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L'Unione informa |
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29 settembre 2009 - 11 Tishri 5770 |
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alef/tav |
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Roberto
Della Rocca, rabbino |
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mattina il nostro collaboratore Odoardo Sadun e sua moglie Debora Coen
hanno compiuto la mitzwa di far circoncidere il loro primo figlio al
quale hanno messo il nome di Beniamin. La Tradizione ebraica suggerisce
di attendere la circoncisione per dare il nome a un individuo. E' come
se l'acquisizione di un'identità, di cui il nome costituisce il
primo segno, iniziasse dal momento in cui si entra nel mondo
delle mitzwot. Un affettuoso mazal tov a Beniamin e ai suoi genitori.
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Il senso comune è il peggior nemico del buon senso. . |
Vittorio Dan Segre,
pensionato |
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Kippur 5770 - Nell'ora di Ne'ilà
Negli Stati Uniti in questi giorni, come da noi, le Sinagoghe si
affollano. Ma a differenza da noi, che facciamo entrare tutti, da
quelle parti i posti nelle Sinagoghe sono numerati e entra solo chi ha
pagato il biglietto, spesso molto caro. Su questa abitudine circolano
anche versioni ironiche su internet: scegli vicino a chi vuoi stare, il
tuo avvocato, il tuo commercialista, il tuo medico (nelle varie
specialità), il tuo consulente estetico e così via . E' inevitabile che
l'incontro e la lunghezza delle cerimonie, in parte non comprese, si
trasformi in un'occasione di distrazione o per pensare ai propri
affari. La confusione e la distrazione altrove abbastanza controllata,
da noi rischia spesso di diventare incontrollabile. Siamo arrivati alle
due ore che ci separano dalla fine del Kippùr e al massimo
dell'affollamento. C'è chi viene per pregare intensamente e sta qui
ininterrottamente dalle prime ore del mattino, chi viene per la berakhà
e la shofar e chi viene e basta perchè attratto da un richiamo lontano.
E sono tutti benevenuti. I Maestri insegnano che berov 'am hadrat melekh,
“la gloria del re è nella moltitudine del popolo”, cioè quante più
persone sono presenti tanto maggiore è l'onore del re. Quello che
vale per un “re di carne e sangue” vale anche per il nostro Re, “il Re
sacro” di cui proprio in questi giorni proclamiamo il dominio
sull'Universo e su di noi. Ma quando c'è la folla c'è anche la
confusione. Entro certi limiti può essere persino bello, ma non bisogna
esagerare. Proviamo a pensare che questi sono momenti sacri, di
elevazione spirituale, l'ora della נעילת השערים “la chiusura
delle porte” del cielo e del Santuario, è come se fosse l'ora in cui i
giudici si chiudono in camera di consiglio per giudicarci. Rispettiamo
allora con il silenzio il luogo dove stiamo e il nostro vicino che
vuole seguire la Tefillà. Un nostro problema, in ogni momento della
nostra esistenza è quello di resistere con dignità alle provocazioni e
alle sollecitazioni che ci vengono da ogni parte. Controllare le nostre
reazioni, comportarsi con dignità e dare l'esempio è un dovere per ogni
essere umano e per ogni ebreo, senza distinzioni. Se non ci riusciamo è
perchè la nostra natura è debole, ma questo non vuol dire che non possa
migliorare. Ed è proprio questo il senso della teshuvà, da fare in
questi giorni e magari proprio qui e ora. Un piccolo esercizio di
autocontrollo nel silenzio, qui, sarebbe già un ottimo inizio. Che
cosa significa proclamare con la folla D. Re? Non lo è già? Ha bisogno
di noi? Dobbiamo renderci conto che in questa proclamazione si
nascondono alcuni messaggi fondamentali e rivoluzionari che
l'ebraismo ha portato al mondo. Se Lui è il Re, non ci sono altri Re
oltre a Lui. Se Lui è il Re, noi siamo i suoi sudditi, i suoi servi. Se
siamo i suoi servi non siamo i servi di nessun altro. Siamo liberi. Se
Lui è il Re, in quanto creatore dell'Universo e dell'umanità, gli
esseri umani sono creati a Sua immagine. E questo significa che ogni
essere umano ha la sua dignità e che la sua vita è sacra. Libertà e
sacralità significano responsabilità e moralità, rispetto della legge e
del diritto, rifiuto della violenza. Se il mondo “civile” condivide
buona parte di questi principi è perchè è stata la nostra fede e la
nostra tradizione a insegnarli. Tutto quello che abbiamo letto nei
nostri libri di tefillà in questa giornata, da Isaia a Jonà alle
numerose preghiere e poesie, ribadisce queste idee essenziali.
Molte idee fondamentali che guidano e elevano la civiltà sono un nostro
prodotto, un nostro contributo irrinuciabile. Ma non c'è momento in cui
non vengano messe in discussione e in cui o si neghi il nostro ruolo, o
si scateni l'ostilità verso di noi proprio per questo ruolo. Fermiamoci
a pensare ora a tutto questo, a provarne un po' di orgoglio, ma mai
arroganza, a pensare a quanto sia insulso per noi rifiutare o
disprezzare delle radici così nobili, a pensare a quale sia il nostro
dovere di comportarci con coerenza morale, in pubblico e privato, tanto
più quando le strutture sociali cambiano tumultuosamente e rischiamo
esser solo dei soggetti passivi che accettano dei modelli esterni. Se
tutto questo è vero, come lo è, non possiamo nascorderci una grande
difficoltà: il fatto che l'ebraismo sia esigente. Per realizzare gli
obblighi della nostra religione ci vuole una continua attenzione, tutta
la vita è controllata, c'è una lunga e complicata serie di regole da
rispettare. Non sarebbe meglio, più comodo e più semplice se ci fossero
meno regole? Nel suo messaggio per il Kippur di quest'anno rav Jonathan
Sachs spiega perchè no. Pensate alle feste maggiori di Pesach, Sukkot e
Shavuot. Sicuramente la gente osserva molto più Pesach di Sukkot e
Sukkot più di Shavuot. Pensate a quello che succede in queste feste. A
Pesach c'è un carico non indifferente di obblighi da rispettare, dalla
pulizia della casa al seder al cibo; a Sukkot c'è la Sukkà e il lulav;
a Shavuot non c'è praticamente niente. Eppure quale di queste feste è
la più celebrata e “frequentata”? Proprio Pesach, la festa che la più
esigente, che ha più regole da rispettare. E questa sera siamo qui e
altrove raccolti in moltitudini mai viste, come mai in altri momenti
dell'anno, e siamo già alla 23a ora di digiuno assoluto e preghiera
continua. Se non ci fosse tanto rigore, anche se probabilmente non
tutti lo rispettano, qua non ci sarebbe tanta gente. La conclusione su
cui bisogna pensare è che le cose che valgono di più sono quelle che
esigono di più; è vero per lo studio, per il lavoro, per lo sport come
è vero per le cose spirituali. Se l'ebraismo fosse stato più semplice,
sarebbe già scomparso. E' difficile, è esigente, ma se non fosse stato
così non avrebbe trasformato il mondo. Il nostro Re esige da noi grandi
cose. Ma è questo che ci rende grandi. Così come siamo entrati in
questo edificio richiamati dal sacro, così dobbiamo uscirne con
l'impegno a seguire la vocazione di Israele a essere קדושים
, santi. Dove la santità non è una condizione eccezionale per
pochi, ma coerenza alla portata di tutti. E' un impegno che riguarda
noi e il nostro miglioramento. Che devi imporci l'umiltà come regola,
come umile fu il nostro maestro Moshè, che non deve mai far guardare un
altro dall'alto verso il basso, che sia ebreo o no, che si comporti
bene o no. Non siamo noi i giudici ma dobbiamo dare l'esempio e non
sottrarci a questo obbligo. Troppe volte cerchiamo il compromesso,
mandando all'aria la kashrut, lo shabbat e quantaltro per adeguarci a
doveri o formalità sociali. Per non parlare dei modelli familiari in
crisi che accettiamo passivamente dall'esterno. Dai tempi del patriarca
Yaaqov abbiamo cercato di assumere le sembianze di Esav. Ma non è un
gioco vincente neppure nei tempi brevi. Le persone ci rispettano per
quello che siamo e per quello che dovremmo essere come ebrei, non per
quello che disprezziamo di noi stessi. Un importante prelato qualche
hanno fa mi chiese: “ma che razza di ebreo è il tal dei tali che mangia
pubblicamente qualsiasi cosa a voi proibita?”. Era un personaggio dei
tanti che rappresenta in pubblico quello che lui pensa essere
l'ebraismo. Ma la sua pubblica trasgressione non rendeva rispettabile
né lui né il suo ebraismo. E se questo discorso riguarda in primo
luogo i nostri rappresentanti non esime dall'obbligo chiunque di noi,
che è comunque e deve essere un simbolo vivente della qedushà di
Israele.Pensiamo a queste cose nei momenti solenni che seguiranno, seguendo con attenzione ogni momento della preghiera.
זכרנו לחיים מלך חפץ בחיים וחתמנו בספר החיים למענך א-ל חי
“Ricordaci per la vita, Re che desideri la vita, e sigillaci nel libro della vita, per Te, D. vivente”
Riccardo Di Segni, rabbino capo di Roma
(discorso pronunciato nel Tempio Maggiore di Roma alla conclusione del Kippur 5770)
Ahmadinejad ospite al Larry King Show Il dittatore strizza l’occhio ai media americani
C’è
un luogo che Mahmoud Ahmadinejad, presidente-dittatore della Repubblica
Islamica dell’Iran, ama frequentare ogni volta che viene a New York a
parlare (o sparlare) all’Assemblea generale delle Nazioni Unite: il
salotto del Larry King Show, uno dei programmi televisivi statunitensi
più celebri e amati dal pubblico del piccolo schermo. Si sa, anche i
dittatori curano la loro immagine, così “l’ultimo discendente del
profeta Maometto” si è presentato negli studi televisivi del programma
vestito di tutto punto, con un elegante vestito grigio a conferirgli
tono, autorevolezza e una certa aria da mediorientale in viaggio
d’affari in Occidente. Arredamento sobrio, bandiera iraniana sullo
sfondo, a interloquire con il barbuto dittatore uno dei “santoni” del
giornalismo americano, Larry King, nome d’arte per Lawrence Harvey
Zeiger, oltre quarantamila interviste realizzate in carriera e otto
matrimoni alle spalle. “Chissà quale sofferenza avrà provato
l’antisemita Ahmadinejad nello stringere la mano ad un personaggio che
impersona al meglio lo stereotipo dell’ebreo basso, brutto, gobbo e col
nasone”, si chiede un blogger americano (non ebreo). Insofferenza
abilmente nascosta durante l’intervista, che è stata comunque “una
partita di scherma” (soprattutto nella seconda parte) tra i due, con
stoccate da una parte e dall’altra. King, memore delle critiche
ricevute per essere stato troppo morbido e conciliante con il suo
scomodo ospite l’anno scorso, ha cercato, attraverso domande pungenti e
dirette, di mettere in difficoltà Ahmadinejad sin dall’inizio. Così, a
differenza della passata intervista, quando l’attacco fu molto soft
(“Che cosa prova ad essere a New York?”), questa volta la trasmissione
è iniziata con un video di Obama, nel quale il presidente americano ha
accusato il dittatore iraniano di voler sviluppare un programma
nucleare non regolamentato dalle leggi internazionali. Chiaro il
riferimento al secondo impianto iraniano per l’arricchimento
dell’uranio, attualmente in costruzione nelle vicinanze della città di
Qom. Ahmadinejad, fingendosi quasi stupito, si è giustificato dicendo
di non aver violato il regolamento dell’Agenzia Internazionale per
l’Energia Atomica, “in quanto tale regolamento prevede l’obbligo di
informare l’Agenzia solamente sei mesi prima che un impianto sia
operativo. Siccome quello di Qom non sarà funzionante prima di un anno
e mezzo, non ho fatto niente di male”. A contorno di queste
affermazioni un sorriso sornione (che mostrerà più volte durante
l’intervista) e una apparente rilassatezza, armi mediatiche diaboliche
per cercare di allontanare i cattivi pensieri che aleggiano intorno al
processo di arricchimento dell’uranio da parte dell’Iran. Alternando
bastone e carota, Ahmadinejad ha poi lanciato chiari e minacciosi
moniti all’Occidente (“l’epoca del colonialismo è finita, Francia e
Gran Bretagna non si possono permettere di giudicare il mio paese”),
seguiti da messaggi di apertura (“gli ispettori dell’Agenzia possono
venire a Qom quando vogliono”). Non sono mancati anche tentativi di
“arrampicarsi sugli specchi”, come quando King ha cercato di
approfondire la questione del mancato rispetto dei diritti umani in
Iran e delle sanguinose repressioni nei confronti degli oppositori del
regime, ottenendo risposte sfuggenti ed evasive da Ahmadinejad.
Assurdo, poi, il contrattacco del leader iraniano, che ha chiesto al
presentatore lumi sul sistema carcerario americano e sul numero di
prigionieri che muoiono ogni giorno nelle carcere statunitensi, come se
King fosse Ministro della Giustizia e potesse rispondere a quelle
domande. Ma è su Shoah ed Israele che lo scontro tra i due si è fatto
ancora più acceso. Ahmadinejad non ha negato esplicitamente lo
sterminio degli ebrei, dando risposte molto vaghe, del genere “sono uno
storico, e come alcuni studiosi, ho opinioni differenti in proposito” o
“perché non parliamo del genocidio del popolo palestinese?”. King ha
mostrato apertamente il suo disappunto per le risposte ottenute,
alzando più volte (e vanamente) la voce, scontrandosi contro il muro
del silenzio eretto dal despota iraniano. Capitolo Israele: “Crede che
sia possibile che l’esercito israeliano bombardi i vostri impianti
nucleari?”, questa volta la domanda del settantaseienne giornalista di
Brooklyn ottiene una risposta chiara da Ahmadinejad che, assunte le
veci di insegnante di geografia, accenna alla differenza di estensione
territoriale tra i due paesi, ritenendo Israele troppo piccola per
impensierire il “gigante” iraniano. “Potrebbe, signor presidente,
potrebbe”, mormora (con malcelata soddisfazione) King. Verrebbe quasi
da ridere, se la sua battuta non prefigurasse scenari catastrofici, per
il Medio Oriente e il mondo intero.
Adam Smulevich
I 90 anni di Alberta Levi Temin Napoli si inchina a una donna forte e a una vita spesa per il bene di tutta la collettività
“L’oro
di Napoli” così il Sindaco Rosa Russo Iervolino ha definito Alberta
Levi Temin, partecipando ad una cerimonia svoltasi nella sala Giunta
del Municipio di Napoli, per solennizzarne i 90 anni. Nel
consegnare alla Temin una targa come riconoscimento per il suo costante
impegno nell’indicare ai giovani i valori della pace, del dialogo e del
rispetto delle diversità, il Sindaco Iervolino ha messo in
evidenza la sua instancabile opera di testimonianza nelle scuole,
nelle associazioni a contatto con gli ambienti più disparati come
una delle eccellenze di cui la città può essere orgogliosa. “
Caposquadra” l’ha invece chiamata Ugo Foà, giunto da Roma in
rappresentanza del” Progetto Memoria” della Fondazione CDEC e del
Centro di Cultura ebraica di Roma e giustamente perché già venti anni
fa ,quando ancora non era stata istituita la Giornata della Memoria,
Alberta ha cominciato a portare nelle scuole di ogni ordine e grado, in
città ed in provincia la testimonianza di ciò che accadde a lei ed alla
sua famiglia a Roma nell’Ottobre del ’43, lo ha fatto e lo fa con
sobria semplicità, con un linguaggio accessibile,
ricordando il passato, ma guardando al presente e al futuro,
rispondendo a domande talvolta provocatorie e dando, con
l’autorevolezza che le è propria, un esempio di equilibrio, saggezza ed
ottimismo. In un’atmosfera solenne per il luogo, ma calda ed
affettuosa per la presenza di parenti, amici e rappresentanti di
associazioni che da anni la considerano un importante punto di
riferimento, Alberta ha ringraziato e con poche ed incisive parole,
come sempre, ha affascinato l’auditorio .
Miriam Rebhun |
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Il coraggio di un poeta che portò alla luce il massacro di Babi Yar
Nel
1941, kippur fu celebrato il 29 settembre. In molti luoghi, si era nel
pieno della guerra. Kiev era sotto l’occupazione tedesca. Proprio nei
dintorni, a Babi Yar, nei pressi del vecchio cimitero ebraico, gli
Einsatzkommando 4, agli ordini del colonnello delle SS Paul Blobel,
massacrarono a colpi di mitragliatrice con la collaborazione della
polizia ucraina gli abitanti ebrei. Il massacro andò avanti fino al 3
ottobre. Si calcola che oltre 100.000 corpi caddero gli uni sugli altri
nel burrone. Alcune vittime respiravano ancora e fu loro dato il colpo
di grazia. Per lungo tempo il massacro di Babi Yar venne tenuto nell’oblio anche dalle autorità sovietiche, ma qualcosa comunque trapelò. Venti
anni dopo, nel settembre 1961, il giovane poeta russo Evgenij
Evtushenko, sconvolto dalla scoperta del tutto fortuita del massacro
degli ebrei di Kiev, scrisse «Babi Yar», una poesia pubblicata sulla
Literaturnaia Gazeta. Ha scritto in proposito Marek Halter: “Il Partito
Comunista condannò immediatamente il poeta e il giornale. Ma era troppo
tardi: i corpi delle vittime massacrate a Babi Yar già tornavano a
galla e fluttuavano alla luce del sole e sotto gli occhi di tutti, di
tutto il mondo, sul Dniepr, il fiume che attraversa Kiev, e sotto le
finestre del Cremino, sulle acque della Moscova”. La poesia di
Evtuschenko contribuì ad alimentare la contestazione della storia
ufficiale e il regime sovietico reagì con violenza: le opere di
Evtuschenko furono messe all´indice. Ciò nonostante, la poesia «Babi
Yar» di Evtushenko fu tradotta in tutte le lingue, pubblicata dalla
stampa di tutto il mondo e ispirò a Dimitry Shostakovitch la sua
celebre tredicesima sinfonia. E dovunque – ancora oggi – risuona il
grido del poeta:
«Mi sembra d´essere io un figlio di Israele... Mi sembra di essere io Dreyfus. Mi sembra di essere io un bimbo di Bialystok. Mi sembra di essere io Anna Frank».
Valerio Di Porto, Consigliere dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane
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Riemergendo
dall'introspezione di Yom Kippur ci troviamo purtroppo nello stesso
mondo dell'altro ieri, con le stesse minacce allarmanti. Innanzitutto
quella iraniana, che si sviluppa esibendo in parallelo la sua forza
militare e il suo negazionismo e odio per Israele, anche se continua a
essere contestato da coraggiosi militanti per la democrazia (Vannuccini
su Repubblica).
Dopodomani ci dovrebbe essere l'incontro "decisivo" fra il gruppo dei
cinque membri permanenti del Consiglio di Sicurezza dell'Onu e i
rappresentanti del regime iraniano per verificare se Teheran sia pronto
a rinunciare al proprio programma atomico, o passare alla fase delle
sanzioni. Ma negli ultimi giorni Ahmadinejad ha reiterato i suoi
discorsi negazionisti e antisraeliani e ha ammesso l'esistenza di un
secondo sito segreto di arricchimento dell'uranio, già scoperto
dai servizi occidentali. Ieri poi, in concomitanza con il Kippur, gli
iraniani hanno testato dei missili capaci di raggiungere Israele (e
anche il territorio dell'Europa orientale e meridionale). Le reazioni
sono state miste. Obama ha condannato la manovra, e così quasi tutti
gli altri paesi. Ma la Russia ha ammonito a non "lasciarsi prendere
dall'emozione", la Cina ha respinto l'ipotesi di sanzioni e anche la
Francia ha escluso che queste sanzioni possano essere davvero incisive,
per esempio comprendere la benzina. (Sarebbe un passo importante perché
l'Iran è sì un paese petrolifero ma non ha capacità di raffinare
il petrolio sufficienti per il suo mercato interno). Le cronache dei
giornali italiani sono abbastanza ripetitive: si possono leggere
Vincenzo Nigro su Repubblica e Federico Rampini ancora su Repubblica e Francesco Semprini sulla Stampa).
Ma il problema non è questo singolo episodio, non vi sono novità
tecniche nella manovre di ieri, ha ragione il generale Fabio Mini
intervistato da Pierre Chiartano su Liberal
a sottolinearlo. Bisogna piuttosto vedere il quadro complessivo. E
allora è consigliabile riprendere l'analisi di Emanuele Ottolenghi
pubblicata dal Riformista di domenica e sempre domenica Fiamma Nirenstein sul Giornale e Angelo Pezzana su Libero. Interessante anche l'editoriale non firmato sul Foglio di oggi e un'intervista al ministro israeliano Yuval Steinitz sull'Unità di oggi. Sono immagini convergenti e molto preoccupanti, insieme all'editoriale non firmato sul Jerusalem Post di oggi. Sempre domenica è uscito sul Manifesto
un incredibile articolo di Tommaso di Francesco, che dipinge un'Israele
aggressiva impaziente di fare la guerra al pacifico Iran . E' l'esempio
più lampante degli ultimi tempi dello scivolo che porta l'ideologia
terzomondista verso l'odio per Israele e in definitiva una forma di
camuffato antisemitismo, (senza naturalmente minimamente tener conto
della sua repressione interna in Iran, di cui parla ancora oggi Vanna
Vannuccini su Repubblica) Il problema serio è se la comunità
internazionale guidata da Obama ha davvero la forza e l'intenzione di
fronteggiare la minaccia iraniana, o se si prepara a fare i conti con
un Iran nucleare, come sembra proporre Lucio Caracciolo nell'intervista
di Liberal che abbiamo già citato. E qui naturalmente il gioco si
intreccia con la questione palestinese, perché l'amministrazione
americana aveva legato l'atteggiamento con l'Iran alle concessioni
israeliane sul West Bank. Questo legame, assurdo perché l'Iran
costituisce una minaccia non solo per Israele, ma anche per gli
interessi europei e americani, sembra svilupparsi in maniera meno
ostile e ricattatoria, grazie al "capolavoro" della gestione che
Netanyahu ha saputo fare dei rapporti con un Obama inizialmente molto
ostile a Israele e oggi forse indotto a un maggiore realismo (Shavit
Uhra sul Jerusalem Post).
Vi è comunque un orologio che procede verso una guerra possibile, se le
sanzioni non funzioneranno o non saranno adottate. Qualche scenario
militare interessante si può leggere, nonostante la titolazione
grottesca adottata dalla redazione della Stampa in un servizio di Aldo Baquis. Nella
questione, oltre al ruolo sempre ambiguo e miope degli europei, brilla
il silenzio dell'Onu, che è sempre pronto a fare inchieste per
documentare gli "eccessi" dell'autodifesa israeliana (si veda a questo
proposito l'articolo di Ron Prosor sul Times), ma non pare interessato
a farsi carico delle minacce che lo insidiano (Issacharoff sul Jerusalem Post). Sempre a proposito di stampa israeliana, un articolo che va letto con attenzione è quello di Yair Sheleg su Haaretz,
che fa giustizia della ridicola idea, che circola insistentemente per
gli ambienti accademici e politici "progressisti" per cui vi sarebbe
una "narrativa" sionista e una araba sulla fondazione di Israele e i
principali altri problemi in corso nel Medio Oriente. Giustamente
Sheleg ammonisce a prorsi problemi fattuali e non "narrativi": chi ha
iniziato la guerra del '48? Chi minaccia chi? Oggi, chi vuole la
distruzione dell'altro? E' Israele che dice di voler eliminare l'Iran
dalla carta geografica o viceversa? Passando a questioni culturali, Il Foglio
dedica una pagina al nuovo importante libro di Giulio Meotti sulle
vittime israeliane ed ebraiche dopo la Shoà, opera del terrorismo
palestinese e dintorni ("Non cesseremo mai di danzare"). Ne parlano Bat
Yeor, la storica ebrea che per prima ha definito il pericolo di
"Eurabia" (sul Foglio), lo scrittore Alessandro Shwed (ancora sul Foglio) e il prefatore del libro Roger Scruton. Un rigurgito di antisemitismo emerge nel teatro tedesco, come documenta un articolo firmato M. Per. sul Corriere)
con la riproposizione di un testo di Fassbinder che ha al centro una
figura stereotipica di ebrei affarista e succhiatore di sangue – cosa
per nulla sorprendente per questo autore grossolano e volgare,
ingiustamente sopravvalutato dopo la morte. Forse non antisemita ma
certamente antisraeliano e violentemente antisionista è invece "Ritorno
a Haifa", un testo di un terrorista palestinese ucciso nel 1972 durante
gli scontri di Beirut, in scena al teatro india di Roma e recensito con
entusiasmo da Franco Cordelli sul Corriere.
Ugo Volli |
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notizieflash |
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Iran, il capo di stato maggiore: “Israele è un tigre di carta” Frattini: “Un attacco sarebbe catastrofico" Teheran 28 set - "Israele
è una tigre di carta e quando dicono che Israele si appresta ad
attaccare l'Iran è un bluff", questa l’ultima dichiarazione del capo di
stato maggiore delle forze armate iraniane, il generale Hassan
Firuzabadi, su Israele e su un suo possibile attacco all’Iran. Intanto
dall’Italia il ministro degli Esteri Frattini sullo stesso argomento
avverte: “Se Israele attaccasse Iran sarebbe una catastrofe per il
mondo intero, innanzitutto per lo Stato israeliano. Purtroppo l'Iran ha
detto già con chiarezza che non si limiterebbe ad una replica contro
Israele ma vi sarebbe un effetto domino che coinvolgerebbe l'intero
Medio Oriente allargato". Il titolare della Farnesina dà ancora chance
al negoziato sul dossier nucleare, ma ha sottolineato che "prima di
Natale dovremmo fare il punto ed essere chiari. Se l'Iran vuole
prendere in giro la comunità internazionale, vuole fare della tattica,
non possiamo consentirlo", ha concluso.
Benvenuto Beniamin
Roma, 29 sett - Beniamin,
questo il nome del nuovo nato. Lo hanno comunicato oggi, nel momento
della Milà, la mamma Debora Coen, insegnante nella Scuola
elementare della Comunità Ebraica di Roma e il papà Odoardo
Sadun, che è un nostro caro collega. Ai genitori e ai famigliari, in
particolare al nonno Raffaele, Coen al Tempio Maggiore di Roma, i
nostri migliori auguri. Mazal Tov! |
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L'Unione
delle Comunità Ebraiche Italiane sviluppa mezzi di comunicazione che
incoraggiano la conoscenza e il confronto delle realtà ebraiche. Gli
articoli e i commenti pubblicati, a meno che non sia espressamente
indicato il contrario, non possono essere intesi come una presa di
posizione ufficiale, ma solo come la autonoma espressione delle persone
che li firmano e che si sono rese gratuitamente disponibili. Gli
utenti che fossero interessati a partecipare alla sperimentazione
offrendo un proprio contributo, possono rivolgersi all'indirizzo desk@ucei.it per concordare le modalità di intervento.
Il servizio Notizieflash è realizzato dall'Unione delle Comunità
Ebraiche Italiane in collaborazione con la Comunità Ebraica di Trieste,
in redazione Daniela Gross. Avete
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ulteriori comunicazioni o se volete comunicare un nuovo indirizzo
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