail, scrivete a: desk@ucei.it indicando nell'oggetto del messaggio “cancella” o “modifica”. |
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