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L'Unione informa |
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5 agosto 2009 - 15 Av 5769 |
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alef/tav |
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Adolfo Locci, rabbino capo di Padova |
Tra gli argomenti della parashà di Vaetchannan, c'è quello degli Aseret Adiberot (Dieci parole o più comunemente conosciuti come Dieci Comandamenti)
che, nel libro di Devarim, sono ripetuti da Moshè con alcune varianti
rispetto al Decalogo riportato nel libro di Shemot. Relativamente alla
"Quarta Parola" che tratta della mitzvà dello Shabbat, si nota, tra le
versioni, una differenza riguardo lo scopo della mitzvà. In Shemot è
scritto "poiché il Signore in sei giorni creò il cielo e la terra....."
(Shemot 20:11) mentre in Devarim è "affinché si riposi il tuo servo e
la tua serva come te" (Devarim 5:14). La valenza liberatrice
"universale" di quelle Parole "incise sulle tavole", dipende sia
dall'osservanza del singolo che così può elevarsi "verticalmente", sia
dalla capacità di saperle diffonderle 'orizzontalmente'... |
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L'inizio
dell'estate è stato segnato da polemiche continue, ma a bassa
intensità, fra l'amministrazione Obama e il governo Netanyahu sul
futuro degli insediamenti. A Washington si sovrappongono due
interpretazioni: Obama vuole mettere alle strette Netanyahu e farlo
cadere per accelerare il negoziato con i palestinesi; Obama ha bisogno
di una mini-crisi con Israele per essere credibile con gli arabi quanto
basta per spingerli alla normalizzazione dei rapporti con lo Stato
ebraico. Quale che sia il motivo, fra quel 78 per cento di ebrei
americani che ha votato Barack, inizia a serpeggiare un certo malumore. |
Maurizio Molinari, giornalista |
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Il Koren Siddur, un nuovo libro di preghiera per rinnovare il rapporto fra l'uomo e l'Eterno
La storica casa editrice Koren di Gerusalemme ha di recente pubblicato
un nuovo libro di preghiere sotto la supervisione del Rabbino Capo del
Commonwhealth, Jonathan Sacks. La notizia ha fatto il giro del mondo,
l’avvenimento è stato salutato da molti come un evento e il Koren Sacks
è destinato a diventare il Siddur di riferimento della comunità
ortodossa americana, l’Orthodox Union, che ha sponsorizzato
l’operazione. Cosa rende questo libro di preghiere così speciale? Rav.
Sacks, il leader indiscusso delle comunità ebraiche del Regno Unito, è
un uomo di altissimo valore, un maestro, un grande comunicatore, una
figura di riferimento per l’intera società britannica. Le sue riflessioni e preoccupazioni sul futuro dell’ebraismo sono la base di partenza del lavoro fatto per il Koren Siddur. In
una video-intervista rilasciata in occasione dell’uscita del volume,
Rav. Sacks spiega che la vita di un ebreo si fonda su tre
pilastri:“avodah, torah ve g’miltut hassadim” ovvero lo studio (la
torah), la preghiera (l’avodah) e gli atti di carità (g’milut hassadim). L’avodah,
la preghiera è, dei tre pilastri, il più fragile perché le persone non
pregano più, sentendo i testi della liturgia distanti, incomprensibili,
incapaci di parlare ai loro cuori. È con la volontà di cambiare
questa situazione e riavvicinare gli ebrei alla preghiera che è stato
intrapreso il progetto Koren Sacks. Dalla veste grafica alla
traduzione, dai caratteri all’introduzione questo Siddur è stato
concepito per attirare le persone e farle pregare. Il volume è
elegante, esteticamente ben curato, proprio secondo la tradizione della
Koren. Una novità subito evidente è la traduzione inglese sulla pagina
di destra mentre il testo in ebraico è a sinistra. Piccoli simboli
grafici guidano il lettore attraverso la liturgia, per esempio su quali
parole bisogna piegarsi durante l’Amidah oppure i punti nei quali il
chazzan riprende la recitazione. Il testo è arioso: ampi spazi bianchi
sono lasciati tra i diversi passi proprio per dare l’idea di un
materiale accessibile. Il Siddur si presenta così ben diverso da quei
volumi pieni di pagine fitte e con le copertine anonime a molti
famigliari. Il cuore del progetto è naturalmente la traduzione di
Rav. Sacks. Nel testo inglese tutta la potenza e la poesia della
preghiera si rivelano semplicemente. Si tratta di una traduzione
sensibile al contemporaneo nella scelta dei vocaboli e delle forme che,
tuttavia, riesce a mantenere un equilibrio tra le necessità del lettore
di oggi e la dimensione sacra dei testi. Il legame speciale degli
ebrei della Diaspora con Israele è sancito dalla presenza di preghiere
speciali per lo Yom Haazmaut, lo Yom Yerushalaim e lo Yom haZicharon. Forte
è l’affermazione del valore della donna nei contenuti e nelle
istruzioni; troviamo, per esempio, la benedizione da recitare in
occasione della nascita di una figlia “Zeved ha-Bat” (di origine
sefardita) oppure la declinazione di alcune parole chiave al femminile. Il
Koren Sacks è il Siddur che si apre alla complessa realtà ebraica
contemporanea e riaffermando il valore centrale della preghiera e della
liturgia ne garantisce il futuro.
Rocco Giansante
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pilpul |
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Noterelle - In viaggio alla maniera classica
Se qualcuno mi chiedesse di indicare il documento più enigmatico nella
storia della Shoah in Italia, avrei poche esitazioni. Indicherei la
cartolina che Primo Levi, sulla strada di Auschwitz, il 23 febbraio
1944 da Bolzano riesce a fare avere ad un’amica: “Cara Bianca, tutti in
viaggio alla maniera classica – saluta tutti – a voi la fiaccola. Ciao
Bianca, ti vogliamo bene”. Poco
più di un rigo che richiederebbe un seminario di studi, non una
noterella . Come si viaggia in modo classico? E perché la fiaccola?
Possiamo trovare una risposta ai nostri dubbi nell’autobiografia della
persona cui quella cartolina era indirizzata (Bianca Guidetti Serra,
“Bianca la Rossa”, a c. di S. Mobiglia, Einaudi, 2009). In Italia
le memorie di uomini politici, giornalisti e scrittori sono divenute
una presenza ingombrante. L’autobiografia è un male dei nostri tempi.
Si guarda al passato per fuggire da un presente incerto. La fiera delle
vanità ha la sua parte nell’autobiografia di Eugenio Scalfari o Rossana
Rossanda. Nelle memorie di Bianca la Rossa il narcisismo è dominato
invece dalla serenità con cui le persone intelligenti sanno dire “mi
sono sbagliato”. Straordinarie le pagine sull’uscita dal PCI nel 1956 o
i ricordi processuali sulla banda Cavallero (con inedita
interpretazione del terrorismo in Italia, di cui gli storici dovrebbero
tenere conto). Una personalità esemplare, che non ama il conformismo. A
tanti anni di distanza dalla Resistenza, senza paura di essere
considerata una “revisionista”, con senso di pietas,
la coraggiosa partigiana si interroga sui destini che in giovinezza
l’avevano separata dalle compagne di scuola divenute ausiliarie
repubblichine. Bianca la Rossa non ama invece le Donne in Nero, che sul
finire del Novecento l’hanno guidata in un viaggio banale, non-classico
in Israele: un soggiorno politicizzato, inconcludente, estraneo al
concretismo di chi nel 1971 aveva scoperto e denunciato le schedature
Fiat in un libro che Einaudi non ha voluto stampare. Quello delle
missioni parlamentari non si può dire un modo classico di viaggiare.
Per viaggiare in modo classico è necessario aver vissuto insieme anni
importanti “senza troppe debolezze” (p. 244), “entrare a far parte del
luogo, trovarne le coordinate” (p. 265). “Passeggiare insieme è il modo
per me più naturale di tenere i rapporti con gli amici”: inizia così il
capitolo più toccante delle memorie, quello dedicato, appunto,
all’ultima passeggiata con Primo Levi.
Alberto Cavaglion
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rassegna stampa |
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In Cisgiordania, Fatah a congresso Abu Mazen contro Hamas e Israele Tel
Aviv. «Abbiamo scelto la pace, ma ci riserviamo il diritto alla
resistenza armata». Con queste parole Abu Mazen, presidente
dell'Autorità nazionale palestinese, ha inaugurato ieri a Betlemme il
congresso del suo partito Fatah, il primo dopo vent'anni. Più di
duemila rappresentanti di Fatah si sono riuniti nella città della
Cisgiordania, obiettivo: approvare un nuovo documento programmatico e
rinnovare gli organi dirigenti del partito (cioè la commissione
centrale, 21 membri, e il consiglio rivoluzionario, 120). In altre
parole, svecchiarsi, cercare nuovi consensi e trovare nuove energie per
continuare a governare l'Autorità nazionale palestinese. E soprattutto,
prepararsi a reggere il confronto con Hamas: Fatah è forza principale
dell'Olp (organizzazione per la liberazione della Palestina) che di
fatto ormai governa solamente sulla Cisgiordania, da quando gli
estremisti hanno preso il potere a Gaza nel 2007. Nel suo discorso, il
presidente palestinese ha attaccato non solo Hamas, «i principi
dell'oscurità che stanno dividendo la nostra patria e danneggiando la
democrazia», ma anche Israele: «Non ha mantenuto gli impegni presi». Il
congresso è stato aperto «nel nome dei martiri e di Gerusalemme,
capitale dello Stato palestinese». Sui muri della sala conferenze si
potevano leggere cartelli con gli slogan «la resistenza è un diritto
legittimo» e «il diritto di ritorno è sacro». Il ritorno dei profughi
palestinesi nei confini dello Stato ebraico è uno dei principali motivi
di disaccordo tra palestinesi e israeliani: i primi lo vedono come un
loro diritto inalienabile, i secondi come un inaccettabile suicidio
demografico. Da parte israeliana non mancano le preoccupazioni, ma il
ministro della Difesa Ehud Barak (Labour) invita ad aspettare la fine
del congresso prima di trarre conclusioni. «Non dobbiamo ignorarlo del
tutto, ma neppure farci impressionare troppo», ha detto Barak davanti
alla commissione affari esteri della Knesset. «Il vero test avverrà
quando si sarà formata una leadership con un livello appropriato di
legittimità», ha aggiunto Barak, che ricopre anche la carica di
vicepremier «vedremo allora che cosa avranno da dire». Sulla stampa
israeliana erano circolate delle indiscrezioni sul documento
programmatico che Fatah sta per approvare: il partito di Abu Mazen
intenderebbe riaffermare il non riconoscimento di Israele come Stato
del popolo ebraico. Barak ha anche detto che, se confermata, una
decisione del genere «sarebbe indicativa della disponibilità
palestinese a continuare i negoziati con Israele». Il ministro dei
Trasporti Yisrael Katz (Likud) ha espresso un giudizio assai più duro:
«La piattaforma di Fatah equivale a una dichiarazione di guerra». Avi
Dichter, ex capo dei servizi segreti Shin Bet e oggi parlamentare di
Kadima, ha lanciato l'allarme: «Le dichiarazioni dei leader di Fatah
aprono la strada a una terza Intifada». E ancora: «Trovo
particolarmente preoccupante che siano i moderati a volere votare su un
articolo intitolato "Proseguire la lotta contro Israele con ogni mezzo
necessario". Sedici anni dopo gli accordi di Oslo, Fatah continua a
vedere la lotta armata come un mezzo legittimo di dialogo». Le ragioni
di preoccuparsi ci sono ma l'allarme su una "terza Intifada" sembra
francamente eccessivo. commenta Shmuel Sandler, docente di scienze
politiche all'università di Bar Ilan. «Abu Mazen non vuole la violenza»
dice al Riformista. «Eppoi non credo sarabbe così stupido da lanciare
un'offensiva in Cisgiordania, dove l'esercito e l'intelligence
israeliani sono in una posizione di forza». «Non mi stupirei se davvero
approvassero un documento violento prosegue ma alla fine sarebbero solo
parole». Semmai, sostiene Sandler, c'è da chiedersi se davvero la sua
leadership ha qualche possibilità di uscire rafforzata da questo
congresso: «Fatah è un partito politicamente morto. La sua storia non è
molto diversa da quella di molli movimenti nati da una solida ideologia
e che, una volta perso lo slancio, si ritrovano senza consensi». E
ancora: «La stessa cosa che sta capitando al partito laburista
israeliano». Abu Mazen, conclude il docente, sta «seriamente cercando
di rinnovare il partito», ma ha poche possibilità di successo: «Mi
auguro che da questo congresso possa uscire qualcosa di buono, anche
per Israele. Ma sono pessimista».
Anna Momigliano, Il Riformista - 5 agosto 2009 |
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notizieflash |
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Londra: Per la stampa inglese, Hezbollah minaccia Tel Aviv Londra, 5 ago - Il
Times citando fonti israeliane, dell'Onu e dello stesso Hezbollah,
riferisce che tre anni dopo la guerra lanciata da Israele contro
Hezbollah, la milizia sciita in Libano ha accumulato un arsenale che
comprende circa 40.000 razzi, e sta addestrando le sue truppe per
essere in grado di colpire Tel Aviv. Secondo il generale di brigata
israeliano Alon Friedman, vicecomandante della regione settentrionale
di Israele, la pace che ha faticosamente retto negli ultimi tre anni
"potrebbe esplodere a ogni minuto". Le sue preoccupazioni nascono in
parte dalle minacce della leadership di Hezbollah: lo sceicco Hassan
Nasrallah, capo del movimento, ha avvertito che se verranno colpiti i
sobborghi meridionali di Beirut, come accadde nel 2006, la risposta
sarebbe colpire direttamente Tel Aviv. Alcune immagini ottenute dal
Times mostrano combattenti di Hezbollah che tentano di recuperare razzi
ed altre armi da un ampio deposito esploso il mese scorso nel villaggio
di Khirbet Slim, 12 miglia dal confine con Israele. Quando gli uomini
dell'Unifil si sono avvicinati per investigare, sono stati bloccati. Il
riarmo, fanno notare dall'Onu, è in violazione della risoluzione 1701,
che impose il cessate il fuoco e un bando alle armi nel 2006. |
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