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    4 settembre 2009 - 15 Elul 5769  
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Moked - il portale dell´ebraismo italiano
alef/tav    
  Roberto Colombo Roberto
Colombo,

rabbino
Quando nella nostra parashà a Moshè fu predetta la morte egli propose i suoi figli come nuovi capi e Dio rifiutò. Perché Gereshon e Eliezer non poterono sostituire il padre dopo la sua morte? Perché mentre gli ebrei soffrivano in Egitto e quando si trovavano sotto il monte Sinai a ricevere la Torà i figli di Moshè non erano presenti. Arrivarono solo poi, portati dal loro illustre nonno. Chi non vive i momenti tristi elieti della storia assieme al suo popolo non potrà mai essere un vero leader. 
L’irrilevanza delle parole, in questo nostro Paese, non cessa di stupirmi. Si diceva che le parole fossero pietre, ma adesso sono diventate davvero come foglie d’autunno. Così, il critico cinematografico Gian Luigi Rondi, di fronte alle parole che vengono contestate a Farouk Hosni, ministro egiziano della Cultura e candidato alla presidenza dell’Unesco, di voler bruciare personalmente tutti i libri israeliani, parole ricordiamolo da lui ammesse, riconduce queste affermazioni ad una cattiva traduzione o alla foga delle discussioni, per negare che lo stesso Hosni sia antisemita. Dire di voler bruciare i libri evidentemente non basta. Per essere antisemiti bisogna fare di più, ad esempio bruciarne gli autori. Così il terrorista iraniano, organizzatore della strage alla Comunità ebraica di Buenos Aires (85 morti), nominato ministro della Difesa in Iran. Ma c’è una differenza: l’Iran è una dittatura, e il suo ministro della Difesa è al suo posto proprio per quello che ha fatto, non malgrado quello. Se eletto, Hosni lo sarà nonostante le sue parole e non a causa di queste. Almeno, speriamo che sia così. E almeno, non giudichiamo queste parole irrilevanti. Anna Foa,
storica
Anna Foa, storica  
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  “Conta le stelle se puoi”, una saga ebraica al premio Campiello
Intervista alla scrittrice Elena Loewenthal


LoewenthalIl 3 settembre del 1962 il romanzo La Tregua di Primo Levi si aggiudicava il Campiello nella prima edizione del premio voluto dagli Industriali veneti. Quasi mezzo secolo dopo il mondo ebraico torna alla ribalta del più prestigioso riconoscimento letterario italiano che sarà assegnato domani sera con una cerimonia alla Fenice. Nella cinquina dei finalisti siede infatti Elena Loewenthal (nell'immagine), che ha conquistato il cuore di tantissimi lettori con il suo Conta le stelle se puoi (Einaudi, 263 pagine, 17.50 euro) in cui la scrittrice, traduttrice e studiosa torinese, grande esperta di cose ebraiche, narra la saga di una famiglia ebraica piemontese partendo dal giovanissimo Moisè che a fine Ottocento lascia il paesino con il suo carretto di stracci. Una saga, quella dei Levi, che sfugge al destino della storia grazie a uno scarto surreale dell’autrice che immagina la morte del Duce donando così alla famiglia lunga vita e prosperità.
La traiettoria da La Tregua, che narrava il ritorno a casa di un reduce dai campi di sterminio, a Conta le stelle se puoi, che per lo spazio di un romanzo estromette dalla Storia la Shoah, descrive un arco di grande suggestione (e non a caso il riferimento di Loewenthal all’opera di Primo Levi è costante). Snodo centrale di questo percorso, la diffusione in Italia della cultura ebraica e della letteratura israeliana, fenomeno di cui Elena Loewenthal è stata una dei grandi protagonisti. “Venticinque anni fa – racconta – i libri israeliani non arrivavano nemmeno sui tavoli egli editori. Poi c’è stato l’exploit com’era avvenuto in precedenza anche in altri paesi europei e negli Stati Uniti. Pensiamo ad esempio cos’hanno significato per la letteratura americana autori come Bellow, Malamud o Roth”.
Perché l’Italia si è accorta della letteratura israeliana più tardi degli altri?
Abbiamo forse una vocazione più provincialistica. Poi conta il fatto che la nostra realtà ebraica è numericamente piuttosto ridotta.
Come si spiega il boom editoriale degli scrittori israeliani? Una moda passeggera o qualcosa di più profondo?
E’ un bisogno culturale. Vi è un forte interesse del pubblico per la realtà ebraica, percepita al tempo stesso come vicina e lontana. Quando il lettore si avvicina alla Bibbia o a certi autori scopre infatti delle affinità profonde perché la cultura ebraica è alla base della nostra civiltà quanto la cultura classica. Con l’unica differenza che la Bibbia di solito non viene insegnata nelle scuole. Questa familiarità si accompagna a una sensazione opposta perché il mondo ebraico risulta, in certo suo modo di ragionare o in certe espressioni, portatore di estraneità.
Il suo lavoro e la diffusione della cultura ebraica in Italia sono strettamente intrecciati.
Sono due percorsi paralleli. Sono cresciuta in una totale integrazione con la società circostante. Finché a 12 anni ho sentito il bisogno di recuperare la mia identità ebraica. Ho iniziato a chiedere ai miei e a studiare. E’ stato un impulso forte e doloroso che nel corso del tempo mi ha portato alla scoperta della cultura ebraica, allo studio dell’ebraico biblico e alle traduzioni, perché per me il tramite è stata la lingua, all’attività di divulgazione e alla narrazione. Ho sempre avuto modo di lavorare spinta da una profonda motivazione.
Il che è una fortuna immensa.
Senz’altro. La mia vita professionale, le mie riflessioni, sentimenti ed emozioni s’intrecciano in modo profondo. Dei ragazzi mi hanno chiesto un giorno cosa succede se capita di fare esattamente ciò che si desidera. Ho risposto che a me accade ogni giorno, con gioia e divertimento.
Che rapporto c’è fra tradurre e narrare?
Sono due aspetti diversi della scrittura che per me procedono in parallelo e mi piacciono egualmente. La traduzione mi dà grande slancio. Quand’ho finito di tradurre “Storia di amore e di tenebra” di Amos Oz ho pianto. Avevo la certezza che mai mi sarebbe capitata di nuovo un’esperienza così profondamente coinvolgente. Poi fra traduzione e narrativa vi è un rapporto osmotico. Devo molto alla scrittura di traduzione nella ricerca di una non sciatteria della lingua.
Cosa c’è ancora da scoprire della letteratura ebraica?
Molto. Tutto Agnon, ad esempio. O gli autori che compongono il background della scrittura ebraica, ad esempio Bialik.
Veniamo a “Conta le stelle se puoi” che al Campiello ha ottenuto l’unanimità della giuria dei letterati. Perché la decisione di eliminare la Shoah dalla storia?
Noi generazioni successive non possiamo darne una testimonianza diretta. L’unica via per fuggire da questa nostra inadeguatezza è rassegnarsi al silenzio, il che non vuol dire eliminare la Shoah dalla memoria e dall’educazione. Basta però con le testimonianze indirette e con la teoria. Per avere un sussulto emotivo o emozionale è sufficiente Primo Levi. Negli ultimi anni quando mi invitano a parlare di quanto è accaduto propongo proprio la rilettura di alcune sue pagine.

Daniela Gross




Giornata della Cultura Ebraica – A Milano è di scena il teatro
E da Soncino a Sabbioneta riemerge il ricordo degli stampatori

sinagoga GuastallaEbraismo in Lombardia. Milano certo, ma anche Mantova e Soncino. E poi Sabbioneta, Viadana, Bozzolo, Ostiano e Pomponesco. Sono ben otto i centri lombardi che partecipano alla decima edizione della Giornata della Cultura Ebraica.
A Milano, città capofila dell’edizione dello scorso anno insieme a Mantova, l’appuntamento per la giornata di domenica 6 settembre è come di consueto nella Sinagoga Centrale di via Guastalla (nell'immagine), dove saranno proposte diverse conferenze sul tema, Feste ebraiche e tradizioni, filo conduttore della Giornata della Cultura Ebraica 2009. A dare il via alla rassegna, dopo il saluto delle autorità alle 10.30, sarà il rabbino capo di Milano, rav Alfonso Arbib, con un intervento sulle feste ebraiche nel tempo. Seguiranno poi visite guidate della sinagoga, dalle ore 12 alle 14, e poi dalle 15.30 alle 17, mentre proseguiranno lezioni, dibattiti e incontri musicali, in cui interverranno tra gli altri, il rav Roberto Colombo e il professor Amos Luzzatto. Nei Giardini adiacenti al Tempio stand di libri, gastronomia e oggettistica ebraica.
A questi appuntamenti della Giornata della Cultura Ebraica, diventati ormai una tradizione cara ai milanesi, si affiancherà quest’anno un Festival del teatro ebraico, ospitato dal teatro Crt. (ex Teatro dell’arte).
“Erano diversi anni che accarezzavamo l’idea di dare vita a una rassegna di questo tipo per la Giornata della Cultura – spiega Sara Modena, assessore alla Cultura della Comunità ebraica di Milano e curatrice dell’evento – Quest’anno finalmente siamo riusciti a realizzare il progetto, anche grazie all’appoggio del Comune che ci ha messo a disposizione il teatro”.
Verranno proposti quattro spettacoli, legati a Israele e all’ebraismo di ieri e di oggi. Domenica 6 settembre sarà messa in scena dalla Compagnia Teatri d’Imbarco “La gnora luna” di Bené Kedem, una commedia in giudaico-fiorentino, cui seguirà alle ore 20.30 la piéce “Kippur, parole e musica” tratto da “Racconti di Kippur” di Shai Agnon, presentata dall’Associazione Teatrale Duende, con adattamento e regia di Eugenio de’Giorgi.
Lunedì 7 settembre, dopo un incontro sul ruolo della donna nell’ebraismo alle 18, sarà la volta de “Il Golem”, con regia della ventiseienne Miriam Camerini; verrà poi proposta l’opera “Il signor Quasi e la signora Ormai”, in omaggio al drammaturgo israeliano Hanoch Levin, scomparso nel 1999, messa in scena dal gruppo teatrale Hineni con regia di Rina Shinar.
“Siamo particolarmente orgogliosi di portare nuovamente in scena il Golem, dopo che lo scorso anno molti erano rimasti fuori dal teatro quando l’abbiamo proposto per la prima volta, proprio durante la Giornata della Cultura Ebraica – continua l’assessore Modena – Siamo orgogliosi perché questo spettacolo è una produzione della nostra Comunità, e alla Comunità appartengono sia la regista che molti degli attori, così come era successo per l’adattamento del “Processo di Shamgorod” di Elie Wiesel in scena in occasione della Giornata della Cultura Ebraica del 2004. Ci tengo anche a sottolineare che quest’iniziativa, in sintonia con la tradizione della città di Milano, rinomata per i suoi teatri, costituisce un preludio al Festival di cinema e drammaturgia israeliana che sarà ospitato a novembre dal Teatro Franco Parenti, e patrocinato dalla nostra Comunità”.
“Dalla Giornata Europea di quest’anno ci aspettiamo un’alta partecipazione di pubblico, com’è avvenuto per le passate edizioni. Attendiamo inoltre la presenza di personalità importanti sia a livello locale che nazionale, a testimonianza del ruolo di primo piano di Milano nel panorama italiano” – conclude l’assessore Modena.
Se a Pomponesco, Bozzolo e Viadana, tracce della presenza ebraica rimangono solo nei cimiteri ormai in disuso, che saranno visitabili domenica 6 settembre, a Ostiano si parlerà anche degli interventi conservativi in programma nell’ex sinagoga, mentre a Soncino e Sabbioneta verrà tra l’altro celebrato il ricordo di quegli ebrei che nel XV e XVI secolo fondarono in questi centri le stamperie ebraiche più antiche in Europa.
In queste due città, così come a Mantova, saranno proposte delle conferenze e delle letture sul tema delle feste e delle tradizioni. A Soncino, nella Casa degli stampatori, sarà inoltre inaugurata la Mostra “Segni della Natura”, in cui si potranno ammirare le incisioni dell’artista Luigi Dragoni.
 
Rossella Tercatin
 
 
 


Giornata della Cultura Ebraica – Canti liturgici e popolari
negli eventi in programma a Padova, Vicenza e Verona

 
KlezmerMusica religiosa e canti popolari, questo il filo conduttore degli eventi organizzati a Padova e Vicenza in occasione della decima edizione della Giornata Europea della Cultura Ebraica. A Padova, nella Sala dei Giganti, è in programma un concerto di canti liturgici intitolato “Feste ebraiche in-canto” sotto la direzione di rav Adolfo Locci, rabbino capo della Comunità ebraica di Padova e voce solista. Ad accompagnarlo sei musicisti professionisti di grande esperienza: Sophie Babetto al flauto traverso, Roberto Lea al violino, Steno Boesso al fagotto, Federica Rossin all’arpa, Antonello Barbiero al contrabbasso e Fabrizio Durlo al pianoforte.
Il repertorio è caratterizzato da canti tradizionali delle festività ebraiche: dallo Shabbat, agli Shalosh Regalim (le tre feste dei pellegrinaggi, Pesach, Shavuot, Sukkot) per chiudere con Yom ha-Atzmaut, giorno d’indipendenza d’Israele, e con l’Ha-tikva, inno nazionale israeliano.
L’Ensemble Shalom si esibirà invece a Vicenza nel cortile di Palazzo Trissino, municipio della città. Il gruppo, nato nel 1999, si compone di cinque musicisti professionalmente solidi: Angel Luis Galzerano alla chitarra, Marisa Pasquali al violino, Enrico Sarioli al contrabbasso, Dario Righetti alla fisarmonica, alla direzione il tenore argentino Angel Harzatz. 
Quest’ultimo, chazan di Sinagoga nato a Buenos Aires, pur avendo un vasto repertorio di melodie judeo-español della cultura sefardita, mantiene comunque un forte legame con le sue origini familiari ashkenazite e con le tradizioni degli ebrei del nord e dell’est Europa, per spaziare poi verso il folk israeliano moderno.
Ricco anche il programma di eventi a Verona. Tra gli eventi principali, nel cortile del Palazzo del Mercato Vecchio, lo spettacolo pomeridiano di danza “Shanà Tovà! – Buon Anno!” della compagnia la Farandola di Vicenza, gruppo spontaneo di danza popolare e tradizionale composto da 20 danzatori che da anni si dedica allo studio dei repertori di danza europei ed extraeuropei e all'allestimento di feste e di spettacoli di danze popolari.
Nello spettacolo s’immagina uno scambio di corrispondenza tra un adulto e un ragazzo incuriosito dalle tradizioni e dalle regole dell’ebraismo. Sul filo dei ricordi, carichi di emozioni, l’adulto introduce il giovane nei riti delle feste, in maniera semplice e familiare, saldando così un legame che si perpetua di generazione in generazione. Lo spettatore avrà la possibilità di conoscere ed apprezzare alcune delle principali tradizioni del popolo ebraico, così come il suo immenso e variegato patrimonio di danze popolari.
 
Michael Calimani




Giornata della Cultura Ebraica – A Roma, al Pitigliani,
obiettivo sulle nozze con ketubot e la henna delle spose tripoline

 
logo PitiglianiIl Pitigliani, il centro culturale in via Arco de' Tolomei, ha partecipato fin dalla sua prima edizione alla Giornata Europea della Cultura Ebraica, aprendo il suo portone alla cittadinanza ed esponendo delle mostre. “Nell'anno in cui il tema della Giornata era Saperi e sapori – racconta Ambra Tedeschi, direttrice dal 1997 del Pitigliani - abbiamo allestito un grande banchetto al Portico d'Ottavia con l'aiuto della Provincia. Sempre in quell'anno abbiamo preparato una mostra che poi è stata ospitata in diverse scuole. Lo scorso anno invece c'è stato un concerto di Evelina Meghnagi nello spazio antistante”.
Perché ritieni importante la Giornata della Cultura?
Perché sono in molti ad avvicinarsi in questa occasione e hanno la possibilità di porci delle domande. Lo scorso anno le persone erano incuriosite e affascinante dalla musicalità ebraica.
sposa tripolina mostraQuali eventi avete organizzato per quest’edizione?
Vorrei sottolineare che per la prima volta la Giornata è organizzata in collaborazione con un nuovo partner del Pitigliani che è il Centro comunitario Fleg di Marsiglia inoltre ci siamo avvalsi dell'aiuto di un gruppo di volontari per l'organizzazione degli eventi dell'intera giornata. Al mattino inaugureremo la mostra “Il matrimonio nella tradizione ebraica”. Un'esposizione di ketubot contemporanee in originale, ve ne sono di realizzate da Lele Luzzatti e Aldo Gay che tante persone ci hanno voluto dare per questa giornata.
Nel pomeriggio, alle 17, dopo tantissimi anni sarà riproposta la cerimonia della hanna, beneaugurante per le spose tripoline. Entrambe saranno accompagnate da dolci tipici romani e tripolini. Il Pitigliani ha partecipato anche all'organizzazione del concerto della pianista Svetlana Pekarskaya e dei due giovani figli Primo Anselmi (clarinetto) e Ottavia Anselmi (pianoforte) che si svolgerà in serata al Palazzo della Cultura in via del Portico d’Ottavia.
 
Lucilla Efrati
 
 
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  Fumetto - Koren Shadmi e i disallineamenti fra mente e corpo

Koren ShadmiKoren Shadmi (nell'immagine) è un fumettista israeliano cresciuto nella bottega di Uri Fink in Israele e poi nella School of Visual Arts di New York. In realtà come molti autori israeliani la sua prospettiva lavorativa è internazionale, soprattutto statunitense. Koren infatti lavora per riviste americane come il New York Times, Village Voice e Plenty Magazine.
In Italia sono state pubblicate due antologie di racconti, “In carne e ossa” e “Anatomia del desiderio” dalla associazione Double Shot.
I due libri sono in realtà molto diversi, così come gli stili con cui Koren Shadmi li ha realizzati.
“In carne e ossa” è un percorso sulla fisicità delle nostre identità e relazioni con il prossimo. I personaggi palesano una dissociazione dal loro corpo, dalla percezione che possono avere dello stesso. Nel primo racconto "Il prato felice" un uomo esprime la sua identità corporea solo indossando il costume di scena, un cagnone, della trasmissione televisiva dove lavora; mentre ne “Il paradiso dei dolci” una ragazza, dopo un incidente potenzialmente mortale, diventa bulimica anche se questa parola non viene mai pronunciata. Il suo rapporto con il cibo è devastante per il suo corpo e per le sue relazioni. Alla fine cercherà di mangiare anche il suo miglior amico, totalmente disinteressato al cibo, ma attratto dal trasformarsi in cibo per recuperare l’amicizia.

AntoinetteIn “Antoinette” una ragazza vive con la testa staccata dal proprio corpo in modo tale che il corpo sia un oggetto di scambio e divertimento per la sua testa. Koren ha disegnato i capelli di biondo giocando su un luogo comune che non muore mai.
In “Anatomia del desiderio” la prospettiva cambia. L’autore esamina le strade che può attraversare il desiderio condizionato da un forte “ego” che va quindi a limitare la percezione del reale. In “Conosci te stesso” il personaggio vuole conoscere il suo corpo, estrae così i reni, il cuore ed altri organi da sé stesso, ma è talmente preso dal proprio Io mentale, da dimenticarsi del corpo. Ecco quindi sopraggiungere la morte.
Ne “Il pubblicitario” un pubblicitario è così preso dal suo lavoro dal dimenticarsi che esiste un uomo, un essere senziente e un corpo che hanno bisogno di esprimersi. Il modo per reagire sarà di vomitare piccoli esseri con sei gambe che hanno la testa del pubblicitario. La forma di ragno è significativa e sta ad esprimere la mancanza di un rapporto sereno con il proprio corpo e soprattutto con la propria sessualità.
Koren Shadmi è sottile, quanto brutale nel raccontare questi disallineamenti tra mente e corpo. Entrambe le antologie giocano proprio su questo nodo. Per molti versi niente di nuovo. Pirandello aveva già esplorato la nostra difficoltà nella emergente società moderna di proporci onestamente, mentre Dick aveva spinto ulteriormente il concetto di mondo reale e finzione. Per arrivare al mostro sacro della lettura britannica James Ballard che con Crash ha svelato le nostre più profonde patologie, i desideri carnali che impattano sul rapporto uomo - tecnologia.
Il merito di Shadmi è di percorrere le strade contorte della mente, guardare dentro la scatola grigia con il microscopio e poi offrirci la storia nella sua veste grafica. Una grafica terribilmente in mutazione, che si adatta alla storia. Difficile vedere due racconti costruiti nello stesso modo. Difficile è il percorso della psiche.
Tutto in bianco e nero, i colori qui rappresentano i luoghi contrapposti della narrazione. Per tutto questo Koren Shadmi è universale, travalica i confini israeliani e statunitensi, pone temi gustosi per tutti. Ma un conto è mangiare un pezzo di carta, un altro mordere la spalla del proprio amico e non essere licantropi.
Non c’è bisogno degli elfi per entrare in un mondo di fantasia. C’è Koren Shadmi.

Andrea Grilli 
 
 
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A volte contano più le persone degli eventi. O per meglio dire, è altamente plausibile che quelle persone siano garanzia, qualora vengano messe nelle condizioni di avere un ruolo pubblico, di future, problematiche scelte, destinate a riversarsi sulla collettività come piccole o grandi sciagure. Si tratta di un pensiero immediato se si leggono i nomi di certi candidati per importanti incarichi istituzionali. Il nuovo governo iraniano, ad esempio, conta al suo interno un individuo come Ahmad Vahidi, titolare del dicastero della Difesa, sul capo del quale pende da tempo un mandato di cattura dell’Interpol per il suo coinvolgimento nel tragico attentato del 1994 contro l’associazione di mutua assistenza argentino-israeliana di Buenos Aires, che costò la vita a ottantacinque persone e il ferimento di duecento. La composizione dell’esecutivo è cosa risaputa tra i componenti del Majles, il parlamento di Teheran, che gli ha infatti votato ieri la fiducia, cassando però tre dei ventuno candidati. Di ciò e di altro ancora parlano Giampaolo Pioli per la Nazione, Carlo Panella per Libero, Marina Forti per il Manifesto, Michael Leeden per Liberal, così come Pierre Chiartano sulla medesima testata, Siavush Randjbar-Dahemi per il Messaggero e Cecilia Zecchinelli su il Corriere della sera. Renzo Guolo, su la Repubblica, aiuta infine il lettore a capire quali siano le logiche che stanno dietro al nuovo governo presieduto da Ahmadinejad. Enrico Singer, su Liberal, peraltro del pari a molti sui colleghi su altri quotidiani, è oggi prodigo di notizie sulla natura di questo governo da “combattimento”, che viene varato a Teheran tre mesi dopo il controverso esito delle elezioni, a seguito del quale molti iraniani erano scesi in piazza a protestare. Che la retorica anti-israeliana la faccia da padrona, tanto più con un personaggio come Vahidi alla testa dello strategico ministero della difesa, è prevedibilissimo. Le spavalde dichiarazioni contro Gerusalemme, infatti, non si sono di certo fatte attendere, essendo divenute il fuoco stesso dell’identità politica degli uomini (e delle poche donne, una per l’esattezza delle tre che erano state individuate per occupare i vertici ministeriali) che ruotano intorno al presidente Ahmadinejad, come sottolinea Luigi Spinola per il Riformista. Il punto rilevante, però, è che Teheran, a partire già dalle prossime settimane, dovrebbe tradurre in fatti concreti il programma nucleare, facendo quel salto di qualità che ancora gli manca per trasformarlo da promessa futura in concreta minaccia. L’intera iniziativa, oltre ad essere stata presentata agli iraniani come uno strumento di “pace”, volto ad aumentare l’autonomia energetica del paese (condizionata dalla costante scarsità di petrolio, venduto perlopiù sul mercato internazionale), è stata accompagnata dai continui richiami alle sue potenzialità offensive. L’identità dell’Iran militante, quello che è oggi al potere nella persona di Mahomud Ahmadinejad, con l’assenso di una parte del clero ma anche con il dissenso di quella restante, si gioca sulla palese ambiguità dei fini attribuiti alla politica di potenza nucleare da tempo perseguita. Se per Teheran è impossibile dichiarare palesemente che la sua intenzione è quella di dotarsi di armi di distruzione di massa, pena il bando dalla comunità internazionale, non di meno alimenta ogni passo delle sue scelte in materia con il rimando all’uso militare che una energia come quella nucleare può offrire. Laddove, e qui il gioco è scoperto, vi sarebbe da subito un obiettivo in Israele. Con questa calcolata ambiguità il regime iraniano cerca, da un lato, di garantirsi ancora spazi di manovra per proseguire nella sua politica, giocando con gli interlocutori della scena internazionale al gatto e al topo, mentre dall’altro tenta in tutti i modi di vellicare l’orgoglio nazionalista, nello sforzo di costruirsi la base di un nuovo consenso interno, tra la popolazione, altrimenti di per sé troppo fragile. I veri destinatari del messaggio ultraconservatore, quello espresso dell’attuale gruppo dirigente al potere, sono quindi ancora una volta quei ceti bassi e medio-bassi che costituiscono da sempre l’ossatura del voto ad Ahmadinejad. Sono tutti quei gruppi sociali che si riconoscono nel populismo e nel messianismo secolarizzato di cui il presidente iraniano è una incarnazione compiuta, con la sua ossessiva e ripugnante avversione per ciò che chiama “sionismo”, sinonimo fin troppo esplicito di ebraismo. Ancora su queste cose si legga Vanna Vannuccini per la Repubblica. Peraltro, che la bufera dell’islamismo fondamentalista sia lontana dall’avere esaurito la sua forza ce lo ricorda lo stesso Manifesto con un articolo di Pietro Calvisi sulla diffusione dell’estremismo politico e religioso anche tra le donne dei paesi musulmani ed in particolare in quelli che fino a qualche anno fa parevano estranei a qualsiasi fervore missionario. Insomma, il quadro mediorientale è in movimento. Verso quale esito lo capire solo nei tempi a venire, anche se i segnali sono, per il momento, poco confortanti.

Claudio Vercelli

 
 
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Mar Morto: il prosciugamento del lago salato sta accelerando  
Tel Aviv, 3 sett -
Allarme Mar Morto. Negli ultimi due anni il lago salato più famoso al mondo si sta prosciugando ad una velocità maggiore rispetto alla media del decennio scorso. In un rapporto pubblicato questa settimana, dall'agenzia israeliana Water Authority che si occupa dell'acqua, è stato reso noto che nel 2008 il Mar Morto si è ridotto di 138 centimetri. Dato ben più allarmante: quest'anno, ne ha persi già 113. Notizie preoccupanti, considerato che la media per il decennio 1998-2008 era di 98 centimetri annui. L'incremento, ha spiegato la Water Authority, è dovuto ad un aumento dell'utilizzo delle acque che alimentano il Mar Morto.  Alcuni giorni fa, questo bacino al confine tra Israele, Giordania e Cisgiordania è stato scelto insieme ad altri 13 siti per partecipare alle selezioni della nuove sette meraviglie naturali del mondo. La competizione, che si svolge tramite voti online, si concluderà nel 2011. 
 
 
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