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L'Unione informa
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27 agosto 2009 - 7 Elul 5769 |
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alef/tav |
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Riccardo
Di Segni,
rabbino capo
di Roma |
Leggeremo
questo shabbat la parashà di Ki
Tetzè, che si apre con una casistica turbolenta: la donna
violentata in guerra, le liti coniugali, i figli ribelli. Nel caso
delle liti coniugali (Devarim 21:15-17) la regola riguarda un uomo che
ha due mogli, cosa allora permessa, ma che questa regola fa appunto
vedere che non è una bella idea. Se una delle due donne è amata e
l'altra odiata, la Torà prescrive che i rapporti affettivi deteriorati
non debbano comportare la perdita dei diritti ereditari della prole
della moglie sfavorita. Ma chi è l'uomo e chi sono le donne? Sono casi
generici o si nascondono allusioni? Impossibile che non ce ne siano.
Chiaramente il primo esempio che salta alla mente è quello del nostro
patriarca Giacobbe che appunto amava una moglie e non amava l'altra. La
storia dei destini dei figli delle due - che è poi la storia della
regalità e del potere in Israele - è strettamente intrecciata alla
regola di Devarim. Ma c'è chi si è spinto oltre nella ricerca delle
allusioni, come il Ba'al
haTurim, che vede nell'uomo il Padre Eterno e nelle due
donne Israele e gli altri popoli, dove - è qua l'originalità della
lettura- Israele rappresenta la donna non amata. Ma questo non vuol
dire che i diritti di primogenitura dei discendenti vadano persi.
Sembra un'esercitazione teorica di esegesi, ma ci sono dietro problemi
ancora attualissimi e non risolti di rapporti di primogenitura ed
elezione tra Israele e altri popoli e fedi. |
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Premetto
che questa nota non ha alcuna intenzione polemica, ma è solamente
dettata da curiosità personale. Giorni fa durante un volo da Roma a una
grande città americana con una compagnia aerea statunitense su mia
richiesta mi è stato servito un pasto kasher. La confezione (di qualità
ragionevole, a differenza di simili pasti offerti a volte su voli
inter-europei) risultava prodotta da un'azienda industriale in una
regione dell'Italia settentrionale. Il certificato di kasherut, sotto
la dicitura Italian Kosher Food, risultava emesso dal Beth Din Tzedek –
il Tribunale Rabbinico Ortodosso – di Lugano. Da questo derivano alcune
domande: 1. Esistono in Italia autorità rabbiniche in grado di
certificare la kasherut di un alimento prodotto e distribuito in
Italia? 2. Visto che la Confederazione Elvetica non fa parte
dell'Unione Europea, esistono normative Ue vincolanti in materia di
kasherut? 3. Esiste un rapporto fra le circoscrizioni territoriali
delle comunità ebraiche italiane, ognuna delle quali ha un Rabbino capo
o facente funzione, e le competenze territoriali delle autorità
rabbiniche che controllano la produzione di alimenti kasher? 4. Esiste,
nell'ambito delle competenze del Rabbinato italiano, una procedura
obbligatoria di certificazione e di autorizzazione in materia di
kasherut? 5. E se almeno una della domande di cui sopra ha ricevuto
risposta negativa, il pasto che io ho consumato in volo poteva
ritenersi kasher? |
Sergio
Della Pergola,
demografo,
Università Ebraica di Gerusalemme |
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davar |
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Besa, il codice
d’onore dei musulmani
che salvarono gli ebrei in Albania
TRIESTE
– “Perché mio padre salvò un estraneo a rischio della sua vita e
dell'intero villaggio? Mio padre era un musulmano devoto: credeva che
salvare una vita significa entrare in paradiso”. L'estraneo che il
padre di Enver Pashkaj riuscì a mettere in salvo era un ebreo di nome
Yehoshua Baruchowiç, un signore oggi in età che fa il dentista in
Messico.
Siamo a Puke, paesino sulle montagne albanesi, negli anni della seconda
guerra mondiale quando Ali Sheker Pashqaj, proprietario dell'unico
emporio della zona, s'impietosisce per la sorte di quel giovane
prigioniero trasportato a morte certa da un convoglio nazista. Con una
prontezza di spirito stupefacente offre da bere ai guardiani finché
sono ubriachi e intanto ordisce la fuga di Yehoshua nel bosco. Una
volta scoperto, rifiuta di confessare (“quattro volte gli misero la
pistola alla tempia. Tornarono a minacciarono di mettere a fuoco il
villaggio se mio padre non avesse confessato”). E quando i nazisti se
ne vanno recupera il ragazzo e se lo nasconde in casa sino alla fine
della guerra.
Pochi anni fa Ali Sheker Pashqaj è stato insignito da Yad Vashem, il
museo dell'Olocausto di Gerusalemme, del riconoscimento di Giusto delle
nazioni, titolo che onora quanti negli anni delle persecuzioni razziali
rischiarono la vita per la salvezza degli ebrei. Il suo non è però un
caso isolato ma l'emblema di una resistenza coraggiosa che durante la
guerra vide gli albanesi musulmani proteggere e salvare quasi 2 mila
ebrei in nome di Besa, un antico codice d'onore radicato nel profondo
della cultura e delle usanze popolari.
Questa
straordinaria vicenda, finora quasi sconosciuta all'opinione pubblica
occidentale, è ricostruita dalla mostra “Besa, un codice d'onore.
Albanesi musulmani che salvarono gli ebrei dalla Shoah” in esposizione
per la prima volta nella versione italiana al Museo ebraico Carlo e
Vera Wagner. Realizzata da Yad Vashem la rassegna propone le belle
immagini del fotografo americano Norman
Gershman (nell’immagine in alto), che per cinque anni ha
percorso l'Albania recuperando le testimonianze di questo salvataggio e
documentandolo attraverso i ritratti dei salvatori e dei loro
discendenti.
Gli intensi ritratti in bianco e nero di quest'allievo di
Ansel Adams, Roman Vishniac e Arnold Newman, sono affiancati da brevi
interviste che con grande immediatezza testimoniano un
movimento capillare di popolo, sorretto da un profondo senso di
devozione e di solidarietà umana più che da motivazioni di tipo
politico o culturale.
Gli
interrogativi dell'intervistatore (perché l'avete fatto, cosa vi ha
spinto a rischiare la vita, come siete riusciti a sfuggire agli
occupanti) trovano così risposte di commovente semplicità e
rettitudine. Chi si comporta secondo il codice Besa, espressione che
alla lettera significa “mantenere la promessa” - spiegano i
protagonisti - è qualcuno che tiene fede alla parola data, qualcuno a
cui si può affidare la propria vita e quella della propria famiglia.
“Non ci sono stranieri in Albania, ci sono solo ospiti – racconta Drita
Veseli, una delle donne intervistate - Il codice morale di noi albanesi
richiede di essere ospitali con l'ospite nella nostra casa e nel nostro
paese”. “La nostra casa - continua - è innanzi tutto la casa
di Dio, poi la casa del nostro ospite e infine la casa della nostra
famiglia. Il Corano c'insegna che tutti gli uomini, ebrei, cristiani,
musulmani sono sotto un unico Dio”. “Aiutarsi l'un l'altro è un dovere
morale – dice Adile Kasapi - La religione era parte della nostra
educazione famigliare. Sarebbe stato impensabile denunciare degli ebrei
in stato di bisogno”. “In quanto musulmani devoti estendemmo la nostra
protezione e la nostra umanità agli ebrei. Perché? Besa, l'amicizia e
il Santo Corano” sintetizza Beqir Qoqia.
“Besa –
spiega il fotografo Norman Gershman – è molto più della semplice
ospitalità. E' un sentimento che ti lega a chi entra nella tua sfera
contro ogni avversità”. “Le famiglie musulmane – racconta il fotografo
Norman Gershman - mi ripetevano in continuazione che salvare una vita
umana è andare in paradiso. I figli di un salvatore mi dissero che il
principio insegnatogli dal padre, secondo cui vivono, è 'se qualcuno
bussa alla tua porta, devi assumerti la responsabilità'”.
Quest'assunzione di responsabilità degli albanesi musulmani si tradusse
in salvataggi avventurosi come quello di Ali Sheker Pashqaj. Nella
generosità della famiglia Kasapi, che per oltre due anni convisse a
Tirana in due stanze con i cinque familiari di Moses Frances subendo
minacce e percosse. Nell'abnegazione di Eshref Shpuza che procurò
passaporti falsi all'intera famiglia Abravanel e poi la scortò, tre
adulti e due bimbi, fino al confine con la Jugoslavia, meta di una fuga
che solo qualche anno dopo la guerra Eshref scoprì essere andata buon
fine (gli Abravanel oggi vivono in Israele). Nel coraggio assurdo di
Lisa Pilku che affrontò a male parole la Gestapo per sviare una retata
dalla sua casa in cui ospitava tre ebrei di Amburgo o di Ismail Meçe
che non esitò a piantonare la sua casa di campagna con il fucile per
tenere lontani delatori e nazisti.
Sono gesti che appaiono ancora più sorprendenti per la loro portata in
termini di vite salvate. Nei primi decenni del Novecento l'Albania, a
maggioranza musulmana, contava infatti appena 200 ebrei su una
popolazione di 803 mila abitanti. Dopo l'ascesa al potere di
Hitler vi cercarono però rifugio da 600 a 800 ebrei dalla Germania,
l'Austria, la Serbia, la Jugoslavia e la Grecia che da lì speravano di
potersi imbarcare verso Israele o le Americhe.
L'Albania li accolse e dopo l'occupazione nazista nel 1943 si rifiutò
di consegnare le liste degli ebrei che vivevano nel paese. Varie
agenzie governative fornirono a molti ebrei documenti falsi che
consentirono loro di mescolarsi al resto della popolazione. E il
livello politico si saldò a quello di popolo in un corto circuito che
significò la salvezza per migliaia di uomini, donne e
bambini. L'antico codice d'onore, che secondo
l'interpretazione degli albanesi scaturisce dalla fede musulmana, si
mescolò all'onore nazionale e allo spirito d'umanità. E per tener fede
a Besa la popolazione albanese musulmana mise in gioco la sua vita
fornendo rifugio, abiti, cibo e un'amicizia sincera che nella
stragrande maggioranza dei casi continua ancor oggi e lega persino i
discendenti in un fitto scambio di visite e corrispondenza.
Il risultato fu che quasi tutti gli ebrei che si trovavano entro i
confini dell'Albania durante l'occupazione tedesca furono salvati,
fatta eccezione per poche famiglie.
L'Albania,
unico paese europeo a maggioranza musulmana riuscì così in un'impresa
dove le altre nazioni europee fallirono. Le parole di questi salvatori,
tutti riconosciuti come Giusti delle nazioni, sono qui oggi –
appassionanti come un romanzo - a ricordarci che a fare la differenza
della storia non è solo la banalità del male ma anche la quotidianità
di un coraggio così certo delle sue ragioni da non chiamarsi mai con
questo nome. E al tempo stesso questo racconto corale riesce, nella sua
verità, a sfatare e rimettere in discussione un doppio pregiudizio
dell'oggi. Quello sui musulmani, così spesso accomunati nell'unica luce
indistinta e accecante del fondamentalismo e dell'antisemitismo. E
quello sul popolo albanese, così di frequente in questi anni additato
all'opinione pubblica come pericoloso e incline a delinquere. Per
entrambi i casi può valere la pena di citare i fratelli Rafik e Hamid
Veseli, secondo cui, “chiunque bussi alla porta è una benedizione di
Dio: tutte le persone vengono da Dio”.
Daniela
Gross
La mostra “Besa, un
codice d'onore. Albanesi musulmani che salvarono gli ebrei dalla Shoah”
è parte integrante della Giornata europea della cultura ebraica che
domenica 6 settembre proporrà a Trieste una fitta scaletta
d'appuntamenti dedicati all'accoglienza e al dialogo tra i popoli. La
mostra è aperta al Museo ebraico Carlo e Vera Wagner in via del Monte
7, fino al 15 ottobre, lunedì, mercoledì, giovedì, venerdì e
domenica
dalle 10 alle 13 e martedì dalle 16 alle 19.
La controversa epopea di Quentin
Tarantino
trova
successo nelle sale americane
Inglorious Basterds, il
nuovo film di Quentin Tarantino, presentato nell'ultima edizione del
Festival di Cannes, ha sbancato i botteghini nordamericani a una
settimana dalla sua uscita.
Il film, che prende il titolo da un B Movie degli anni ’70 di Enzo G.
Castellari, racconta la storia di un gruppo di soldati ebrei-americani
capitanati dal mezzo Apache Aldo Raine (Brad Pitt) paracadutati nella
Francia Occupata dai nazisti per seminare puro terrore nelle truppe del
Terzo Reich. La loro specialità è uccidere nazisti nella maniera più
crudele possibile e collezionare scalpi. In poco tempo, e dopo molti
soldati trucidati, il resoconto delle loro gesta arriva fino al Führer.
La vicenda degli Inglorious
Basterds s’intreccia con quella di Shosanna
Dreyfus (Mélanie Laurant), una ragazza ebrea francese che vive a Parigi
in incognito gestendo un cinema.
Lei è l’unica sopravvissuta della sua famiglia, la cui tragica fine e
raccontata all’inizio del film quando entra in scena l’odioso Landa
(Christoph Waltz), lo charmant
cacciatore di ebrei.
Le due vicende si sviluppano separatamente in distinti capitoli e solo
alla fine diventano una sola.
Dato il delicato soggetto, il film ha ricevuto moltissime attenzioni:
c’è chi lo ha definito un porno kosher, chi si è lamentato delle
sequenze splatter
e chi si è preoccupato di questioni morali.
L’intenzione di Tarantino non era quella di fare un film storico né
tanto meno un film sulla persecuzione e resistenza degli ebrei durante
la guerra. Il recente film di Edward Zwick Defiance che
narra la storia vera dei Fratelli Bielsky, ebrei e partigiani, invece
lo è.
Qui il regista usa le vicende storiche per realizzare quegli elementi
che contraddistinguono il suo cinema: l’omaggio al cinema di genere, le
scene di violenze, i dialoghi serrati e surreali e i complessi
movimenti di macchina.
Inglorious
Basterds è pieno di riferimenti ai film di guerra
americani: dal Sergente
York di Howard Hawks a Quella Sporca Dozzina di
Robert Aldrich, passando per I Cannoni di Navarone di
J. Lee Thompson. Citati sono anche diversi film europei: L’Ultimo Metro di
François Truffaut per esempio e le opere di Leni Riefenstahl e Georg
Wilhelm Pabst.
Compiendo un’operazione tipicamente post-moderna, Tarantino prende da
questi film vari elementi stilistici e narrativi e li rielabora con una
sensibilità contemporanea. Le inquadrature alla Riefenstahl, le musiche
di Ennio Morricone, un nazista che fa il Sergente York, sono
tutti elementi che contribuiscono alla creazione di
una storia che non è la Storia ma sintesi di certe
rappresentazioni filmiche di quel periodo.
Nella grandiosa scena finale del film, una sorta di Götterdämmerung viscontiano,
tutti i grandi nomi del Terzo Reich (Hitler, Goebbles, Bormann, Göring)
muoiono nell’incendio del cinema di Shosanna.
Riuniti lì per la prima di un film di Goebbles, i nazisti cadono nella
trappola della giovane ebrea. Il film è interrotto da un primo piano di
lei che, dichiarando la sua origine ebraica, invoca vendetta: fiamme
gigantesche prodotte dalla combustione di pellicole si propagano dallo
schermo alla platea. Il pubblico di ufficiali nazisti, intrappolato
nell’auditorium, muore tra le fiamme mentre due Basterds con le
mitragliatrici fanno fuori Hitler e Goebbles.
La scena ricorda la sequenza finale di Indiana Jones e i Predatori
dell’Arca Perduta nella quale la vendetta si
sprigionava dall’Arca della Santa Alleanza, con gli angeli della morte
che fanno strage di tutti i nazisti mentre qui è il potere del cinema,
è l’immagine che distrugge.
Tarantino gioca una partita pericolosa e il film non convince del
tutto. Il problema sta nel fatto che lo spettatore non riesce a
trascendere dagli eventi storici di quel periodo e così in buona parte
del film rimaniamo distanti, estranei alle vicende sullo schermo. La
distruzione dei nazisti nel fuoco di pellicole rimane soltanto
un’immagine e il film si rivela in tutta la sua fragilità.
Rocco
Giansante |
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pilpul |
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Estetica
Il regista Quentin Tarantino è specializzato in film dove è di scena il
fatto estetico di versare sangue umano con spadate, sventramenti e
decapitazioni. Annusata l’insofferenza per la Shoah e per
Israele, Hollywood promuove l’idea di utilizzare il bacino
antisemita come immenso target cinematografico: è il momento
industriale di “Inglorious basterds”. Vi si racconta di un gruppo di
giovani ebrei che nel corso della Seconda Guerra Mondiale uccide
nazisti con sanguinaria spietatezza. Non è mai successo, ma avrebbe
potuto succedere, ha dichiarato il signor Tarantino. Poi ha aggiunto
che è un film umoristico. Il cinereo ridere del XXI secolo.
Il
Tizio della Sera |
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rassegna stampa |
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In un mondo colorato di cronaca nera e politica
sempre più grigia, giornate come queste sono da ricordare. Aprire
l’elenco degli articoli in rassegna e accorgersi che il materiale da
commentare è scarso non è un male. Lo considero normale. Tanto da poter
anche pensare di dedicare cinque minuti alla lettura di un’intervista,
sul Riformista, al presidente emerito
Francesco Cossiga, che cerca una chiave per spiegare il conflitto tra
Chiesa e Berlusconismo.
L’unica vera notizia riguarda il processo di pace. Dall’incontro tra
Netanyahu e l’inviato in Medioriente per gli Usa, Mitchell, sembrano
giungere segnali positivi. La road map (scrivono il Corriere, Repubblica, Stampa, Tempo, Messaggero, Liberal, Foglio) potrebbe ripartire.
Insomma, il disgelo Usa-Israele è alle porte e, come ha scritto il
Guardian ieri, proprio Obama annuncerà a settembre che il processo di
pace tra israeliani e palestinesi è una realtà. La trattativa gira
attorno agli insediamenti israeliani e il blocco all’Iran.
Questo è quanto. Certo, restiamo vigili anche su vicende che colpiscono
i gay sempre più discriminati (Zingaretti commenta i fatti di Roma su Repubblica), o sui soliti, ma non
sottovalutiamo mai nessuno, neonazisti che in Germania fanno propaganda
(Riformista). Ma per il resto è una
giornata normale.
Fabio
Perugia
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notizieflash
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M.O:
possibile vertice fra Netanyahu e Abu Mazen.
Il premier
israeliano commenta: "Uno sviluppo positivo"
Tel Aviv, 26
ago -
Resta aperto il nodo sugli insediamenti. Fra due settimane potrebbe,
secondo quanto riferito dalla tv commerciale Canale 10,
arrivare la presa di posizione definitiva del governo d'Israele sul
congelamento degli insediamenti ebraici nei territori palestinesi.
Ignoti i termini e i limiti delle eventuali concessioni
israeliane, argomento che è stato al centro dei colloqui a Londra fra
il premier Benyamin Netanyahu e l'emissario americano per il Medio
Oriente, George Mitchell. L'edizione di Haaretz online sull'argomento:
“Non è stato ancora possibile individuare alcun accordo conclusivo”.
L'esito degli incontri di Netanyahu - che ieri aveva visto
nella capitale britannica anche Gordon Brown e che in serata si è
spostato a Berlino in vista di un faccia a faccia con la cancelliera
Angela Merkel - riportano invece qualche progresso più concreto su un
possibile vertice fra il premier israeliano e il presidente
dell'Autorità nazionale palestinese (Anp), Abu Mazen (Mahmud Abbas).
Vertice che era stato finora accantonato da Abu Mazen proprio a causa
del nodo sugli insediamenti, ma rispetto al quale l'Anp ha aperto oggi
spiragli che Netanyahu ha poi commentato, al suo arrivo a Berlino, come
"uno sviluppo positivo". Fonti diplomatiche confermano: “L'incontro
potrebbe in effetti tenersi a New York, a margine dei lavori
dell'assemblea generale dell'Onu del 23 settembre prossimo, alla
presenza del presidente americano Barack Obama”. Ma Abu Mazen avverte:
“Il vertice non significa di per sé ripresa formale del negoziato, che
l'Autorità palestinese continua a subordinare alla condizione minima
del congelamento totale delle colonie ebraiche in Cisgiordania e a
Gerusalemme est, secondo quanto prescritto già dalla Road Map”. Una
condizione sulla quale, in attesa dell'annuncio israeliano evocato per
il prossimo futuro da Canale 10, continuano a esserci molte incognite.
Gli inviti reiterati dall'amministrazione Obama e da Paesi europei come
Francia e Germania a una maggiore flessibilità restano infatti debitori
di risposte formali da parte del governo a maggioranza di destra di
Netanyahu. L'argomento dovrebbe essere ripreso a giorni da Mitchell con
il ministro laburista della Difesa, Ehud Barak, ma per il momento i
segnali di disponibilità del premier (forse legati anche alla promessa
di un irrigidimento della posizione di Usa e Ue nei confronti dei
temuti piani nucleari dell'Iran) sembrano limitati a un congelamento
temporaneo che escluda da obblighi di sorta Gerusalemme est. E non
riguardi neppure alcuni progetti edilizi già avviati in Cisgiordania in
risposta alla cosiddetta "crescita naturale" dei siti esistenti. Limiti
cui fa da sfondo il rifiuto della maggioranza dei deputati che
sostengono la coalizione attuale a qualunque prospettiva di uno Stato
palestinese indipendente al fianco di Israele, ha assicurato stasera in
tv un parlamentare del partito del premier (Likud). E che trovano
ulteriore conferma in un sondaggio secondo il quale oltre il 60% degli
israeliani appare oggi contrario a un congelamento pieno delle colonie,
fosse anche in cambio di una normalizzazione dei rapporti dei Paesi
arabi con lo Stato israeliano. |
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L'Unione
delle Comunità Ebraiche Italiane sviluppa mezzi di comunicazione che
incoraggiano la conoscenza e il confronto delle realtà ebraiche.
Gli
articoli e i commenti pubblicati, a meno che non sia espressamente
indicato il contrario, non possono essere intesi come una presa di
posizione ufficiale, ma solo come la autonoma espressione delle persone
che li firmano e che si sono rese gratuitamente disponibili.
Gli
utenti che fossero interessati a partecipare alla sperimentazione
offrendo un proprio contributo, possono rivolgersi all'indirizzo desk@ucei.it per
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Il servizio Notizieflash è realizzato dall'Unione delle Comunità
Ebraiche Italiane in collaborazione con la Comunità Ebraica di Trieste,
in redazione Daniela Gross.
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