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    12 agosto 2009 - 22 Av 5769  
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Moked - il portale dell´ebraismo italiano
alef/tav    
  Adolfo Locci Adolfo
Locci,

rabbino capo
di Padova
"Guarda, Io pongo davanti a voi la benedizione e la maledizione" (Devarim 11:26). Secondo il commentatore romagnolo 'Ovadià Sforno, benedizione - berakhà vuol dire raggiungere una prosperità maggiore rispetto a quella di cui abbiamo bisogno, mentre maledizione - kelalà significa non riuscire a ottenere quanto ci è appena necessario.  Non è prevista una via di mezzo...
Nei prossimi mesi uscirà a Parigi un’opera collettiva: “Les Juifs dans l’Histoire” (Champvallon editore), curata da Evelyne Patlagean, oltre che dai suoi allievi Benjamin Lellouch e Antoine Germa. E’ un gran lavoro: racconta in modo chiaro e puntuale che il popolo ebraico ha vissuto nella storia di tutti i tempi e di tutti i luoghi. La lettura di questo libro, nato per combattere l’antisemitismo dilagante nelle scuole delle banlieues parigine, aiuta a comprendere che parlare o scrivere degli ebrei senza contestualizzarli significa rinchiuderli in uno stereotipo più o meno esplicitamente antisemita. Giacomo Todeschini,
storico
giacomo todeschini  
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  Il Tribunale amministrativo del Lazio e la laicità nella scuola
Una sfida da raccogliere per costruire la società aperta

Il Tribunale amministrativo del Lazio ha accolto i due ricorsi presentati da varie associazioni e confessioni religiose, Unione delle Comunità Ebraiche Italiane compresa, riguardanti i crediti scolastici per l'ora di religione cattolica, l'unica che si insegna nella scuola pubblica, e la partecipazione "a pieno titolo" agli scrutini da parte degli insegnanti di questa materia.
Assai espliciti diversi passaggi della sentenza 7076/2009 : "violazione dei diritti di libertà religiosa e della libera espressione del libero pensiero", "forma di discriminazione, dato che lo Stato italiano non assicura identicamente la possibilità per tutti i cittadini di conseguire un credito formativo nelle proprie confessioni ovvero", passaggio altrettanto assai opportuno,"per chi dichiara di non professare alcuna religione in Etica Morale Pubblica", affermazione secondo la quale lo Stato "non può conferire a una determinata confessione una posizione dominante" e così via dicendo.
Impressiona positivamente il crescendo di pronunciamenti che si ispirano alla laicità dello Stato, virtù che se applicata pienamente consentirebbe a tutti di vivere il proprio credere o non credere nella libertà e nel rispetto reciproco, cittadini tutti uguali come li vuole la Costituzione, mentre preoccupa la distanza che viene sempre più marcata con la politica, trasversalmente intesa  e fatte le poche e varie eccezioni del caso, assopita su questi temi  sacrificati evidentemente sull'altare di presunti interessi elettorali.
Spetta però anche a noi di attivarci affinché questo vento aiuti la società italiana a migliorare, senza alcuna necessità di ergere barricate, ma anzi per perseguire un modello di società aperta del quale beneficiare tutti.

Gadi Polacco, Consigliere dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane

Molto rumore per nulla

I buoni e i cattivi «esistono in tutte le religioni.E' strumentale pensare che ci sia una correlazione fra nazismo e cristianesimo, così come è ingiusto non ricordare che Benedetto XVI ha sempre condannato con la giusta forza gli orrori della Shoah». Ne è convinto l'ex rabbino capo di Israele, David Rosen, che interviene nella polemica sulle frasi pronunciate dal Papa prima dell'Angelus di domenica scorsa. Parole che - ricorda il direttore de L'Osservatore Romano Giovanni Maria Vian - «non appartengono a un trattato di storia, ma sono una riflessione a partire dalla memoria dei santi di questi giorni». Rosen spiega: «Io non voglio commentare le dichiarazioni del rabbino capo italiano: non sono bene inserito in quei contesti e non credo sia giusto giudicare o smentire le dichiarazioni rilasciate da chi invece lo è. Personalmente, non ho alcun dubbio sul fatto che Benedetto XVI sia totalmente convinto di continuare, nel miglior modo possibile, sulla traccia di Giovanni Paolo II. Segue con onestà il tratto che ha ereditato. Dal punto di vista invece delle polemiche sulla questione della sociologia o la teologia della Shoah, la risposta è semplice: non è il mio ruolo commentare la teologia del Papa. Abbiamo bisogno, tutti insieme, di ricordare che ci sono stati moltissimi buoni cristiani che - a rischio della loro stessa vita - hanno salvato migliaia di ebrei durante il terribile periodo delle persecuzioni naziste. Certo, ci sono stati anche cristiani cattivi: ma questo va inteso in un senso generale. Ci sono i buoni e i cattivi in tutte le religioni, che usano la loro teologia in maniera costruttiva e distruttiva. D'altra parte, il Papa ha ricordato più volte che la Shoah è stato il male peggiore del secolo ventesimo: e su questo non credo che nessuno possa essere in disaccordo». Stessa linea anche per Vian, che a Liberal sottolinea: «Quelle di Benedetto XVI erano brevi parole rivolte ai fedeli prima dell'Angelus. Il Papa, ricordando i santi di questi giorni (come aveva fatto già due domeniche fa), ha parlato di due martiri del nazismo: Edith Stein, la filosofa ebrea poi divenuta cristiana ed entrata tra le carmelitane con il nome di Teresa Benedetta della Croce, e Massimiliano Kolbe, francescano conventuale polacco che, deportato in un campo nazista, si offrì di morire in modo atroce al posto di un padre di famiglia condannato per una rappresaglia. In questo contesto, il Papa ha ricordato ancora una volta l'orrore dei lager, di tutti i lager, e della Shoah, come con grande chiarezza ha sottolineato Renzo Gattegna. Non c'è dubbio che da parte di Benedetto XVI ci sia un giudizio dito- tale condanna della Shoah, nonostante le opinioni secondo cui questo Papa saprebbe poco di storia e addirittura di filosofia: affermazioni che si commentano da sole. Benedetto XVI si è rivolto a tutti con parole semplici che non è proprio il caso di strumentalizzare, come ha detto il rabbino Rosen». Il nazismo - riprende il direttore de L'Osservatore Romano - «è stato caratterizzato da un'ideologia pagana, a cui purtroppo hanno aderito anche cristiani, ma che è stata nettamente avversa all'ebraismo e alle radici ebraiche del cristianesimo, e dunque al cristianesimo stesso. Non pochi oppositori in Germania, soprattutto cattolici ma anche protestanti, sono stati perseguitati e uccisi: basti pensare alle beatificazioni dei martiri del nazismo volute da Giovanni Paolo II. E storicamente fuori di ogni dubbio che nazionalsocialismo e cristianesimo siano realtà incompatibili. Per quanto riguarda il cenno al nichilismo, si tratta di un discorso che Benedetto XVI va facendo da molto tempo e che domenica ha ripreso, ben consapevole ovviamente della sua complessità e alludendo a grandi letterati e pensatori. Per ripetere che sostituirsi a Dio, o volerlo eliminare dall'orizzonte umano, porta frutti tremendi: come i lager, punta culminante di una realtà ampia e diffusa, spesso dai confini sfuggenti. Le reazioni critiche mi sembrano dunque del tutto infondate».   Secondo Anna Foa, professoressa di Storia moderna all'Università La Sapienza di Roma, «le dichiarazioni di Di Segni e Laras, che riguardano la metafora della Shoah come male assoluto, vanno messe da parte: mi sembra che il Papa non abbia voluto fare un discorso storico sullo sterminio. Sofri sostiene invece che il pontefice abbia voluto dire: una persona che non è cristiana in un umanesimo cristiano è un qualcosa che porta al male assoluto. Non mi sembra che Benedetto XVI volesse dire questo; credo si tratti di polemiche giornalistiche. Ma credo che su questo qualcosa da dire ci sia: esiste un umanesimo non religioso che però tiene fede a valori etici forti. Non è necessario che l'etica sia sempre legata alla religione: non è un'etica del male, ma del bene. D'altra parte, come dimostra la storia, la religione ha portato al male. Non necessariamente la fede porta al bene, come non porta al male. In questo credo che Sofri abbia ragione, anche se il pontefice deve essere libero di usare la metafora della Shoah».

Vincenzo Faccioli Pintozzi, Liberal 12 agosto 2009


 
 
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pilpul    
 
  Il ghetto raccontato dai giornali non è lo stesso luogo
in cui fu a lungo rinchiuso il popolo ebraico

bruno di porto Chiamano "ghetto" in questi giorni un quartiere di degrado e di crimini, dove alla polizia è arduo entrare. Si sa che i significati delle parole trapassano nella semantica storica e sociale. Ma il ghetto, il nostro ghetto, è ben altra cosa, con un senso di onore nella tristezza. Luogo di degrado, misero, malsano, ma non violento, se non in piccola eventuale misura, per cui ogni consorzio ha umane frizioni. La violenza veniva a ondate da fuori. Dentro era luogo di pace, nell'accettazione della clausura  per fedeltà al retaggio, alla tradizione, all'Eterno. Era il luogo dove il calar del Sabato, come ancora nelle nostre sere, si riempiva di canto e di pace.

Bruno Di Porto, storico
 
 
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Al congresso di Al Fatah trionfa la retorica


Vittorio Dan SegreIl VI congresso di Al Fatah, il primo da quello del 1989 tenutosi a Tunisi, ha chiuso i battenti con un ritardo di tre giorni dovuto alla competizione fra i candidati al Comitato esecutivo (21 membri) e al Comitato rivoluzionario (150 membri fra cui un ebreo israeliano, Uri Davis, reclutato nelle file di Al Fatah dal 1980). Al di là della retorica condizionata dalla paura di non apparire abbastanza radicali in confronto a Hamas, il congresso ha prodotto alcuni risultati degni di nota. 1. Un successo indubbio di immagine locale e internazionale per il fatto stesso dei 2600 delegati riuniti a Betlemme, senza incidenti, in piena libertà di espressione garantita dalla presenza della nuova efficiente polizia palestinese organizzata dal generale americano Dayton, nonostante il veto di Hamas. 2. La conferma del divario fra gli scopi e la realtà. Espressa dal nome stesso di Al Fatah (Conquista), l'impegno ufficiale di distruggere l'occupante sionista, trasformato ora in «diritto alla resistenza» si scontra con l'impegno a operare per la creazione di uno Stato palestinese accanto a Israele «fintanto che ci sarà un filo di speranza». Una quadratura del cerchio che non ferma la colonizzazione israeliana e resta un anatema per Hamas, 3. La rottura con Hamas ha ridato prestigio all'interno della dirigenza di Al Fatah a Mohammed Dahlan, ex 'ras' di Gaza, avversario di Arafat con molti legami con Israele tornato da anni in esilio di malattia in Europa. Si è posizionato come possibile successore del riconfermato Mahmud Ahbas. L'altro concorrente, l'ex premier Ahmed Qurcia, è stato sconfessato a causa del suo sfacciato arricchimento con la vendita di cemento usato da Israele nella costruzione degli insediamenti, mentre Marwan Barghuti incarcerato da Israele, eletto al Comitato centrale, resta il più popolare leader di Al Fatah. 4. Nel congresso è emersa la rottura fra la vecchia guardia proveniente dall'esilio di Tunisi e la nuova formatasi nel corso di due intifade, Ma nè le sprezzanti accuse lanciate dall'estero dal ministro degli Esteri dell'Olp Qaddumi co-fondatore con Arafat di Al Fatah, né la richiesta - subito respinta - di creare una commissione di inchiesta sul comportamento della dirigenza di Al Fatah nei passati 20 anni hanno scalfito il potere dei vecchi tunisini confermato dall'elezione per acclamazione di Abu Mazen alla presidenza per altri cinque anni. 5. In queste condizioni il congresso conferma la situazione di stallo all'interno del movimento e nei confronti di Hamas e di Israele. Stallo che non dispiace a Netanyahu, interessato a dimostrare all'America che nulla è cambiato nella speranza palestinese di far cambiare politica al governo di Gerusalemme grazie alle pressioni di Washington e dell'Europa. Tanto più che anche i Paesi arabi, in primo luogo l'Arabia Saudita, a cui la diplomazia americana si è rivolta per chiedere 'gesti' di normalizzazione dei rapporti con Israele hanno risposto negativamente. Meglio dunque pensare - senza dirlo - a un lungo armistizio con Hamas ancora accusato di terrorismo dall'Occidente, piuttosto che trattare con un Fatah politicamente impotente.

Vittorio Dan Segre, Il Giornale 12 agosto 2009
 

 
 
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notizieflash    
 
 
Israele libera Kamil Khater detenuto siriano del Golan                  
Beirut, 12 ago -
Il quotidiano governativo al Thawra informa stamani che un prigioniero siriano del Golan detenuto in Israele "Kamil Khater (33) è tornato in libertà dopo otto anni". Al Thawra, precisa che il giovane, di professione barbiere, era stato arrestato e condannato nel 2001 a otto anni di carcere con l'accusa di "trasporto illegale di armi". Come mostrano oggi i siti Internet degli attivisti siriani del Golan, Khater ha fatto ritorno lunedì scorso a Majdal Shams, sua cittadina natale. La stampa israeliana ha, dal canto suo, riferito oggi che il governo di Gerusalemme ha chiesto indirettamente alla Siria informazioni sulla sorte di Guy Hever, scomparso nel Golan 12 anni fa.

Israele, il Comune di Kiryat Yam offre un milione di dollari
per provare l'esistenza delle sirene
Gerusalemme 12 ago -
La stampa locale riferisce oggi che il comune di Kiryat Yam, nelle vicinanze di Haifa, ha offerto un premio di un milione di dollari a chi sarà in grado di provare l'esistenza delle sirene. L'iniziativa del comune, è partita in seguito a numerosi avvistamenti riferiti da privati cittadini della mitica creatura marina, presente anche nell'Odissea. Natti Zilberman portavoce del consiglio comunale di Kiryat Yam sostiene che negli scorsi mesi ci sono stati almeno una dozzina di avvistamenti. "Molte persone ci dicono che sono certe di aver visto una sirena e si tratta di persone che non hanno alcun rapporto tra loro". "La gente - ha continuato - dice di aver visto una figura femminile, metà giovane donna e metà pesce che salta come un delfino e compie diverse acrobazie prima di scomparire". Il portavoce ha negato che l'offerta del premio sia un espediente pubblicitario ma ha ammesso di sperare che le voci sulla sirena possano richiamare a Kiryat Yam folle di turisti e di curiosi.

 

 
 
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L'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane sviluppa mezzi di comunicazione che incoraggiano la conoscenza e il confronto delle realtà ebraiche.
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