se non visualizzi correttamente questo messaggio, fai click qui |
|
|
![logo](http://www.moked.it/unione_informa/090828/logo.gif) |
|
L'Unione informa |
|
|
|
28 agosto 2009 - 8 Elul 5769 |
|
![](http://www.moked.it/unione_informa/nl/index_space.gif) |
|
| |
|
alef/tav |
|
|
![](http://www.moked.it/unione_informa/nl/spacer.gif) |
|
![Roberto Colombo](http://www.moked.it/unione_informa/090828/ravcolombo.jpg) |
Roberto Colombo, rabbino |
“Nel
giorno in cui mangerai dall’albero (del bene e del male) morirai”.
L’uomo mangiò e non morì; fu solo cacciato dall’Eden. Da ciò si impara
che chi allontana una persona è come se la uccidesse. |
![](http://www.moked.it/unione_informa/nl/spacer.gif) |
Sono
fra quelli, lo confesso, che non capiscono perché il governo italiano
ci tenga tanto ad andare a omaggiare un dittatore da smarcarsi per
questo dalla politica non solo della UE ma anche degli Stati Uniti. Già
lo spettacolo di Gheddafi a Roma era stato indecoroso per la dignità
del nostro Paese. Cosa succederà ora? Il terrorista Al-Megrahi è stato
accolto da Gheddafi come un eroe. Se sarà al suo fianco nella
cerimonia, mentre in cielo sopra di lui volano le Frecce tricolori,
solo allora valuteremo se abbandonare o no la festa di Gheddafi? Non è
così che si riparano i guasti di un colonialismo selvaggio, quello
italiano in Libia. C'è in tutto questo un fascino perverso della
dittatura, come già nella nostra politica verso Putin. La prossima
volta potremmo mandare degli osservatori nei tribunali di Teheran per
studiare una riforma dei nostri codici. |
Anna Foa,
storica |
![Anna Foa, storica](http://www.moked.it/unione_informa/090828/anna%20foa4.JPG) |
|
|
![](http://www.moked.it/unione_informa/nl/spacer.gif) |
|
|
torna su |
davar |
|
|
|
|
L'utile provocazione di Sergio Della Pergola sul problema della certificazione kasher in Italia
Partendo
dal paradosso di una confezione di "italian kosher food" consumata in
aereo, prodotta e distribuita in Italia e però certificata kasher
(anzi, kosher) da rabbini svizzeri, il professor Sergio Della Pergola,
evidentemente non pago della "qualità ragionevole" del pasto, ha
sollevato alcuni interrogativi apparentemente ingenui sulle regole
della certificazione del cibo kasher nel nostro paese. In realtà sono
convinto che conosca già molte risposte al riguardo, ma lo ringrazio
per quella che leggo come un'utile provocazione. Alcune risposte si
trovano nell'attuale Statuto dell'ebraismo italiano, mentre per gli
aspetti halachici la competenza resta ovviamente dei Rabbinati, non
solo italiani (salvo che la libera circolazione delle persone e delle
merci, almeno nell'Unione europea, non abbia indotto alcuni a dare per
abrogato il rispetto halachico della territorialità...). Il problema
della kasherut ricorre in occasione di ogni nostro congresso e confido
che nel prossimo si possa finalmente mettere mano a correttivi i quali
(il professor Della Pergola deve ben saperlo, muovendosi per il
mondo e basandosi su quell'osservatorio privilegiato e non certo immune
da influenze al riguardo che è Israele) difficilmente potranno
però sovvertire le logiche commerciali e le leggi del libero mercato
che sono alla base della circolazione anche di questi prodotti. Grazie
però per aver contribuito a mantenere aperto il dibattito. Un
ragionamento che spero si sviluppi presto su un tema che si rivela
sempre più strategico per il futuro della minoranza ebraica in Italia.
Gadi Polacco, Consigliere dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, delegato ai problemi della kasherut
Qui Eilat – Nuotando tra i delfini
Eilat,
punta dell’estremo sud di Israele sullo Yam Suf, il “Mare finale”, nel
resto del mondo noto come Mar Rosso. Proseguendo dal centro città in
direzione del confine con l’Egitto, si incontra un cartello triangolare
sbiadito giallo e blu, dove un subacqueo e un delfino si sorridono. È
il Dolphin Reef,
una spiaggia con un braccio di mare recintato in cui nuota un branco di
delfini, in un ambiente del tutto naturale, un progetto a oggi unico al
mondo. “Quando nel 1990 ci venne l’idea di creare questo
posto – spiega Nir Avni, fondatore del Dolphin Reef insieme a Roni e
Maya Zilber – avevamo la possibilità di seguire diverse strade.
Potevamo cercare un gruppo di delfini qui nel Mar Rosso, cosa che
sarebbe stata piuttosto facile ed economica. Avevamo anche sentito
parlare di un’agenzia governativa dell’ex-Unione Sovietica, che
possedeva dei delfini tursiopi e che, non ricevendo più finanziamenti
dal Governo, li stava vendendo a delfinari in giro per il mondo.
Potevamo fare una scelta razionale, e optare per i delfini nostrani,
oppure una scelta dettata dall’emozione e salvare quel gruppo di
delfini russi. Comprammo quei delfini e li portammo qui.” Per
tre anni i delfini, tre femmine e due maschi, vissero nel braccio di
mare con la rete chiusa, perché si abituassero e imparassero a
conoscere la loro nuova casa. Si trovarono talmente bene che dopo un
paio d’anni cominciarono a nascere i primi cuccioli. Fino a oggi ne
sono nati oltre quindici, e molti delfini sono già nonni. Nel
1993 furono aperte le reti, consentendo ai delfini di scegliere se
rimanere oppure prendere il largo e seguire la loro strada. Alcuni
delfini uscirono. Ma tornarono presto. “Era un momento
fondamentale per noi – prosegue Nir – eravamo sul punto di capire se
tutto quello che avevamo fatto fino a quel momento aveva funzionato. Il
nostro intento era quello di ricreare un ambiente in cui i delfini
potessero svolgere la loro vita naturale senza alcuna costrizione, ma
allo stesso tempo avevamo cercato di fare in modo che, una volta
consentito loro di scegliere, decidessero di restare. Il nostro
obiettivo fu raggiunto.” Mantenere il corso naturale della
vita dei delfini è un carattere fondamentale del Dolphin Reef, che lo
distingue da quello di tutti gli altri delfinari. Qui i delfini non
sono istruiti a saltare o esibirsi in cambio di cibo. L’amicizia con
gli esseri umani qui è basata solo sulla loro volontà e piacere di
giocare e farsi coccolare. Non viene distribuito ai delfini tutto il
cibo di cui hanno bisogno per nutrirsi, in modo che mantengano
l’abitudine di cacciare, e che le madri lo insegnino ai cuccioli.
Questo è indispensabile, perché per molti il Dolphin Reef di Eilat
rappresenta solo un luogo di passaggio prima di tornare reinseriti
altrove in mare aperto. “I nostri delfini appartengono a una
specie protetta e l’unico posto al mondo in cui il loro numero è in
aumento è questo” - spiega ancora Nir Avni - “Alcuni anni dopo aver
aperto le reti, siamo stati costretti a richiuderle, a causa del
comportamento degli uomini, che quando incontravano i nostri delfini
così socievoli in mare li disturbavano, cercavano di salire loro in
groppa, a volte facevano loro del male. Uno è stato trovato morto tra
le reti di un peschereccio ed è stato un grandissimo dolore per tutti.
Per questo motivo, quando ci accorgiamo che qualche delfino qui da noi
è triste, perché non riesce a integrarsi col branco, lo ritrasferiamo
nel Mar Nero. In questo modo contribuiamo ad aumentare la popolazione
dei delfini lassù ed evitiamo il sovraffollamento qui da noi.” Questa
è stata esattamente la storia di Dicky, portato dal Mar Nero nel 1990 e
reinserito nel 1997. Era stato messo in disparte da Cindy, il maschio
dominante, padre di tutti i cuccioli nati al Dolphin Reef, ed era
isolato e depresso. Molti sono i delfini riportati nel Mar Nero. Oggi
nel mare del Dolphin Reef sguazzano otto delfini. Cindy è morto due
anni fa e tutti aspettano di vedere chi dei due maschi, ancora
cuccioli, Neo e Raja, prenderà il suo posto come capobranco. Al Dolphin Reef sono orgogliosi di offrire un friendly environment, un
ambiente ideale, non solo per i delfini, ma anche per tutte le altre
creature che vi trascorrono del tempo. Non si fa certo fatica a
crederci, se si guardano i gatti pasciuti e i pavoni colorati che
scorrazzano in giro. O anche il piccolo Joker, un cagnolino che, alcuni
anni fa, ha cominciato a fare l’autostop dalla città per arrivare al
Dolphin Reef a nuotare con i delfini tutti i giorni, fino a che non fu
ufficialmente adottato come mascotte alcuni mesi dopo. Ovviamente
gli altri frequentatori del Dolphin Reef che vengono curati
amorevolmente sono gli esseri umani, ovvero i turisti. D’altra parte
questo posto si regge completamente sul prezzo dei biglietti, non
riceve alcun finanziamento. Nel caldo di Eilat la spiaggia
circondata da alberi offre una piacevole frescura, e una baia per fare
il bagno, costeggiata dalla rete dei delfini, che si rincorrono saltano
e spruzzano. Nel Dolphin Reef si trova un Diving Center che
organizza immersioni insieme ai delfini, ma anche in tutti gli altri
siti subacquei di Eilat, per esperti e principianti senza alcuna
esperienza precedente, compresi i bambini dagli otto anni. Vedere
i delfini sott’acqua nuotare a pancia in su, scambiarsi gesti
affettuosi, ridere di gusto al solletico degli istruttori, rappresenta
un’esperienza magica, arricchita anche dalla scoperta degli altri
abitanti della rete, coralli e pesci colorati di ogni tipo, ma anche un
paio di tartarughe marine che sono arrivate al Dolphin Reef di recente,
rarissime da vedere in immersione nel Mar Rosso. Oltre alle
immersioni, e al relax in spiaggia, è possibile fare snorkeling,
passeggiare sul pontile nell’area dove abitano i delfini, assistere al
loro pasto e alle spiegazioni dei trainers. Infine,
nascosta in una struttura di legno, si trova una zona relax con tre
piscine riscaldate di acqua salata, salatissima e dolce, cuscini e
divani con bevande e snack a disposizione, e una vista particolarmente
mozzafiato al tramonto. “Oggi tutti parlano di tutela
dell’ambiente e di turismo sostenibile – conclude Nir Avni – ma è
facile notare come nella maggior parte dei casi se si sviluppa il
turismo ne risente la natura, e tutelando la natura è più difficile far
crescere il turismo. Qui siamo riusciti a creare una condizione tale
per cui le due cose vanno di pari passo, dove chiunque può sentirsi a
suo agio e stare bene, uomini, delfini e tutti gli altri animali.”
Rossella Tercatin
In un sito la drammatica storia di Maria Rosa Romegialli, unica neonata italiana sopravvissuta ai campi di sterminio
Una
storia incredibile, degna di essere raccontata in un film (per il
momento è stato realizzato un documentario, che andrà in onda su un
canale televisivo svizzero), quella di Maria Rosa Romegialli, l’unica
neonata italiana sopravvissuta ai lager nazisti. La madre di Maria
Rosa, Augusta, era una partigiana di Morbegno, località della
Valtellina vicina al confine svizzero, che aiutava i perseguitati
politici a scappare in territorio elvetico. Una giornata di ottobre del
1943 viene arrestata da alcuni militari fascisti, ai quali era giunta
voce della sua attività clandestina. Rinchiusa in un carro bestiame, è
mandata prima ad Auschwitz, poi a Dachau. Durante il trasferimento tra
i due campi di concentramento un ufficiale della SS la rinchiude in uno
scompartimento e la violenta. Augusta è una donna forte e, ripresasi
dalla disperazione iniziale, non si lascia sopraffare dall’angoscia,
che le sarebbe fatale nel campo di concentramento. Quando si rende
conto di essere incinta poi, scatta in lei una molla che la spinge
ancora di più a resistere. Vuole mettere al mondo a tutti i costi il
frutto di quella violenza. La sua creatura dovrà sopravvivere alla
guerra e si chiamerà “Natolibero” (in realtà nascerà una femmina e
Augusta sceglierà per lei il nome di Maria Rosa), per simboleggiare il
desiderio di libertà che vince sulla prigionia e sulla morte. Grazie
alla buona conoscenza del tedesco e all’appoggio di alcuni capi del
campo, ai quali racconta la sua storia, viene mandata a lavorare nelle
cucine del sottocampo di Graz Steiemark, meno duro rispetto a Dachau.
Arriva il marzo del 1945 e Augusta è pronta per partorire, quando dal
cielo cominciano a piovere le bombe degli Alleati. La donna non perde
la lucidità e, facendosi aiutare da un’infermiera, partorisce nel
piazzale dell’ospedale. Sente che la libertà è vicina e, approfittando
della confusione, decide di scappare verso l’Italia con la bambina,
avvolta in una coperta invernale. A metà strada un altro bombardamento
la coglie di sorpresa. Si rifugia allora nella cattedrale di Villach,
dove battezza la figlia con il nome di Maria Rosa. Riesce, dopo altre
peripezie, a tornare a Morbegno, dove pensa che la sua odissea
personale sia terminata. Si sbaglia. I suoi familiari non riescono a
tollerare l’idea che abbia avuto una figlia “illegittima” da un nazista
e, dopo averle sottratto la bimba, le fanno sapere che non sarebbe più
stata gradita nella loro abitazione. Augusta, in preda ad un attacco
nervoso, scappa a Milano. Nel capoluogo lombardo viene rinchiusa in un
manicomio, dove morirà qualche anno dopo a causa di un elettroshock.
Nel frattempo Maria Rosa è stata affidata a una coppia di coniugi del
luogo, che si prende cura di lei amorevolmente. Cresce
spensieratamente, ignorando che quelli che chiama “mamma” e “papà” non
sono i suoi genitori naturali. Un giorno, all’età di dodici anni,
scopre, tramite terzi, la verità sulla sua storia familiare. La
scoperta le provoca una grande angoscia, che arriva a toglierle il
sonno. Una grande speranza le dà la forza per andare avanti: ricomporre
il puzzle della sua famiglia e riabbracciare i suoi cinque fratelli,
nati dal matrimonio di Augusta con Franco, morto di tubercolosi mentre
la moglie si trovava ad Auschwitz. Ci riuscirà solo nel 1994, dopo
quasi quaranta anni di ricerche.
Da
quel momento Maria Rosa si rende conto dell’importanza di raccontare la
sua storia al mondo esterno. Una storia dove il desiderio di libertà e
la determinazione vincono la guerra e la violenza. Scrive un libro, “Natolibero”, e crea un sito web, www.mariarosaromegialli.it,
entrambi dedicati alla memoria della madre. Ultimamente ha iniziato a
partecipare a incontri nelle scuole e nelle università, soprattutto in
Lombardia. Portare avanti il ricordo dei bambini morti nei lager, quasi
due milioni di vittime e solo due neonate sopravvissute, la sua
missione.
Adam Smulevich |
|
|
|
|
torna su |
pilpul |
|
|
|
|
Fumetto - Torna Il gatto del rabbino Il terzo episodio ci porta a Parigi
“Ma perché fai finta di essere arabo?”
“Perché
per fare l’ebreo serve l’accento polacco, e non so farlo. Un ebreo del
Maghreb non interessa molto alla gente, è troppo complicato”.
Il terzo episodio de Il gatto del rabbino
(pubblicato in Italia dalla casa editrice Rizzoli), ci porta a Parigi.
E’ ora infatti di conoscere i genitori di Jules, marito di Zlabya,
ebrei francesi poco attenti alle tradizioni, il padre non rispetta lo
Shabbat infatti. Il nostro Rabbino è più che sconvolto e si perde per
la capitale francese in cerca del nipote che ricorda tanto rispettoso
dei riti e delle leggi. Ma quando scopre che anche il ragazzo si è
dovuto abituare alla grande città e che recita l’arabo per strada per
guadagnarsi da vivere e convive con una ballerina cattolica, beh, il
nostro Rabbino deve incominciare a cambiare il suo punto di vista, pena
l’impossibilità di capire il prossimo e soprattutto la figlia che ama
tanto.
Ancora una bella lezione di vita da parte di Sfar
che obbliga i suoi personaggi a prove incredibilmente difficili, ma
sempre superate, per dimostrare quanto più di ogni altra cosa siano
importanti i sentimenti, l’amore figliare, coniugale; aprirsi al
prossimo e scoprirlo nella sua bellezza personale e interiore. Il
suocero alla fine si dimostra un uomo combattuto tra educazione,
rigorosa, del padre e il desiderio di offrire ai figli una prospettiva
di vita diversa dalla propria. La moglie si rivelerà una nuova madre
per Zlabya. E... il Rabbino tornerà a casa più ricco di prima, forse
anche un po’ ribelle.
“Allora, amici miei, se si può
essere felici senza rispettare la Torah, perché faticare tanto ad
applicare tutti questi principi che ci complicano tanto la vita?”
“Dai , Abraham, dicci perché, stiamo aspettando.”
“Be’, non lo so”
La
risposta del Rabbino ripropone la questione dell’identità, come quei
rabbini che in campo di concentramento sentenziarono che D-o non
esisteva, ma poi si affrettarono a santificare lo Shabbat. Abraham non
sa perché bisogna rispettare la Torah, però subito dopo si affretta a
iniziare il kiddush in modo che nessuno faccia tardi dalla moglie.
Quale sia il motivo per cui si segue la Torah non è detto con certezza,
ma fa parte di quella incessante ricerca dialettica che
contraddistingue l’ebraismo. L’antitesi del primo episodio de Il gatto del rabbino.
Ma
non solo. Sfar pone l’attenzione sui luoghi comuni della nostra
immagine dell’ebreo. Non esiste solo l’ebreo che parla yiddish con
l’accento polacco, sottoposto ai pogrom e che vive in uno ShTetl. Sfar
lancia i sefarditi nel melting pot immaginifico dell’Occidente, ridando
dignità a una storia mediterranea ricca di diversità, cultura e
splendore storico.
Andrea Grilli |
|
|
|
|
torna su |
rassegna stampa |
|
|
|
|
|
|
|
|
|
In
una giornata che offre pochi spunti per la nostra abituale rassegna
stampa, orientata sempre su argomenti di stretta attualità, ci
prendiamo un po’ di libertà per fare qualche considerazione su alcuni
temi di più ampio respiro che emergono dalla lettura degli articoli a
disposizione. Mentre Lily Rogers intervista il regista Quentin
Tarantino per Panorama, in occasione dell’uscita del suo ultimo film «Inglourious Basterds», Mara Gergolet per il Corriere della Sera
ci parla di un dono tanto necessario quanto terribile, le cosiddette
«mappe della Shoah», offerte dal gruppo editoriale Springer Verlag al
governo israeliano. Nel primo caso ci troviamo dinanzi ad un’opera di
fantasia, ideata e portata a termine da un autore eclettico, noto
a tutti gli amanti del cinema per i suoi toni accesi, ovvero “sopra le
righe”. Il nuovo film che ha da poco realizzato, ed è ora in
distribuzione, racconta della sanguinaria vendetta che un gruppo di
ebrei consuma ai danni dei gerarchi nazisti, responsabili degli
stermini consumati durante la Seconda guerra mondiale. Si tratta di un
palese ribaltamento dei ruoli, anche se le responsabilità storiche non
sono in alcun modo negate. Se da una parte ci sono quei tedeschi
“cattivi” che si sono macchiati di crimini orrendi, dall’altra c’è un
sodalizio di vittime che decide di passare alle vie di fatto, rendendo
la pariglia con una durezza e una determinazione ai limiti della
truculenza. Si tratta, già l’abbiamo detto, di una licenza che
Tarantino si concede, raccontando non certo la storia di qualcosa che
non è mai esistito, bensì una storia partorita dalla fervida
immaginazione sua e dei suoi sceneggiatori. Detto questo qualche
interrogativo si impone poiché, fermo restando il diritto al libero
esercizio dell’arte, che non può avere vincoli che non siano quelli del
buon gusto, rimane irrisolto il problema della funzione sociale di
certe rappresentazioni collettive, tra le quali per l’appunto il
cinema. Sempre più spesso, infatti, la finzione delle pellicole si
sostituisce alla ben più complessa ma rigorosa ricostruzione che la
storia offre del passato. Nella fantasia di molti spettatori,
soprattutto di quelli sprovvisti non solo di conoscenze ma anche di
capacità di analisi critica, la trama del film assume i caratteri di
una realtà a sé, con un elevato grado di veridicità. Non
infrequentemente nelle scuole, tanto più quando si parla della
deportazione nei campi di concentramento tedeschi, alla lezione
frontale si sostituisce la visione di una pellicola di un qualche
regista che si è esercitato sul tema, nell’illusoria convinzione che le
emozioni offerte dall’opera d’arte possano equivalere alla riflessione
e alla comprensione critica. Il confine tra fantasia e realtà è quindi
assai più labile di quanto non possa sembrare a molti, soprattutto in
un’epoca, la nostra, nella quale le immagini hanno assunto un ruolo
fondamentale nel darci dei significati, sul presente così come in
merito al passato. I documenti offerti ad Israele, invece, appartengono
alla solida realtà, trattandosi di una serie di cartografie,
fortunosamente rinvenute in un appartamento di Berlino Est, dove sono
contenuti i piani per l’ampliamento dell’allora campo di concentramento
di Auschwitz. Di essi parlano anche Anna Momigliano per il Riformista e Beda Romano per il Sole 24 Ore.
La rilevanza del materiale, in tutto 29 fogli, sta nel fatto che esso
comproverebbe che già nell’autunno del 1941 era prevista la costruzione
di camere a gas, da utilizzare ovviamente per l’eliminazione delle
persone deportate nel lager. Gli storici hanno a lungo discusso sulla
corretta datazione dell’avvio del processo di sterminio. Vi è la
diffusa opinione che questo abbia avuto inizio nei mesi in cui
l’«operazione Barbarossa», l’invasione tedesca dell’Unione Sovietica,
andava perdendo lo slancio iniziale arenandosi dinanzi Mosca. Nell’arco
di tempo compreso tra il 22 giugno 1941, giorno in cui si avviò la
campagna militare, e il dicembre dello stesso anno erano maturate le
condizioni, dal punto di vista nazista, per procedere all’assassinio
sistematico di tutti gli ebrei europei. In parte questo già avveniva
con le fucilazioni di massa, ma i «campi di sterminio», luoghi di puro
e semplice annientamento fisico, sarebbero stati introdotti solo con
l’inizio dell’anno successivo. La individuazione, nel modo più preciso
possibile, del momento in cui Berlino decise di passare allo sterminio
totale ha una rilevanza storiografica importante poiché meglio ci aiuta
a capire quali siano stati i passaggi politici, e chi si assunse le
maggiori responsabilità decisionali, in un processo che portò al
tragico esito che tutti conosciamo. Roberto Festorazzi, ancora una
volta per Panorama,
ci parla di altre carte rinvenute tra le polveri degli archivi, nelle
quali sarebbe documentato il tentativo, promosso da alcuni esponenti
del mondo politico tedesco di area conservatrice, di spodestare
Hitler. L’iniziativa, che avrebbe dovuto avere corso tra l’estate e
l’autunno del 1933, l’anno della sua ascesa al potere, fallì per la
sfavorevole evoluzione degli eventi che impedì agli oppositori di
raggiungere i loro obiettivi. Michele Smargiassi recensisce, su la Repubblica,
il nuovo volume della collezione degli «Annali della storia d’Italia»,
che esce in questi mesi sul mercato italiano per i tipi di un
importante editore nazionale. L’opera monografica, dedicata interamente
alle migrazioni, si rivela non solo di assoluta attualità ma di stretta
pertinenza culturale, dinanzi al bislacco “dibattito” in corso nel
nostro paese sul fenomeno che ci chiama direttamente in causa, un tempo
come emigranti oggi come terra d’immigrazione. Claudio Vercelli |
|
|
|
|
torna su |
notizieflash |
|
|
|
|
Una
fiaccolata contro l'intolleranza,
adesione unanime alla proposta di Zingaretti Roma, 27 ago - “Una
grande fiaccolata contro ogni forma di razzismo, di intolleranza, di
xenofobia e di omofobia", questa l'appello lanciato da Nicola
Zingaretti a seguito dell'aggressione alla coppia gay, sabato scorso, e
l'attentato incendiario della sede di una discoteca gay di Roma "Qube".
Pronte le risposte e quindi le adesioni. Ad aderire all'iniziativa, fra
gli altri, il presidente della Comunità Ebraica di Roma Riccardo Pacifici, il presidente della regione Piero Marrazzo, il sindaco di Roma Gianni Alemanno, il segretario regionale della Cgil Claudio Di Bernardino.
"Una manifestazione - afferma Zingaretti - in cui si ritroveranno
insieme il Comune, la Provincia, la Regione, la Comunità Ebraica di
Roma, il cardinale vicario di Roma, l'imam della moschea, le
associazioni dei gay, degli immigrati, i sindacati e tutta la società
civile per chiarire che chi colpisce il diverso colpisce anche
noi". La
Comunità ebraica di Roma si dice pronta "ad aderire ad ogni iniziativa
che possa servire prima di tutto a condannare ogni azione xenofoba,
razzista e in questo caso anche omofobica".
Marrazzo "aderisce con convinzione" perché "ci sono diritti e principi
che, se messi in discussione, rischiano di colpire le basi della
convivenza civile e democratica di una collettività"; Alemanno rilancia
e aggiunge: "vogliamo lanciare questa fiaccolata che sia una reazione
di tutta la città a tutte le forme di intolleranza e di violenza". E
anche la Cigl, con il segretario Claudio Di Berardino "porterà le
fiaccole". Dal mondo gay un plauso e l'invito della presidente di Gay
Projet Imma Battaglia rivolto a Marrazzo e Alemanno di far visita al
Gay Village perché "é importante la vicinanza delle istituzioni". La
voce fuori del coro è di Forza Nuova che critica Alemanno e promuove
"il 10 ottobre una manifestazione per la famiglia".
La Juventus sulla strada del Maccabi Haifa nella prossima Champions League Montecarlo, 27 ago - L’urna
di Montecarlo, città nella quale si è svolto ieri il sorteggio per la
composizione dei gruppi della Champions League, la massima competizione
calcistica europea, non è stata benevola nei confronti del Maccabi
Haifa. Agli israeliani sono infatti toccate tre squadre fortissime:
Bayern, Juventus e Bordeaux. Le prime due sono tra le favorite per la
vittoria finale del torneo, mentre la squadra francese è una realtà in
forte crescita. Il Maccabi, a distanza di tre anni dal match pareggiato
a Livorno in Coppa Uefa, torna dunque a giocare in Italia, anche se
questa volta la sfida è davvero proibitiva. “Ci impegneremo a fondo e
cercheremo di non sfigurare”, la promessa di Elisha Levy, allenatore
della squadra, conscio che le possibilità di passaggio del turno sono
molto risicate. L’attesa sfida di andata contro i bianconeri è prevista
per mercoledì 21 ottobre allo Stadio delle Alpi di Torino, la gara di
ritorno in Israele il 3 novembre. La prossima partita di Champions per
il Maccabi, allo stadio Ramat Gan, sarà disputata il 15 settembre
contro il Bayern Monaco.
Il sindaco di Roma Alemanno non dimentica Gilad Shalit, oggi è il suo compleanno e lo trascorre ancora in prigionia Roma, 27 ago - "Come
sindaco di Roma desidero che oggi in modo particolare si senta la
vicinanza di tutta la nostra città a Gilad Shalit, nel giorno del suo
compleanno. Ci rattrista molto sapere che ancora una volta, il nostro
cittadino onorario, sarà costretto a trascorrere questa giornata
prigioniero dei suoi aguzzini". Lo afferma, in una nota, il sindaco di
Roma Gianni Alemanno. "E' amaro constatare che - aggiunge - nonostante
i ripetuti appelli, l'impegno internazionale e tutta la mobilitazione
che anche Roma ha incoraggiato e sostenuto in questi mesi, il giovane
Gilad sia ancora ostaggio della guerriglia di Hamas. Un pensiero
particolare rivolgo ai genitori e a tutti familiari del nostro giovane
cittadino onorario, che oggi avvertiranno in modo ancora più vivo
l'assenza del loro caro". "Come sindaco di Roma, città del diritto e
della vita, rinnovo oggi più che mai - conclude il sindaco - l'appello
per l'immediata liberazione di Gilad Shalit, e perché anche attraverso
questo passo importante si arrivi a una duratura e saggia pace in Medio
Oriente". |
|
|
|
|
|
torna su |
|
L'Unione
delle Comunità Ebraiche Italiane sviluppa mezzi di comunicazione che
incoraggiano la conoscenza e il confronto delle realtà ebraiche. Gli
articoli e i commenti pubblicati, a meno che non sia espressamente
indicato il contrario, non possono essere intesi come una presa di
posizione ufficiale, ma solo come la autonoma espressione delle persone
che li firmano e che si sono rese gratuitamente disponibili. Gli
utenti che fossero interessati a partecipare alla sperimentazione
offrendo un proprio contributo, possono rivolgersi all'indirizzo desk@ucei.it per concordare le modalità di intervento.
Il servizio Notizieflash è realizzato dall'Unione delle Comunità
Ebraiche Italiane in collaborazione con la Comunità Ebraica di Trieste,
in redazione Daniela Gross. Avete
ricevuto questo messaggio perché avete trasmesso a Ucei
l'autorizzazione a comunicare con voi. Se non desiderate ricevere
ulteriori comunicazioni o se volete comunicare un nuovo indirizzo
e-mail, scrivete a: desk@ucei.it indicando nell'oggetto del messaggio “cancella” o “modifica”. |
|
|