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L'Unione informa |
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3 novembre 2009 16 Chishwan 5770 |
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alef/tav |
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Roberto, Della Rocca, rabbino |
Sabato prossimo leggeremo nella Torà un passo noto la aqedàt Itzchak,
tradotto erroneamente come il sacrificio di Isacco. Il Rebbe di Kotzk
ci insegna che il vero sacrificio è cominciato soltanto quando Abramo e
Isacco hanno disceso la montagna. La salita è stata indubbiamente
difficile, ma padre e figlio sono psicologicamente pronti al sacrificio
e con un terribile paradosso linguistico la Torà ci dice che sono
insieme e uniti nello stesso intento. Nonostante tutto in questa storia
ci viene offerta una dimensione ancora più straordinaria che è la
discesa della montagna che inizia nel momento in cui Dio rifiuta il
loro sacrificio. E' attraverso questa discesa che, secondo
il Rebbe di Kotzk, Abramo e Isacco devono imparare che Dio vuole
la vita e non la morte trasmettendoci che è più difficile vivere che
morire. |
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Il "caso" si presenta solo alla mente preparata ad accoglierlo. |
VIttorio Dan Segre, pensionato |
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Vent'anni dalle Intese - Il convegno
Un
convegno di studi dedicato ai primi vent'anni dell'Intesa ebraica si
svolgerà, lunedì 9 novembre alle 9.30, nell’aula magna della facoltà di
Giurisprudenza dell'Università di Studi Roma Tre, in via Ostiense 161.
Dopo il saluto del professore Paolo Benvenuti, preside della facoltà di Giurisprudenza,
interverranno: il professore Paolo Cardia, il presidente dell’Unione
delle Comunità Ebraiche Italiane Renzo Gattegna, il professor Giorgio
Sacerdoti, il professore Carlo Cardia, il professore Valerio Di Porto,
consigliere dell'Ucei. A chiudere gli interventi sarà il professore
Francesco Margiotta Broglio. Seguirà una tavola rotonda dal titolo Libertà religiosa e laicità dello stato: essere ebrei oggi,
interverranno: il professore Cesare Mirabelli, il rav Riccardo Di Segni
(rabbino capo di Roma), il dottor Arrigo Levi, la professoressa Angela
Maria Nicolò Punzi e l’avvocato Dario Tedeschi.
Vent'anni dalle Intese - Giorgio Sacerdoti: "Una conquista importante per gli ebrei italiani"
Sono
trascorsi vent'anni da quando il Parlamento ha approvato le Intese del
1987 fra Stato e Unione delle Comunità Ebraiche Italiane. Per fare un
bilancio su questo ventennale, la fondazione Cdec e l’Università di Roma
Tre hanno organizzato per il 9 novembre un convegno di studi, abbiamo
chiesto al professor Giorgio Sacerdoti, giurista e presidente del
Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea, alcune valutazioni sul valore di questi accordi Qual è la sua valutazione in merito agli effetti di quell’accordo? Molto
positiva. Le Intese, infatti, hanno permesso agli ebrei italiani di
affrancarsi da una normativa piuttosto limitativa, che non garantiva il
rispetto di alcuni diritti fondamentali, come quello di poter scegliere
di non lavorare il sabato e negli altri giorni festivi. Hanno fatto sì,
inoltre, che venisse meno la diversità di tutela penale delle
religioni, nello spirito di piena uguaglianza che animò questo storico
accordo. C’è inoltre un altro aspetto fondamentale da considerare, ed è
quello culturale. Il mondo ebraico italiano, da quel momento, ha avuto
un impulso sempre maggiore a proiettarsi verso l’esterno, con risultati
molto positivi. Penso, ad esempio, al grande successo ottenuto ogni
anno da eventi come la Giornata della Cultura o la Giornata della
Memoria, prova ulteriore del crescente interesse nei nostri confronti.
Va detto che non era per niente scontato che le cose sarebbero andate a
questo modo. Negli anni Cinquanta, infatti, l’ebraismo italiano era
diventato una “riserva indiana” e la curiosità che lo circondava era
molto flebile e modesta. Lei era
uno dei membri della commissione dell’Unione incaricati di
trattare con la commissione governativa per la stipulazione delle
Intese. Che ricordo ha di quei giorni? Sono stati tre anni
(dal 1984 al 1987) di dure battaglie e di grandissimo impegno. La
commissione statale, infatti, aveva un atteggiamento ambivalente nei
nostri confronti. Da un lato era aperta al dialogo, dall’altra non era
in grado di percepire la nostra specificità. Ad alcuni pareva assurdo,
per esempio, che chiedessimo l’esonero dal lavoro nei giorni festivi
ebraici. “Perché un ebreo non dovrebbe lavorare di sabato come un
qualsiasi altro cittadino?”, era questa una delle domande che ci
venivano poste più di frequente. Sembrava che stessimo chiedendo dei
privilegi rispetto al resto della popolazione invece che il puro e
semplice riconoscimento dei nostri diritti. Correvamo pertanto il
rischio che il senso delle nostre richieste venisse clamorosamente
equivocato. Non è stato facile far valere le nostre ragioni, come si
può facilmente immaginare. Avevamo inoltre un altro fronte “caldo”
sul quale trattare, ed era quello interno. Oltre alla parziale
opposizione della commissione statale, infatti, abbiamo dovuto fare i
conti una certa resistenza delle comunità ebraiche più piccole che,
abituate al sistema vigente, non volevano essere trasformate da enti
pubblici in enti “privatizzati”. Questa trasformazione, infatti, ha
richiesto una maggiore attenzione nel fare quadrare i conti e nel
reperire risorse, cosa non sempre molto facile per chi può contare su
pochi iscritti. Anche i musulmani
chiedono il riconoscimento di maggiori diritti. Le Intese ebraiche
possono essere un modello di riferimento anche per loro? È
un argomento molto delicato e attuale. Penso che il testo delle Intese
con le comunità ebraiche possa fungere da modello a un futuro accordo
tra Stato e comunità musulmane, ma solo parzialmente. C’è, infatti, una
rilevante differenza tra la minoranza ebraica e quella islamica,
quantomeno in Italia. Noi siamo una comunità integrata e presente su
questo territorio da secoli. Loro, invece, sono prevalentemente
immigrati di ultima generazione, senza un’organizzazione interna che
possa essere considerata un interlocutore stabile e rappresentativo del
vasto mondo islamico italiano. Senza dimenticare il sospetto, piuttosto
fondato, che sotto la parvenza ufficiale di attività religiose si
celino intenzioni molto meno pacifiche da parte di alcuni imam (e
relativi seguaci) nostrani. Credo perciò che, fino a quando questi
sospetti non verranno meno, un accordo con il governo italiano non sarà
possibile.
Adam Smulevich
C'era amore nel ghetto, Marek Edelman lo racconta
Non
è certo un esercizio di compiaciuta retorica, né di ritualismo
stilistico, affermare che con la morte di Marek Edelman, testimone a
pieno titolo del Novecento, venuto a mancare a Varsavia il 2 ottobre
2009, si sia chiusa definitivamente un’epoca storica e culturale. Si
tratta di quel transito che ha caratterizzato una robusta parte dei
paesi dell’Europa centro-orientale negli anni degli sfaldamenti dei
grandi imperi e della formazione del consesso degli stati nazionali,
così come delle politiche dei confini e delle nazionalità che ne
derivarono, accompagnandosi fino agli anni cinquanta del secolo
trascorso. Edelman, di quell’epoca e di ciò che ne derivò dopo,
soprattutto per quella che veniva allora chiamata la «questione
ebraica», era peraltro divenuto il «custode della memoria», essendo
questo l’unico ruolo che aveva voluto ritagliarsi, in modo tale da non
viverlo come troppo opprimente. Il resto non lo interessava e non
mandava di certo a dirlo, essendo tutto fuorché un uomo pieno di quella
diplomazia che fa rima con ipocrisia. Noi, pur riconoscendogli
tale funzione, ci piace pensarlo anche come il prototipo del testimone,
poiché di molte delle cose di cui parliamo oggi lui era stato diretto
partecipe o ne aveva raccolta la storia dalla viva voce degli
interessati. Così, allora, per la storia del Bund polacco, il partito
socialista degli ebrei dell’Europa orientale, del quale fu uno dei
giovani animatori, ma anche e soprattutto per le vicende del ghetto di
Varsavia, tra il 1940 e il 1943, così come della disperata lotta dei
giovani che si opposero ai nazisti e poi, a proseguire, degli anni
della «democrazia popolare» polacca, quando il paese fu ghermito dalla
presa sovietica, fino alla nascita e allo sviluppo di Solidarność. Di
lui ci rimane il ritratto, impresso nella mente di coloro che l’avevano
conosciuto, di un uomo aspro e duro, prima di tutto con se stesso. Non
una roccia né tanto meno un orco bensì un individuo che portava i segni
della storia impressi sul voto e che affidava alle molte sigarette il
suggello del trascorrere del tempo. Marek Edelman era nato in quelle
terre, tra Polonia e Russia, che hanno ospitato l’«Yiddishland», teatro
dei drammi così come del lievitare delle speranze di quegli «Ostjuden»,
gli ebrei dell’Est, che hanno costituito uno degli anelli più forti
della «Golà», la diaspora. Nelle traiettorie di milioni di donne e
uomini, trascinati dalla violenza dei processi di modernizzazione, a
cavallo tra Ottocento e Novecento, è nato l’ebraismo così come lo
conosciamo noi. La cultura yiddish ne è stata a lungo il bacino
di coltura, raccogliendo e organizzando le molteplici pulsioni verso
una emancipazione impedita e nei confronti di un desiderio di
eguaglianza frustrato quotidianamente da condizioni di vita per i più
abiette. Con quest’ultimo libro, «C’era l’amore nel ghetto», che esce
ora in lingua italiana, sia pure postumo, per la cura di Wlodek
Goldkorn, Ludmilla Ryba e Adriano Sofri, Edelman, del quale Paula
Sawicka ha raccolto le conversazioni, organizzandole in un testo
coerente, ci racconta di quale pasta fosse fatta «una nazione di tre
milioni di individui», che in Polonia, a cavallo tra le due guerre
mondiali, ebbe la possibilità di godere di una fioritura unica nel suo
genere. Negli anni dell’infanzia e della gioventù di Edelman, nato nel
1919 a Homel, oggi in Bielorussia, l’insediamento ebraico ashenazita,
permeatosi e ibridatosi con l’ambiente urbano, aveva infatti avuto modo
di esprimere alcune tra le sue manifestazioni più significative. È
di quel periodo, pur con tutte le difficoltà che gli ebrei continuavano
a incontrare nel rapporto con i polacchi, e anche dinanzi all’adozione
di una legislazione discriminatoria nei loro confronti, di poco
precedente alla tragica invasione nazista del 1939, la diffusione del
circuito culturale yiddish, che era divenuto parte a pieno titolo della
tradizione nazionale: teatri, cinema, case editrici, giornali ma anche
associazioni sportive e ricreative, sindacati, partiti e così via.
Edelman, che non è uno storico, tanto meno della società ebraica, ne
racconta però la sua traiettoria e, in essa, l’estinzione dal momento
in cui arrivarono i tedeschi e gli ebrei finirono prima nei ghetti e
poi nei campi di sterminio. Se della rivolta, nell’aprile del 1943, del
più importante d’essi, quello di Varsavia, egli fu uno dei capi, in
quanto sopravvissuto, ha cercato poi di preservarne e coltivarne la
memoria. Da ciò, ovvero dal buon uso della memoria, deriva quindi
questo volume che è come una raccolta di quadri di vita quotidiana. La
premura dell’autore è di non costringere in un’unica immagine pur
fondata, quella della sofferenza per via delle persecuzioni, le tante
storie di quella tragica esperienza. Il titolo lo dimostra, laddove
richiama l’amore, inteso come pratica quotidiana, vissuta fisicamente
prima ancora che spiritualmente, nella sua istanza di umanità, poiché
unico antidoto alla barbarie dell’occupante. Ne vengono così fuori una
quindicina di capitoletti nei quali sono contenute le ragioni della
vita di contro a quelle della morte. Era in fondo questo il lavoro di
Marek Edelman, quando si poneva il problema di «arrivare prima del
signore Iddio», come combattente della resistenza ebraica e poi come
medico cardiologo, militante dell’opposizione polacca al regime
comunista.
Claudio Vercelli
Qui Torino - "Il Papa e il Diavolo", il rapporto fra Chiesa e Terzo Teich È un testo scabroso, quello di Hubert Wolf,
lo suggerisce già il titolo: “Il Papa e il Diavolo”. La presentazione è
avvenuta a Torino, nella prestigiosa cornice del Circolo dei lettori a
cui è intervenuto, insieme all'autore, l'ambasciatore israeliano presso
la Santa Sede, Mordechay Lewy. Dopo il saluto dell'assessore alla cultura del comune di Torino, Fiorenzo Alfieri, e due brevi interventi dei presidenti degli enti organizzatori dell'evento, Tullio Levi per la Comunità Ebraica di Torino e Silvia Pons
per l'Amicizia Ebraico-Cristiana, è l'autore stesso a presentare, con
un'esauriente lezione, la sua ricerca. “Oremus et pro perfidis
judaeis”, esordisce Wolf, illustre storico della Chiesa, professore
all'università di Münster, ricordando la discussa formula della
preghiera del venerdì santo. Il tema centrale del suo studio è “il
carattere giudeofobico dell'istituzione ecclesiastica”, e in
particolare il professore insiste nel considerare la complessità della
questione, complessità compresa solo con una minuziosa e distaccata
indagine storica sui documenti dell'Archivio Vaticano recentemente
tornati accessibili. Lo scrittore ribadisce più volte che “l'ossessione
degli storici sulla figura di Pio XII ha impedito di fare chiarezza sui
contrasti interni alla Chiesa, e ha appiattito punti di vista diversi
ed opposti che convivevano e si combattevano negli ambienti
vaticani”.“Ci sono dati storici incontrovertibili – continua Wolf -
come la firma del concordato col Terzo Reich nel 1933, primo trattato
internazionale della Germania nazionalsocialista, e le mancate condanne
del boicottaggio dei negozi di ebrei, delle leggi di Norimberga e della
Notte dei cristalli. Su tutti la mai avvenuta scomunica di Hitler. Ma
questo non deve far dimenticare che anche dentro la Chiesa c'era chi la
pensava diversamente.” Wolf fa riferimento in particolare alla Opus
sacerdotale Amici Israël, un'associazione internazionale nata a Roma
nel febbraio del 1926 per promuovere all'interno della chiesa cattolica
un atteggiamento favorevole agli ebrei. Vi aderirono diciannove
cardinali, duecentosettantotto vescovi e tremila preti, propose una
riforma liturgica per modificare la famosa formula del venerdì santo:
lapidaria la risposta di Pio XI : “nihil innovandum est”. “Il pontefice
non seppe – secondo Wolf - cogliere una grande chance d'inversione per
la politica ambigua tenuta dalla Chiesa nei confronti degli ebrei”. "Si
tratta di un capolavoro della letteratura storiografica sulla Chiesa”,
osserva Mordechay Lewy, a margine della conferenza con chi si
trattiene per scambiare ancora qualche parola. Non risparmia i
complimenti l'ambasciatore. Elogia soprattutto la metodologia, seria e
teutonicamente minuziosa: “è sempre sbagliato, nelle ricerche storiche,
farsi guidare dall'emotività: lo storico è come un chirurgo, deve usare
la stessa precisione” - sostiene con decisione - "Quello di Wolf è
davvero un lavoro che apre gli occhi”, un percorso storico sui luoghi
comuni dell'antisemitismo e dell'approccio della Chiesa a questi
ultimi. Eccellenza, guardando
al presente, come giudica gli sforzi della Chiesa e quelli della
Comunità ebraica per raggiungere l'obiettivo di una pacifica convivenza? “Mi
pare che si vada sempre verso netti miglioramenti: la visita del
Pontefice alla sinagoga di Roma, in programma per gennaio 2010,
dev'essere intesa come un grande passo avanti. Si dovrebbe guardare,
nonostante le episodiche incomprensioni, alla continuità che si sta
cercando di costruire: la visita di Benedetto XVI s'inserisce in una
tradizione inaugurata nel 1986 da papa Wojtyla, e l'auspicio è che che
questa tradizione possa avere, in futuro, un ruolo determinante nei
rapporti tra le due sponde del Tevere. Dobbiamo essere capaci di vivere
vicini anche senza essere d'accordo su tutto: questo è il significato
che do alla parola convivenza.”
Manuel Disegni
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Qui Haifa - I calciatori della Juventus incontrano i ragazzi di Tsad Kadima
I calciatori della Juventus hanno incontrato un gruppo di ragazzi di Tsad Kadima,
una delle principali associazioni senza scopo di lucro, attive in
Israele a sostegno della educazione e riabilitazione di bambini e
giovani sofferenti di handicap muscolari dovuti a paralisi
cerebrali. E'
accaduto in occasione dell'allenamento conclusivo prima della partita
Maccabi Haifa - Juventus valido per la quarta giornata di Champions che
si giocherà questa sera.
Alessandro Viterbo padre di Yoel, uno dei ragazzi che fanno parte di Tsad Kadima,
e dirigente dell'associazione ha voluto dare vita a questa iniziativa
che si inserisce nello sforzo della associazione per il totale
inserimento dei ragazzi nella società. L'incontro, durante il
quale oltre alla reciproca conoscenza sono stati scambiati omaggi e
fotografie è stato reso possibile grazie al consenso dei dirigenti
juventini che hanno dimostrato notevole sensibilità e grande
umanità inserendo questo evento nel programma della squadra. Un
ruolo fondamentale nell'organizzazione dell'evento è stato svolto anche
dalla vice presidente dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane
Claudia De Benedetti sostenitrice da anni delle attività di Tsad Kadima e infaticabile promotrice di numerosi manifestazioni di amicizia tra Italia e Israele e dal Maccabi Haifa.
Per i ragazzi di Tsad Kadima
che combattono giornalmente una dura lotta per vincere l'handicap
questo incontro ha rappresentato la realizzazione di un sogno, la
possibilità, per un giorno, di sentirsi in primo piano e la conferma
del simpatico legame esistente tra Tsad Kadima e la comunità italiana in Israele. "Sono contento di aver incontrato e conosciuto i ragazzi di Tsad Kadima ha commentato al termine del simpatico happening, il giovane talento juventino Giovinco. |
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Per
quanto riguarda la politica italiana, la prima notizia che ci riguarda
è il bel discorso pronunciato ieri dal presidente Napolitano ricevendo
la delegazione del Keren Hayesod con alcuni dirigenti dell'ebraismo
italiano. Come sempre il presidente della repubblica ha la capacità di
esprimere con grande chiarezza i concetti fondamentali delle relazioni
che uno stato democratico come l'Italia deve avere con l'ebraismo e
Israele. Un anno fa aveva dichiarato con forza che l'antisionismo è una
forma di antisemitismo, ieri ha detto che c'è una discriminante fra il
dissenso con le politiche israeliane, che è legittimo, e la volontà di
eliminare lo stato di Israele, che non lo è e ha assicurato a Israele
"l'appoggio convinto" dell'Italia, chiedendo all'Unione Europea di
prendere una posizione analoga. Il discorso è riportato da tutti i
giornali, si può leggerlo nella cronaca di Fragonara sul Corriere o quella di Passarini sulla Stampa. Un
tema critico è quello della candidatura di D'Alema a "ministro degli
esteri" dell'Unione Europea. Da leggere con molta attenzione la
documentata stroncatura di Christian Rocca sul Foglio.
Il pezzo inizia così: "Non esiste un candidato peggiore di Massimo
D'Alema per la carica di Alto rappresentante per gli affari esteri e la
politica di sicurezza dell'Unione europea." Molto debole invece la
difesa del Riformista,
dove Paolo Iorio forza a favore del dirigente PD le dichiarazioni
corrette di diplomatici israeliani del tenore "non spetta a noi
decidere chi siano i leader europei". Fa rumore sui giornali l'appello che sarebbe stato lanciato dal Ku Klux Kan per trovare aderenti in Italia. Ne parlano il Corriere, Il Sole,
e altri giornali; ma l'annuncio sembra piuttosto una bufala o una
provocazione, piuttosto che una minaccia vera. Più serio invece il
pericolo di Holywar, un sito ultracattolico, fortemente antisemita, che
è attivo da molti anni con testi e immagini violentissimi contro
Israele e l'ebraismo, nello stile dei "Protocolli", e sembra ora aver
pubblicato un elenco di cognomi ebraici su cui la polizia postale
indaga (Il Messaggero). Nella
politica internazionale, continuano gli echi del viaggio della Clinton
in Medio Oriente, e delle sue dichiarazioni sulla collaborazione del
governo israeliano allo sforzo della pace e sulla indisponibilità
palestinese. E' istruttivo vedere che praticamente tutti i giornali
italiani accettano l'interpretazione palestinese e araba di un
"voltafaccia" israeliano: non solo gli ovvi ideologi della sinistra
come Liberazione e Manifesto, ma anche L'Osservatore romano.
Trova ancora eco l'arresto dell'immigrato americano in Israele
arrestato dalla polizia per terrorismo ai danni dei palestinesi
(Battistini sul Corriere, Stabile su Repubblica). Da leggere infine sulla stampa internazionale il duro commento del Wall Street Journal
sulla violazione dei diritti umani nei territori controllati
dall'autorità palestinese e il reportage complice ancor più che
compiacente di Le Monde
sulle magnifiche sorti e progressive del regime siriano. Ineffabile in
questo pezzo la risposta di un burocrate siriano alla domanda sulla
rottura delle relazioni diplomatiche con l'Iraq, che accusa il regime
siriano di costituire la base logistica del terrorismo in Iraq: «Mais
c'est con conjoncturel», assure un conseiller du chef de l'Etat. Le
premier ministre, Nouri Al-Maliki, «politiquement mal en point à Bagdad
à cause des attentats, a perdu ses nerfs en nous accusant faussement.
Tout rentrera dans l'ordre dès qu'un autre politicien sera au pouvoir
». Insomma, la Siria continuerà a mandare bombaroli in Iraq fino a che
non cambierà governo. l'"autorevole" giornale francese non commenta, ma
titola il pezzo "La Siria si pone di nuovo al centro dello scacchiere
mediorientale". Bel modo di porsi al centro...
Ugo Volli |
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Corte di Strasburgo: "No ai crocifissi nelle classi" Strasburgo, 3 nov - La
Corte europea dei diritti dell'uomo di Strasburgo, ha oggi stabilito
che la presenza dei crocefissi nelle aule scolastiche costituisce "una
violazione dei genitori ad educare i figli secondo le loro convinzioni"
e una violazione alla "libertà di religione degli alunni". La sentenza
è stata emessa in base al ricorso presentato nel 2002 da Soile Lautsi,
cittadina italiana originaria della Finlandia, che nel 2002 aveva
chiesto all'istituto statale "Vittorino da Feltre" di Abano Terme
(Padova), frequentato dai suoi due figli, di togliere i crocefissi
dalle aule. A nulla, in precedenza, erano valsi i suoi ricorsi davanti
ai tribunali italiani. Ora i giudici di Strasburgo le hanno dato
ragione. La sentenza emessa dalla Corte, prima in assoluto in materia
di esposizione dei simboli religiosi nelle aule scolastiche, prevede
anche che il governo italiano dia alla signora Lautsi un risarcimento
di cinquemila euro per danni morali.
Hamas e la nuova minaccia potenziale per Tel Aviv Tel Aviv, 3 nov - Hamas
ha di recente compiuto a Gaza un test di un nuovo missile a gittata di
60 chilometri. A riferirlo è stata la radio militare israeliana. Il
nuovo missile rappresenterebbe una minaccia per Tel Aviv. Il razzo,
secondo un comandante dell'intelligence, è di produzione iraniana.
Durante l'operazione Piombo fuso Hamas aveva sparato verso le città
israeliane del Neghev una quantità elevata di razzi. Alcuni esplosi
fino a 40 chilometri da Gaza avevano raggiunto le città di
Ashdod, Ashqelon, Netivot, Kiryat Gat e Beer Sheba. Una volta che il
nuovo razzo di Hamas diventasse operativo anche popolosi sobborghi di
Tel Aviv - come Bat Yam, Holon e Rishon le-Zion - rischierebbero di
trovarsi esposti alla minaccia degli islamici palestinesi.
Peres invita Gul a Gerusalemme Ankara, 3 nov - Il
presidente israeliano Shimon Peres ha inviato un messaggio di
congratulazioni per le celebrazioni dell'ottantaseiesimo anniversario
della fondazione della Repubblica turca. Nel messaggio Peres sottolinea
l'importanza dei legami che uniscono Israele alla Turchia "stretti in
un'alleanza strategica" e ribadisce le radici storiche dei rapporti
esistenti tra i due Paesi nonostante i problemi che di tanto in tanto
possono sorgere. Peres invita quindi Gul a recarsi in Israele e afferma
che gli israeliani stanno aspettando questa visita da molto tempo. Dopo
una serie di incidenti che hanno contribuito a rialzare la tensione tra
i due Paesi, soprattutto in seguito all'offensiva militare israeliana
'Piombo fuso', Ankara - riferisce il quotidiano Zaman, interpreta
il messaggio giunto da Israele come uno sviluppo positivo nelle
relazioni bilaterali.
Napolitano
e La Russa alla base Unifil in Libano
Shama, 3 nov Il
presidente Giorgio Napolitano, accompagnato dal ministro della Difesa
Ignazio La Russa, è giunto alla base del contingente italiano della
Forza multinazionale Unifil, a Shama, in Libano, in occasione della
Giornata dell'Unità nazionale e la Festa delle Forze armate. E' stato
accolto con gli onori militari dai reparti schierati che ha passato in
rassegna. |
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L'Unione
delle Comunità Ebraiche Italiane sviluppa mezzi di comunicazione che
incoraggiano la conoscenza e il confronto delle realtà ebraiche. Gli
articoli e i commenti pubblicati, a meno che non sia espressamente
indicato il contrario, non possono essere intesi come una presa di
posizione ufficiale, ma solo come la autonoma espressione delle persone
che li firmano e che si sono rese gratuitamente disponibili. Gli
utenti che fossero interessati a partecipare alla sperimentazione
offrendo un proprio contributo, possono rivolgersi all'indirizzo desk@ucei.it per concordare le modalità di intervento.
Il servizio Notizieflash è realizzato dall'Unione delle Comunità
Ebraiche Italiane in collaborazione con la Comunità Ebraica di Trieste,
in redazione Daniela Gross. Avete
ricevuto questo messaggio perché avete trasmesso a Ucei
l'autorizzazione a comunicare con voi. Se non desiderate ricevere
ulteriori comunicazioni o se volete comunicare un nuovo indirizzo
e-mail, scrivete a: desk@ucei.it indicando nell'oggetto del messaggio “cancella” o “modifica”. |
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