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L'Unione informa |
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6 novembre 200 19 Cheshwan 5770 |
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alef/tav |
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Roberto Colombo, rabbino |
Tempi
di dimissioni per comportamenti immorali. David HaLevi Segal
(1586–1667), noto cabalista e autore di commenti al Talmud, allo
Shulchàn ‘Arùkh e alla Torà, nel 1641 era Rabbino della Comunità di
Ostrog. Colpito da una insopportabile odontalgia e non potendosi
permettere un dentista, entrò all’alba in un’osteria ancora vuota per
porre una goccia di liquore sulla gengiva dolorante. Si recò poi al
Tempio e rassegnò le sue dimissioni. Un Maestro che si reca a bere in
un’osteria non poteva più, a suo avviso, essere d’esempio per la
Comunità. |
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Che
il Diario di Anna Frank sia sotto accusa da parte degli Hezbollah
libanesi che cercano, e con ogni probabilità ci riusciranno, di farne
vietare la diffusione in arabo e farsi, è notizia di oggi che non può
stupirci molto. Il Diario è stato il libro che più ha dato impulso nel
mondo alla memoria della Shoah, e come tale è stato anche uno dei testi
più attaccati dai negazionisti, che ne hanno più volte messo in dubbio
l'autenticità. Ma questo sta succedendo a Beirut, città scelta
dall'Unesco come capitale mondiale del libro per il 2009. Beirut
quindi, in quest'anno, ci ha rappresentato tutti, lettori, scrittori,
editori. E questo, che a rappresentare il libro sia un paese che fa un
uso abituale della censura, dove per esempio sono proibiti i libri di
Philip Roth, Bellow, Singer, è assai grave. Che cosa risponderà
l'Unesco a questo divieto? Ha ancora quasi due mesi per riparare e
togliere alla città di Beirut questo onore immeritato. |
Anna Foa,
storica |
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davar |
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Giornalisti israeliani riammessi nella Federazione Internazionale. Per il Segretario della FNSI Franco Siddi “ha vinto il buon senso”
Dopo
mesi di incomprensioni e lunghe trattative con la Federazione
Internazionale (IFJ), i giornalisti della Federazione Nazionale dei
Giornalisti Israeliani (NFJI), espulsi dall'ente nel luglio scorso per
una vicenda di mancato pagamento di quote a cui molti non avevano
creduto come motivazione principale della decisione, sono stati
finalmente reintegranti nell'organizzazione. In loro favore si erano
mobilitati numerosi media internazionali, tra cui alcuni prestigiosi
quotidiani italiani, come Il Corriere della Sera e Il Foglio. La
situazione si è sbloccata lunedì scorso a Tel Aviv, quando i vertici
delle due federazioni si sono riuniti e sono arrivati ad un accordo che
dovrebbe mettere la parola fine alle polemiche. “Abbiamo un accordo che
se sarà duraturo permetterà di rafforzare ulteriormente il lavoro di
IFJ e produrrà benefici per l’intera comunità dei giornalisti d’Israele
e della regione circostante,” ha commentato Aidan White, Segretario
Generale della IFJ, che molti avevano additato come uno dei principali
responsabili della procedura di espulsione. White ha voluto ringraziare
le federazioni italiane e tedesche per l'amicizia e il sostegno
dimostrati durante questi mesi, ed in particolar modo Franco Siddi,
segretario della Federazione Nazionale della Stampa Italiana (FNSI),
che si è sempre battuto per una soluzione positiva della vicenda. Un
impegno che aveva dimostrato di avere molto a cuore anche durante
l'intenso incontro avvenuto in occasione di Redazione aperta questa estate a Trieste, quando aveva dichiarato di “essere favorevole al rientro dei giornalisti israeliani nella IFJ al più presto” (nell'immagine ripreso durante una delle giornate di lavoro e di studio che hanno dato avvio alla Redazione nazionale del Portale dell'ebraismo italiano). Franco
Siddi, fine della crisi diplomatica e situazione che sembra volgere
finalmente al meglio. Che cosa ha permesso di risolvere questa
spiacevole situazione che si stava ormai protraendo da lungo tempo? È
successo che ha prevalso la linea del dialogo piuttosto che quella
dello scontro. Come spesso succede nella vita, basta un po’ di buon
senso per risolvere delle situazioni apparentemente complicate. Sono
veramente contento che le cose siano andate a questo modo, l'espulsione
della NFJI era una decisione che non aveva alcun senso. Che ruolo ha avuto la FNSI nell’esito positivo delle trattative? Molto
importante. Ci siamo battuti sin dall’inizio per il reintegro della
NFJI nella Federazione Internazionale. L'eventuale mancato pagamento
delle quote di iscrizione, infatti, non è una motivazione sufficiente
per determinare l’esclusione di un ente chiamato a rappresentare un
paese così importante. Si trattava di una decisione che metteva in
serio pericolo il pluralismo e la libertà di opinione, valori che
invece vanno difesi con forza dalla nostra categoria. I media
israeliani, inoltre, sono tra i più indipendenti e liberi al mondo e la
necessità della loro presenza nella IFJ è un fatto assolutamente
indiscutibile. Si trattava sul serio di un problema esclusivamente economico? Resta
ancora da capire se vi siano state altre motivazioni alla base della
decisione, il che rappresenterebbe un fatto estremamente grave. Posso
garantire che noi della FNSI ci impegneremo perché venga fatta
chiarezza al più presto. Qualora emergesse qualcosa di torbido saremmo
i primi a farlo sapere. In ogni caso abbiamo fatto presente agli
israeliani che queste quote devono essere pagate, come fanno tutte le
altre federazioni. Quali sono gli effetti degli accordi siglati lunedì scorso a Tel Aviv? Oltre
al reintegro dei giornalisti israeliani, sono state organizzate alcune
attività che vedranno la partecipazione congiunta di IFJ e NFJI. Penso,
ad esempio, a un meeting che si terrà annualmente per monitorare le
relazioni tra i due enti, oppure ad alcuni seminari che si si
svolgeranno in Israele e che affronteranno i temi dell'etica e della
deontologia giornalistica. Senza dimenticare che è intenzione della IFJ
organizzare un meeting preparatorio con la DJV, la federazione tedesca,
per incoraggiare il dialogo tra media israeliani e media palestinesi,
che noi consideriamo una priorità assoluta. Il reintegro della Federazione israeliana ha effetto immediato? Per
il momento è avvenuta quella che viene chiamata “la riconciliazione
delle posizioni”. Per la ratifica ufficiale bisogna aspettare che il
Comitato Esecutivo della IFJ si riunisca a Londra il prossimo
quattordici novembre. In ogni caso si tratta di una procedura formale,
l'accordo è già stato raggiunto negli scorsi giorni.
Adam Smulevich
L’Hapoel Tel Aviv dilaga con il Rapid Vienna, la qualificazione ai sedicesimi è vicina
Ormai
l’avventura europea delle squadre israeliane segue un copione scritto.
In Champions League, puntuale come un orologio svizzero, arriva la
sconfitta del Maccabi. Poche ore dopo, in Europa League, ci pensa
l’Hapoel a vendicare i connazionali con vittorie dal punteggio
altisonante. È già successo tre volte quest’anno e i tifosi dei “rossi”
di Tel Aviv si augurano che questa piacevole consuetudine si ripeta
ancora a lungo. Normale viaggiare sulle ali dell’entusiasmo quando la
tua squadra del cuore si impone con un perentorio tre a zero in
trasferta. Venendo alla partita di ieri, che proietta
inaspettatamente l’Hapoel in testa al girone C (considerato alla
vigilia un raggruppamento di ferro a causa della contemporanea presenza
di Amburgo e Celtic), la superiorità tecnica degli israeliani è parsa
piuttosto evidente, anche se gli austriaci hanno cercato a più riprese
di mettere l’Hapoel in difficoltà. Il risultato, comunque, è rimasto in
bilico solamente per pochi minuti, tredici per l’esattezza, cioè fino a
quando una botta di Yadin da fuori area, deviata da un difensore
avversario, andava ad infilarsi nello specchio della porta. Era la
prima occasione da goal per gli israeliani, che si mostravano come al
solito cinici e spietati. Il Rapid provava a replicare all’acuto di
Yadin e andava vicino al pareggio con un colpo di testa di Jelavic che
andava a sbattere sulla traversa, ma la reazione degli austriaci, nel
complesso, era poca cosa. Situazione simile, nel secondo tempo. Questa
volta all’Hapoel servivano venti minuti per segnare. Il raddoppio
portava la firma di Vermouth, sempre più protagonista di questa
campagna europea. Tanto che, pochi istanti dopo, era un suo bel
passaggio in profondità a lanciare Natcho verso la porta avversaria per
il tre a zero che chiudeva virtualmente il match. Da quel momento in
poi, infatti, il Rapid tirava i remi in barca e l’Hapoel amministrava
il triplice vantaggio senza grossi problemi. Si arrivava così al
novantesimo senza ulteriori emozioni. Gli austriaci abbandonavano il
campo a testa bassa, mentre gli israeliani, venuti a sapere del
pareggio casalingo dell’Amburgo con il Celtic Glasgow, esultavano
assieme ai loro tifosi per la conquista della leadership del gruppo.
Adesso, a due partite dalla fine del girone, per l’ufficialità del
passaggio del turno può bastare un pareggio con gli scozzesi il cinque
dicembre prossimo, anche se il bottino di punti messo finora in
saccoccia dovrebbe essere sufficiente per approdare ai sedicesimi di
finale della competizione. Estremamente improbabile, infatti, che tra
un mese il modesto Rapid Vienna vada a vincere in casa dell’Amburgo. (as)
RAPID VIENNA 0 3 HAPOEL TEL AVIV Yadin (13’), Vermouth (65’), Natcho (70’)
CLASSIFICA GRUPPO C Hapoel Tel Aviv 9 Amburgo 7 Rapid Vienna 4 Celtic 2 |
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Comix - Mark Podwal nel Golem
L’editore Giuntina ha appena annunciato la ristampa de Il Golem
di Elie Wiesel illustrato da Mark Podwal. Non è il primo lavoro che i
due autori hanno realizzato assieme, già nel 1993 avevano
commentato A passover Haggadah.
Podwal è un disegnatore statunitense famoso soprattutto per le
illustrazioni realizzate per il quotidiano New York Times, e senza
dubbio per diversi lavori come l’Haggadah o il Golem
dove l’autore riesce ad arricchire le parole con i suoi disegni. Le sue
opere sono presenti in diversi musei del mondo, fra questi il
Metropolitan e la Libreria del Congresso. Inoltre non va dimenticato il
progetto The Jerusalem Sky Project per il dialogo interculturale. La ristampa de Il Golem
è una occasione per osservare con particolare attenzione il lavoro di
Podwal. I suoi disegni sembrano proiezioni della mente. La copertina
per esempio mostra “un ebreo” (?) salire le scale, ma sono due le
ombre riflesse sugli scalini. La luna è un disco talmente perfetto che
non può che essere un sogno. La notte di Podwal è un insieme di macchie
nere che sembrano segnare e sporcare le case di Praga.
Poi
ci sono quelle illustrazioni che emergono dal mar... dalle pagine del
libro, come le lettere ebraiche, che escono dai libri, dagli orologi.
Le guglie di Praga, gli oggetti rituali ebraici, e il crocifisso
presente dovunque quasi a rappresentare la folla di nemici. C’è un
tocco di delicatezza nella mano di Podwal (nell'immagine a fianco), le
immagini sembrano sempre entrare con umiltà nella pagina del libro,
quasi a non voler togliere il palcoscenico all’autore delle parole.
Eppure è proprio la combinazione tra parola e immagine che disegna una
atmosfera magica, quella magia di Praga di cui spesso si è sentito
parlare. Infine Podwal non rappresenta mai l’uomo, nei pochi casi
in cui vediamo una figura, questa è solo una figura indistinta,
un’ombra, un pensiero, un alito di esistenza nella notte praghese. Dove
il Golem protegge il popolo ebraico.
Andrea Grilli
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Giornata
ricca di notiziole, ovvero di fatti che non si prestano alla prima
pagina dei giornali ma che ci permettono di affrontare una pluralità di
questioni, adottando l’angolo visuale che ci è offerto dai singoli
eventi. Partiamo da qualcosa di apparentemente secondario ma che, nella
sua non occasionalità, è un po’ come quel filo ribelle che fuoriesce
dal tessuto, rivelandone la trama soggiacente. Ci riferiamo al veto
pronunciato in veste ufficiale, attraverso Al Manar, la televisione di
Hezbollah, alla pubblicazione e alla diffusione del Diario di Anna Frank
in Libano. Per inciso, affinché l’informazione sia completa, va detto
che il libro già da tempo è reperibile a Beirut, così come nelle
librerie delle grandi città del paese, sia in lingua inglese che in una
prima, meno accurata versione in arabo. Ragion per cui il tardo
pronunciamento, avverso alla sua riedizione, non collima con una
effettiva capacità di impedirne la distribuzione. Piuttosto si tratta
di un messaggio, il cui contenuto va decodificato, che Hezbollah invia
ai suoi interlocutori mediterranei, ai suoi sostenitori così come alla
collettività libanese. Ne parlano quindi alcuni quotidiani, per la
penna di Anna Mazzone su il Riformista, Alessandro Carlini su Libero e Francesco Battistini per il Corriere della Sera.
Altri, invece tacciono. L’evento, nella sua singolarità, non è neanche
poi così eclatante, inserendosi, piuttosto, in un percorso di
continuità che dovrebbero rivelare - anche ai più “disattenti” - la
vera natura dei pensieri del gruppo estremista, non meno della
subcultura di riferimento, che dice di alimentarsi dell’antisionismo
quando invece è anche organicamente antiebraica. Peraltro, come ben
sappiamo, i due risentimenti sono speculari. Non è la prima volta che
il movimento sciita - il quale, ricordiamo, occupa nutriti scranni
parlamentari ed è forza di governo nelle coalizioni di governo di quel
paese - si esprime con un secco diniego all’ipotesi di offrire nelle
librerie il testo conosciuto in quasi tutto il mondo poiché tradotto in
55 lingue e venduto in 25 milioni di copie. Peraltro, il pronunciamento
avverso fa seguito alla nuova traduzione in arabo e in farsi (la lingua
persiana), nella speranza che un volume che raccoglie le riflessioni,
in chiave quasi del tutto intimista, di una ragazzina costretta a
nascondersi da un mondo di adulti ostili e brutali, possa incontrare i
favori dei lettori dei paesi nei quali si usano quelle lingue.
Hezbollah, per voce di un membro del «Comitato per il boicottaggio dei
beni sionisti in Libano», ha affermato che la diffusione del libro
costituirebbe una «flagrante violazione e una mossa per permettere la
normalizzazione» con Israele. Interessante affermazione poiché si
ammanta di una falsa plausibilità, destinata comunque a trovare
orecchie attente e menti proclivi anche in Europa, dove i segni
incipienti, sia pure sotto traccia, di una rancorosa ostilità verso le
testimonianze ebraiche non vanno ascritti solo al campo del neonazismo
e del negazionismo. Non a caso è proprio il volume della giovanissima
olandese ad avere subito in questi ultimi decenni gli strali più
polemici, anche in altri contesti. Di esso, dichiarato come falso dagli
avversatori di sempre, non si accetta evidentemente la nota di umanità
che accompagna un po’ tutte le pagine. Peraltro, non è un libro sulla
Shoah, non almeno stricto sensu, bensì un vero e proprio diario dello
spirito e di un corpo obbligati a celarsi, in una età, invece, in cui
il bisogno di mettersi in relazione con gli altri si fa particolarmente
pronunciato. Già Bruno Bettelheim ci ammoniva riguardo al «buon uso»
del testo, che non parla dei luoghi di sterminio (ed impropriamente è
riferito ad essi dalla pubblicistica di larga diffusione), bensì di
un’anima prigioniera. La scena, come ben ricorderanno i lettori, è una
sola, l’alloggio segreto ad Amsterdam, rifugio precario per una
famiglia che rischiava di essere travolta dall’occupazione nazista,
come poi purtroppo avvenne per via di una delazione. Risulta quindi
ancora più irritante il tentativo di porre la mordacchia alla scrittura
della vita che è racchiusa in pagine nelle quali l’angoscia si
frammischia alla speranza, il buio alla luce, i colori al grigiore,
l’essere ancora un po’ bambina alla scoperta di divenire donna. E
risulta non meno offensiva l’accusa, in sé una deliberata e paradossale
menzogna, di falsificazione. Secondo questa squallida vulgata il Diario
costituirebbe il risultato di una operazione fatta a tavolino, dagli
“eterni ebrei”, volta a offrire al pubblico mondiale un testo lacrimoso
e seducente, per avvantaggiarsene sul piano della credibilità morale.
Un capitolo, insomma, del complotto giudaico. A chi non sono note le
logiche negazioniste, alle quali l’Iran di Ahmadinejad e Hezbollah si
rifanno a pieno titolo, può sembrare oltremodo curioso lo scagliarsi
contro un libro così che, in fondo, pressoché nulla ci dice di quello
che all’autrice e alla sua famiglia successe dopo la cattura. Ma è
proprio questo il punto su cui i negazionisti di ogni risma battono il
chiodo: devitalizzare l’immagine degli ebrei, relegandoli alla
condizione di umanoidi, dopo averne derubricate le qualità di esseri
umani, per dimostrare che il complotto c’è perché è voluto e portato
avanti da individui eticamente (e anche fisicamente) ripugnanti.
Aggiungiamo, in questo caso non per amore di polemica ma senz’altro per
gusto critico, che Beirut è la capitale mondiale del libro, carica
attribuitagli dall’ineffabile Unesco, per tutto l’anno corrente. In
Libano non hanno libera circolazione molte opere di autori di origine
ebraica o che si rifanno a temi di giudaica: per citare alcuni nomi
sono interdetti al pubblico Philip Roth, Saul Bellow, Isaac Bashevis
Singer ma anche il Thomas Friedman di «Da Beirut a Gerusalemme» e il
William Styron de «La scelta di Sophie». Altro tema, diverso
scenario. Qui, invece, buona parte dei giornali si sbizzarriscono nel
commentare la dichiarazione di Abu Mazen (una promessa o una
minaccia?), a capo dell’Autorità nazionale palestinese che, in
prossimità delle future elezioni presidenziali, convocate insieme a
quelle legislative per il 24 gennaio del 2010, afferma di non avere
intenzione di ricandidarsi. Ne parlano, tra gli altri, Francesco
Battistini su il Corriere della Sera, Barbara Uglietti su Avvenire, Carlo Panella per il Foglio, Aldo Baquis su la Stampa, Roberto Bongiorni su il Sole 24 Ore, ma anche Alberto Stabile su la Repubblica così come il Tempo e il Messaggero.
In realtà non è chiara quale sia l’effettiva volontà del rais di
Ramallah. L’analisi del momento che ha fatto, parlando alla televisione
palestinese nella serata di ieri, è stata impietosa, avendo ad
obiettivo polemico quelle che ha definito come le condizioni che
renderebbero impossibile il prosieguo del suo lavoro, a partire dal
sentimento di «grande frustrazione» per la posizione degli Stati Uniti
riguardo al processo di pace in Medio Oriente. In realtà, per meglio
inquadrare l’evento, al di là della sua singolarità, va tenuto in
considerazione che le amministrazioni politiche e gli organismi di
mobilitazione e militanza palestinesi, tanto più l’Olp e l’Anp,
adottano da sempre una liturgia sovietica, dove il ricorso alla
minaccia di non prendere più parte al gioco ha significati e obiettivi
ben diversi da quelli esplicitati, inviando semmai segnali impliciti e
latenti a più destinatari. Abu Mazen, alias Mahmoud Abbas, che sconta
una scarsissima popolarità tra i suoi connazionali e che paga il prezzo
del mancato accordo tra le organizzazioni islamiste e il Fatah, con la
prospettiva che il turno elettorale del gennaio prossimo si trasformi
da subito in una parentesi di guerra civile, sa di potere utilizzare
una sola carta, quella americana. In altre parole ancora, identificato
a suo tempo come il “moderato” della situazione, l’uomo che secondo
Washington si sarebbe dovuto contrapporre al debordante Yasser Arafat,
è oggi tra i pochi che possano ancora sperare di risultare
sufficientemente credibili nella qualità di interlocutori
dell’Occidente. Ma, come si diceva, gli difetta il seguito interno,
quello che dovrebbe raccogliere tra i palestinesi. Non di meno sa che
la sua figura è minacciata su più piani dal crescente appeal di Salam
Fayyed, il primo ministro dell’Autorità nazionale palestinese che,
svincolatosi dalle diatribe interne ai gruppi politici, sta
conquistando sul campo la fama di leader pragmatico e tecnocratico. Abu
Mazen, ultrasettantenne, appartiene poi alla gerontocrazia locale,
quella che è cresciuta all’ombra del defunto Arafat, ne ha condiviso un
po’ tutte le scelte tra le quali quella di tornare nei Territori a metà
degli anni Novanta. La dottrina ufficiale dell’Olp era un decennio fa
quella dei due stati per due popoli. Adesso, come sottolinea un pepato
Angelo Pezzana su Libero,
l’indirizzo è silenziosamente mutato, essendo stata rilanciata
l’ipotesi di uno stato binazionale, che dovrebbe raccogliere entrambe
le comunità, quella ebraica e la palestinese, sotto la stessa
giurisdizione. Si tratta di una proposta che, giocando anche sulla
previsione di alti tassi demografici in campo arabo, punta a svuotare
dal di dentro Israele, recuperando, sia pure in una forma un poco più
diplomatica, l’obiettivo di distruggere l’«entità sionista», in
consonanza con le posizioni di un altrimenti irriducibile Hamas.
Peraltro, come sagacemente sottolinea Segre su il Giornale,
l’identità nazionale palestinese, in questi frangenti, parrebbe quasi
non esistere, manifestandosi unicamente per opposizione a quella
israeliana. L’ambiguità della leadership di Ramallah, il fatto che
parli due lingue, una più compiacente, rivolta agli uditori dell’ovest
e l’altra più militante e radicale, per soddisfare le attese di chi sta
ad est e a sud del planisfero politico – quindi - è un elemento il cui
riscontro non può più sfuggire a nessuno, men che meno a Barak Obama. Segnaliamo ancora un’analisi di Luigi De Biase, per il Foglio,
sugli orizzonti di una Turchia che sempre più spesso parrebbe
riposizionarsi verso lidi islamistici o, comunque, avversi ai partner
occidentali. Per concludere, infine, si legga la recensione di Gaetano Vallini sull’Osservatore romano
dell’interessante volume di Silvia Selvatici su «Senza casa e senza
paese. Profughi europei nel secondo dopoguerra». Un tema, quello
dell’esilio collettivo, che attraversa la storia del Novecento con
particolare forza e violenza. Claudio Vercelli |
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Onu, rapporto Goldstone approvato: "Israele indaghi" Netanyahu: "I crimini di guerra sono altri" Gerusalemme, 6 nov - “Israele
ha dato prova durante la Operazione Piombo Fuso di un alto livello
morale e anche in futuro intende difendere la popolazione dalla
minaccia dei razzi in possesso dei suoi vicini”, così il ministro degli
Esteri Avigdor Lieberman respinge ancora i risultati del rapporto
Goldstone delle Nazioni Unite. Di ieri la notizia dell'approvazione
dell'Onu, a maggioranza, del Rapporto Goldstone sull'operazione Piombo
fuso a Gaza. Sempre ieri il premier Benyamin Netanyahu aveva affermato
che “l'Onu avrebbe fatto meglio a dedicare la propria attenzione alla
nave Francop'" (intercettata da Israele a largo di Cipro) che
trasportava migliaia di razzi katyuscia probabilmente inviati dall'Iran
agli Hezbollah libanesi. "Quello è un vero crimine di guerra", aveva
esclamato Netanyahu. Nel rapporto Onu le forze armate israeliane sono
accusate di aver compiuto crimini di guerra contro la popolazione
civile palestinese e Israele viene sollecitato a indagare su quegli
episodi per punire i responsabili. Accuse analoghe sono rivolte anche
ai miliziani di Hamas, che hanno sistematicamente puntato i loro razzi
contro la popolazione civile israeliana nel Neghev. Un comunicato del
ministero israeliano degli Esteri afferma che "ogni legame fra il voto
di ieri all'Onu e la realtà dei fatti è accidentale". Secondo il
ministero degli Esteri il numero cospicuo di Stati che hanno votato
contro o si sono astenuti dimostra lo spessore della "maggioranza
morale" nelle Nazioni Unite.
Israele: una nuova scoperta scientifica per la cura dei tumori Tel Aviv, 5 nov - "Abbiamo
trovato il tallone d'Achille delle cellule cancerogene", così Malka
Cohen-Armon, ricercatrice capo parla della nuova scoperta israeliana in
materia oncologica di un gruppo di ricercatori dell'Università di Tel
Aviv e del Centro medico Sheba di Tel Hashomer. E' stata individuata
una sostanza per curare il cancro che sembra essere in grado di
aggredire le cellule malate senza intaccare quelle sane. Il risultato
della ricerca è stato pubblicato su 'Breast Cancer Reasearch',
autorevole rivista scientifica. "Individuato il modo di colpire solo i
tessuti delle cellule cancerogene - spiega la ricercatrice capo - si
può pensare di somministrare al paziente trattamenti molto più
aggressivi di quelli utilizzati finora, perché non c'è il rischio di
effetti collaterali devastanti". Per ora la sostanza - un derivato di
un altro farmaco realizzato una decina di anni fa nell'ambito di
ricerche di tutt'altra natura, riguardanti terapie destinate a pazienti
colpiti da ictus cerebrale - è stata testata su un topo, il prossimo
passo dovrebbe essere la sperimentazione sugli esseri umani. Ma diversi
aspetti del suo funzionamento vanno ancora approfonditi: "Non sappiamo
perché il ritrovato agisca esclusivamente sulle cellule tumorali,
questa scoperta è stata davvero fortuita", ammette Cohen-Armon. |
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L'Unione
delle Comunità Ebraiche Italiane sviluppa mezzi di comunicazione che
incoraggiano la conoscenza e il confronto delle realtà ebraiche. Gli
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indicato il contrario, non possono essere intesi come una presa di
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che li firmano e che si sono rese gratuitamente disponibili. Gli
utenti che fossero interessati a partecipare alla sperimentazione
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Il servizio Notizieflash è realizzato dall'Unione delle Comunità
Ebraiche Italiane in collaborazione con la Comunità Ebraica di Trieste,
in redazione Daniela Gross. Avete
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