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L'Unione informa |
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24 agosto 2009 - 4 Elul 5769 |
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alef/tav |
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Riccardo
Di Segni, rabbino capo di Roma |
Nelle
letture della Torà dei sabati trascorsi c'è stata una insistenza sul
tema della profezia: bisogna ascoltare i profeti, ma attenzione, ci
possono essere anche falsi profeti, quindi quello che conta non sono i
miracoli che fanno, ma quello che dicono e se quello che dicono si
avvera (la tradizione successiva dice che contano solo le promesse di
benedizione). L'antica società ebraica, con tutti i suoi problemi, era
strutturata in modo di avere una divisione equilibrata di poteri e
forme di controllo, di cui la profezia rappresentava il modo più
genuino. Dovevano essere controllati re e giudici, ma anche gli stessi
detentori del potere religioso e neppure i profeti potevano essere
incontrollati. Tra le tante cose che abbiamo perso c'è la profezia,
inattiva da circa 25 secoli. Mentre uso e abuso del potere civile e di
quello religioso, al nostro interno e ovviamente anche fuori, sono
fenomeni costanti. Verrebbe da dire: "ridateci i profeti". Ma chi li
starebbe a sentire? |
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Ricorrevano
ieri, 23 agosto, i settant’anni dalla firma del patto
Molotov-Ribbentrop. In quel giorno, infatti, Stalin, con un netto
voltafaccia, firmò un trattato di non belligeranza con il nazismo. La
Cecoslovacchia era già stata occupata da Hitler, dopo il cedimento
vergognoso delle democrazie occidentali a Monaco. Il primo settembre,
le truppe naziste invadevano la Polonia, il 3 settembre le democrazie
occidentali entravano in guerra. Il 17 dello stesso mese le truppe
sovietiche si univano a quelle tedesche nell’invasione della Polonia.
Per i militanti antifascisti di quegli anni, per i comunisti che si
battevano contro il fascismo e il nazismo, questa alleanza fu un
tradimento terribile. Per l’Europa fu la catastrofe. La memoria
dell’alleanza fra Unione Sovietica e Germania nazista è stata per molti
decenni rimossa dalla coscienza europea, per chiari motivi politici ma
in parte anche perché offuscata dal contributo dato dall’URSS alla
vittoria sul nazismo. L’URSS non esiste più da molto tempo, è ora di
ripensare anche a questa storia. Una proposta di risoluzione al
Parlamento Europeo chiede che il 23 agosto sia considerata in Europa
una giornata comune della coscienza europea e il totalitarismo. Può
essere un’occasione per riflettere finalmente senza reticenze e senza
pregiudizi su tutti i totalitarismi del nostro terribile Novecento. |
Anna Foa,
storica |
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Clandestini - Pacifici: "Appelli del mondo cattolico da condividere. Ma paralleli con la Shoah e accuse all'Italia sono fuorvianti"
L’appello
dei giorni scorsi dal mondo cattolico a non rimanere indifferenti di
fronte alle tragedie e alle morti nel Mediterraneo di poveri disperati,
non solo deve essere condiviso, ma abbiamo anche il dovere di
rafforzarlo e di renderlo più efficace. Un dovere che nella
tradizione ebraica proviene da un passo del primo comandamento:
“Ricordati che sei stato schiavo in terra d'Egitto”. Non è però
possibile condividere nello stesso appello il passaggio che accusa
l’Italia di razzismo e ancora peggio evoca la tragedia della Shoah. Un
paragone non solo fuorviante, ma che rischia di far perdere
significato, credibilità e importanza al messaggio principale, che è
quello di combattere il comune nemico dell’indifferenza. L’Italia
non è un paese razzista. Non lo è il suo Governo (così come non lo
erano quelli precedenti, quando di morti delle carrette del mare
comunque leggevamo spesso sui giornali). Soprattutto è la Costituzione
che garantisce Asilo politico a coloro che scappano da nazioni in cui
sono discriminati o privati dei diritti civili. Bene lo ricordano gli
ebrei fuggiti dalla Libia, dal Libano, dall’Iran e da altri Paesi
arabi, che negli ultimi 40 anni hanno trovato accoglienza e solidarietà
nel nostro Paese e si sono perfettamente integrati. Per combattere
l’indifferenza, specie durante le vacanze e in questi tempi difficili,
in cui le famiglie non arrivano alla fine del mese, dobbiamo sapere
distinguere e spiegarci. Soprattutto evitare slogan demagogici. Tra
gli immigrati c’è chi viene immaginando di avere un lavoro e non essere
oggetto e sfruttamento di organizzazioni malavitose nostrane. C’è chi
viene per garantire serenità ai nostri figli e ai nostri anziani o chi
per assistere i malati nelle corsie degli ospedali. Tutto questo
non solo rappresenta per noi europei un benessere economico ma anche un
ricchezza culturale di cui dobbiamo essere orgogliosi e grati. Gli
Usa, come il Canada, l’Australia, e tanti altri Paesi, anche in
Europa, hanno leggi sull’immigrazione ben più severe delle
nostre. Lo sanno molti italiani ed europei che ambiscono alla Green
Card americana. Nessuno però si è mai sognato di accusare queste
nazioni di razzismo. Ma più sono severe le leggi
sull’immigrazione, maggiore è la garanzia che questi immigrati possano
integrarsi nel nostro Paese e non dover vivere l’umiliazione quotidiana
e ancora peggio la discriminazione. Dentro quelle barche che
affondano (ma anche quelle che invece approdano senza vittime sulle
nostre spiagge) spesso si annidano pericolosi terroristi, che non solo
minacciano la sicurezza dell’Europa, ma spesso hanno come primo
“target” le nostre Sinagoghe e le nostre scuole. Questo non
significa avere paura ma essere consapevoli e, nonostante tutto, avere
la forza di non voltare le spalle. Il dovere dell’accoglienza per noi è
sotto certi aspetti un precetto e anche per questo dobbiamo far sentire
la nostra voce. Riportando però il dibattito sui giusti binari e
soprattutto avendo la forza morale di non limitarsi alle critiche, ma
di portare proposte costruttive e operative. Solo così potremmo aiutare
questi poveri disperati del mare. Un problema la cui matrice ha
origini da organizzazioni criminali in Africa e in Medio Oriente, ma
che deve trovare una comune risposta. Certamente da parte dell’Italia e
dagli italiani tutti, ma anche da uno sforzo comune nell'ambito
dell'Unione europea. Di questo discuteremo nella Consulta della
Comunità Ebraica di Roma con il Presidente della Camera Gianfranco Fini
il 16 settembre alle 19.45 nella sala della Protomoteca del
Campidoglio. Chi desidera informazioni o annunciare la propria presenza
prenotando un posto può rivolgersi a: consulta@romaebraica.it
Riccardo Pacifici, Presidente della Comunità Ebraica di Roma
Scuola: una grottesca prova di forza per rimettere in sella gli insegnanti di religione
I
docenti di religione cattolica, l'unica insegnata nella scuola pubblica
italiana e peraltro a carico del pubblico bilancio, sarebbero "stati
rimessi in gioco", come è stato scritto, da un provvedimento
ministeriale, tramite DPR, che oltrepassa temporaneamente la sentenza
del TAR del Lazio, almeno sino al pronunciamento del Consiglio di
Stato. Un saggio modo di governare dovrebbe cercare soluzioni tendenti
all'armonia tra le varie componenti della società e questo
provvedimento non pare proprio destinato a ciò, apparendo anzi
propedeutico a ulteriori ricorsi e divisioni. Dinanzi a questa sorta di
"prova di forza", dai contorni peraltro grotteschi visto che taluni la
vogliono correlare alla presunta difesa di una "maggioranza" che in
quanto tale è già di per se ampiamente tutelata, viene spontaneo
chiedersi perché non ci si attivi invece, come avviene in altri paesi,
per diversificare la gamma di insegnamenti religiosi nella scuola
pubblica e introdurre, per quanti non interessati o non credenti, reali
materie alternative.
Gadi Polacco, Consigliere dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane |
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Israele, fra teocrazia e animo anarchico
Qual
è la forma politica di Israele? I popoli pagani hanno finito per
scegliere spesso, nella loro storia, la monarchia, hanno conferito il
titolo di melekh, di “re” all’uomo che li guidava. La fede di Israele
sta invece nell’attesa che Dio sia pienamente ed eternamente proclamato
Melekh, “Re”, sta nell’attesa della teocrazia. E il tema della
“teocrazia” percorre tutta la riflessione politica ebraica, anche
quella dell’ultimo secolo, da Martin Buber fino a Jacob Taubes. Ma
che cosa vuol dire “teocrazia”? La parola, di origine greca, viene
usata per la prima volta da Flavio Giuseppe, quando descrive la rivolta
degli zeloti, dei gruppi di resistenza ebraica contro l’Impero romano.
Ma è una parola che può facilmente essere fraintesa: può essere
interpretata come una sovranità umana legittimata, nell’esigenza
insomma di proclamare un sovrano che comandi sugli altri (rischio in
cui è incorso anche Israele) oppure può essere equiparata ad una
“ierocrazia”, cioè alla “sovranità dei consacrati”, che si esprime nel
governo diretto della casta sacerdotale (un ripugnante esempio è quello
dell’odierno Iran). Nel caso di Israele non si tratta appunto né
di una sovranità umana legittimata, né di una ierocrazia. Piuttosto, e
ben di più, si tratta - spiega ad esempio Buber nel suo libro La
Regalità di Dio - di “teocrazia diretta”, “non metaforica”,
“assolutamente reale”: una lega di tribù seminomadi denominata Israele,
in marcia dall’Egitto verso Canaan, invece di conferire il titolo di
melekh all’uomo che la guida, per la prima e unica volta nella storia
dei popoli proclama Melekh Dio stesso, il suo Dio. Il che vieta a
chiunque di chiamarsi re, di essere sovrano o capo. Nell’Israele
premonarchico, anteriore a Samuele, quello a cui Buber guarda, non vi è
alienazione della sovranità, “perché non esiste sfera politica
all’infuori di quella teopolitica”. Alla teocrazia, d’altra
parte, fa riscontro la aspirazione libertaria delle tribù itineranti.
La teocrazia viene edificata sull’indole anarchica del popolo dalla
“dura cervice” che si è piegato alla Sovranità del suo Liberatore
divino. Lévinas parla del paradosso dell’accettazione della Regalità di
Dio che, mentre risponde all’istinto indomabile di indipendenza,
produce un estremo legame di dipendenza. È in questo legame la nuova
libertà a cui mira Israele - libertà difficile da realizzare, tra il
rischio di cadere in una confusione inerte e selvaggia, e l’attuazione
del Regno di Dio. La democrazia può essere per Israele una sorta di
compromesso, purché non perda di vista il suo “patto”, il suo impegno
teologico-politico. Sulla forma politica di Israele è tornato
negli ultimi decenni anche Jacob Taubes, figura originalissima di
filosofo e rabbino ortodosso (tutte le sue opere sono tradotte in
italiano). Fenomeno fondamentale della teologia politica, la teocrazia
è per Taubes “un immediato dominio di Dio che esclude ogni forma di
dominio dell’uomo sull’uomo”, fino al rifiuto di ogni guida politica.
Il patto di alleanza con Dio, esclude ogni altro patto o vincolo
terreno e fa di Israele una comunità politica senza autorità, una
società che non si costituisce attraverso uno stato. “La teocrazia si
basa sull’animo sostanzialmente anarchico di Israele”.
Donatella Di Cesare, filosofa |
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rassegna stampa |
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Non
ci sono praticamente notizie nuove oggi in rassegna. L'argomento
dominante è una notizia vecchia di una settimana, ma così deformata da
imporre una riflessione sui meccanismi usati dalla stampa italiana per
informare su Israele. Si tratta di un articolo sparato in prima pagina
del maggiore quotidiano svedese, "Aftonbladet", con tanto di fotografie
impressionanti (se vi interessa dargli un'occhiata, il link è
questo: www.aftonbladet.se),
in cui si accusa l'esercito israeliano di aver rapito dei giovani
palestinesi per strappare loro il cuore e gli altri organi interni. Gli
episodi sarebbero accaduti nel '92, ma sono messi in relazione ad
alcuni arresti recenti nel New Jersey di persone appartenente agli
ambienti ebraici, fra cui anche dei rabbini, dando così l'impressione
che l'esercito israeliano, ma in fondo tutto il mondo ebraico sia
un'organizzazione a delinquere che ha come scopo quello di agire come
vampiri nei confronti del resto del mondo. E' difficile trovare, nella
storia recente dell'antisemitismo, qualcosa di più ributtante. Al
confronto anche i più decisi negazionisti sono gentili e democratici
amici del popolo ebraico. Dell'articolo si accorge la stampa
israeliana, che denuncia ampliamente il fatto. Il tema è ripreso anche
da blog e siti (nel mio piccolo io gli dedico due dei miei corsivi su
"Informazione corretta", che trovate qui www.informazionecorretta.com e qui www.informazionecorretta.com,
ma fra i giornali italiani nessuno ne parla, salvo il "Manifesto", che
segna la linea con due pezzi di cronaca totalmente neutrali: gli israeliani dicono che..., gli svedesi dicono che...
. Nel frattempo l'ambasciatore svedese a Tel Aviv emette un comunicato
di condanna, ma è smentito dal ministro degli esteri Carl Bildt, che
dice di non poter assolutamente dissociarsi dall'articolo, perché la
costituzione svedese tutela la libertà di stampa. Come se la libertà di
opinione per il governo non esistesse. La polemica in Israele si
scalda, rischia di saltare la visita che lo stesso Bildt deve fare in
Israele nei prossimi giorni a nome dell'Unione Europea, di cui la
Svezia è presidente di turno. A questo punto nasce una petizione
popolare in Israele che minaccia il boicottaggio dell'Ikea, simbolo
volontario e consapevole della svedesità, fin nei colori aziendali. Ed
è ora, solo ora, che la stampa italiana si impadronisce della vicenda.
Guardate i titoli: Repubblica: "Articolo antisemita su un giornale svedese". E adesso Gerusalemme boicotta l'Ikea (notate la virgolette che tolgono valore all'affermazione sull'antisemitismo dell'articolo). L'Unità. Israele boicotta l'Ikea. Libero Un giornale svedese fa arrabbiare Israele. "E adesso boicottiamo l'Ikea". Corriere della sera Israele all'attacco di Ikea. In rassegna troviamo solo due articoli che ricostruiscono la vicenda in maniera ragionevole, lo Herald Tribune Israel urges Sweden to condan "blood libel" e incredibilmente il Messaggero: Israele – Svezia, è crisi diplomatica.
A parte il fatto che non si tratta affatto di un episodio minore, dato
che è in gioco l'immagine fondamentale di Israele (uno stato che ruba
gli organi interni dei palestinesi, che ammazza bambini ecc, un po'
come gli ebrei di una volta impastavano le matzot col sangue), questa
lettura ci mostra quasi in laboratorio la deformazione sistematica che
la stampa italiana (e non solo quella, in Europa) applica a Israele.
Che pensereste voi di un posto che così d'improvviso si metta a
boicottare il buon e innocente supermercato di massa dei mobili (fra
parentesi, questo non l'hanno certo scritto i giornali: un'impresa
fondata da un ex nazista non troppo pentito)? Che sono pazzi e
fanatici, prepotenti e odiosi. E non si facciano paragoni (come ha
tentato lo stesso Bildt) con il caso delle vignette su Maometto: perché
qui non si tratta di satira più o meno irriverente, ma
dell'attribuzione di un comportamento criminoso preciso e
particolarmente odioso, a un esercito e a uno stato, un pezzetto di una
campagna politica diffamatoria che è sempre più travolgente in tutte le
sedi. Inutile dire che i palestinesi, quelli buoni che vogliono fare la
pace, si sono immediatamente gettati sul tema, inneggiando a un
giornale che finalmente smaschera i "crimini" e le "atrocità" di
Tzahal. Se volete la conferma di questa strategia, leggete l'articolo di Fabio Sciuto su Repubblica a
proposito della spiaggia delle ortodosse a Tel Aviv: ne ricaverete che
ebraismo e islamismo hanno la stessa carica di estraneità e di
violenza. Con la differenza, naturalmente, che gli islamici essendo per
lo più abitanti del Terzo Mondo, sono buoni ed essendo tanti fanno
paura. Un altro tema vecchio, ma su cui vale la pena
di riflettere, è la questione dei paragoni dei vescovi fra mancata
assistenza agli emigranti e Shoà. Leggete queste righe di Cancrini sull'Unità
"Un sondaggio sulle leggi anti-ebraiche di Hitler nella Germania del 41
avrebbe sicuramente confermato la popolarità del Fuhrer con numeri
superiori anche a quelli che Buromedia mette a disposizione di
Berlusconi. Quello che sta accadendo nei centri di reclusione sulla
coste libiche, nel mare che le separa dall'Italia ed in Italia è
orrendo quanto quello che accadeva nei lager, la colpa dei clandestini
è grave quanto quella compiuta da quelli che erano nati ebrei, la
propaganda fatta da TG e giornali controllati o posseduti da Berlusconi
nasconde alla gran parte degli italiani le verità più scomode e poco
c'è da stupirsi in queste condizioni del fatto che i sondaggi del
premier vadano bene. Corretto ed efficace il confronto fra le Shoah,
nazista e leghista, va completato riflettendo sui tempi. Per uccidere
sei milioni di èbrei i nazisiti ebbero bisogno di 5 armi, quello che
non sappiamo è il tempo che avranno i nostri governanti per attaccare
un record vecchio 54 anni. Non diverse in sostanza le posizioni e i
toni di Chiara Saraceno su Repubblica o di Maurizio Chierici ancora sull'Unità. Le parole di buon senso questa volta le ha dette il presidente Cossiga intervistato dal Giornale:
"Il paragone fatto dall'Avvenire tra la tragedia degli immigrati e
l'olocausto si commenta da sé... Bisognerebbe che ci fosse qualcuno, se
non altro per non farsi rimbeccare dagli stessi ebrei, che ricordi la
storia a chi scrive certe cose [...] Certo, questi immigrati sono dei
poveracci spinti dalla fame, dalle guerre. Ma vengono volontariamente e
muoiono per disgrazia, non perché vengano uccisi. Noi non abbiamo
ucciso nessuno, sia chiaro». O la lettera di un signor Luigi Nale
pubblicata dalla Stampa:
"L'accostamento alla Shoah dell'episodio di mare legato alla
immigrazione clandestina è perlomeno improprio. Tutti sappiamo cosa sia
stato lo sterminio programmato d milioni di ebrei e non si può
paragonare a esso il disinteresse, nel caso ci sia stato, nei confronti
di una barca alla deriva carica di disperati che volontariamente
affrontano il rischio di annegare pur di raggiungere il nostro Paese.
L'interrogativo che invece avremmo dovuto porci è il perché del
disinteresse da dimostrare - nei confronti dei naufraghi. La risposta
potrebbe essere l'assuefazione da parte dell'opinione pubblica,
naviganti compresi, agli inarrestabili episodi di traversate
clandestine verso le coste europee. Probabile e comunque colpevole, ma
comprensibile. Lo sforzo che l'Europa dovrebbe compiere, e forse anche
la Chiesa, è quello di porre fine ai tentativi, spesso suicidi, delle
traversate clandestine. Ma come fare? Non penso che la soluzione sia
quella di mandare al mondo intero segnali di incondizionata
disponibilità all'accoglienza." Anche in questo caso si impone
una riflessione sulla stampa italiana, che funziona ormai quasi
totalmente come una grancassa propagandistica di posizioni vendute come
saponette, come un volantinaggio insistente e petulante, come una pura
azione goebbelsiana ("qualunque menzogna, ripetuta abbastanza a lungo,
diventa verità") con un cinismo e una mancanza di etica professionale e
di onestà intellettuale che colpiscono pesantemente chiunque provi a
leggere criticamente i suoi prodotti. Da
leggere infine con interesse critico l'articolo complesso e dubitoso di
Giancarlo Bosetti sull'ora di religione pubblicato da Repubblica e la ricostruzione del patto Moltov-Ribbentropp di settant'anni fa sulla Gazzetta del Mezzogiorno. Ugo Volli |
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notizieflash |
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Processo
di pace in Medio Oriente:
Netanyahu ne discute a Londra e Berlino Tel Aviv, 24 ago - Il
premier israeliano Benyamin Netanyahu ha espresso ieri la speranza che
alla fine di settembre sia possibile rimettere in moto i negoziati con
i palestinesi. Oggi Netanyahu si recherà a Londra e Berlino per
discutere le prospettive della ripresa del processo di pace con i
dirigenti di Gran Bretagna e Germania e con George Mitchell,
l'emissario del presidente Barack Obama per il Medio Oriente. Da parte
del presidente dell'Anp, Abu Mazen, resta comunque immutata la
precondizione di un congelamento degli insediamenti ebraici in
Cisgiordania. Proprio questo sarà il tema dell'incontro a Londra fra
Netanyahu e Mitchell. Israele e Stati Uniti cercano una formula di
compromesso che precisi i tempi dell'eventuale congelamento, le zone
geografiche in cui esso sarebbe osservato e la controparte che Israele
riceverebbe eventualmente dai palestinesi e dai Paesi arabi.
Lieberman accusa Haaretz: “Falsifica i fatti per screditarmi” Gerusalemme, 24 ago - Una
lettera di protesta al quotidiano israeliano Haaretz, con l'accusa di
falsificare i fatti e di opporsi alla sua linea politica, sarebbe stata
inviata dal ministro degli Esteri Avigdor Lieberman. A riferirlo e
stata la radio militare. In particolare Lieberman sostiene che era
infondata la notizia - pubblicata da Haaretz - secondo cui Israele
avrebbe considerato la possibilità di annullare la imminente visita del
ministro svedese degli Esteri, Carl Bildt, come gesto di protesta per
la pubblicazione da parte del quotidiano Aftonbladet di un articolo
considerato lesivo per le forze armate israeliane. Secondo Lieberman,
Haaretz pubblica sistematicamente notizie non corrette "per
screditarlo". Immediata la reazione di Haaretz, il quale conferma che
effettivamente il ministero degli Esteri ha valutato nei giorni passati
l'opportunità o meno di annullare la visita di Bildt. E ancora oggi
Haaretz pubblica una caricatura fortemente irrisoria di Lieberman.
Mostra il ministro (assieme con il viceministro Dany Ayalon) impegnato
a studiare una carta geografica di Svezia e Norvegia. Lieberman chiede:
"Non ci sarebbe da qualche parte una diga?". Il disegnatore allude alla
proposta avanzata anni fa da Lieberman di minacciare il bombardamento
della diga di Assuan per dissuadere l'Egitto dal lanciare attacchi dal
Sinai. |
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L'Unione
delle Comunità Ebraiche Italiane sviluppa mezzi di comunicazione che
incoraggiano la conoscenza e il confronto delle realtà ebraiche. Gli
articoli e i commenti pubblicati, a meno che non sia espressamente
indicato il contrario, non possono essere intesi come una presa di
posizione ufficiale, ma solo come la autonoma espressione delle persone
che li firmano e che si sono rese gratuitamente disponibili. Gli
utenti che fossero interessati a partecipare alla sperimentazione
offrendo un proprio contributo, possono rivolgersi all'indirizzo desk@ucei.it per concordare le modalità di intervento.
Il servizio Notizieflash è realizzato dall'Unione delle Comunità
Ebraiche Italiane in collaborazione con la Comunità Ebraica di Trieste,
in redazione Daniela Gross. Avete
ricevuto questo messaggio perché avete trasmesso a Ucei
l'autorizzazione a comunicare con voi. Se non desiderate ricevere
ulteriori comunicazioni o se volete comunicare un nuovo indirizzo
e-mail, scrivete a: desk@ucei.it indicando nell'oggetto del messaggio “cancella” o “modifica”. |
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