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L'Unione informa
 
    19 agosto 2009 - 29 Av 5769  
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Moked - il portale dell´ebraismo italiano
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  Adolfo Locci Adolfo
Locci,
rabbino capo
di Padova
"Giudici e amministratori della legge dovrai porre, per te, in ogni tua porta" (Devarim 16:18)
Yesha'ia Ben Avraham Ha-Levi Horowitz (1570-1630) insegna che queste parole si possono riferire allegoricamente anche al singolo individuo. Infatti, l'uomo possiede sette ingressi: due occhi, due orecchie, due narici e una bocca. Queste "porte", possono portare all'uomo grandi benefici ma, se non sono adeguatamente regolate e controllate, possono portarlo alla rovina.
Pensando alla privatizzazione della terra di Israele voluta dal governo e a cui si oppone il partito Kadima, mi viene da ricordare che il popolo ebraico appare nelle Scritture come un “possesso” (segullah) di Dio, mentre d’altro canto la terra come bene immobile e tutto quanto le inerisca comprese le case costruite fuori dalle città “non girate di mura” (e quindi pertinenti alla campagna) sono intesi nelle Scritture come beni economici appartenenti a Dio, e dunque non appropriabili in perpetuo da parte degli uomini: “la terra non deve vendersi assolutamente (per sempre), poiché a me appartiene la terra, e voi siete appo me (qual) forestieri…” (Deuteronomio 25, 23) Giacomo Todeschini,
storico
Giacomo Todeschini  
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  Qui Torino - Zamorani editore, azienda piccola e indipendente
che per prima trattò il tema delle persecuzioni razziste

ZamoraniHo fatto l’editore perché non sapevo fare altro”, spiega con un sorriso Silvio Zamorani, da quasi trent’anni alla guida della sua casa editrice di corso San Maurizio, a Torino. La domanda, a dire il,vero, era banale – Come mai ha scelto di fondare una casa editrice? - La risposta è stata concisa e esauriente, un po’ l’immagine dello stesso interlocutore. Si sceglie un lavoro per necessità, per ambizione oppure semplicemente perché è ciò che si sa fare.
Dal 1982 alla guida della sua casa editrice, Zamorani, spiega che un editore piccolo e indipendente non può che specializzarsi è per questo che cominciarono le pubblicazioni in ambito storico, in particolare sul fascismo. “Abbiamo il merito di essere i primi ad aver trattato della persecuzione ebraica in Italia (M. Sarfatti, Mussolini contro gli ebrei. Cronaca dell’elaborazione delle leggi del 1938)”, afferma con una punta di orgoglio l’editore torinese che poi sottolinea: “La Zamorani tratta anche di filosofia, vi sono testi sul Vicino Oriente e altri più specifici sull’ebraismo; comunque non siamo settari". Forse per questo si sono dedicati anche alla produzione di manifesti d’arte e di cornici per mostre, peraltro con ottimi risultati (da Mainolfi a Gastini, da Ramella a De Maria, a Berruti).
La storia di Zamorani, però, non comincia a Torino ma oltre mare, in Egitto, dove il nonno ferrarese, l’omonimo Silvio Zamorani, si trasferisce con l’incarico di procuratore del Banco di Roma per l’Africa. Al Cairo, con una fiorente e eterogenea comunità ebraica, la famiglia trascorre il periodo della guerra ma già dal 1932 il nonno è costretto a lasciare l’incarico per aver rifiutato di iscriversi al partito fascista. Sono anni duri. “La famiglia si impoverì con il passare degli anni, poi arrivarono le leggi razziste a dare il colpo di grazia e ad aggravare le nostre condizioni, ma capitò a noi come capitò ad altri, tutto lì”, racconta con estrema semplicità e naturalezza il nipote Zamorani, e ancora: “La nostra fu una sorte migliore: la sorella del nonno, sua cognata e purtroppo altri nostri parenti fecero una fine terribile in Italia. Per non parlare dei parenti di mia madre in Grecia di cui sopravvisse solo una persona. Il problema era anche riuscire a ottenere delle informazioni riguardo ciò che succedeva in Europa era difficilissimo sapere come e quando avvenivano le cose”. Le tragiche notizie dalla Grecia arrivarono tramite due zii, militari delle Brigate greche del governo inglese in esilio, che appena sbarcati, andarono a cercare i propri parenti e scoprirono cosa era realmente successo. “Dall’Italia le cose si seppero solo con la fine di tutto quanto. Notizie non si ebbero prima”.
Finita la guerra molti parenti iniziano a lasciare l’Egitto, chi per trasferirsi in Israele, chi per altre mete, ad esempio il Brasile, per trovare nuove opportunità di vita e di lavoro.
Dopo la guerra del Sinai del 1956, inizia l’espulsione da parte del governo degli ebrei egiziani con confisca delle proprietà. Fra i 25 mila che saranno espulsi, c’è anche la famiglia Zamorani che lascia l’Egitto nel giugno del 1957. “I tempi di espulsione – spiega - erano quelli di capienza di due navi, una si chiamava Esperia, l’altra Enotria. Gli approdi possibili erano la Spagna ma c’era Franco, la Francia ma era appena stata in guerra con l’Egitto, poi c’era l’Italia, la Jugoslavia e l’Albania non erano proprio appetibili mentre la Grecia era appena uscita da una violenta guerra civile. Quindi molte altre possibilità per entrare in Europa non c’erano. Le navi facevano la spola tra Alessandria, Genova e Venezia”. Gli Zamorani scelgono il capoluogo ligure, ma non vi rimangono a lungo. Il padre parte per Milano in cerca di lavoro, poco dopo raggiunto dalla madre mentre Silvio e il fratello più piccolo si spostano a Torino, accolti dalla Comunità Ebraica nell’orfanotrofio di via Cesare Lombroso. Vicino c’è il collegio rabbinico e così il futuro editore conosce i futuri rabbini, fra cui Giuseppe Laras, Luciano Caro, Roberto Bonfil, per citarne alcuni. I ragazzi si ricongiungo ai genitori a Milano, per poi tornare nel 1964 a Torino, dove il padre ha trovato lavoro.
“Io avevo bisogno di lavorare, ma non in modo spasmodico - scherza Zamorani alla domanda sui suoi inizi - trovai lavoro presso Einaudi come correttore esterno. Era comodissimo perché potevo lavorare quando mi pareva, poi per ragioni sindacali non potevano più tenere i correttori esterni che dovevano essere assunti. Io lo vissi più come una disgrazia che come una fortuna”. Sarà stato uno dei motivi per cui lasciò Einaudi? Non credo; il desiderio era quello di essere indipendente, di imbarcarsi in una nuova sfida. Gli obiettivi erano ben delineati e poco frequentati da altri, spiega Zamorani: “Sapevamo cosa volevamo fare” e una delle prime esigenze era pubblicare sul tema della  persecuzione ebraica in Italia “per molti anni non se ne è parlato e siamo stati i primi a farlo”.
“Credo di essere stato fortunato, ho sempre avuto la sensazione di attraversare un fiume, trovando ogni volta un sasso per non bagnarmi”, afferma rispondendo alla domanda sulle difficoltà incontrate durante la sua carriera. La reputazione della casa editrice si comprende dai nomi degli autori presenti nel catalogo, fra cui M.Sarfatti, L. Allegra e F. Levi.
Il discorso continua sul futuro dell’ebraismo, in particolare in Italia: “Da un punto di vista numerico sono molto spaventato, dall’altra parte io so una cosa ed è che i nostri avi con numeri molto molto piccoli hanno fatto cose straordinarie, vuol dire che non è una buona giustificazione essere in pochi e dire non si può far nulla”. Invece sulla considerazione un po’ provocatoria sulla possibilità degli ebrei di essere considerati “normali”, Zamorani risponde con pronta ironia: “L’unica mia consolazione quando vedo un ebreo compiere qualcosa di brutto è pensare: beh il razzismo non ha proprio alcun fondamento”. Infine sul quanto l’identità ebraica abbia condizionato la sua vita: “Moltissimo. Ma cosa ci posso fare? Non è una scelta. Sono qua perché sono stato buttato fuori; sono stato buttato fuori perché ebreo”-  poi aggiunge riguardo al suo rapporto con l’ebraismo - “La risposta la diede molti anni fa mio nonno. Lui si sposò due volte perché rimase vedovo; si considerava libero pensatore e non si qualificava come ebreo. Entrambe le volte sposò un ebrea e alla domanda – perché sposi un ebrea se non te ne frega niente, se ti consideri laico?- il nonno rispose – e io un’altra laica dove la trovavo secondo te?”.

Daniel Reichel

 
 
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  RabelloL'importanza dell'azione dell'uomo

È ben nota l'azione benefica del Nilo, che con il suo straripamento rendeva fertile la zona irrigata; Mosè mette in risalto il contrasto fra la terra d'Egitto ed Eretz Israel: "perchè il paese che tu vai a conquistare non è come la terra egiziana dalla quale usciste, che si deve seminare e irrigare con il tuo piede, come se fosse un orto; il paese che voi state per conquistare è un paese di monti e di valli che viene irrigato dalla pioggia del cielo; una terra della quale il Sign-re prende cura, sulla quale continuamente si posano gli occhi del Sig-re dal principio alla fine dell'anno" (Deut. 11, 10-12). Ben sapevano gli Ebrei che era relativamente facile lavorare la terra bagnata dal Nilo, ben sapevano che gli Egiziani attribuivano al loro Nilo un carattere divino; e cosa c'era di meglio in Eretz Israel? Qui la situazione sarebbe cambiata, senza il Nilo tutto sarebbe dipeso solo dalla pioggia del cielo e questa viene concessa "se ascolterete i precetti che Io vi comando oggi" (ivi, 11,13); l'accento viene messo non sulla nostra preghiera, che pure ha la sua importanza, ma sul nostro "ascoltare i precetti", cioè sul nostro compiere le mitzvot, fra le quali vi è anche quella del lavoro della terra; come spiega lo Sforno: "una terra della quale il Sign-re prende cura – guardando se le azioni dei suoi abitanti siano degne della pioggia o meno".

Levinas ha definito l'Ebraismo una "religione adulta", cioè non ti aspetti che tutto ti venga preparato da D-o, ma devi essere pronto ad essere partecipe con D-o nel mantenimento e sviluppo dell'opera della creazione. È la lezione che ci hanno dato i Maestri del Sionismo religioso e che talvolta anche noi sembriamo dimenticare, proprio qui nello Stato di Israele; abbiamo avuto un anno o due piovosi? Allora possiamo rinunciare a procedere nella realizzazione del progetto di desalinizzazione dell'acqua marina, meravigliandoci poi oggi se ci manca acqua, dopo uno-due anni di siccità…"non mettete alla prova il Sign-re vostro D-o" ci insegna Mosè (Deut.6,16) e i nostri Maestri, nella loro saggezza, dicono espressamente: "en somchim al nes" (non ci si basa sul miracolo, T.B., Kiddushin, 39), facendo cadere la responsabilità su chi sta inerte ad attendere un miracolo. In ogni campo dobbiamo assumerci le nostre responsabilità e agire con ponderatezza, valutando realisticamente la situazione e cercando di tutelare il bene del paese, anche se per caso si vedranno i frutti della nostra azione soltanto sotto un governo differente… La terra è sì stillante latte e miele (Deut. 11,10), ma per avere il latte ed il miele sappiamo bene che bisogna lavorare sodo.

Alfredo Mordechai Rabello, giurista, Università Ebraica di Gerusalemme 
 
 
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Obama «Entro settembre il mio nuovo piano di pace»
[…] Ieri, durante l'incontro con il presidente egiziano Mubarak, il terzo da quando è entrato alla Casa Bianca, Obama si è impegnato a presentare un nuovo piano di pace entro il prossimo settembre per sbloccare l'attuale situazione di stallo tra israeliani e palestinesi. L'Egitto crede nella linea diplomatica della nuova amministrazione americana. E' vero che anche gli Stati Uniti di Barack Obama, come prima quelli di George W. Bush, continuano a definire Israele «un grande amico», ma è anche vero che il discorso pronunciato da Obama al Cairo il 4 giugno scorso ha oggettivamente cambiato presso il mondo musulmano la percezione che gli arabi hanno dell'America. «Con il suo discorso al Cairo il presidente Obama ha tolto ogni dubbio sulle relazioni tra Stati Uniti e mondo musulmano» ha riconosciuto ieri Hosni Mubarak nella conferenza stampa congiunta tenuta alla Casa Bianca.[...]
Il Messaggero, 19 agosto 2009

Usa – Iran, strategia da rivedere
Aumentano i segnali che fanno supporre che l'amministrazione Obama stia rivedendo la sua strategia nei confronti dell'Iran. A Washington si sta facendo strada la convinzione che la crisi politica scoppiata in Iran dopo la contestata rielezione di Ahmadinejad il 12 giugno scorso abbia ulteriormente ridotto le possibilità di una risposta positiva di Teheran all'offerta di dialogo. Ad una lettera personale che secondo il Washington Times il presidente Obama avrebbe segretamente inviato ad Ali Khamenei agli inizi di maggio, la Guida Suprema, rivela il New York Times, avrebbe risposto in modo deludente . Ufficialmente le porte rimangono aperte, ma Obama si aspetta una risposta entro la fine dell'anno e sono allo studio i passi successivi nel caso di una mancata, o negativa, risposta da parte iraniana. Il piano B , nel caso in cui la diplomazia fallisse, non prevede solo nuove sanzioni, ma anche l'opzione militare, come alcune fonti israeliane (citate nei giorni scorsi dal Velino) sostengono abbia rivelato il segretario alla Difesa Usa, Robert Gates, al premier Netanyahu durante la sua visita in Israele. […]
Federico Punzi, Avanti, 19 agosto 2009 

Uno stato di troppo
[…] Un tempo il mondo intellettuale e la sinistra occidentale chiedevano insistentemente a Israele di ritirarsi dai Territori occupati in seguito agli attacchi subiti dal mondo arabo nel 1967 e, di conseguenza, giudicavano l'occupazione militare sionista come la causa principale del conflitto mediorientale. Dopo l'ennesimo rifiuto palestinese a siglare un accordo di pace nel 2000 e la successiva sanguinosissima Intifada scatenata dagli uomini di Yasser Arafat, nel 2005 l'allora premier israeliano Ariel Sharon, uno con la fama da duro, quel passo clamoroso lo ha compiuto, lasciando Gaza e la Cisgiordania al controllo palestinese. Non solo non è cambiato l'atteggiamento di fondo anti israeliano della leadership palestinese, ma con un'acrobatica giravolta intellettuale una buona parte della sinistra occidentale ha continuato ad accusare Israele, questa volta per essersi ritirata troppo presto e senza averlo concordato con gli arabi. […]
[…] Israele è l'unico paese della regione ad aver condiviso fin dall'inizio la risoluzione delle Nazioni Unite del 1947 che divideva l'ex mandato britannico della Palestina in due stati, uno ebraico e uno arabo. I paesi arabi non solo non hanno accettato la nascita di Israele, dichiarandogli guerra il giorno successivo, ma non hanno mai voluto creare uno stato palestinese. […]
Il Foglio, 19 agosto 2009

Il Liechtenstein si difende «Noi salvammo gli ebrei»
[…] C'è nervosismo nel principato del Lichtenstein. Le pressioni per togliere, o modificare radicalmente, le regole del segreto bancario si fanno sentire, se Hans Adam II zu und von Liechtenstein, reggente del minuscolo Stato, se ne è uscito con frasi che hanno profondamente irritato la Germania, e soprattutto la sua comunità ebraica. «Noi e la Svizzera ha detto in un'intervista al Liechtensteiner Volksblatt abbiamo salvato la vita di molte persone con il segreto bancario». Non basta. «La Germania dovrebbe guardare a casa propria, ripulire il proprio cortile e pensare al proprio passato». […]
[…] La replica della comunità ebraica è stata immediata. «Le parole del principe sono di scherno a tutti i sopravvissuti dell'Olocausto ha detto Stepban Kramer, del Consiglio centrale degli ebrei tedeschi. […]
Mara Gergolet, Corriere della Sera, 19 agosto 2009 

 
 
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M.O.: Barack Obama: "Buona volontà da parte israeliana,           ora tocca ai palestinesi, spero che facciano passi in avanti"
Washington, 18 ago -
“Ho visto da parte israeliana segni incoraggianti per quanto riguarda gli insediamenti”, ha affermato il presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, nel corso dell'incontro con il presidente egiziano, Hosni Mubarak, in merito alla questione israelo-palestinese. Ora il presidente americano auspica segni di buona volontà anche da parte palestinese: "Ho la speranza che vedremo gesti non soltanto da parte israeliana - ha affermato - ma che anche i palestinesi vadano avanti e facciano progressi in termini di sicurezza, e che i Paesi arabi mostrino la loro buona volontà nei confronti di Israele".

Dichiarazione Medvedev - Peres: unanime condanna
verso chi nega Shoah e ruolo Urss nella sconfitta del nazismo
Mosca, 18 ago -
Incontro Russia – Israele. Una condanna ferma e decisa contro ogni tentativo di negazione della Shoah e del ruolo determinante dell'Urss nella sconfitta del nazismo, questa la dichiarazione comune rilasciata dai presidenti russo e israeliano al termine del loro incontro a Soci. I due leader, Dimitri Medvedev e Shimon Peres, hanno voluto ricordare il settantesimo anniversario dell'inizio della Seconda Guerra Mondiale esprimendo la loro "profonda indignazione di fronte ai tentativi di negare il grande contributo apportato dal popolo russo e dagli altri popoli dell'Unione Sovietica alla vittoria sulla Germania nazista e anche di fronte ai tentativi di negare la Shoah degli ebrei europei". Una dichiarazione che cade in un momento in cui Mosca ha lanciato una campagna, anche con un disegno di legge, contro i tentativi di riscrivere la storia della Seconda Guerra Mondiale da parte di alcuni ex Paesi sovietici. Ma tale dichiarazione fa gioco anche a Israele, dopo la negazione della Shoah da parte del presidente dell'Iran, con cui Mosca intrattiene buoni rapporti politici ed economici.
 
 
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