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L'Unione informa
 
    6 novembre 200
19 Cheshwan 5770
 
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Moked - il portale dell´ebraismo italiano
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  Roberto Colombo Roberto
Colombo,

rabbino 
Tempi di dimissioni per comportamenti immorali. David HaLevi Segal (1586–1667), noto cabalista e autore di commenti al Talmud, allo Shulchàn ‘Arùkh e alla Torà, nel 1641 era Rabbino della Comunità di Ostrog. Colpito da una insopportabile odontalgia e non potendosi permettere un dentista, entrò all’alba in un’osteria ancora vuota per porre una goccia di liquore sulla gengiva dolorante. Si recò poi al Tempio e rassegnò le sue dimissioni. Un Maestro che si reca a bere in un’osteria non poteva più, a suo avviso, essere d’esempio per la Comunità.
Che il Diario di Anna Frank sia sotto accusa da parte degli Hezbollah libanesi che cercano, e con ogni probabilità ci riusciranno, di farne vietare la diffusione in arabo e farsi, è notizia di oggi che non può stupirci molto. Il Diario è stato il libro che più ha dato impulso nel mondo alla memoria della Shoah, e come tale è stato anche uno dei testi più attaccati dai negazionisti, che ne hanno più volte messo in dubbio l'autenticità. Ma questo sta succedendo a Beirut, città scelta dall'Unesco come capitale mondiale del libro per il 2009. Beirut quindi, in quest'anno, ci ha rappresentato tutti, lettori, scrittori, editori. E questo, che a rappresentare il libro sia un paese che fa un uso abituale della censura, dove per esempio sono proibiti i libri di Philip Roth, Bellow, Singer, è assai grave. Che cosa risponderà l'Unesco a questo divieto? Ha ancora quasi due mesi per riparare e togliere alla città di Beirut questo onore immeritato. Anna Foa,
storica
Anna Foa  
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  Giornalisti israeliani riammessi nella Federazione Internazionale.
Per il Segretario della FNSI Franco Siddi “ha vinto il buon senso”


Siddi_triesteDopo mesi di incomprensioni e lunghe trattative con la Federazione Internazionale (IFJ), i giornalisti della Federazione Nazionale dei Giornalisti Israeliani (NFJI), espulsi dall'ente nel luglio scorso per una vicenda di mancato pagamento di quote a cui molti non avevano creduto come motivazione principale della decisione, sono stati finalmente reintegranti nell'organizzazione. In loro favore si erano mobilitati numerosi media internazionali, tra cui alcuni prestigiosi quotidiani italiani, come Il Corriere della Sera e Il Foglio. La situazione si è sbloccata lunedì scorso a Tel Aviv, quando i vertici delle due federazioni si sono riuniti e sono arrivati ad un accordo che dovrebbe mettere la parola fine alle polemiche. “Abbiamo un accordo che se sarà duraturo permetterà di rafforzare ulteriormente il lavoro di IFJ e produrrà benefici per l’intera comunità dei giornalisti d’Israele e della regione circostante,” ha commentato Aidan White, Segretario Generale della IFJ, che molti avevano additato come uno dei principali responsabili della procedura di espulsione. White ha voluto ringraziare le federazioni italiane e tedesche per l'amicizia e il sostegno dimostrati durante questi mesi, ed in particolar modo Franco Siddi, segretario della Federazione Nazionale della Stampa Italiana (FNSI), che si è sempre battuto per una soluzione positiva della vicenda. Un impegno che aveva dimostrato di avere molto a cuore anche durante l'intenso incontro avvenuto in occasione di Redazione aperta questa estate a Trieste, quando aveva dichiarato di “essere favorevole al rientro dei giornalisti israeliani nella IFJ al più presto” (nell'immagine ripreso durante una delle giornate di lavoro e di studio che hanno dato avvio alla Redazione nazionale del Portale dell'ebraismo italiano).
Franco Siddi, fine della crisi diplomatica e situazione che sembra volgere finalmente al meglio. Che cosa ha permesso di risolvere questa spiacevole situazione che si stava ormai protraendo da lungo tempo?
È successo che ha prevalso la linea del dialogo piuttosto che quella dello scontro. Come spesso succede nella vita, basta un po’ di buon senso per risolvere delle situazioni apparentemente complicate. Sono veramente contento che le cose siano andate a questo modo, l'espulsione della NFJI era una decisione che non aveva alcun senso.
Che ruolo ha avuto la FNSI nell’esito positivo delle trattative?
Molto importante. Ci siamo battuti sin dall’inizio per il reintegro della NFJI nella Federazione Internazionale. L'eventuale mancato pagamento delle quote di iscrizione, infatti, non è una motivazione sufficiente per determinare l’esclusione di un ente chiamato a rappresentare un paese così importante. Si trattava di una decisione che metteva in serio pericolo il pluralismo e la libertà di opinione, valori che invece vanno difesi con forza dalla nostra categoria. I media israeliani, inoltre, sono tra i più indipendenti e liberi al mondo e la necessità della loro presenza nella IFJ è un fatto assolutamente indiscutibile.
Si trattava sul serio di un problema esclusivamente economico?
Resta ancora da capire se vi siano state altre motivazioni alla base della decisione, il che rappresenterebbe un fatto estremamente grave. Posso garantire che noi della FNSI ci impegneremo perché venga fatta chiarezza al più presto. Qualora emergesse qualcosa di torbido saremmo i primi a farlo sapere. In ogni caso abbiamo fatto presente agli israeliani che queste quote devono essere pagate, come fanno tutte le altre federazioni.
Quali sono gli effetti degli accordi siglati lunedì scorso a Tel Aviv?
Oltre al reintegro dei giornalisti israeliani, sono state organizzate alcune attività che vedranno la partecipazione congiunta di IFJ e NFJI. Penso, ad esempio, a un meeting che si terrà annualmente per monitorare le relazioni tra i due enti, oppure ad alcuni seminari che si si svolgeranno in Israele e che affronteranno i temi dell'etica e della deontologia giornalistica. Senza dimenticare che è intenzione della IFJ organizzare un meeting preparatorio con la DJV, la federazione tedesca, per incoraggiare il dialogo tra media israeliani e media palestinesi, che noi consideriamo una priorità assoluta.
Il reintegro della Federazione israeliana ha effetto immediato?
Per il momento è avvenuta quella che viene chiamata “la riconciliazione delle posizioni”. Per la ratifica ufficiale bisogna aspettare che il Comitato Esecutivo della IFJ si riunisca a Londra il prossimo quattordici novembre. In ogni caso si tratta di una procedura formale, l'accordo è già stato raggiunto negli scorsi giorni.

Adam Smulevich 



L’Hapoel Tel Aviv dilaga con il Rapid Vienna,
la qualificazione ai sedicesimi è vicina


HapoelOrmai l’avventura europea delle squadre israeliane segue un copione scritto. In Champions League, puntuale come un orologio svizzero, arriva la sconfitta del Maccabi. Poche ore dopo, in Europa League, ci pensa l’Hapoel a vendicare i connazionali con vittorie dal punteggio altisonante. È già successo tre volte quest’anno e i tifosi dei “rossi” di Tel Aviv si augurano che questa piacevole consuetudine si ripeta ancora a lungo. Normale viaggiare sulle ali dell’entusiasmo quando la tua squadra del cuore si impone con un perentorio tre a zero in trasferta.
Venendo alla partita di ieri, che proietta inaspettatamente l’Hapoel in testa al girone C (considerato alla vigilia un raggruppamento di ferro a causa della contemporanea presenza di Amburgo e Celtic), la superiorità tecnica degli israeliani è parsa piuttosto evidente, anche se gli austriaci hanno cercato a più riprese di mettere l’Hapoel in difficoltà. Il risultato, comunque, è rimasto in bilico solamente per pochi minuti, tredici per l’esattezza, cioè fino a quando una botta di Yadin da fuori area, deviata da un difensore avversario, andava ad infilarsi nello specchio della porta. Era la prima occasione da goal per gli israeliani, che si mostravano come al solito cinici e spietati. Il Rapid provava a replicare all’acuto di Yadin e andava vicino al pareggio con un colpo di testa di Jelavic che andava a sbattere sulla traversa, ma la reazione degli austriaci, nel complesso, era poca cosa. Situazione simile, nel secondo tempo. Questa volta all’Hapoel servivano venti minuti per segnare. Il raddoppio portava la firma di Vermouth, sempre più protagonista di questa campagna europea. Tanto che, pochi istanti dopo, era un suo bel passaggio in profondità a lanciare Natcho verso la porta avversaria per il tre a zero che chiudeva virtualmente il match. Da quel momento in poi, infatti, il Rapid tirava i remi in barca e l’Hapoel amministrava il triplice vantaggio senza grossi problemi. Si arrivava così al novantesimo senza ulteriori emozioni. Gli austriaci abbandonavano il campo a testa bassa, mentre gli israeliani, venuti a sapere del pareggio casalingo dell’Amburgo con il Celtic Glasgow, esultavano assieme ai loro tifosi per la conquista della leadership del gruppo. Adesso, a due partite dalla fine del girone, per l’ufficialità del passaggio del turno può bastare un pareggio con gli scozzesi il cinque dicembre prossimo, anche se il bottino di punti messo finora in saccoccia dovrebbe essere sufficiente per approdare ai sedicesimi di finale della competizione. Estremamente improbabile, infatti, che tra un mese il modesto Rapid Vienna vada a vincere in casa dell’Amburgo.
(as)

RAPID VIENNA 0 3 HAPOEL TEL AVIV
Yadin (13’), Vermouth (65’), Natcho (70’)

CLASSIFICA GRUPPO C
Hapoel Tel Aviv 9
Amburgo 7
Rapid Vienna 4
Celtic 2
 
 
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  CopertinaComix - Mark Podwal nel Golem

L’editore Giuntina ha appena annunciato la ristampa de Il Golem di Elie Wiesel illustrato da Mark Podwal. Non è il primo lavoro che i due autori hanno realizzato assieme, già nel 1993 avevano commentato A passover Haggadah. Podwal è un disegnatore statunitense famoso soprattutto per le illustrazioni realizzate per il quotidiano New York Times, e senza dubbio per diversi lavori come l’Haggadah o il Golem dove l’autore riesce ad arricchire le parole con i suoi disegni. Le sue opere sono presenti in diversi musei del mondo, fra questi il Metropolitan e la Libreria del Congresso. Inoltre non va dimenticato il progetto The Jerusalem Sky Project per il dialogo interculturale.
La ristampa de Il Golem è una occasione per osservare con particolare attenzione il lavoro di Podwal. I suoi disegni sembrano proiezioni della mente. La copertina per esempio mostra “un ebreo” (?) salire le scale, ma sono due le ombre riflesse sugli scalini. La luna è un disco talmente perfetto che non può che essere un sogno. La notte di Podwal è un insieme di macchie nere che sembrano segnare e sporcare le case di Praga.

Mark PodwalPoi ci sono quelle illustrazioni che emergono dal mar... dalle pagine del libro, come le lettere ebraiche, che escono dai libri, dagli orologi. Le guglie di Praga, gli oggetti rituali ebraici, e il crocifisso presente dovunque quasi a rappresentare la folla di nemici.
C’è un tocco di delicatezza nella mano di Podwal (nell'immagine a fianco), le immagini sembrano sempre entrare con umiltà nella pagina del libro, quasi a non voler togliere il palcoscenico all’autore delle parole. Eppure è proprio la combinazione tra parola e immagine che disegna una atmosfera magica, quella magia di Praga di cui spesso si è sentito parlare.
Infine Podwal non rappresenta mai l’uomo, nei pochi casi in cui vediamo una figura, questa è solo una figura indistinta, un’ombra, un pensiero, un alito di esistenza nella notte praghese. Dove il Golem protegge il popolo ebraico.

Andrea Grilli
 
 
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Giornata ricca di notiziole, ovvero di fatti che non si prestano alla prima pagina dei giornali ma che ci permettono di affrontare una pluralità di questioni, adottando l’angolo visuale che ci è offerto dai singoli eventi. Partiamo da qualcosa di apparentemente secondario ma che, nella sua non occasionalità, è un po’ come quel filo ribelle che fuoriesce dal tessuto, rivelandone la trama soggiacente. Ci riferiamo al veto pronunciato in veste ufficiale, attraverso Al Manar, la televisione di Hezbollah, alla pubblicazione e alla diffusione del Diario di Anna Frank in Libano. Per inciso, affinché l’informazione sia completa, va detto che il libro già da tempo è reperibile a Beirut, così come nelle librerie delle grandi città del paese, sia in lingua inglese che in una prima, meno accurata versione in arabo. Ragion per cui il tardo pronunciamento, avverso alla sua riedizione, non collima con una effettiva capacità di impedirne la distribuzione. Piuttosto si tratta di un messaggio, il cui contenuto va decodificato, che Hezbollah invia ai suoi interlocutori mediterranei, ai suoi sostenitori così come alla collettività libanese. Ne parlano quindi alcuni quotidiani, per la penna di Anna Mazzone su il Riformista, Alessandro Carlini su Libero e Francesco Battistini per il Corriere della Sera. Altri, invece tacciono. L’evento, nella sua singolarità, non è neanche poi così eclatante, inserendosi, piuttosto, in un percorso di continuità che dovrebbero rivelare - anche ai più “disattenti” - la vera natura dei pensieri del gruppo estremista, non meno della subcultura di riferimento, che dice di alimentarsi dell’antisionismo quando invece è anche organicamente antiebraica. Peraltro, come ben sappiamo, i due risentimenti sono speculari. Non è la prima volta che il movimento sciita - il quale, ricordiamo, occupa nutriti scranni parlamentari ed è forza di governo nelle coalizioni di governo di quel paese - si esprime con un secco diniego all’ipotesi di offrire nelle librerie il testo conosciuto in quasi tutto il mondo poiché tradotto in 55 lingue e venduto in 25 milioni di copie. Peraltro, il pronunciamento avverso fa seguito alla nuova traduzione in arabo e in farsi (la lingua persiana), nella speranza che un volume che raccoglie le riflessioni, in chiave quasi del tutto intimista, di una ragazzina costretta a nascondersi da un mondo di adulti ostili e brutali, possa incontrare i favori dei lettori dei paesi nei quali si usano quelle lingue. Hezbollah, per voce di un membro del «Comitato per il boicottaggio dei beni sionisti in Libano», ha affermato che la diffusione del libro costituirebbe una «flagrante violazione e una mossa per permettere la normalizzazione» con Israele. Interessante affermazione poiché si ammanta di una falsa plausibilità, destinata comunque a trovare orecchie attente e menti proclivi anche in Europa, dove i segni incipienti, sia pure sotto traccia, di una rancorosa ostilità verso le testimonianze ebraiche non vanno ascritti solo al campo del neonazismo e del negazionismo. Non a caso è proprio il volume della giovanissima olandese ad avere subito in questi ultimi decenni gli strali più polemici, anche in altri contesti. Di esso, dichiarato come falso dagli avversatori di sempre, non si accetta evidentemente la nota di umanità che accompagna un po’ tutte le pagine. Peraltro, non è un libro sulla Shoah, non almeno stricto sensu, bensì un vero e proprio diario dello spirito e di un corpo obbligati a celarsi, in una età, invece, in cui il bisogno di mettersi in relazione con gli altri si fa particolarmente pronunciato. Già Bruno Bettelheim ci ammoniva riguardo al «buon uso» del testo, che non parla dei luoghi di sterminio (ed impropriamente è riferito ad essi dalla pubblicistica di larga diffusione), bensì di un’anima prigioniera. La scena, come ben ricorderanno i lettori, è una sola, l’alloggio segreto ad Amsterdam, rifugio precario per una famiglia che rischiava di essere travolta dall’occupazione nazista, come poi purtroppo avvenne per via di una delazione. Risulta quindi ancora più irritante il tentativo di porre la mordacchia alla scrittura della vita che è racchiusa in pagine nelle quali l’angoscia si frammischia alla speranza, il buio alla luce, i colori al grigiore, l’essere ancora un po’ bambina alla scoperta di divenire donna. E risulta non meno offensiva l’accusa, in sé una deliberata e paradossale menzogna, di falsificazione. Secondo questa squallida vulgata il Diario costituirebbe il risultato di una operazione fatta a tavolino, dagli “eterni ebrei”, volta a offrire al pubblico mondiale un testo lacrimoso e seducente, per avvantaggiarsene sul piano della credibilità morale. Un capitolo, insomma, del complotto giudaico. A chi non sono note le logiche negazioniste, alle quali l’Iran di Ahmadinejad e Hezbollah si rifanno a pieno titolo, può sembrare oltremodo curioso lo scagliarsi contro un libro così che, in fondo, pressoché nulla ci dice di quello che all’autrice e alla sua famiglia successe dopo la cattura. Ma è proprio questo il punto su cui i negazionisti di ogni risma battono il chiodo: devitalizzare l’immagine degli ebrei, relegandoli alla condizione di umanoidi, dopo averne derubricate le qualità di esseri umani, per dimostrare che il complotto c’è perché è voluto e portato avanti da individui eticamente (e anche fisicamente) ripugnanti. Aggiungiamo, in questo caso non per amore di polemica ma senz’altro per gusto critico, che Beirut è la capitale mondiale del libro, carica attribuitagli dall’ineffabile Unesco, per tutto l’anno corrente. In Libano non hanno libera circolazione molte opere di autori di origine ebraica o che si rifanno a temi di giudaica: per citare alcuni nomi sono interdetti al pubblico Philip Roth, Saul Bellow, Isaac Bashevis Singer ma anche il Thomas Friedman di «Da Beirut a Gerusalemme» e il William Styron de «La scelta di Sophie».
Altro tema, diverso scenario. Qui, invece, buona parte dei giornali si sbizzarriscono nel commentare la dichiarazione di Abu Mazen (una promessa o una minaccia?), a capo dell’Autorità nazionale palestinese che, in prossimità delle future elezioni presidenziali, convocate insieme a quelle legislative per il 24 gennaio del 2010, afferma di non avere intenzione di ricandidarsi. Ne parlano, tra gli altri, Francesco Battistini su il Corriere della Sera, Barbara Uglietti su Avvenire, Carlo Panella per il Foglio, Aldo Baquis su la Stampa, Roberto Bongiorni su il Sole 24 Ore, ma anche Alberto Stabile su la Repubblica così come il Tempo e il Messaggero. In realtà non è chiara quale sia l’effettiva volontà del rais di Ramallah. L’analisi del momento che ha fatto, parlando alla televisione palestinese nella serata di ieri, è stata impietosa, avendo ad obiettivo polemico quelle che ha definito come le condizioni che renderebbero impossibile il prosieguo del suo lavoro, a partire dal sentimento di «grande frustrazione» per la posizione degli Stati Uniti riguardo al processo di pace in Medio Oriente. In realtà, per meglio inquadrare l’evento, al di là della sua singolarità, va tenuto in considerazione che le amministrazioni politiche e gli organismi di mobilitazione e militanza palestinesi, tanto più l’Olp e l’Anp, adottano da sempre una liturgia sovietica, dove il ricorso alla minaccia di non prendere più parte al gioco ha significati e obiettivi ben diversi da quelli esplicitati, inviando semmai segnali impliciti e latenti a più destinatari. Abu Mazen, alias Mahmoud Abbas, che sconta una scarsissima popolarità tra i suoi connazionali e che paga il prezzo del mancato accordo tra le organizzazioni islamiste e il Fatah, con la prospettiva che il turno elettorale del gennaio prossimo si trasformi da subito in una parentesi di guerra civile, sa di potere utilizzare una sola carta, quella americana. In altre parole ancora, identificato a suo tempo come il “moderato” della situazione, l’uomo che secondo Washington si sarebbe dovuto contrapporre al debordante Yasser Arafat, è oggi tra i pochi che possano ancora sperare di risultare sufficientemente credibili nella qualità di interlocutori dell’Occidente. Ma, come si diceva, gli difetta il seguito interno, quello che dovrebbe raccogliere tra i palestinesi. Non di meno sa che la sua figura è minacciata su più piani dal crescente appeal di Salam Fayyed, il primo ministro dell’Autorità nazionale palestinese che, svincolatosi dalle diatribe interne ai gruppi politici, sta conquistando sul campo la fama di leader pragmatico e tecnocratico. Abu Mazen, ultrasettantenne, appartiene poi alla gerontocrazia locale, quella che è cresciuta all’ombra del defunto Arafat, ne ha condiviso un po’ tutte le scelte tra le quali quella di tornare nei Territori a metà degli anni Novanta. La dottrina ufficiale dell’Olp era un decennio fa quella dei due stati per due popoli. Adesso, come sottolinea un pepato Angelo Pezzana su Libero, l’indirizzo è silenziosamente mutato, essendo stata rilanciata l’ipotesi di uno stato binazionale, che dovrebbe raccogliere entrambe le comunità, quella ebraica e la palestinese, sotto la stessa giurisdizione. Si tratta di una proposta che, giocando anche sulla previsione di alti tassi demografici in campo arabo, punta a svuotare dal di dentro Israele, recuperando, sia pure in una forma un poco più diplomatica, l’obiettivo di distruggere l’«entità sionista», in consonanza con le posizioni di un altrimenti irriducibile Hamas. Peraltro, come sagacemente sottolinea Segre su il Giornale, l’identità nazionale palestinese, in questi frangenti, parrebbe quasi non esistere, manifestandosi unicamente per opposizione a quella israeliana. L’ambiguità della leadership di Ramallah, il fatto che parli due lingue, una più compiacente, rivolta agli uditori dell’ovest e l’altra più militante e radicale, per soddisfare le attese di chi sta ad est e a sud del planisfero politico – quindi - è un elemento il cui riscontro non può più sfuggire a nessuno, men che meno a Barak Obama.
Segnaliamo ancora un’analisi di Luigi De Biase, per il Foglio, sugli orizzonti di una Turchia che sempre più spesso parrebbe riposizionarsi verso lidi islamistici o, comunque, avversi ai partner occidentali.
Per concludere, infine, si legga la recensione di Gaetano Vallini sull’Osservatore romano dell’interessante volume di Silvia Selvatici su «Senza casa e senza paese. Profughi europei nel secondo dopoguerra». Un tema, quello dell’esilio collettivo, che attraversa la storia del Novecento con particolare forza e violenza.
 
Claudio Vercelli

 
 
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Onu, rapporto Goldstone approvato: "Israele indaghi"               
Netanyahu: "I crimini di guerra sono altri"
Gerusalemme, 6 nov -
“Israele ha dato prova durante la Operazione Piombo Fuso di un alto livello morale e anche in futuro intende difendere la popolazione dalla minaccia dei razzi in possesso dei suoi vicini”, così il ministro degli Esteri Avigdor Lieberman respinge ancora i risultati del rapporto Goldstone delle Nazioni Unite. Di ieri la notizia dell'approvazione dell'Onu, a maggioranza, del Rapporto Goldstone sull'operazione Piombo fuso a Gaza. Sempre ieri il premier Benyamin Netanyahu aveva affermato che “l'Onu avrebbe fatto meglio a dedicare la propria attenzione alla nave Francop'" (intercettata da Israele a largo di Cipro) che trasportava migliaia di razzi katyuscia probabilmente inviati dall'Iran agli Hezbollah libanesi. "Quello è un vero crimine di guerra", aveva esclamato Netanyahu. Nel rapporto Onu le forze armate israeliane sono accusate di aver compiuto crimini di guerra contro la popolazione civile palestinese e Israele viene sollecitato a indagare su quegli episodi per punire i responsabili. Accuse analoghe sono rivolte anche ai miliziani di Hamas, che hanno sistematicamente puntato i loro razzi contro la popolazione civile israeliana nel Neghev. Un comunicato del ministero israeliano degli Esteri afferma che "ogni legame fra il voto di ieri all'Onu e la realtà dei fatti è accidentale". Secondo il ministero degli Esteri il numero cospicuo di Stati che hanno votato contro o si sono astenuti dimostra lo spessore della "maggioranza morale" nelle Nazioni Unite.


Israele: una nuova scoperta scientifica per la cura dei tumori
Tel Aviv, 5 nov -
"Abbiamo trovato il tallone d'Achille delle cellule cancerogene", così Malka Cohen-Armon, ricercatrice capo parla della nuova scoperta israeliana in materia oncologica di un gruppo di ricercatori dell'Università di Tel Aviv e del Centro medico Sheba di Tel Hashomer. E' stata individuata una sostanza per curare il cancro che sembra essere in grado di aggredire le cellule malate senza intaccare quelle sane. Il risultato della ricerca è stato pubblicato su 'Breast Cancer Reasearch', autorevole rivista scientifica. "Individuato il modo di colpire solo i tessuti delle cellule cancerogene - spiega la ricercatrice capo - si può pensare di somministrare al paziente trattamenti molto più aggressivi di quelli utilizzati finora, perché non c'è il rischio di effetti collaterali devastanti". Per ora la sostanza - un derivato di un altro farmaco realizzato una decina di anni fa nell'ambito di ricerche di tutt'altra natura, riguardanti terapie destinate a pazienti colpiti da ictus cerebrale - è stata testata su un topo, il prossimo passo dovrebbe essere la sperimentazione sugli esseri umani. Ma diversi aspetti del suo funzionamento vanno ancora approfonditi: "Non sappiamo perché il ritrovato agisca esclusivamente sulle cellule tumorali, questa scoperta è stata davvero fortuita", ammette Cohen-Armon.
 
 
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