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L'Unione informa |
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5 novembre 2009 18 Cheshwan 5770 |
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alef/tav |
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Riccardo
Di Segni, rabbino capo di Roma |
E'
passato sotto silenzio, almeno da queste parti, il quindicesimo
anniversario della scomparsa di rav Shlomo Carlebach. E' stato un
personaggio incredibile, che ha segnato con la sua produzione musicale
un'intera generazione (basti pensare all'impatto di sue melodie
popolari come l' essa 'enai o weaer 'enenu).
Era nato in Germania nel 1925 da una famosa famiglia rabbinica, che
riuscì ad approdare negli USA prima della Shoà. Fece studi rabbinici in
scuole prestigiose, segnalandosi per doti eccezionali, e quando decise
di abbandonare l'attività rabbinica di puro studio in favore della
sua vocazione di "outreach",
basata sul richiamo musicale, i suoi maestri non lo approvarono. Riuscì
a integrare, o perlomeno produrre una strana sintesi tra le ondate
culturali delle giovani generazioni americani (come gli hippies) e il
chassidismo, che considerava meritevole di tiqqun, riparazione, prima
ancora delle ideologie del suo tempo. Condusse una perenne esistenza di
nomade, alla continua ricerca, in un misto di ortodossia e
irregolarità. Ricordo ancora le sue telefonate notturne (dopo la
mezzanotte) quando gli capitava di passare per Roma. Personaggio
controverso, di lui è stato detto che non l'ha capito nessuno, ma in
realtà il primo a non capirsi era proprio lui. |
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Mentre
si festeggiano i vent'anni dalla firma dell'Intesa fra lo Stato e gli
ebrei italiani, sono passati alquanto in sordina due importanti
cambiamenti al vertice delle massime organizzazioni ebraiche mondiali.
Uno è l'avvenuta separazione fra l'Organizzazione Sionista Mondiale e
l'Agenzia Ebraica che finora costituivano un unico complesso - la
prima, espressione dell'idea che esiste un popolo ebraico globale unito
attorno alla rinascita dello Stato di Israele, la seconda, dedicata a
realizzare concretamente la costruzione di Israele con la piena
partecipazione degli ebrei di tutto il mondo - L'altra riforma, che
scatterà nei prossimi giorni a Washington in occasione dell'Assemblea
Generale annuale delle comunità ebraiche americane, consiste nel
"ribattezzare" la United Jewish Communities – appunto il massimo
organismo comunitario USA che era nato dalla fusione fra il Council of
Jewish Federations (attività comunitarie locali) e la United Jewish
Appeal (raccolta di fondi per Israele) - nel nuovo (ma in realtà
vecchio) logo Jewish Federations of North America. In entrambi i casi
si direbbe che l'elemento ideologico e l'elemento pratico vogliano
incamminarsi per strade separate, e che i rappresentanti dell'ebraismo
comunitario mondiale vogliano in qualche modo prendere le
distanze da Israele. La risposta alla domanda se sia la realtà che crea
le istituzioni, o siano le istituzioni che creano la realtà, preferiamo
lasciarla a chi scriverà la storia degli ebrei nel 21° secolo. |
Sergio Della Pergola,
Università Ebraica di Gerusalemme |
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davar |
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Rough cut - La morale sessuofobica del regime iraniano
Si
chiama “Rough cut” (taglio brutale) ed è uno dei cortometraggi più
significativi ed efficaci realizzati sulla società iraniana. Prodotto
dalla giovane documentarista Firouzeh Khosrovani nel 2007, è stato
recentemente riproposto al pubblico italiano a Ferrara, in occasione
del Festival di “Internazionale”, rivista che ha sempre avuto un occhio
attento sulle vicende del Paese mediorientale. “Rough Cut” è una
testimonianza molto intensa sulla difficile condizione delle donne
iraniane e sulla morale sessuofobica imposta dal regime teocratico di
Teheran.
Molti
registi si sono occupati dell’argomento in passato ma Firouzeh
(nell'immagine a fianco) lo ha fatto da un punto di vista insolito,
attraverso il racconto delle varie mutilazioni subite dai manichini
femminili (e recentemente anche da quelli maschili) nelle vetrine delle
boutique della capitale. “Si è incominciato rimuovendo i seni, poi è
toccato agli arti, superiori ed inferiori, fino ad arrivare a tagliare,
in alcuni casi, anche la testa”. Una guerra con i manichini che è
iniziata da lungo tempo. Basti pensare che fino a non molto tempo fa i
negozianti erano costretti a comprarli all’estero, perché non esisteva
nessuna azienda iraniana che li fabbricasse. Questi manichini avevano
però un grande “difetto”, forme e curve accentuatamente femminili. Uno
scandalo. Così, il regime aveva imposto per legge una nuova figura
professionale: “il mozzatore di impurità”. Costui armato di sega
elettrica o coltello, aveva il compito di trasformare “provocanti”
donne di plastica in fantasmi amorfi. Ed è proprio su questo gesto che
Firouzeh insiste molto, proponendo più volte immagini di mozzatori al
lavoro. Un modo simbolico per ricordare come quella irrazionale
brutalità nei confronti di un oggetto inanimato sia sostanzialmente la
stessa violenza che viene perpetrata quotidianamente nei confronti di
persone in carne ed ossa. Adesso questo lavoro non esiste più, non
perché sia stata messa la parola fine a queste assurde mutilazioni, ma
più semplicemente perché nel Paese sono nate aziende che fabbricano
manichini privi di seno, e dunque “puri”. Una “guerra al vizio e alla
dissolutezza” che ogni giorno si intensifica sempre di più. Alla luce
di questo assurda campagna proibizionista che sta attraversando il
Paese, assumono ancora più valore le coraggiose testimonianze di alcuni
commercianti di Teheran, che in “Rough cut” denunciano l’ondata
moralizzatrice che li sta travolgendo. È importante sottolineare come
le immagini risalgono a due anni fa, pertanto è lecito pensare che nel
frattempo la situazione possa essere soltanto peggiorata. Il
documentario, partendo dalla “questione manichini”, affronta un tema
molto interessante, quello della complessità della società iraniana,
che da una parte subisce l’influenza consumistica dell’Occidente,
dall’altra scandisce le proprie giornate attraverso i dettami del
Corano. La religiosità profonda, infatti, pur esasperata da trenta anni
di governi teocratici e integralisti, è un sentimento che appartiene a
una larga parte della popolazione, indipendentemente dall’orientamento
in tal senso dei vari governi (o regimi) succedutisi al potere. Ed è
proprio per questo motivo, racconta Firouzeh, che la grande battaglia
di laicizzazione forzata del Paese messa in atto da Reza Pahlevi non ha
funzionato. Battaglia che vedeva nell’abolizione forzata del jihab, il
velo, uno degli obiettivi principali da raggiungere. Un’imposizione che
molte donne iraniane (per non parlare dei rispettivi mariti) non
avevano accettato di buon grado, vedendola come una minaccia alla
secolare tradizione delle loro progenitrici. “Mi vesti e svesti a tuo
piacimento”, recita una poesia in farsi, che racconta una grande
verità: scià o ayatollah, monarchia o teocrazia, le donne iraniane non
hanno mai avuto voce in capitolo riguardo al loro abbigliamento.
Capelli sciolti al sole oppure velo, a decidere sono sempre stati gli
uomini.
Adam Smulevich |
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pilpul |
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Una soluzione che accontenta tutti
Venendo
incontro alla recente sentenza dell’Alta Corte europea, Forza Nuova, la
comunità milanese “Jihadisti per la pace” e la sezione della Lega di
Varese “Arturo Barbarossa e signora” hanno proposto di togliere il
Cristo appeso alle pareti di aule scolastiche e uffici pubblici e
sostituirlo di volta in volta con un altro ebreo presente sul
territorio.
Il Tizio della Sera |
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rassegna stampa |
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Abano indignata «Perché non tolgono la stella agli ebrei?» Abano,
silenziosa come le sue terme predilette dai tedeschi: il giorno dopo la
sentenza di Strasburgo che condanna il crocifisso nelle scuole come
violazione alla neutralità confessionale nell'istruzione pubblica, la
gente sembra ignorare l'accaduto. Ma, se si tocca l'argomento, esplode:
ognuno, a suo modo, difende il simbolo della cristianità. «Provino ad
andare a togliere la stella di David agli ebrei o la mezzaluna ai
musulmani, si vedrebbero volare le teste», si indigna uno dei genitori
degli alunni della «Vittorino da Feltre» di Abano. [...] La Gazzetta del Mezzogiorno, 5 novembre 2009 L'Onda verde rilancia la sfida ad Ahmadinejad. In piazza a migliaia «Per
la prima volta, nel giorno della commemorazione ufficiale del 30°
anniversario dell'assalto all'ambasciata americana, invece del consueto
grido "Morte all'America", alla televisione di stato iraniana, che
trasmetteva la manifestazione in diretta, è andato in onda, superando
la censura, il più minaccioso e tutto interno slogan "Morte al
dittatore", rivolto dai dimostranti al presidente Mahmoud Ahmadinejad».
Lo racconta palesemente soddisfatta Mashih Alinejad, editorialista
vicina al leader riformista Medhi Karrubi, ora rifugiata all'estero
dopo le proteste seguite al controverso voto presidenziale del 12
giugno. «E' una grande prova di orgoglio dell'Onda verde, che dopo
cinque mesi di repressioni, giornali e sedi di partito chiusi,
dirigenti in carcere, ha dimostrato di avere ancora la piazza in mano e
di non essere rassegnata», spiega. Vittorio Da Rold, Il Sole 24 Ore, 5 novembre 2009 «Gran parte della società è insoddisfatta Ma a chi protesta manca un vero leader» L'80%
degli iraniani sono insoddisfatti. Sono insoddisfatti anche i
partigiani di Ahmadinejad. Queste manifestazioni sono in fondo
un'espressione sociologica dell'insoddisfazione nei confronti dei
leader che guidano le sorti del Paese». Il politologo Bernard Hourcade
è direttore di ricerca presso il Cnrs francese sul mondo iraniano e
autore di vari libri sull'Iran. Professore, non trova curioso che si
continui a manifestare nonostante i divieti? "Il popolo
dell'opposizione è molto avanti rispetto ai suoi leader che si sono,
nella maggior parte, dileguati. Rafsanjani è stato il primo a mollare,
adottando una posizione discreta riguardo i risultati delle ultime
elezioni; Mussavi appare critico dell'apertura di Ahmadinejad a
Washington; Abtahi è stato costretto a dire durante il suo processo il
contrario di quanto ha sempre sostenuto. Per usare un aforismo, gli
iraniani non hanno l'opposizione che si meritano. [...] Camile Eid, L'Avvenire, 5 novembre 2009
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notizieflash |
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La Russa ricorda i caduti ebrei della Prima Guerra Mondiale Gattegna: “Un'iniziativa che serve a scoprire i valori comuni” Roma, 5 nov - “Vogliamo
ricordare il grande contributo che la Comunità Ebraica ha dato
all'unificazione e all'identità nazionale, persone che hanno dato la
vita per l'Italia nelle trincee e che avevano lo stesso anelito di
libertà dei loro commilitoni cattolici e di altre religioni", queste le
dichiarazioni del ministro della Difesa Ignazio La Russa, che oggi, assieme al presidente dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, Renzo Gattegna, e al presidente della Comunità Ebraica di Roma, Riccardo Pacifici,
ha deposto una corona d'alloro alla lapide che ricorda i caduti ebrei
della Prima Guerra Mondiale. Gattegna nel ringraziare il ministro per
l'iniziativa ha affermato che tale gesto “serve per riscoprire valori
comuni sempre esistiti da secoli, interrotti solo nel 1938 con
l'emanazione delle leggi razziali, con le quali gli ebrei furono
estromessi da tutte le cariche, compresi i gradi militari".
Abu
Mazen minaccia di abbandonare l'Anp,
Shimon Peres lo invita a desistere dall'intento Tel Aviv, 5 nov - Abu
Mazen, pessimista sulle prospettive di ripresa di un processo
diplomatico con Israele, ha deciso di abbandonare la presidenza
dell'Autorità nazionale palestinese. Il presidente israeliano, Shimon
Peres, lo ha chiamato per convincerlo a desistere dall'intento. La
notizia che il presidente dell'Anp non si ricandiderà alle elezioni,
che lui stesso ha indetto, il 24 gennaio prossimo, è stata confermata
non solo da fonti dell'Anp ma anche dalla Radio militare israeliana. Il
pessimismo di Abu Mazen sembra essere stato alimentato dalle correzioni
di rotta dell'amministrazione Obama che, dopo aver sostenuto al fianco
dell'Anp la necessità di un rispetto degli accordi sul congelamento
degli insediamenti ebraici nei Territori, sembra ora accontentarsi di
"un contenimento". Secondo alcuni osservatori, d'altra parte, le
intenzioni di Abu Mazen potrebbero essere solo un avvertimento a
Washington, tanto più che la scadenza elettorale di gennaio è
tutt'altro che sicura in mancanza di un qualche accordo di compromesso
interno fra Fatah (il partito laico del presidente, che controlla la
sola Cisgiordania) e i rivali islamici di Hamas, al potere dal 2007
nell'enclave di Gaza. Un avvertimento preso comunque sul serio da
Shimon Peres, che ieri sera ha assunto l'iniziativa di chiamare in
prima persona Abu Mazen per invitarlo a non radicalizzare la sua
posizione e a non rifiutare almeno un tentativo di ripresa negoziale.
Israele: “Permesso accordato”, la nave mercantile Francop, bloccata dalla marina militare, è stata autorizzata a ripartire Gerusalemme, 5 nov - Le
autorità israeliane, dopo essersi accertate che i membri
dell'equipaggio fossero ignari della presenza a bordo della nave,
bloccata ieri dalla marina, del carico di armi apparentemente destinate
ad Hamas, hanno concesso la partenza dell'imbarcazione. Il premier,
Benyamin Netanyahu, ha intanto accusato l'Iran di mandare armi "a
organizzazioni terroristiche con l'intento di colpire le città di
Israele e uccidere i suoi cittadini". "E' giunta l'ora - ha continuato
- per la comunità internazionale di esercitare vere pressioni sull'Iran
perché cessi le sua attività criminali e di sostenere invece Israele
quando si difende dai terroristi e dai loro sostenitori". La scoperta
del carico d'armi sul mercantile, ha detto il premier, "dà una risposta
molto chiara e inequivocabile a chi afferma di aver bisogno di prove
decisive che l'Iran continua a mandare armi a organizzazioni
terroristiche" . |
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L'Unione
delle Comunità Ebraiche Italiane sviluppa mezzi di comunicazione che
incoraggiano la conoscenza e il confronto delle realtà ebraiche. Gli
articoli e i commenti pubblicati, a meno che non sia espressamente
indicato il contrario, non possono essere intesi come una presa di
posizione ufficiale, ma solo come la autonoma espressione delle persone
che li firmano e che si sono rese gratuitamente disponibili. Gli
utenti che fossero interessati a partecipare alla sperimentazione
offrendo un proprio contributo, possono rivolgersi all'indirizzo desk@ucei.it per concordare le modalità di intervento.
Il servizio Notizieflash è realizzato dall'Unione delle Comunità
Ebraiche Italiane in collaborazione con la Comunità Ebraica di Trieste,
in redazione Daniela Gross. Avete
ricevuto questo messaggio perché avete trasmesso a Ucei
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