se non visualizzi correttamente questo messaggio, fai click qui |
|
|
 |
|
L'Unione informa |
|
|
|
21 settembre 2009 - 3 Tishrì 5770 |
|
 |
|
| |
|
alef/tav |
|
|
 |
|
 |
Riccardo
Di Segni, rabbino capo di Roma |
Nei
testi (Torà, Haftarot) che abbiamo letto a Rosh haShanà c'è una
significativa presenza di personaggi femminili, che tra l'altro sono
legati da un aspetto inconsueto, il riso e il pianto. Mentre Sara ride,
o meglio scherza e ironizza per la sua maternità imprevista, Hagar,
Rachel e Chanà piangono. Ancora il pianto singhiozzato (yevavà),
che ritma il suono dello shofar, evoca quello della madre di Siserà, il
condottiero sconfitto da Debora. Ma, come si vede facilmente dai testi,
c'è pianto e pianto. Quello della madre di Siserà è il pianto di una
madre prepotente di un generale prepotente, che non si arrende
all'evidenza della sconfitta. Quello di Hagar, madre di Ishmael, è il
pianto disperato di chi è posto davanti a una disgrazia e semplicemente
crolla. Rachel invece piange per i figli esuli e rifiuta di essere
consolata, finché non torneranno. Channa, futura madre di Samuele,
piange perché non accetta il suo stato e si impegna per il futuro.
Messaggio per questi giorni: rifiutare la consolazione finché i
problemi non si risolvono, impegnarsi a risolverli.
|
 |
I
funerali di Stato dei sei paracadutisti italiani caduti a Kabul ci
ripropongono in maniera pubblica e ufficiale quello che ognuno di noi
sente dentro di sé in modo più o meno chiaro: che la guerra è morte, è
bambini lasciati orfani, sangue e lacrime. Ci ripropongono anche,
speriamo, per almeno un giorno, l'immagine di uno Stato unito e
solidale dietro la sua bandiera, al di là della disgregazione a cui
stiamo assistendo. Dobbiamo, e tranne frange estreme tutti sembramo
d'accordo, restare in Afghanistan e non abbandonare la popolazione ai
macellai talebani. E dobbiamo ripensare al dolore non solo dei nostri,
ma anche degli afghani. Pensare a una strategia che non si accontenti
di mandare soldati, ma pensi anche ad aiutare a cambiare quel paese
tanto tormentato. |
Anna Foa,
storica |
 |
|
|
 |
|
|
torna su |
davar |
|
|
|
|
Rosh ha Shana 5770 - "Una solennità che si distingue per la sua portata universale"
Numerosi messaggi di auguri per questo 5770 appena iniziato sono giunti
alle istituzioni della minoranza ebraica in Italia. Fra i tanti, il
Presidente dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane Renzo Gattegna ha ricevuto i cordiali messaggi augurali del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano (nella foto a fianco) e del Presidente della Camera Gianfranco Fini
indirizzati a tutti gli ebrei italiani. A poche ore dall'inizio
della solennità che segna l'inizio del nuovo anno, inoltre, il
Presidente Ucei ha rivolto dai microfoni di RadioRai alla popolazione
italiana il seguente messaggio: "Il giorno di Rosh ha Shanà, il
Capodanno ebraico, celebra, secondo la tradizione, la creazione del
mondo e del genere umano. E’ quindi una festa che non riguarda solo gli
ebrei ma che, invece, si distingue per la sua portata universale.
Ricordare e ragionare sull’inizio della nostra esistenza, ci costringe
a interrogarci sul significato e sul ruolo che siamo chiamati a
svolgere nel mondo. Lo studio dei primi passi della Genesi ci aiuta a
sviluppare considerazioni che contengono importanti elementi
interpretativi. Straordinarie appaiono le modalità della creazione
di Adamo, il primo uomo che non solo viene plasmato direttamente,
oserei direi personalmente, dal Signore a Sua immagine e somiglianza,
ma riceve l’anima vitale direttamente dall’afflato divino. Il
fatto che Adamo sia l’unico uomo creato da Dio porta come immediata
conseguenza che abbiamo tutti un capostipite comune, una comune
origine, e quindi una comune natura. Non può essere
concepita,quindi, tra gli uomini alcuna gerarchia in termini di
dignità, né alcun privilegio; abbiamo tutti gli stessi diritti e gli
stessi doveri, sia come individui che come collettività. Non dobbiamo,
tuttavia, dimenticare che se gli uomini sono originariamente tutti
uguali, successivamente, essendogli stata attribuita la capacità di
distinguere il bene dal male, ognuno sarà direttamente responsabile e
dovrà rendere conto delle proprie azioni. Sul piano dei comportamenti
concreti, più che sulle intenzioni, le differenze fra i buoni e i
malvagi, fra i giusti e gli ingiusti, si stabiliranno sulla base delle
azioni che compiranno nel corso della loro vita. Una delle
denominazioni bibliche del Rosh ha Shanà è Yom ha Zikkaron, Giorno del
ricordo, ricordo del passato più remoto e misterioso, ricordo del
passato più prossimo e recente. Così durante i 10 giorni che vanno da
Rosh ha Shanà allo Yom Kippur ricordiamo la nostra vita, le nostre
opere, le nostre azioni sperando che non vengano considerate
irrimediabilmente indegne o carenti, nel momento in cui saranno
sottoposte al giudizio del Signore. La Bibbia, dunque, libro
antico e moderno insieme, libro senza tempo o meglio ancora libro al di
fuori del tempo, da millenni ci insegna che è infondata qualsiasi
teoria che tenti di sostenere la superiorità o l’inferiorità di un uomo
rispetto ad un altro uomo. E’ inaccettabile qualsiasi forma di
sottomissione o di sfruttamento di esseri umani ed è inconcepibile
qualsiasi conflitto tra individui e nazioni basato su motivazioni, o
meglio su pretesti di carattere religioso. Se poi circoscriviamo il
discorso ai rapporti fra le tre grandi religioni monoteistiche, come è
concepibile che nascano odii, incomprensioni, guerre tra coloro che
credono nello stesso Dio, discendono dal primo uomo e fanno riferimento
ad Abramo come loro padre spirituale. La concezione monoteistica
dell’ebraismo chiama l’umanità all’unicità della condizione umana e le
impone la perentoria esigenza di una solidarietà fondata non soltanto
su una originaria comune esperienza religiosa, ma innanzi tutto su una
solidarietà universale che trae origine dalla inscindibile unità del
genere umano. Per l’ebraismo l’umanità fu una all’inizio del mondo e
potrà ricomporre questa unità soltanto quando la Giustizia regnerà
sulla terra. Nella coscienza che questa condizione di pace universale
non è stata ancora realizzata ci auguriamo che l’anno 5770 segni almeno
un avvicinamento verso questa fondamentale conquista".
L’Shanà Tovà Tikatevu: l’augurio di Obama agli ebrei di tutto il mondo
Tra
i vari Shanà Tovà pronunciati in questi giorni, uno è sicuramente più
“speciale” di tanti altri, quello di Barack Obama. In un video della
durata di quasi tre minuti, il presidente americano si è rivolto agli
ebrei di tutto il mondo, augurando loro un felice inizio di anno nuovo.
Parole misurate, postura e gestualità efficaci, Obama ha iniziato il
suo intervento con la frase “L’Shana Tovah Tikatevu” ( che voi possiate
essere iscritti nel libro della Vita per un buon anno ) cercando di
fare breccia nel cuore degli spettatori. Missione riuscita, come
testimoniano gran parte dei commenti apparsi sul web, che manifestano
un generale apprezzamento per la decisione di Obama di esprimersi in
ebraico. Ci aveva provato anche il suo predecessore George Bush un paio
di anni fa, sbagliando però la tempistica (il messaggio era stato
trasmesso una settimana prima che iniziasse Rosh Hashanà). Gaffe
clamorosa, prova ulteriore di otto anni di presidenza vissuti
con molta superficialità. Obama, nel messaggio di giovedì scorso, ha
ribadito la necessità di combattere ogni forma di pregiudizio, partendo
da quello antiebraico, sentimento ancora radicato in molte aree del
mondo. Dimostrando di conoscere molto bene (o grazie ad uno staff di
collaboratori preparati) le festività ebraiche, ha espresso il
desiderio che la giornata di riflessione di Kippur, ormai alle porte,
possa servire per le famiglie, le comunità e perfino le nazioni ad
abbattere le divisioni e cercare di costruire un mondo migliore, basato
su empatia e compassione.  Un mondo che
non potrà essere tale finché non ci sarà pace in Medio Oriente:
“Bisogna lavorare affinché Israele sia riconosciuto dai paesi vicini e
i bambini possano essere liberi di sognare e vivere senza paura”. Con
il suo tributo ad una cultura millenaria, “luce delle nazioni”, come
lui stesso l’ha definita attraverso le parole del profeta Isaia, Obama
ha cercato di ingraziarsi l’elettorato ebraico americano, buona parte
del quale non ha una grandissima fiducia nei suoi confronti. Per
rendersene conto basta dare un’occhiata ai risultati delle primarie del
Partito Democratico dell’anno scorso, quando la maggioranza degli ebrei
statunitensi decise di votare per Hillary Clinton invece che per l’ex
senatore dell’Illinois. Molti, infatti, avevano (ed hanno tuttora)
delle remore nei confronti di Obama a causa della sua ventennale
amicizia con Jeremiah Wright, prete antisemita di Chicago e suo
consigliere spirituale di lunga data, e per la sua posizione non molto
chiara nei confronti di Israele. Paure forse eccessive, visto che
Obama, nei fatti, sta conducendo una politica equidistante verso
israeliani e palestinesi, probabilmente l’unica che possa portare alla
fine del conflitto in Terra Santa. Per cercare di concretizzare le sue
idee di pace in Medio Oriente, il presidente americano incontrerà nella
giornata di martedì Netanyahu e Abu Mazen. Purtroppo, in
quell’occasione non basterà dire “Shanà Tovà” per convincere il premier
israeliano a rivedere la sua posizione sulle colonie o “Eid Mubarak”
(augurio per festeggiare la fine del Ramadan) per indurre il leader di
Al-Fatah a iniziare seriamente un negoziato di pace.
Adam Smulevich
Un anno per la pace
Desidero - in occasione dei Yamim Noraim 5770 - porgere agli Ebrei e alle Comunità di
Italia i miei più affettuosi e fervidi auguri di Shanah Tovah e di
Ketivah va-Chatimah Tovah! Che l'anno che sta per iniziare sia
accompagnato da un'atmosfera di serenità, di concordia e di osservanza
della Torah nelle famiglie e nelle Comunità. In particolare,
voglia il Signore benedire i nostri fratelli di Eretz Israel,
concedendo loro serenità e pace!
Rav Giuseppe Laras, Presidente dell'Assemblea Rabbinica Italiana
Un anno per ascoltare
Sabato,
primo giorno di Capodanno, non si suona lo shofàr. Ma ancora più forte
del suono dello shofàr è il silenzio: come dice il salmista Lechà dumià tehillà,
'a te il silenzio è lode'. Quindi in questo giorno di shabbath Rosh
hashanà, in cui lo shofàr rimane in silenzio, in un certo senso, è
l’uomo stesso che diventa shofàr, secondo quanto dicono i Maestri: la
mitzvà dello shofàr di Rosh hashanà e di Kippùr deve essere fatta con
corna di ariete che siano ricurvi, e questo per simboleggiare che
l’uomo deve essere come lo shofàr, si deve curvare per accettare il
regno di Dio. Possiamo allora forse capire il senso della profezia
di Isaia più volte richiamata in questi giorni: 'In quel giorno sarà
suonato il grande shofàr e i dispersi dall’Assiria e gli sperduti nella
terra d’Egitto torneranno e si inchineranno al Signore, sul sacro
monte, a Gerusalemme: in quel giorno l’uomo stesso si trasformerà in un
grande shofàr - dalla forma elicoidale e ricurva simile a quella del
DNA - e il Signore inspirerà in lui uno spirito vitale, come al momento
della sua creazione, avvenuta di Rosh hashanà. In quel giorno -
proprio come in questo shabbath Rosh hashanà - l’uomo non suonerà lo
shofàr, ma potrà ascoltare in silenzio la parola del Signore, essendo
divenuto lui stesso il grande shofàr. Con i miei auguri di shanà tovà,
ketivà vahatimà tovà per un anno che sia veramente di pace e
tranquillità per tutti, in Terra d’Israele e nei paesi della Diaspora.
Rav Scialom Bahbout
|
|
|
|
|
torna su |
pilpul |
|
|
|
|
Il momento della verità del Giorno puro
Per i marrani Yom Kippur era il giorno più importante dell’anno
un legame che li teneva ancora uniti all’ebraismo dei padri. Lo
chiamavano el dia puro, che voleva dire sia il “giorno puro”, sia il “giorno della purificazione”, o anche ayuno mayor,
cioè il “grande digiuno”. Pur rischiando spesso la morte, facevano ogni
sforzo per celebrarlo con solennità, indossando abiti per l’occasione,
digiunando e recitando le preghiere che ancora conoscevano. Era per
loro anche un giorno di verità in cui dovevano confessare di condurre
un’esistenza segnata dalla colpa, dalla dualità e dalla dissimulazione
in cui vivevano. Si consolavano però ricordando che per l’ebraismo il
peccato non è inestirpabile. E perciò il momento in cui veniva intonato
il Kol Nidrè aveva per loro un significato di un nuovo inizio, la possibilità di un ritorno.
Donatella Di Cesare, filosofa
|
|
|
|
|
torna su |
rassegna stampa |
|
|
|
|
|
|
|
|
|
La
sola notizia internazionale oggi è il vertice fra Netanyahu e Abbas che
dovrebbe svolgersi domani a New York (Francesco Semprini sulla Stampa, Paolo Valentino sul Corriere, una cronaca e un'analisi). Ma si può concordare con Fiamma Nirenstein che scrive sul Giornale
che si tratta di un'operazione di facciata, che rientra nella politica
di immagine di Obama. Entrambi i protagonisti si sono affrettati a
precisare che non si tratta dell'inizio della trattative, che si sono
incartate proprio per l'interventismo del Presidente
americano. Gli arabi credono di poter ottenere tutto prima dell'inizio
delle trattative e pongono precondizioni che dovrebbero già
pregiudicarne l'esito (innanzitutto il blocco degli insediamenti e
dunque il riconoscimento della loro illegalità, che secondo la
legge internazionale non è vero) – il che naturalmente Netanyahu non
può concedere. A questo proposito, perfino su Haaretz
si legge ogni tanto qualche voce di buon senso come oggi quella di
Shlomi Avineri, il quale avverte che la famosa iniziativa dell'Arabia
Saudita (pace in cambio del ritiro sulle frontiere del '67) non è
l'inizio di una passibile trattativa, ma un diktat. Insomma, ha
probabilmente ragione Benny Morris, intervistato dal Corriere:
il risultato dell'incontro saranno "tante belle fotografie". Nel
frattempo l'Iran continua a esercitare pressione contro il "cancro
israeliano" (Zanconato sul Mattino)
e anche se il presidente russo Mevdev afferma che Peres gli avrebbe
confidato che gli israeliani non hanno intenzione di attaccare l'Iran (La Stampa), le possibilità di evitare una guerra con l'Iran nel futuro più o meno prossimo si sfrangiano progressivamente. Guardando
indietro alle rassegne dei giorni di Rosh Hashanà, mi sembra importante
segnalare due cose. La prima è un'analisi di Emanuele Ottolenghi sul Riformista del
19 settembre in cui si pone il problema capitale della credibilità del
Presidente americano nel quadro internazionale. Essendosi rimangiato
molti impegni, non solo con Israele ma anche con i paesi dell'Europa
Orientale, con la Colombia ecc., l'America rischia oggi una crisi di
affidabilità, pericolosissima per ogni Stato, ma ancor di più per chi
dovrebbe esercitare la leadership dell'Occidente. Il secondo tema è più interno al mondo ebraico italiano. Qualche giorno fa, il 17 settembre, Liberazione
(organo del partito di Rifondazione comunista) ha pubblicato un
articolo di Leonora Pigliucci, che chiedeva la proibizione della
macellazione rituale tanto islamica quanto ebraica perché non
terrebbero conto delle sofferenze degli animali. Il 20 settembre sullo stesso giornale
è apparsa una documentata e analistica risposta del consigliere
dell'Ucei Gadi Polacco, con una controrisposta del giornale, che
conferma in sostanza le sue posizioni proibizioniste. Il tema è
naturalmente mlolto importante per la kasherut ed è stato oggetto nei
mesi scorsi di complesse trattative in sede europea e nazionale. Il
fatto che or esso appaia sui giornali è preoccupante, perché
potrebbe preludere a una campagna vera e propria.
Ugo Volli |
|
|
|
|
torna su |
notizieflash |
|
|
|
|
MO:
il vertice Obama-Netanyahu-Abu Mazen
fra sceticismo e speranza Tel Aviv, 21 set - Il
premier israeliano Netanyahu partirà oggi alla volta degli Stati Uniti.
Domani sarà ricevuto privatamente da Obama, prima del vertice che si
svolgerà fra il Presidente degli Stati Uniti Barack Obama, il
Presidente dell'Anp Abu Mazen e lo stesso Netanyahu. Giovedì Netanyahu
pronuncerà alle Nazioni Unite un discorso che la stampa israeliana
concorda nel qualificare fin d'ora "drammatico". I commenti ufficiali
alla vigilia del vertice sono improntati alla massima cautela. In una
intervista alla radio militare il segretario del governo israeliana Zvi
Hauser ha espresso forte dubbio che quel vertice sarà un punto di
riferimento per la ripresa dei negoziati israelo-palestinesi, di fatto
bloccati da quasi un anno. In quella che è sembrata una critica velata
alla amministrazione di Obama, Hauser ha notato che "tutte le parti
comprendono che queste trattative sono non semplici e complesse.... che
non ci sono scorciatoie". Da parte sua un altro consigliere di
Netanyahu, Nir Hefetz, ha affermato che il primo ministro spera
comunque di tornare da quel vertice con "risultati concreti". La misura
dello scetticismo del governo israeliano è apparsa evidente in una
intervista oggi alla radio militare del ministro Beny Begin (Likud)
secondo cui "finché Abu Mazen non ripudierà il paragrafo della carta
costitutiva di al-Fatah che invoca la lotta contro la 'entita' sionistà
Israele non vedrà in lui un partner". |
|
|
|
|
|
torna su |
|
L'Unione
delle Comunità Ebraiche Italiane sviluppa mezzi di comunicazione che
incoraggiano la conoscenza e il confronto delle realtà ebraiche. Gli
articoli e i commenti pubblicati, a meno che non sia espressamente
indicato il contrario, non possono essere intesi come una presa di
posizione ufficiale, ma solo come la autonoma espressione delle persone
che li firmano e che si sono rese gratuitamente disponibili. Gli
utenti che fossero interessati a partecipare alla sperimentazione
offrendo un proprio contributo, possono rivolgersi all'indirizzo desk@ucei.it per concordare le modalità di intervento.
Il servizio Notizieflash è realizzato dall'Unione delle Comunità
Ebraiche Italiane in collaborazione con la Comunità Ebraica di Trieste,
in redazione Daniela Gross. Avete
ricevuto questo messaggio perché avete trasmesso a Ucei
l'autorizzazione a comunicare con voi. Se non desiderate ricevere
ulteriori comunicazioni o se volete comunicare un nuovo indirizzo
e-mail, scrivete a: desk@ucei.it indicando nell'oggetto del messaggio “cancella” o “modifica”. |
|
|