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    28 agosto 2009 - 8 Elul 5769  
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Moked - il portale dell´ebraismo italiano
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  Roberto Colombo Roberto
Colombo,

rabbino
“Nel giorno in cui mangerai dall’albero (del bene e del male) morirai”. L’uomo mangiò e non morì; fu solo cacciato dall’Eden. Da ciò si impara che chi allontana una persona è come se la uccidesse. 
Sono fra quelli, lo confesso, che non capiscono perché il governo italiano ci tenga tanto ad andare a omaggiare un dittatore da smarcarsi per questo dalla politica non solo della UE ma anche degli Stati Uniti. Già lo spettacolo di Gheddafi a Roma era stato indecoroso per la dignità del nostro Paese. Cosa succederà ora? Il terrorista Al-Megrahi è stato accolto da Gheddafi come un eroe. Se sarà al suo fianco nella cerimonia, mentre in cielo sopra di lui volano le Frecce tricolori, solo allora valuteremo se abbandonare o no la festa di Gheddafi? Non è così che si riparano i guasti di un colonialismo selvaggio, quello italiano in Libia. C'è in tutto questo un fascino perverso della dittatura, come già nella nostra politica verso Putin. La prossima volta potremmo mandare degli osservatori nei tribunali di Teheran per studiare una riforma dei nostri codici. Anna Foa,
storica
Anna Foa, storica  
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  L'utile provocazione di Sergio Della Pergola
sul problema della certificazione kasher in Italia


Partendo dal paradosso di una confezione di "italian kosher food" consumata in aereo, prodotta e distribuita in Italia e però certificata kasher (anzi, kosher) da rabbini svizzeri, il professor Sergio Della Pergola, evidentemente non pago della "qualità ragionevole" del pasto, ha sollevato alcuni interrogativi apparentemente ingenui sulle regole della certificazione del cibo kasher nel nostro paese. In realtà sono convinto che conosca già molte risposte al riguardo, ma lo ringrazio per quella che leggo come un'utile provocazione. Alcune risposte si trovano nell'attuale Statuto dell'ebraismo italiano, mentre per gli aspetti halachici la competenza resta ovviamente dei Rabbinati, non solo italiani (salvo che la libera circolazione delle persone e delle merci, almeno nell'Unione europea, non abbia indotto alcuni a dare per abrogato il rispetto halachico della territorialità...). Il problema della kasherut ricorre in occasione di ogni nostro congresso e confido che nel prossimo si possa finalmente mettere mano a correttivi i quali (il professor Della Pergola deve  ben saperlo, muovendosi per il mondo e basandosi su quell'osservatorio privilegiato e non certo immune da influenze al riguardo che è Israele) difficilmente potranno  però sovvertire le logiche commerciali e le leggi del libero mercato che sono alla base della circolazione anche di questi prodotti.
Grazie però per aver contribuito a mantenere aperto il dibattito. Un ragionamento che spero si sviluppi presto su un tema che si rivela sempre più strategico per il futuro della minoranza ebraica in Italia.

Gadi Polacco, Consigliere dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, delegato ai problemi della kasherut





Eilat Qui Eilat – Nuotando tra i delfini

Eilat, punta dell’estremo sud di Israele sullo Yam Suf, il “Mare finale”, nel resto del mondo noto come Mar Rosso. Proseguendo dal centro città in direzione del confine con l’Egitto, si incontra un cartello triangolare sbiadito giallo e blu, dove un subacqueo e un delfino si sorridono. È il Dolphin Reef, una spiaggia con un braccio di mare recintato in cui nuota un branco di delfini, in un ambiente del tutto naturale, un progetto a oggi unico al mondo.
“Quando nel 1990 ci venne l’idea di creare questo posto – spiega Nir Avni, fondatore del Dolphin Reef insieme a Roni e Maya Zilber – avevamo la possibilità di seguire diverse strade. Potevamo cercare un gruppo di delfini qui nel Mar Rosso, cosa che sarebbe stata piuttosto facile ed economica. Avevamo anche sentito parlare di un’agenzia governativa dell’ex-Unione Sovietica, che possedeva dei delfini tursiopi e che, non ricevendo più finanziamenti dal Governo, li stava vendendo a delfinari in giro per il mondo. Potevamo fare una scelta razionale, e optare per i delfini nostrani, oppure una scelta dettata dall’emozione e salvare quel gruppo di delfini russi. Comprammo quei delfini e li portammo qui.”
Per tre anni i delfini, tre femmine e due maschi, vissero nel braccio di mare con la rete chiusa, perché si abituassero e imparassero a conoscere la loro nuova casa. Si trovarono talmente bene che dopo un paio d’anni cominciarono a nascere i primi cuccioli. Fino a oggi ne sono nati oltre quindici, e molti delfini sono già nonni.
Nel 1993 furono aperte le reti, consentendo ai delfini di scegliere se rimanere oppure prendere il largo e seguire la loro strada. Alcuni delfini uscirono. Ma tornarono presto.
“Era un momento fondamentale per noi – prosegue Nir – eravamo sul punto di capire se tutto quello che avevamo fatto fino a quel momento aveva funzionato. Il nostro intento era quello di ricreare un ambiente in cui i delfini potessero svolgere la loro vita naturale senza alcuna costrizione, ma allo stesso tempo avevamo cercato di fare in modo che, una volta consentito loro di scegliere, decidessero di restare. Il nostro obiettivo fu raggiunto.”
Mantenere il corso naturale della vita dei delfini è un carattere fondamentale del Dolphin Reef, che lo distingue da quello di tutti gli altri delfinari. Qui i delfini non sono istruiti a saltare o esibirsi in cambio di cibo. L’amicizia con gli esseri umani qui è basata solo sulla loro volontà e piacere di giocare e farsi coccolare. Non viene distribuito ai delfini tutto il cibo di cui hanno bisogno per nutrirsi, in modo che mantengano l’abitudine di cacciare, e che le madri lo insegnino ai cuccioli. Questo è indispensabile, perché per molti il Dolphin Reef di Eilat rappresenta solo un luogo di passaggio prima di tornare reinseriti altrove in mare aperto.
“I nostri delfini appartengono a una specie protetta e l’unico posto al mondo in cui il loro numero è in aumento è questo” - spiega ancora Nir Avni - “Alcuni anni dopo aver aperto le reti, siamo stati costretti a richiuderle, a causa del comportamento degli uomini, che quando incontravano i nostri delfini così socievoli in mare li disturbavano, cercavano di salire loro in groppa, a volte facevano loro del male. Uno è stato trovato morto tra le reti di un peschereccio ed è stato un grandissimo dolore per tutti. Per questo motivo, quando ci accorgiamo che qualche delfino qui da noi è triste, perché non riesce a integrarsi col branco, lo ritrasferiamo nel Mar Nero. In questo modo contribuiamo ad aumentare la popolazione dei delfini lassù ed evitiamo il sovraffollamento qui da noi.”
Questa è stata esattamente la storia di Dicky, portato dal Mar Nero nel 1990 e reinserito nel 1997. Era stato messo in disparte da Cindy, il maschio dominante, padre di tutti i cuccioli nati al Dolphin Reef, ed era isolato e depresso. Molti sono i delfini riportati nel Mar Nero. Oggi nel mare del Dolphin Reef sguazzano otto delfini. Cindy è morto due anni fa e tutti aspettano di vedere chi dei due maschi, ancora cuccioli, Neo e Raja, prenderà il suo posto come capobranco.
Al Dolphin Reef sono orgogliosi di offrire un friendly environment, un ambiente ideale, non solo per i delfini, ma anche per tutte le altre creature che vi trascorrono del tempo. Non si fa certo fatica a crederci, se si guardano i gatti pasciuti e i pavoni colorati che scorrazzano in giro. O anche il piccolo Joker, un cagnolino che, alcuni anni fa, ha cominciato a fare l’autostop dalla città per arrivare al Dolphin Reef a nuotare con i delfini tutti i giorni, fino a che non fu ufficialmente adottato come mascotte alcuni mesi dopo.
Ovviamente gli altri frequentatori del Dolphin Reef che vengono curati amorevolmente sono gli esseri umani, ovvero i turisti. D’altra parte questo posto si regge completamente sul prezzo dei biglietti, non riceve alcun finanziamento.
Nel caldo di Eilat la spiaggia circondata da alberi offre una piacevole frescura, e una baia per fare il bagno, costeggiata dalla rete dei delfini, che si rincorrono saltano e spruzzano.
Nel Dolphin Reef si trova un Diving Center che organizza immersioni insieme ai delfini, ma anche in tutti gli altri siti subacquei di Eilat, per esperti e principianti senza alcuna esperienza precedente, compresi i bambini dagli otto anni.
Vedere i delfini sott’acqua nuotare a pancia in su, scambiarsi gesti affettuosi, ridere di gusto al solletico degli istruttori, rappresenta un’esperienza magica, arricchita anche dalla scoperta degli altri abitanti della rete, coralli e pesci colorati di ogni tipo, ma anche un paio di tartarughe marine che sono arrivate al Dolphin Reef di recente, rarissime da vedere in immersione nel Mar Rosso.
Oltre alle immersioni, e al relax in spiaggia, è possibile fare snorkeling, passeggiare sul pontile nell’area dove abitano i delfini, assistere al loro pasto e alle spiegazioni dei trainers. Infine, nascosta in una struttura di legno, si trova una zona relax con tre piscine riscaldate di acqua salata, salatissima e dolce, cuscini e divani con bevande e snack a disposizione, e una vista particolarmente mozzafiato al tramonto.
“Oggi tutti parlano di tutela dell’ambiente e di turismo sostenibile – conclude Nir Avni – ma è facile notare come nella maggior parte dei casi se si sviluppa il turismo ne risente la natura, e tutelando la natura è più difficile far crescere il turismo. Qui siamo riusciti a creare una condizione tale per cui le due cose vanno di pari passo, dove chiunque può sentirsi a suo agio e stare bene, uomini, delfini e tutti gli altri animali.”

Rossella Tercatin





In un sito la drammatica storia di Maria Rosa Romegialli,
unica neonata italiana sopravvissuta ai campi di sterminio 


Maria Rosa RomegialliUna storia incredibile, degna di essere raccontata in un film (per il momento è stato realizzato un documentario, che andrà in onda su un canale televisivo svizzero), quella di Maria Rosa Romegialli, l’unica neonata italiana sopravvissuta ai lager nazisti. La madre di Maria Rosa, Augusta, era una partigiana di Morbegno, località della Valtellina vicina al confine svizzero, che aiutava i perseguitati politici a scappare in territorio elvetico. Una giornata di ottobre del 1943 viene arrestata da alcuni militari fascisti, ai quali era giunta voce della sua attività clandestina. Rinchiusa in un carro bestiame, è mandata prima ad Auschwitz, poi a Dachau. Durante il trasferimento tra i due campi di concentramento un ufficiale della SS la rinchiude in uno scompartimento e la violenta. Augusta è una donna forte e, ripresasi dalla disperazione iniziale, non si lascia sopraffare dall’angoscia, che le sarebbe fatale nel campo di concentramento. Quando si rende conto di essere incinta poi, scatta in lei una molla che la spinge ancora di più a resistere. Vuole mettere al mondo a tutti i costi il frutto di quella violenza. La sua creatura dovrà sopravvivere alla guerra e si chiamerà “Natolibero” (in realtà nascerà una femmina e Augusta sceglierà per lei il nome di Maria Rosa), per simboleggiare il desiderio di libertà che vince sulla prigionia e sulla morte. Grazie alla buona conoscenza del tedesco e all’appoggio di alcuni capi del campo, ai quali racconta la sua storia, viene mandata a lavorare nelle cucine del sottocampo di Graz Steiemark, meno duro rispetto a Dachau. Arriva il marzo del 1945 e Augusta è pronta per partorire, quando dal cielo cominciano a piovere le bombe degli Alleati. La donna non perde la lucidità e, facendosi aiutare da un’infermiera, partorisce nel piazzale dell’ospedale. Sente che la libertà è vicina e, approfittando della confusione, decide di scappare verso l’Italia con la bambina, avvolta in una coperta invernale. A metà strada un altro bombardamento la coglie di sorpresa. Si rifugia allora nella cattedrale di Villach, dove battezza la figlia con il nome di Maria Rosa. Riesce, dopo altre peripezie, a tornare a Morbegno, dove pensa che la sua odissea personale sia terminata. Si sbaglia. I suoi familiari non riescono a tollerare l’idea che abbia avuto una figlia “illegittima” da un nazista e, dopo averle sottratto la bimba, le fanno sapere che non sarebbe più stata gradita nella loro abitazione. Augusta, in preda ad un attacco nervoso, scappa a Milano. Nel capoluogo lombardo viene rinchiusa in un manicomio, dove morirà qualche anno dopo a causa di un elettroshock. Nel frattempo Maria Rosa è stata affidata a una coppia di coniugi del luogo, che si prende cura di lei amorevolmente. Cresce spensieratamente, ignorando che quelli che chiama “mamma” e “papà” non sono i suoi genitori naturali. Un giorno, all’età di dodici anni, scopre, tramite terzi, la verità sulla sua storia familiare. La scoperta le provoca una grande angoscia, che arriva a toglierle il sonno. Una grande speranza le dà la forza per andare avanti: ricomporre il puzzle della sua famiglia e riabbracciare i suoi cinque fratelli, nati dal matrimonio di Augusta con Franco, morto di tubercolosi mentre la moglie si trovava ad Auschwitz. Ci riuscirà solo nel 1994, dopo quasi quaranta anni di ricerche.

CopertinaDa quel momento Maria Rosa si rende conto dell’importanza di raccontare la sua storia al mondo esterno. Una storia dove il desiderio di libertà e la determinazione vincono la guerra e la violenza.
Scrive un libro, “Natolibero”, e crea un sito web, www.mariarosaromegialli.it, entrambi dedicati alla memoria della madre. Ultimamente ha iniziato a partecipare a incontri nelle scuole e nelle università, soprattutto in Lombardia. Portare avanti il ricordo dei bambini morti nei lager, quasi due milioni di vittime e solo due neonate sopravvissute, la sua missione.

Adam Smulevich
 
 
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  Il gatto del rabbinoFumetto - Torna Il gatto del rabbino
Il terzo episodio ci porta a Parigi

“Ma perché fai finta di essere arabo?”

“Perché per fare l’ebreo serve l’accento polacco, e non so farlo. Un ebreo del Maghreb non interessa molto alla gente, è troppo complicato”.

Il terzo episodio de Il gatto del rabbino (pubblicato in Italia dalla casa editrice Rizzoli), ci porta a Parigi. E’ ora infatti di conoscere i genitori di Jules, marito di Zlabya, ebrei francesi poco attenti alle tradizioni, il padre non rispetta lo Shabbat infatti. Il nostro Rabbino è più che sconvolto e si perde per la capitale francese in cerca del nipote che ricorda tanto rispettoso dei riti e delle leggi. Ma quando scopre che anche il ragazzo si è dovuto abituare alla grande città e che recita l’arabo per strada per guadagnarsi da vivere e convive con una ballerina cattolica, beh, il nostro Rabbino deve incominciare a cambiare il suo punto di vista, pena l’impossibilità di capire il prossimo e soprattutto la figlia che ama tanto.

Ancora una bella lezione di vita da parte di Sfar che obbliga i suoi personaggi a prove incredibilmente difficili, ma sempre superate, per dimostrare quanto più di ogni altra cosa siano importanti i sentimenti, l’amore figliare, coniugale; aprirsi al prossimo e scoprirlo nella sua bellezza personale e interiore. Il suocero alla fine si dimostra un uomo combattuto tra educazione, rigorosa, del padre e il desiderio di offrire ai figli una prospettiva di vita diversa dalla propria. La moglie si rivelerà una nuova madre per Zlabya. E... il Rabbino tornerà a casa più ricco di prima, forse anche un po’ ribelle.

“Allora, amici miei, se si può essere felici senza rispettare la Torah, perché faticare tanto ad applicare tutti questi principi che ci complicano tanto la vita?”

“Dai , Abraham, dicci perché, stiamo aspettando.”

“Be’, non lo so”

La risposta del Rabbino ripropone la questione dell’identità, come quei rabbini che in campo di concentramento sentenziarono che D-o non esisteva, ma poi si affrettarono a santificare lo Shabbat. Abraham non sa perché bisogna rispettare la Torah, però subito dopo si affretta a iniziare il kiddush in modo che nessuno faccia tardi dalla moglie. Quale sia il motivo per cui si segue la Torah non è detto con certezza, ma fa parte di quella incessante ricerca dialettica che contraddistingue l’ebraismo. L’antitesi del primo episodio de Il gatto del rabbino.

Ma non solo. Sfar pone l’attenzione sui luoghi comuni della nostra immagine dell’ebreo. Non esiste solo l’ebreo che parla yiddish con l’accento polacco, sottoposto ai pogrom e che vive in uno ShTetl. Sfar lancia i sefarditi nel melting pot immaginifico dell’Occidente, ridando dignità a una storia mediterranea ricca di diversità, cultura e splendore storico.

Andrea Grilli 
 
 
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In una giornata che offre pochi spunti per la nostra abituale rassegna stampa, orientata sempre su argomenti di stretta attualità, ci prendiamo un po’ di libertà per fare qualche considerazione su alcuni temi di più ampio respiro che emergono dalla lettura degli articoli a disposizione. Mentre Lily Rogers intervista il regista Quentin Tarantino per Panorama, in occasione dell’uscita del suo ultimo film «Inglourious Basterds», Mara Gergolet per il Corriere della Sera ci parla di un dono tanto necessario quanto terribile, le cosiddette «mappe della Shoah», offerte dal gruppo editoriale Springer Verlag al governo israeliano. Nel primo caso ci troviamo dinanzi ad un’opera di fantasia, ideata  e portata a termine da un autore eclettico, noto a tutti gli amanti del cinema per i suoi toni accesi, ovvero “sopra le righe”. Il nuovo film che ha da poco realizzato, ed è ora in distribuzione, racconta della sanguinaria vendetta che un gruppo di ebrei consuma ai danni dei gerarchi nazisti, responsabili degli stermini consumati durante la Seconda guerra mondiale. Si tratta di un palese ribaltamento dei ruoli, anche se le responsabilità storiche non sono in alcun modo negate. Se da una parte ci sono quei tedeschi “cattivi” che si sono macchiati di crimini orrendi, dall’altra c’è un sodalizio di vittime che decide di passare alle vie di fatto, rendendo la pariglia con una durezza e una determinazione ai limiti della truculenza. Si tratta, già l’abbiamo detto, di una licenza che Tarantino si concede, raccontando non certo la storia di qualcosa che non è mai esistito, bensì una storia partorita dalla fervida immaginazione sua e dei suoi sceneggiatori. Detto questo qualche interrogativo si impone poiché, fermo restando il diritto al libero esercizio dell’arte, che non può avere vincoli che non siano quelli del buon gusto, rimane irrisolto il problema della funzione sociale di certe rappresentazioni collettive, tra le quali per l’appunto il cinema. Sempre più spesso, infatti, la finzione delle pellicole si sostituisce alla ben più complessa ma rigorosa ricostruzione che la storia offre del passato. Nella fantasia di molti spettatori, soprattutto di quelli sprovvisti non solo di conoscenze ma anche di capacità di analisi critica, la trama del film assume i caratteri di una realtà a sé, con un elevato grado di veridicità. Non infrequentemente nelle scuole, tanto più quando si parla della deportazione nei campi di concentramento tedeschi, alla lezione frontale si sostituisce la visione di una pellicola di un qualche regista che si è esercitato sul tema, nell’illusoria convinzione che le emozioni offerte dall’opera d’arte possano equivalere alla riflessione e alla comprensione critica. Il confine tra fantasia e realtà è quindi assai più labile di quanto non possa sembrare a molti, soprattutto in un’epoca, la nostra, nella quale le immagini hanno assunto un ruolo fondamentale nel darci dei significati, sul presente così come in merito al passato. I documenti offerti ad Israele, invece, appartengono alla solida realtà, trattandosi di una serie di cartografie, fortunosamente rinvenute in un appartamento di Berlino Est, dove sono contenuti i piani per l’ampliamento dell’allora campo di concentramento di Auschwitz. Di essi parlano anche Anna Momigliano per il Riformista e Beda Romano per il Sole 24 Ore. La rilevanza del materiale, in tutto 29 fogli, sta nel fatto che esso comproverebbe che già nell’autunno del 1941 era prevista la costruzione di camere a gas, da utilizzare ovviamente per l’eliminazione delle persone deportate nel lager. Gli storici hanno a lungo discusso sulla corretta datazione dell’avvio del processo di sterminio. Vi è la diffusa opinione che questo abbia avuto inizio nei mesi in cui l’«operazione Barbarossa», l’invasione tedesca dell’Unione Sovietica, andava perdendo lo slancio iniziale arenandosi dinanzi Mosca. Nell’arco di tempo compreso tra il 22 giugno 1941, giorno in cui si avviò la campagna militare, e il dicembre dello stesso anno erano maturate le condizioni, dal punto di vista nazista, per procedere all’assassinio sistematico di tutti gli ebrei europei. In parte questo già avveniva con le fucilazioni di massa, ma i «campi di sterminio», luoghi di puro e semplice annientamento fisico, sarebbero stati introdotti solo con l’inizio dell’anno successivo. La individuazione, nel modo più preciso possibile, del momento in cui Berlino decise di passare allo sterminio totale ha una rilevanza storiografica importante poiché meglio ci aiuta a capire quali siano stati i passaggi politici, e chi si assunse le maggiori responsabilità decisionali, in un processo che portò al tragico esito che tutti conosciamo. Roberto Festorazzi, ancora una volta per Panorama, ci parla di altre carte rinvenute tra le polveri degli archivi, nelle quali sarebbe documentato il tentativo, promosso da alcuni esponenti del mondo politico tedesco di  area conservatrice, di spodestare Hitler. L’iniziativa, che avrebbe dovuto avere corso tra l’estate e l’autunno del 1933, l’anno della sua ascesa al potere, fallì per la sfavorevole evoluzione degli eventi che impedì agli oppositori di raggiungere i loro obiettivi. Michele Smargiassi recensisce, su la Repubblica, il nuovo volume della collezione degli «Annali della storia d’Italia», che esce in questi mesi sul mercato italiano per i tipi di un importante editore nazionale. L’opera monografica, dedicata interamente alle migrazioni, si rivela non solo di assoluta attualità ma di stretta pertinenza culturale, dinanzi al bislacco “dibattito” in corso nel nostro paese sul fenomeno che ci chiama direttamente in causa, un tempo come emigranti oggi come terra d’immigrazione.
 
Claudio Vercelli

 
 
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Una fiaccolata contro l'intolleranza,                                                  
adesione unanime alla proposta di Zingaretti
Roma, 27 ago -
“Una grande fiaccolata contro ogni forma di razzismo, di intolleranza, di xenofobia e di omofobia", questa l'appello lanciato da Nicola Zingaretti a seguito dell'aggressione alla coppia gay, sabato scorso, e l'attentato incendiario della sede di una discoteca gay di Roma "Qube". Pronte le risposte e quindi le adesioni. Ad aderire all'iniziativa, fra gli altri, il presidente della Comunità Ebraica di Roma Riccardo Pacifici, il presidente della regione Piero Marrazzo, il sindaco di Roma Gianni Alemanno, il segretario regionale della Cgil Claudio Di Bernardino. "Una manifestazione - afferma Zingaretti - in cui si ritroveranno insieme il Comune, la Provincia, la Regione, la Comunità Ebraica di Roma, il cardinale vicario di Roma, l'imam della moschea, le associazioni dei gay, degli immigrati, i sindacati e tutta la società civile per chiarire che chi colpisce il diverso colpisce anche noi". 
La Comunità ebraica di Roma si dice pronta "ad aderire ad ogni iniziativa che possa servire prima di tutto a condannare ogni azione xenofoba, razzista e in questo caso anche omofobica". Marrazzo "aderisce con convinzione" perché "ci sono diritti e principi che, se messi in discussione, rischiano di colpire le basi della convivenza civile e democratica di una collettività"; Alemanno rilancia e aggiunge: "vogliamo lanciare questa fiaccolata che sia una reazione di tutta la città a tutte le forme di intolleranza e di violenza". E anche la Cigl, con il segretario Claudio Di Berardino "porterà le fiaccole". Dal mondo gay un plauso e l'invito della presidente di Gay Projet Imma Battaglia rivolto a Marrazzo e Alemanno di far visita al Gay Village perché "é importante la vicinanza delle istituzioni". La voce fuori del coro è di Forza Nuova che critica Alemanno e promuove "il 10 ottobre una manifestazione per la famiglia".

La Juventus sulla strada del Maccabi Haifa
nella prossima Champions League
Montecarlo, 27 ago -
L’urna di Montecarlo, città nella quale si è svolto ieri il sorteggio per la composizione dei gruppi della Champions League, la massima competizione calcistica europea, non è stata benevola nei confronti del Maccabi Haifa. Agli israeliani sono infatti toccate tre squadre fortissime: Bayern, Juventus e Bordeaux. Le prime due sono tra le favorite per la vittoria finale del torneo, mentre la squadra francese è una realtà in forte crescita. Il Maccabi, a distanza di tre anni dal match pareggiato a Livorno in Coppa Uefa, torna dunque a giocare in Italia, anche se questa volta la sfida è davvero proibitiva. “Ci impegneremo a fondo e cercheremo di non sfigurare”, la promessa di Elisha Levy, allenatore della squadra, conscio che le possibilità di passaggio del turno sono molto risicate. L’attesa sfida di andata contro i bianconeri è prevista per mercoledì 21 ottobre allo Stadio delle Alpi di Torino, la gara di ritorno in Israele il 3 novembre. La prossima partita di Champions per il Maccabi, allo stadio Ramat Gan, sarà disputata il 15 settembre contro il Bayern Monaco.

Il sindaco di Roma Alemanno non dimentica Gilad Shalit,
oggi è il suo compleanno e lo trascorre ancora in prigionia
Roma, 27 ago - 
"Come sindaco di Roma desidero che oggi in modo particolare si senta la vicinanza di tutta la nostra città a Gilad Shalit, nel giorno del suo compleanno. Ci rattrista molto sapere che ancora una volta, il nostro cittadino onorario, sarà costretto a trascorrere questa giornata prigioniero dei suoi aguzzini". Lo afferma, in una nota, il sindaco di Roma Gianni Alemanno. "E' amaro constatare che - aggiunge - nonostante i ripetuti appelli, l'impegno internazionale e tutta la mobilitazione che anche Roma ha incoraggiato e sostenuto in questi mesi, il giovane Gilad sia ancora ostaggio della guerriglia di Hamas. Un pensiero particolare rivolgo ai genitori e a tutti familiari del nostro giovane cittadino onorario, che oggi avvertiranno in modo ancora più vivo l'assenza del loro caro". "Come sindaco di Roma, città del diritto e della vita, rinnovo oggi più che mai - conclude il sindaco - l'appello per l'immediata liberazione di Gilad Shalit, e perché anche attraverso questo passo importante si arrivi a una duratura e saggia pace in Medio Oriente". 
 
 
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