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L'Unione informa
 
    3 agosto 2009 - 13 Av 5769  
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Moked - il portale dell´ebraismo italiano
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  Riccardo Di Segni, rabbino capo di Roma Riccardo
Di Segni,

rabbino capo
di Roma
La nuova ondata locale di polemiche sull'aborto sembra non lasciare alternative ai due opposti del proibizionismo e dell'autonomia totale. La posizione tradizionale ebraica media tra gli estremi considerando l'aborto una triste necessità a cui è lecito ricorrere in determinate situazioni drammatiche. Ad esempio, una donna incinta in conseguenza di violenza, che consideri intollerabile il suo stato, può ricorrere all'aborto e quanto prima lo fa, anche con farmaci, meno peggio è.
Non è buonismo, parola che personalmente detesto perchè mi ricorda il "pietismo" delle leggi razziste. E' una storia diversa, quello di quell'albergatore egiziano della costa abruzzese che ha rinunciato, per quest'anno, ai turisti, per tenersi i profughi del terremoto, nel suo albergo a quattro stelle divenuto una casa famiglia. Questo albergatore ha detto una cosa importante: che il dolore trasforma, che ha trasformato lui e i suoi dipendenti. Ecco, credo che il mondo non si divida fra buoni e cattivi, ma tra chi lascia che il dolore, anche quello degli altri, lo cambi, e chi si trincera dietro la barriere dell'insensibilità, come quei bagnanti che continuano a far giocare i bambini a tre metri dal cadavere di un annegato. Tutte storie di oggi, le une e le altre. Ma tra chi cambia e accetta di lasciare che l'esperienza del dolore lo cambi e chi resta insensibile, c'è un abisso. Nessuna possibilità di confronto, due mondi separati, senza confronto. Per fortuna. Anna Foa,
storica
Anna Foa, storica  
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  valori Elia Valori, cambiare la strategia di Israele
e uscire dalla logica del "piccolo Stato"

Sul numero di luglio del mensile Formiche è uscito un interessante articolo del Professor Giancarlo Elia Valori, presidente della centrale finanziaria generale e della Centrale sviluppo mediterraneo.
Interessante  e innovativo, perché Valori propone una vera e propria rivoluzione nella strategia internazionale di Israele, dopo la fine della guerra fredda e della sua struttura bipolare, e a seguito  del cambiamento dei sistemi politici e dei modelli culturali in Occidente, ma anche in Russia e in Cina.
“Oggi non si tratta più solamente di creare colonie per gli ebrei europei, dell'Est slavo o del Medio Oriente, ma la questione vera è quella di definire un futuro geopolitico globale per lo Stato di Israele, una strategia globale ebraica e israeliana” suggerisce Valori.
Quale?
Secondo lo studioso, che da anni si occupa di ebraismo (nel 2007 ha pubblicato per Mondadori il saggio “Antisemitismo, Olocausto e Negazione”), è docente presso l'Università ebraica di Gerusalemme e si occupa attivamente di promuovere la pace in Medio Oriente, il nuovo obiettivo  strategico per Israele e il mondo ebraico non deve più essere la terra, ma il mare. “La vera questione è di pensare a Israele come a una potenza regionale mediterranea sull'asse che divide il Mare della Unione europea, il Mediterraneo, dal Golfo Persico, l'asse marittimo che dà inizio e sostegno alle economie in crescita dell'Asia e, per molti aspetti dello stesso occidente”.  
L'Iran, sostiene Valori, “sta infatti cercando  di creare una sorta di “Alleanza del Golfo Persico” tra Teheran, Federazione Russa, Cina e Paesi del Golfo, Emirati e Arabia Saudita inclusi. Si tratterebbe quindi di chiudere l'Unione Europea e gli Stati Uniti in un'area mediterranea esclusa dai grandi traffici degli idrocarburi e rendere difficile all'UE e ai suoi alleati l'accesso alla Cina e all'Asia centrale.” In questo contesto, Israele diventa vitale per la sua posizione geografica, cuscinetto tra il mare Nostrum e l'Oriente. Deve quindi far leva sull'interesse della Cina a tenere aperta la strada verso il Mediterraneo e il suo mercato, e su quello della Russia a portare il gas dei suoi giacimenti attraverso la  linea sud che sbocca nello Ionio. Su queste considerazioni dovrebbe giocarsi una nuova strategia di alleanze per rendere Israele un attore geopolitico globale, ed evitare la marginalizzazione del Medio Oriente dalle direttrici di sviluppo economico, una marginalizzazione che renderebbe  Israele  facile preda per le alleanze regionali islamiste o arabo occidentali.
Valori ipotizza un nuovo triangolo strategico/economico tra Europa, Usa e Cina/Russia, in cui Israele potrebbe assumere un ruolo chiave, se il mondo ebraico riuscirà a uscire  dalla logica di “piccolo Stato” e a pensarsi come “global power”, al pari dell'Islam. Una “postura di attacco” da realizzare, sostiene Valori, con gli stessi criteri che stanno applicando gli islamici - psicologici, di comunicazione e finanziari -, e che modifichi  la ormai obsoleta  “postura di difesa” che ha prodotto scarsi risultati.
Rimandiamo alla lettura integrale del saggio chiunque sia interessato all'argomento, perché l'analisi del professor Valori è estremamente articolata e difficile da riassumere. Quello che colpisce è l'originalità del suo “lateral thinking”: per risolvere la drammatica situazione di Israele bisogna cambiare radicalmente ottica, uscire dalla palude di una pace che non si riesce a stringere e rilanciare il ruolo strategico del Paese nelle grandi questioni che oggi agitano il mondo.

Viviana Kasam
 
 
 
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  donatella di cesareWeinberg fra omofobia e rispetto per l'altro

Omofobia è una parola coniata dallo psicologo americano George Weinberg che l’ha usata nel suo libro pubblicato per la prima volta nel 1972 Society and the Healthy Homosexual (La società e l'omosessuale sano) – un bestseller che può contare numerosissime riedizioni e che è considerato un punto di riferimento teorico per il movimento dei diritti degli omosessuali, negli Stati Uniti e non solo. La parola vuol dire letteralmente paura dello stesso, del medesimo. Perciò è di per sé ambigua. Perché in realtà non indica che la paura per l’omosessualità, l’altrui e la propria (magari latente e repressa). Ed emerge soprattutto dove domina il rifiuto per il diverso, per l’altro. Proprio a partire dal suo ebraismo Weinberg ha rivendicato la possibilità e, anzi, la necessità di essere rispettati come altri, perché altri. Per quanto disagevole e complesso possa essere il confronto sull’omosessualità nell’ebraismo, è dell’alterità dell’altro, della sua accoglienza, che deve farsi carico il popolo ebraico.

Donatella Di Cesare, filosofa
 
 
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La notizia più importante sulla stampa di oggi riguarda la richiesta della polizia al procuratore generale di incriminare il ministro degli esteri Liberman per corruzione (Aldo Baquis sulla Stampa, Davide Frattini sul Corriere). Si tratta di una vecchia indagine, che è in piedi da parecchi anni e si conclude solo ora. L'indagato si dichiara innocente e vittima di una persecuzione politica. Secondo il sistema giuridico israeliano ora il procuratore Mofaz dovrà decidere entro tre mesi se mandare sotto processo Liberman. Nel caso lo facesse, per legge il ministro indagato si dovrebbe dimettere. Netanyahu ha già fatto sapere che sarà lo stesso partito di cui Liberman è leader a decidere sull'eventuale successore, ma naturalmente le conseguenze dell'uscita dalla vita politica del capo di un partito così plasmato sulla sua persona sono imprevedibili: il partito potrebbe rapidamente sparire e i suoi membri confluire nel Likud, oppure potrebbe uscire dal governo forzando nuove elezioni o lasciando posto a Kadima, oppure le cose potrebbero andare avanti come prima. Bisogna notare che da un lato che questa non è la prima incriminazione per la classe politica israeliana: ci sono stati poco tempo fa i casi di Olmert, Katzav, dell'ex leader di Shaas e altri ancora. Tutto ciò spiega un certo discredito popolare della politica in Israele. Dall'altro lato è chiaro che nella democrazia il regno della legge è più forte che in qualunque altro stato al mondo e la giustizia non guarda in faccia a nessuno.
Un'altra notizia triste che continua a lasciare traccia oggi sui giornali israeliani è il sanguinoso assalto dell'altro ieri al circolo gay di Tel Aviv. La polizia nonostante grandi sforzi non ha trovato traccia dell'assassino, né sicurezza sulle sue motivazioni; ma nel paese è diffusa la convinzione che si tratti di un crimine dettato dall'intolleranza. Si sono tenute riunioni di lutto, manifestazioni, anche una seduta speciale della Knesset (Alberto Stabile su Repubblica, articolo siglato RoSco sul Giornale).
Continuano le polemiche sulle interferenze straniere sulla politica israeliana. L'ultimo caso è una violenta dichiarazione dell'ambasciata britannica contro lo sfratto di due famiglie palestinesi da una casa da loro occupata nel quartiere di Sheikh Jarrah (La Stampa). A questo proposito è utile la lettura dell'intervento di Noah Pollack sul Wall Street Journal  a proposito delle "due misure" adottate dalle organizzazioni non governative che in cambio di congrui finanziamenti si prestano a fare il braccio secolare di tali interferenze come Human right whatch (quella che ha lanciato una campagna di finanziamenti in Arabia Saudita, vantando le proprie prestazioni contro Israele).
Infine da segnalare la strana campagna dell'Unità contro l'abolizione dai programmi scolastici israeliani dell'idea di Nabkah (cioè della fondazione di Israele come catastrofe). L'Unità non solo mobilita A.B.Yehoshua facendogli dire cose piuttosto improbabili ("con i palestinesi abbiamo un debito eterno"; ma già sulla Stampa a suo tempo c'era stato un episodio grave di deformazione delle parole dello scrittore, chissà se anche questa volta Umberto de Giovannangeli non lo abbia capito male, un po' a modo suo), ma sempre L'Unità ospita un intervento di Tobia Zevi il quale sostiene che bisogna assolutamente accettare "le ragioni dell'altro" e  "creare una memoria condivisa" per poter fare la pace. Peccato che l'Italia sia in pace con l'Austria da molti decenni senza aver rinunciato all'idea che fra il 1848 e il 1870 si sia svolto il Risorgimento e non un orribile rivolta di traditori, come sostengono gli austriaci, e che loro d'altro canto dipingano sui loro libri di scuole Metternich e Radetzky come degli eroi. Lo stesso si potrebbe dire per i rapporti fra Francia e  Germania e in moltissimi altri casi. E' vero il contrario di quanto sostengono Zevi e (forse) Yehoshua: che la rivendicazione delle proprie ragioni e della propria legittimità, non la contrizione e l'odio di sé sono le premesse per ogni Stato legittimo di stare al mondo e di poter riuscire a convivere con i propri vicini, soprattutto se questi hanno l'obiettivo esplicito di delegittimarlo e possibilmente abbatterlo.

Ugo Volli

 
 
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Israele: Lieberman, "Non ho alcunché da rimproverarmi"          
Gerusalemme, 3 ago -
"Non ho alcunchè da rimproverarmi. Anche oggi tornerei ad agire esattamente come ho fatto in passato" ha dichiarato alla stampa israeliana Avigdor Lieberman, ministro degli Esteri israeliano e leader del partito Israel Beitenu, per il quale ieri la polizia israeliana aveva raccomandato alla procura l'incriminazione per una serie di reati, il più grave dei quali è quello di riciclaggio di denaro, per il quale è prevista una pena massima di dieci anni di reclusione. Lieberman ha chiarito di attendere adesso la decisione del procuratore capo Menachem Mazuz, che spera giungerà in tempi brevi. "Se dopo una mia eventuale udienza da lui, questi deciderà per la incriminazione, non c'é dubbio che rassegnerò subito le dimissioni" ha detto Lieberman: sia da ministro degli esteri, sia - in seguito - dalla carica di leader di Israel Beitenu, oggi il terzo partito in parlamento e il secondo per importanza nella coalizione di Benyamin Netanyahu. "Ma la mia valutazione - ha subito aggiunto - è che resterò nelle mie attuali funzioni anche fra un anno, anche fra due". A suo parere Israel Beitenu è destinato a rafforzarsi e a sorpassare alle prossime elezioni politiche la soglia dei 20 seggi, ossia un sesto del Parlamento.
 
 
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