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L'Unione informa
 
    27 ottobre 2009 - 9 Cheshwan 5770  
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Moked - il portale dell´ebraismo italiano
alef/tav    
  roberto della rocca Roberto
Della Rocca,

rabbino 
Il capitolo 12 della Genesi che leggeremo Shabat prossimo si apre con il comando di D-o ad Abramo "lech lechà","vattene via", che potrebbe però anche significare "va verso te stesso", ossia, alla ricerca di te stesso. Questo processo di individuazione, tuttavia, esige una forma di distacco dal passato, dai preconcetti ereditati, dalle norme sociali e culturali non elaborate consapevolmente. Per questo motivo la gradualità con cui la Torah inidica le situazioni da cui Abramo deve staccarsi "dalla tua terra, dal luogo dove sei nato e dalla casa di tuo padre..."  non sono in consequenzialità logistica  ma di altro tipo.  "Vattene dentro te stesso", ascolta la voce che ti viene da dentro e non  sempre quella che ti proviene dall’esterno; soltanto attraverso questo processo Avràm, Abramo, diventa Avraham "padre di numerose genti" (Genesi,17;5), un vero universalista.
La curiosità è un appetito capace di essere soddisfatto. La ricerca una fame insaziabile. Vittorio Dan Segre, pensionato vittorio dan segre  
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  Molinari LibroQui Torino - Uno sguardo sull'America di Obama
nel nuovo libro di Maurizio Molinari 


“Vedremo se sarà un Lincoln su scala internazionale o solo un altro Jimmy Carter”. Con una battuta Maurizio Molinari, corrispondente della “Stampa” negli Stati Uniti dal 2001, riassume in modo ironico ma molto significativo il progetto Obama. L’occasione è la presentazione del suo nuovo libro, “Il Paese di Obama - come è cambiata l’America -”(Editori Laterza) presso la Fondazione Camis De Fonseca di Torino. Nella affollata sala oltre a Molinari e ad Angelo Pezzana in veste di moderatore,  tre ospiti illustri, il direttore della “Stampa” Mario Calabresi, il giornalista e scrittore Vittorio Dan Segre e l’avvocato Franzo Grande Stevens, ha raccontato al folto pubblico presente quello che l’autore definisce il “Grande laboratorio America”, l’importante ma rischiosa scommessa del presidente Obama di portare un cambiamento, di dare un volto nuovo alla politica americana e internazionale. Non è ancora possibile sapere se questa scelta sarà premiata o fallirà, ma attraverso il libro di Molinari si può comprendere perché gli americani abbiano deciso di affidarsi al “candidato con il curriculum più sbagliato possibile”, come ricorda Calabresi, perché abbiano deciso di interrompere duecentotrentadue anni di storia per eleggere il primo presidente nero della loro storia.
Dan Segre un risultato alla politica di Obama già lo riconosce “ha fatto un grande dono al mondo ebraico: ha dato uno schiaffo importante al viscido e maligno antisemitismo moderno che accusa gli ebrei di aver ordito la guerra in Iraq o di essere la causa della grande crisi finanziaria”, come? Intimando ad Israele di cessare la costruzione degli insediamenti a Gerusalemme. Con questo atto Obama ha dimostrato al mondo “che il cane americano non è mosso dalla coda ebraica” sostiene Segre. Dello stesso parere Molinari “criticando Israele, il presidente smitizza l’antisemitismo” e a chi gli fa notare che nel mondo ebraico Obama sembrerebbe non godere di molta fiducia, il giornalista della “Stampa” ricorda che il 78% degli ebrei americani ha votato il candidato democratico.  Addirittura il giurista Abner Mikva  sostiene che “Obama sarà ricordato come il primo presidente ebreo degli Stati Uniti”; il perché lo spiega bene Molinari nel suo libro “Barack rappresenta l’inclusione delle minoranze e l’integrazione delle diversità, ovvero il motivo per cui questi gruppi tendono a identificarsi con i i valori degli Stati Uniti”.
Fra i punti caldi inevitabilmente troviamo la politica internazionale di Obama, con i suoi tentativi di creare alleanze e ottenere consensi anche fra gli avversari storici degli USA, da Cuba alla Cina, dalla Russia all’Iran. Molto lucida l’analisi del professor Dan Segre “il tendere la mano storicamente, in particolare nel Medioevo, era un modo per evitare che l’altro sfoderasse la spada. Obama cerca di fare questo, trovare un’intesa con il nemico in modo da bloccarne eventuali iniziative ostili”. Il problema si pone in particolar modo con l’Islam e si domanda il professore “bisogna chiedersi come l’altro concepisce la mano tesa, se veramente vi sia una condivisione di valori. Ecco, per l’islam credo esista un forte rischio di misunderstanding, un grande pericolo di fraintendimenti da cui sarà difficile uscire”.
Obama, dunque, fa una scommessa che Molinari definisce “ da far tremare i polsi”, cerca di presentare un nuovo tipo di leadership, di attuare una politica inclusiva che si risolverà o in un grande successo (Lincoln) o in una disastrosa sconfitta (Carter).

Daniel Reichel



Qui Roma – L'esilio degli ebrei d'Iran dalla voce di Dalia Sofer
al Festival della Letteratura Ebraica


logo festivalLa terza giornata di incontri del Festival affronta il tema della Memoria e della Shoah, quella della Shoah. Il primo degli eventi in programma è dedicato agli studenti delle scuole romane, che partecipano con grande coinvolgimento (quasi cinquecento i ragazzi presenti). Alla presenza di Giulia Rodano, assessore alle politiche culturali della Regione Lazio, e Rav Benedetto Carucci Viterbi, direttore Scuole Ebraiche di Roma, Alberto Sed, uno dei pochi italiani sopravvissuti ad Auschwitz, racconta la sua incredibile e toccante storia, che ha come effetto quello di commuovere la platea. Una copia del libro “Sono stato un numero, Alberto Sed racconta”, scritto da Roberto Riccardi ed edito da La Giuntina, viene regalata a tutti i presenti a suggello di questa intensa giornata, nella quale si ricordano anche le figure di quattro Giusti tra le Nazioni romani, persone che misero a repentaglio la propria vita pur di salvare degli ebrei dalla furia nazista.
Altro momento estremamente suggestivo della giornata di ieri, la piece teatrale “Lo zio Arturo”, scritta dal’israeliano Daniel Horowitz e messa in scena dal bravissimo Mauro Marino. “Lo zio Arturo” è un monologo estremamente efficace, che affronta il tema del muro dell’incomunicabilità che spesso rappresenta un ostacolo insormontabile da superare per chi cerca di parlare di Auschwitz e dei campi di sterminio a chi in quei luoghi non c’è mai stato. Un compito, quello di trasmettere il significato della Shoah, che dovrà basarsi sempre più su questo genere di rappresentazioni, considerato che, prima o poi, si dovrà necessariamente fare i conti con la scomparsa degli ultimi testimoni. Di questa forma di comunicazione Marino è un interprete straordinario e cinque minuti di applausi ininterrotti stanno a dimostrarlo.
Si è parlato tanto di Shoah, come detto, ma grande spazio è stato dedicato anche alle vicende iraniane. Ad affrontare questa delicatissima tematica la scrittrice Dalia Sofer, che si inserisce a pieno titolo nel fertile filone di letterati iraniani tanto amati dai lettori occidentali. Ma Dalia Sofer intervistata dalla giornalista Susanna Nirenstein, ha una caratteristica che la rende ancora più “interessante” dei suoi colleghi, il fatto di essere ebrea. Così, l’incontro di ieri, diventa una proficua occasione per parlare del suo libro  “La città delle rose” (che il New York Times ha classificato tra i cento libri più significativi del 2007).
Un romanzo autobiografico (anche se i personaggi del libro sono inventati), che parla della difficile situazione di una famiglia ebraica iraniana negli anni della sanguinosa rivoluzione khomeinista.

Adam Smulevich

 
 
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  Qui Torino – Marco Levi e le sue ceramiche:
la preziosa eredità dell'ebraismo monregalese
 

ceramichePrimo passo istituzionale verso l'inaugurazione del museo della ceramica “Vecchia Mondovì” . Un pubblico sorprendentemente folto è convogliato nelle sale barocche dell'Archivio di Stato per assistere alla presentazione dei primi due volumi di una collana di studi dedicata alla produzione di ceramica nella provincia cuneese. Attraverso le parole del nipote Guido Neppi Modona, noto giudice della Corte Costituzionale, e di quelle degli altri relatori intervenuti, è stata ricordata la figura di Marco Levi. Ultimo baluardo dell'ebraismo monregalese, uno dei più antichi e radicati in Piemonte, Marco Levi, deceduto nel 2001, è stato un grande mecenate, strettamente legato alla cultura del suo territorio.

Marco LeviProprietario della Fabbrica Besio, storica produttrice di ceramiche delle valli cuneesi, “Marco Levi è stato l'anima e la mente – nelle parole di Spantigati, rappresentante della Regione Piemonte, che ha dato il suo patrocinio all'iniziativa – di 'Vecchia Mondovì'”. Nel 1999 ha infatti deciso di dare vita alla Fondazione Museo della Ceramica con l'idea, caratteristica di tutta la sua lunga attività, che la conservazione di un bene culturale abbia senso solo quando sia finalizzata a metterlo a disposizione di tutti, che la conoscenza vada condivisa. “È con questo intento che Levi ha forgiato l'immagine di una provincia non provincialistica” – continua l'assessore, non chiusa in sé stessa ma rivolta, con la cultura specifica del suo territorio, a tutti.
È dunque grazie ai suoi sforzi se si potrà, nel giro di pochi mesi, inaugurare “Vecchia Mondovì” nello splendido palazzo settecentesco Fauzone di Germagnano di Mondovì Piazza.
Nel frattempo il lavoro della Fondazione ha reso possibili le borse di studio per le ricerche di due giovani autori da cui nascono i volumi presentati oggi, editi da Allemandi: “La ceramica a Mondovì nell'800. Piemonte, Italia, Europa” di Cristiana Fissore, e “Le origini del distretto monregalese della ceramica: 1805-1833” di Cesare Morandini. 

Manuel Disegni
 
 
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Continua il balletto intorno al nucleare iraniano. Ormai il tira e molla diplomatico va avanti da anni, causato dalla tattica di bazar degli ayatollah e dall'incertezza americana, che era già della seconda amministrazione Bush e si è accentuata con un Obama "indeciso a tutto", anche a mandare i rinforzi in Afganistan che gli ha chiesto come indispensabili e urgenti il comandante da lui nominato (la risposta di ieri è più o meno "ci sto pensando, non voglio essere frettoloso", ma di questo la rassegna non parla). Le notizie della giornata sono due. Da un lato molti giornali danno rilievo alla pressione sulla trattativa impressa dal ministro degli esteri francesi Kouchner, che va dicendo che bisogna concludere in fretta l'accordo per spostare all'estero l'uranio arricchito e dare in cambio all'Iran il carburante finito per le centrali atomiche "se no Israele è pronto ad attaccare" (Il Foglio, Virginia Lori sull'Unità, Francesca Bertoldi sull'Avvenire). Non che il ruolo di castigamatti sia simpatico, ma almeno qualcuno si rende conto, grazie a Israele o col pretesto di Israele, che l'orologio della storia sta andando avanti e che le possibilità di fermare un islamismo armato di bombe atomiche sono agli sgoccioli.
La seconda notizia è la visita del primo ministro turco Erdogan a Teheran, preceduta e spiegata da un'intervista al giornale inglese Guardian, su cui riferiscono fra gli altri Vittorio Da Rold sul Sole e Antonio Ferrari sul Corriere. Erdogan le ha sparate grosse, ha affermato che Lieberman voleva tirare una bomba atomica su Gaza (evidentemente ignora la geografia, un'atomica su Gaza colpirebbe anche Israele; ma ignora anche la storia, Israele ha combattuto diverse guerre vere senza non solo usare, ma anche solo minacciare l'uso di un armamento nucleare che non ha mai ammesso di avere, figuriamoci se ha bisogno di farlo su Gaza, dove non c'era una resistenza militare vera, ma solo una guerriglia urbana; e ignora anche la politica, perché quando si è svolta l'opposizione Piombo fuso Lieberman era all'opposizione e comunque non ha mai dichiarato nulla del genere). Ha detto poi che Ahmadinedjad è un amico, che il nucleare iraniano è "gossip", cioè puro pettegolezzo senza sostanza che la riluttanza dell'Unione Europea di ammettere un paese poco democratico come la Turchia è un autogol e altre cose del genere. E' chiaro che nonostante tutto il wishful thinking degli ottimisti, la Turchia non appartiene più al campo occidentale, ma si è schierata dalla parte dell'islamismo; c'è solo da sperare ormai in un cambio di regime e da vigilare perché nel frattempo non sia ammessa nell'Unione Europea. Va registrato che in coincidenza con la visita di Erdogan, a Istanbul si è svolta una manifestazione antisraeliana, con il solito rogo della bandiera con la stella di Davide (Il Sole).
Per quanto riguarda i rapporti fra Israele e Palestina, le notizie e le analisi sono un pò confuse. Per Repubblica, "deluso dalla politica americana, Abu Mazen minaccia le dimissioni" o meglio di non ripresentarsi alle elezioni che egli stesso ha convocato; per L'osservatore romano queste elezioni sarebbero "un assegno in bianco per Israele", consacrando l'incapacità palestinese di ricostituire una rappresentanza politica unitaria. L'articolo di Possati sull'organo vaticano, normalmente piuttosto cauto e sotto l'attuale direzione non pregiudizialmente ostile a Israele, va notato per il suo aperto sostegno ai terroristi di hamas, non solo contro Israele ma anche contro Abu Mazen. Vi si legge per esempio che "una soluzione al problema palestinese è impossibile escludendo Hamas", il quale "non è una banda di criminali ma una parte importante della società palestinese: attaccare e isolare il movimento non ha e non ha avuto altro effetto che quello di renderlo più popolare." C'è da chiedersi se questa presa di posizione indichi un cambiamento della politica del Vaticano a favore di un gruppo che il papa non aveva voluto incontrare e che del resto si è distinto nella persecuzione dei cristiani palestinesi.
Ancora sul Vaticano, vale la pena di segnalare che sono iniziati i colloqui con i lefebvriani per la completa riconciliazione (Libero, Repubblica), in coincidenza temporale involontaria con la condanna che la Germania ha comminato al vescovo lefebvriano Williamsons per negazionismo: ancora una gaffe in questa penosa vicenda.
Per completare il notiziario internazionale, bisogna segnalare che è iniziata a Washinghton la conferenza di "J Street", la nuova lobby ebraica dell'ultrasinistra che rompendo la rappresentanza americana dell'AIPAC si propone di convincere Obama e il congresso a "indurire" (la parola che usano è "tough") il rapporto con Israele. Si proclamano "pro Israel, pro peace", ma la prima parte del loro slogan è molto teorica. Per capire l'ipocrisia e il paternalismo di questo finto "pro Israel", leggete le parole di Isaac Luna, direttore generale dell'organizzazione, riportate da Tramballi (Il Sole): "Mettere altri trenta F-16 nelle mani di Israele non l'aiuterà a vincere la lotta per la legittimità contro quella gente che vuole negargli il diritto di essere uno Stato» Si dà il caso che Israele stia cercando di concludere un accordo per modernizzare la sua aviazione acquistando i nuovi F16 americani e che dunque sotto le belle parole sulla legittimità, la posizione di J Strett è di negarglieli e dunque di rendere difficile l'autodifesa israeliana. Nessuna meraviglia che vi siano rappresentanti del concilio islamico americano fra i suoi finanziatori e fra gli oratori della convention; e ancor meno che l'ambasciatore israeliano negli Stati Uniti Oren abbia rifiutato di parteciparvi, ammonendo che la politica di J Street è dannosa per Israele.
Per quanto riguarda l'Italia, i giornali romani raccontano anche oggi le tappe del viaggio degli studenti della capitale ad Auschwitz, con la partecipazione del sindaco Alemanno (Corriere e Messaggero nelle pagine romane) e danno notizia della cena di Gala del Keren Kayemet (per esempio Il Tempo).

Ugo Volli

 
 
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MO: Hamas, Fatah e islamici dietro gli scontri a Gerusalemme   Gerusalemme, 27 ott -
Il quotidiano israeliano Yediot Ahronot sostiene che i disordini, che domenica si sono verificati a Gerusalemme, sono stati coordinati a tavolino da un "comando unificato" palestinese che comprende al-Fatah, Hamas ed esponenti del Movimento islamico in Israele (frazione settentrionale).Le tre organizzazioni avrebbero istituito a Gerusalemme est una 'sala operativa' comune. A queste attività, spiega il giornale, sono dovuti gli arresti di Hatem Abdel Kader (un ex ministro dell'Anp, noto esponente di al-Fatah a Gerusalemme est) e di un dirigente del Movimento islamico in Israele. Fonti della sicurezza israeliana hanno detto a Yediot Ahronot che negli ultimi mesi si nota una radicalizzazione nei quadri politici di al-Fatah, alcuni dei quali sono tornati ad esprimersi a favore della lotta armata contro Israele.
 
 
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