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L'Unione informa |
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6 agosto 2009 - 16 Av 5769 |
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alef/tav |
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Riccardo
Di Segni, rabbino capo di Roma |
Tra i messaggi di valore permanente della Parashà
di Reè che leggeremo questo Sabato, c’è l’avvertimento a non prestare
ascolto a profeti o sognatori, anche se sono in grado di fare miracoli
(Devarim 13:2-4). Secondo quel brano di Torà, l’elemento determinante
in base al quale si deve decidere se dare o meno fiducia a una
persona è la sua fedeltà all’idea di assoluto monoteismo; se il
“profeta” devia o propone alternative non è più credibile. Il paradosso
di questa norma sta nel fatto che, malgrado tutto, la persona che viene
squalificata come inattendibile continua nella Torà a essere chiamata
“profeta”, come se “profeta” sia solo l’appartenente a una categoria
professionale e non, automaticamente, una persona consacrata e
rispettabile. La profezia è da tempo scomparsa, ma di guide
carismatiche, operatori di miracoli e autori di previsioni è pieno il
mondo, anche quello ebraico. La prevenzione sta nell’esercizio di una
sana diffidenza. |
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Domenica
scorsa 2 agosto su questa pagina, David Bidussa discuteva con molta
finezza la questione del destino dei figli degli immigrati clandestini
in Israele. Alle sue parole vorrei aggiungere una postilla. Concludeva,
David, chiedendosi da che cosa sia data l’identità di un Paese: dai
discendenti dei fondatori (dunque nel caso di Israele, dal vecchio
Yishuv ebraico-palestinese e da tutti coloro i quali si sono aggiunti
attraverso la Legge del Ritorno), o da un progetto che prevede che
siano i soggetti presenti gli attori sociali, politici, e culturali a
dire chi si è (inclusi dunque i discendenti dei lavoratori ospiti, per
usare la traduzione italiana della parola tedesca che lascia sempre un
pò sgomenti). Per dirimere il dilemma, però, andrebbe aggiunta la
dimensione tempo. Il patto dei fondatori non riguardava solamente loro
stessi e il loro tempo presente, bensí anche il loro futuro, che è il
nostro presente, e il nostro futuro che sarà il presente dei nostri
discendenti. Viste così le cose – fermo restando l’imperativo ebraico
di inserire criteri di umanità e perfino di buonsenso nelle decisioni
pratiche della politica – “ius sanguinis” non ha perso rilevanza, con
tutta la cautela dovuta alle definizioni molto estensive della Legge
del Ritorno. A meno che non si decida di disdire il patto fra lo stato
d’Israele e il mondo ebraico. Ma per fare questo occorrerebbe una
decisione motivata da un organo direttivo che, almeno per ora, non
esiste.
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Sergio Della Pergola,
demografo Università Ebraica di Gerusalemme |
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Cartoline - Agosto a Tel Aviv
Agosto. La Milano ebraica si svuota. La Tel Aviv italiana si anima.
Centinaia di ebrei milanesi tutte le estati puntualmente lasciano la
città. Se
a luglio le preferenze si dividono tra Forte dei Marmi, Nizza e Milano
Marittima, ad agosto la scelta cade quasi invariabilmente su una sola
località: Tel Aviv. Un rito che si ripete ogni anno, coinvolgendo
famiglie, giovani, anziani, coppie. È un’atmosfera speciale che
cominci a gustare già all’aeroporto di Malpensa. Mentre ti dirigi verso
l’area check in riservata ai voli per destinazioni sensibili, cominci a
cogliere qua e là qualche parola in ebraico, e a vedere giovani coppie,
lei con la gonna, lui con la kippà, circondate da tre o quattro bambini
vestiti uguali, ma di altezze diverse. Poi ti metti in fila ad
aspettare che il poliziotto ti controlli passaporto e biglietto, e
qualcuno ti saluta. Magari un compagno delle elementari che negli
ultimi dieci anni, pur abitando entrambi a Milano, hai incontrato solo
in Israele ad agosto. “Che coincidenza! Anche tu qui! Stai in casa o in
hotel? Quanto ti fermi? Davvero?! Allora ci incontriamo di nuovo al
ritorno! Comunque prima ci vediamo a Frishman..”. Già Frishman (nell'immagine in alto).
In altre parole, la spiaggia più amata e popolata dagli italiani in
Israele ad agosto (ma anche a Pesach, e perché no, Succoth..). Il mondo
è lì, la vita è lì, se non ci vai, è come se tu non fossi nemmeno in
Israele (“Come!? C’eri anche tu in Israele questa estate?!? Ma io ero
sempre a Frishman, e non ti ho visto!”). Dopo aver passato in spiaggia
tutta la giornata, i ragazzi dai tredici, quattordici anni fino ai
trenta, si ritrovano davanti a Frishman anche la sera, prima di
spostarsi in uno dei locali del Namal (il porto), o alla gettonata
discoteca Klara. Mentre pensi a tutto questo, aspetti il tuo
turno per la sicurezza della compagnia, e ti accorgi che ci sono almeno
altre cinque o sei persone che conosci. Però le vedi così concentrate a
rispondere alle domande degli addetti israeliani dall’aria severa, che
decidi di salutarle più avanti. Tanto le occasioni non mancheranno, né
durante il viaggio, né in Israele. I bambini sfrecciano in giro
e le mamma chiacchierano, mentre fai il check in con un po’ di
apprensione, perché naturalmente due o tre chili di eccedenza bagaglio
ci sono sempre. Insomma, ti stai lanciando nel periodo di più frenetica
vita sociale e mondanità dell’anno, avrai pure bisogno di un guardaroba
sufficientemente vasto a disposizione. E gli addetti al check in
sembrano capire e, se possono, chiudono un occhio. Bene, sei
arrivato presto, ma tra file, saluti, e valigie enormi si è fatto
tardi. Alla coda per passare il metal detector e il controllo
passaporti di Malpensa friggi. E non solo tu, dato che sono pur sempre
le giornate più calde e trafficate dell’anno, anche per quanto riguarda
il trasporto aereo. Qua e là tra i serpenti che formano la fila,
riconosci qualcun altro e gli rivolgi un cenno. In mezzo a quella ressa
di più proprio non si può fare. Prima di raggiungere l’uscita da
cui imbarcarsi, voli tra il Duty Free, la toilette, l’edicola e il bar.
Poi, quasi più carico che prima di spedire le valige, ti dirigi verso
il gate. Qui sembra di essere già arrivati a destinazione.
Saranno gli israeliani seduti qua e là che riconosci subito, per come
sono vestiti, in maniera sbarazzina, per usare un eufemismo, oppure il
gruppo di ebrei riuniti in un angolo per la preghiera di Minchà, in un
misto di abiti neri tradizionali, peot e
blue jeans. Oppure la mescolanza di lingue. Ebraico, francese,
italiano. Una donna parla in francese col marito, tiene a bada in figli
emozionati per la partenza in ebraico e chiacchiera in italiano con
un’amica. Dove altro la trovi una cosa del genere? Poi ci
sono i bambini, che scorrazzano allegramente, ridono, si ricorrono.
Nessuno se ne preoccupa troppo, proprio come in Israele. In fondo poi
si è tutti fra amici. E a proposito di amici, qua la vita sociale si
può finalmente sbizzarrire. Alle domande di rito già elencate si
aggiungono i “Che posto hai?” e “Speriamo che il volo non faccia
ritardo”. A completare il quadro, ci sono le famiglie molto molto
allargate, nonni, genitori, figli, a volte anche zii e cugini, in
vacanza tutti insieme, che quando incontrano un altro gruppo
multi-generazionale fanno festa, ognuno trova il giusto corrispondente
con cui parlare la coda per l’imbarco fila via che è una bellezza. A
bordo il copione si modifica leggermente. Colpa della struttura
logistica dell’aeromobile, che è molto adatta a fare salotto. Le mamme
riescono a chiacchierare, ad ogni modo, e i bambini giocano. I papà
leggono il giornale, i giovani, ovviamente, ascoltano l’iPod, gli
anziani cercano di assopirsi. Il volo scorre via lento, sono tutti
impazienti di atterrare. Man mano che il tempo passa, le attività si
affievoliscono, complice anche l’arrivo del pasto. Poi finalmente
si delineano fuori dai finestrini i profili della costa e dei
grattacieli di Tel Aviv. L’aereo atterra all’aeroporto di Ben Gurion e,
sbarcando, il profumo rovente dell’estate israeliana investe i nuovi
arrivati. Posto di riuscire a superare le temperature polari del
controllo passaporti solo di poco superiori a quelle sofferte per
l’area condizionata in aereo, dopo questa grande botta di caldo, puoi
salutare tutti al nastro di ritiro bagagli, sapendo che non passeranno
molte ore prima di rivederli in tenuta da mare. Frishman Beach vi attende!
Rossella Tercatin |
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pilpul |
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Ma guarda
Stamattina mi sono svegliato con la sensazione che qualcosa che doveva
accadere, doveva essere accaduta in modo così sommesso: come uno sparo
col silenziatore, come un omicidio educato. Poi mentre ero lì che mi
lavavo i denti. mi sono visto allo specchio: poveraccio. Avevo un buco
in una tempia e ne stava uscendo un rivolo di nebbia. Ho messo un dito
sul buco e immediatamente mi sono reso conto che si sono svolti i
Giochi del Mediterraneo senza Israele.
Il Tizio della Sera |
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rassegna stampa |
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Il
mondo dovrà confrontarsi ancora con lui. Da ieri, ma chiunque sapeva
che le proteste di Mousavi non avrebbero portato a nulla, Ahmadinejad è
ufficialmente riconfermato presidente dell’Iran. Ha giurato fedeltà al
regime islamico. La notizia è riportata da tutti i quotidiani Corriere
in testa che, come ormai fosse parte di uno scenario “normale”,
racconta delle proteste in piazza dei riformisti di Teheran. Degli
scontri per le strade, dei cellulari bloccati, di ventiquattro
impiccagioni. Ciò che fa impressione è però, a mio avviso,
l’immobilismo delle organizzazioni internazionali. In uno scacchiere
diplomatico in cui tutti i Paesi, Stati Uniti in primis, cercano di
fare melina in attesa che anche gli ayatollah si rendano conto
dell’importanza del dialogo, se si vuole evitare un conflitto vero,
organizzazioni come l’Unione europea dovrebbero duramente intervenire.
Ma non lo fanno. A questo proposito invito a leggere l’intervista
sul Riformista ad Alaleh Davallou. Interessante anche la riflessione della Stampa sulla linea di Ahmadinejad, che il giornale di Torino riassume così: “Occidente, non voglio i tuoi sorrisi”. Sul Corriere,
invece, Guido Olimpo – uno tra i giornalisti italiani più esperti di
politica internazionale – racconta come cambia tutto lo scenario
mediorientale con la riconferma del dittatore alla guida di Teheran.
Con i siriani preoccupati dell’espansione sciita, l’Arabia e il Qatar
inquieti anche a causa di problemi interni legati al complottismo
politico e l’Iraq pronta a scatenare una guerra contro i
mujaheddin Khalq. In Libano, ma questo è il Times di ieri a dirlo, Hezbollah avrebbe 400 mila razzi puntati su Tel Aviv. Insomma,
è la politica mediorientale a farla sempre da padrona. L’islam estremo
fa sempre più rumore e non solo dalle parti di Gaza. A proposito, il Giornale racconta che Hamas ha preparato il suo primo film per il cinema. Lo ha dedicato a un terrorista.
Fabio Perugia |
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notizieflash |
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Israele - Sorprendenti risultati in uno studio sull'ossitocina Roma, 5 ago -
L'ossitocina,
l'ormone dell'affetto, della fiducia, del legame sociale, diventato
sinonimo di bontà nasconderebbe anche delle insidie, perché non
promuove solo le emozioni positive, ma amplifica i sentimenti di
invidia e malizia, cioé di soddisfazione maligna per l'insuccesso del
prossimo. Lo dimostra uno studio pubblicato sulla rivista Biological
Psychiatry da Simone Shamay-Tsoory dell'Università di Haifa in Israele.
Naturalmente prodotta dal nostro corpo, l'ossitocina è stata
protagonista di numerosissimi studi nell'ultimo periodo ed é stata
eletta come 'antidoto' alla negatività. Tutte le azioni che media nel
corpo umano sono infatti positive: rafforza i legami affettivi, crea
l'attaccamento mamma-neonato, induce la fiducia nel prossimo e
addirittura la generosità. Tanto che molti ricercatori hanno pensato
all'ossitocina come alla 'panacea' contro molti disturbi, quali
l'autismo e la fobia sociale. Lo studio di Shamay-Tsoory invece, sembra
svelare il rovescio della medaglia: l'ossitocina può anche indurre
emozioni negative. Infatti, l'esperto ha studiato l'ossitocina su 56
volontari che dovevano cimentarsi in un gioco di probabilità contro un
avversario (che loro non sapevano essere un finto rivale creato al
computer) dalla personalità arrogante: i partecipanti avevano di fronte
tre porte, una blu una gialla una rossa, e tre diversi 'montepremi' da
vincere dietro ciascuna. Gli esperti hanno spruzzato ossitocina sul
naso dei volontari, oppure uno spray placebo, e hanno quindi osservato
come reagivano i partecipanti alla vittoria loro o dell'avversario. E'
emerso che l'ossitocina sollecita una reazione più aggressiva delle
persone nei confronti del rivale vincente, e una più soddisfatta (e
quindi maligna) di fronte alla sconfitta dell'avversario. L'ossitocina,
quindi, potrebbe avere una funzione a più ampio spettro, forse
sollecitando le emozioni umane tout court, e non solo quelle positive,
ma anche le negative, a seconda del contesto. Quindi, avvertono gli
scienziati, il suo uso a livello clinico potrebbe nascondere degli
effetti avversi. |
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L'Unione
delle Comunità Ebraiche Italiane sviluppa mezzi di comunicazione che
incoraggiano la conoscenza e il confronto delle realtà ebraiche. Gli
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indicato il contrario, non possono essere intesi come una presa di
posizione ufficiale, ma solo come la autonoma espressione delle persone
che li firmano e che si sono rese gratuitamente disponibili. Gli
utenti che fossero interessati a partecipare alla sperimentazione
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Il servizio Notizieflash è realizzato dall'Unione delle Comunità
Ebraiche Italiane in collaborazione con la Comunità Ebraica di Trieste,
in redazione Daniela Gross. Avete
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