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L'Unione informa |
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12 novembre 2009 25 Cheshvan 5770 |
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alef/tav |
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Alfonso Arbib, rabbino capo di Milano |
Il
verbo usato nella Torà per indicare la distruzione di Sodoma è il verbo
rivoltare, ribaltare. Secondo i nostri Maestri viene usato questo verbo
perché Sodoma è una specie di mondo capovolto in cui ciò che è
considerato lecito o meritorio è vietato. A Sodoma, per esempio, è
vietato accogliere ospiti in casa propria, aiutare i poveri. La società
in cui viviamo noi non è certo Sodoma, non è certo vietato fare il bene
ma sembra essere sparita la distinzione tra giusto e sbagliato. Non è
più politically correct parlare di trasgressioni o peccati. Tutto
questo viene presentato come una conquista di libertà ma libertà è
capacità di assumersi una responsabilità e di scegliere tra lecito e
illecito, giusto e sbagliato. Se tutto è permesso (con l'eccezione dei
reati) non si capisce bene che cosa si debba scegliere. La libertà
diventa solo una libertà apparente. |
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Su questa pagina Anna Foa
ha già notato il doppio significato della data del 9 novembre, la notte
dei cristalli e la caduta del muro di Berlino. Vorrei aggiungere una
postilla sull'atteggiamento dei tedeschi nei confronti delle lezioni
della storia. Non credo ci sia oggi una città in Europa dove più di
Berlino il tragico passato venga rammentato in modo altrettanto
esplicito nel tessuto urbano. Il grande Memoriale della Shoah, il cui
impianto architettonico forse non è riuscito gradito a molti, occupa
senza dubbio uno spazio pubblico strategico come in nessun altra città
europea. La storia degli ebrei è divenuta parte integrante del
quotidiano attraverso numerosi altri monumenti, memoriali, musei, punti
di interesse segnalati. E la Shoah non viene derubricata a ingrediente
della retorica dell'antifascismo, come si è cercato di fare altrove, ma
viene mantenuta come fatto degno di memoria in quanto tale. Mentre va
evitato con cautela il rischio di generalizzazioni semplicistiche, e
senza dimenticare che le pubbliche apparenze non sempre rappresentano
la sottostante opinione della gente, è forse possibile dare atto alla
Germania di oggi di avere meglio di altri paesi europei tentato di
darsi conto della propria storia e di avere meno di altri tentato di
nascondere le proprie responsabilità o di attribuirle ad
altri. |
Sergio Della Pergola,
Università Ebraica di Gerusalemme |
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Essere ebrei, chi è che decide
Capita,
di tanto in tanto, di sentire di una vicenda tanto sconvolgente da
sembrare incredibile. Una di queste è apparsa sulle pagine del New York
Times a proposito della Jewish Free School di Londra, obbligata ad
ammettere un ragazzo, la cui madre ha avuto una conversione non
ortodossa, dopo che i genitori avevano presentato un ricorso in un
tribunale. Non entrerò nel merito della continua e amara
divisione che esiste in Gran Bretagna tra ebrei ortodossi e
progressive. È stato un conflitto che ho vissuto di persona e posso
dire di aver lavorato duro per superarlo, attraverso innumerevoli
interventi e pubbliche apparizioni, durante gli undici anni che ho
vissuto in Gran Bretagna. Ancor meno mi occuperò qui delle pressanti
questioni riguardanti lo status di ebreo del convertito, secondo
l'interpretazione dei tre principali movimenti in cui si articola
l'ebraismo contemporaneo. Sono un ebreo appassionatamente
ortodosso e, egualmente, appassionato dell’idea dell'unità ebraica. Le
nostre divisioni devono essere prese in considerazione e superate. Ma
questa scioccante storia inglese evoca qualcosa che è molto più urgente
e riveste eguale importanza per gli ebrei ortodossi e non ortodossi. Quello
che è stupefacente è che la Corte d’appello di Sua Maestà, esprimendosi
contro la scuola, ha dichiarato che l’antica tradizione della comunità
ebraica di stabilire l'identità ebraica attraverso i genitori, sarebbe
basata su principi etnici, e quindi discriminatoria, e quindi illegale.
“Il presupposto secondo il quale un potenziale studente può
essere considerato per l’ammissione solo se sua madre è ebrea, per
nascita o conversione, è un test sull’etnicità che va contro la Race
Relations Act”, ha dichiarato la Corte. Siano le ragioni “benigne o
maligne, teologiche o suprematiste, ciò non rende la situazione più o
meno legale”. In un verdetto incredibile, la Corte ha deciso che se il
ragazzo pratica l’ebraismo, allora è ebreo: basare la decisione della
Commissione delle ammissioni a scuola sull'identità dei suoi genitori
sarebbe un’enfasi illegale sull’etnicità, piuttosto che sulla fede
religiosa. E' facile comprendere subito le implicazioni per gli ebrei
che non sono per nulla osservanti. Si presume che il governo britannico
non li considererebbe ebrei. Ma lasciamo da parte l’incredibile
intromissione della magistratura negli affari di una religione e
mettiamo a fuoco invece il ragionamento della Corte. Abitando in
Inghilterra, diventi automaticamente cittadino inglese se i tuoi
genitori sono inglesi. Anche se non ti comporti come un inglese, o odi
il tuo luogo di nascita, il Regno Unito non può toglierti il
passaporto. Così, se sei un americano residente all’estero, i tuoi
figli automaticamente acquisiscono la cittadinanza americana. Io lo so
benissimo, perché sei dei miei nove figli sono nati in Gran Bretagna e
anche se solo uno dei genitori era americano e, per giunta, la famiglia
si era stabilita in Europa, loro hanno acquisito automaticamente la
cittadinanza statunitense. Anche se non celebraste il 4 di Luglio
o non aveste mai sentito parlare di Abraham Lincoln, in quella
fattispecie voi e i vostri figli sareste americani come George
Washington. Allora, è così difficile per i giudici inglesi
capire che l’appartenenza a un popolo passa attraverso un genitore? Gli
ebrei sono, prima di tutto, un popolo e solo dopo sono una religione.
Noi eravamo i figli di Abramo, Isacco e Giacobbe prima di ricevere la
Torah sul Monte Sinai e iniziare a praticare i principi dell’ebraismo. Essere un popolo viene prima ed è completamente indipendente da qualsiasi affermazione religiosa. Essere
ebrei non è qualcosa che si può perdere e non è qualcosa a cui si può
rinunciare. In questo senso, l'ebraismo è radicalmente diverso dal
cristianesimo, che richiede un cosciente atto di affermazione della
fede. Mentre non possono esserci cristiani atei, di ebrei non
credenti è pieno il mondo. Sono sbalordito dal fatto che un tribunale
inglese lo possa mettere in dubbio. Negli 11 anni trascorsi in Gran
Bretagna, non ho mai sentito nulla di così offensivo. Questa
sentenza costituisce un assalto giuridico alla vera integrità della
religione ebraica così com’è praticata in Gran Bretagna ed è uno
spartiacque nella storia ebraica moderna. E con le recenti storie di
accademici inglesi che cercano di boicottare i loro colleghi israeliani
e la crescita dell’antisemitismo, si rafforzerà ancora di più l’idea
che la Gran Bretagna stia diventando un luogo ostile agli ebrei. Essere un popolo non ci rende un gruppo etnico omogeneo. Ci
sono ebrei di colore ed ebrei bianchi, ebrei europei ed ebrei asiatici.
Convertiti di ogni gruppo etnico possono aggiungersi a noi in ogni
momento. Ma facendo ciò non abbracciano una fede, bensì un popolo. Non
diventano soltanto dei praticanti della fede ebraica, ma una parte
della famiglia ebraica. Un convertito è trasformato da outsider a
fratello o sorella ebrei. Ma il processo deve necessariamente avere
degli standard. Essere un cittadino britannico non è un atto
arbitrario. Ci vogliono circa 10 anni di residenza. Così per mia
moglie, che è australiana, la naturalizzazione americana, ha richiesto
molti anni di residenza e il superamento di un test di cultura generale
americana. Adesso immaginate quanto sarebbe assurdo se gli Usa
chiedessero alla Gran Bretagna di cambiare i requisiti di residenza, o
viceversa, e iniziate a capire l’impudenza dei giudici inglesi nel
cercare di alterare i requisiti d’identità di una fede antica di 3500
anni e precorritrice del Cristianesimo. Fra pochi giorni, la mia
organizzazione This World: The values Network sponsorizzerà la prima
conferenza sui valori ebraici. Ci saranno personalità ebraiche di primo
piano, tra le quali il rav Adin Steinsaltz, il presidente della Yeshiva
University Richard Joel, Alan Dershowitz, Dennis Prager, Michael
Steinhardt, il presidente dell’AIPAC David Victor e Marianne
Williamson. Tra i nostri principali valori religiosi ci sono la
comunità e il popolo. Per millenni, dispersi sulla terra, gli ebrei si
sono sempre aiutati l’uno con l’altro. Puoi arrivare in qualsiasi città
del mondo, e non importa quale sia il tuo livello di osservanza, ma se
sei stato invitato da qualcuno per lo Shabbat ti fanno sentire come a
casa, anche se, fino a un minuto prima, eri un completo estraneo. Alla
luce di questa oltraggiosa sfida legale inglese all’antico principio
del popolo ebraico, avremo una discussione dedicata a spiegare lo
speciale valore ebraico dell’identità e del popolo. Con la speranza di
aiutare gli ebrei inglesi, facendo loro sapere che non sono soli in
questa battaglia fondamentale.
Rav Shmuley Boteach (versione italiana di Rocco Giansante)
Hans Jonas - Il dibattito sui diritti degli stranieri
"In Italia c'è rispetto verso lo straniero"? Domanda Bianca Berlinguer, da un mese direttore del Tg della terza rete Rai. "No", risponde il presidente della Provincia di Roma Nicola Zingaretti,
"la democrazia non si conquista una volta per tutte, ma è
un'acquisizione quotidiana. Dietro alla parola cittadinanza c'è una
sfida che ci accompagna da sempre". Occasione del dibattito, cui hanno
partecipato anche il Presidente dell'Unione delle Comunità Ebraiche
Italiane Renzo Gattegna, Daniela Pompei portavoce della Comunità di Sant'Egidio, Daniele Nahum Presidente uscente dell'Unione giovani ebrei d'Italia, Saul Meghnagi Presidente dell'Istituto superiore per la formazione della CGIL e Tobia Zevi esponente del Pd, la presentazione della nuvoa associazione culturale Hans Jonas,
di cui Meghnagi e Zevi sono rispettivamente direttore scientifico e
presidente (nell'immagine, Gattegna con Meghnagi, Berlinguer e Pompei). Ispirandosi
al nome del filosofo ebreo nato nei primi del '900 in Germania (dove
compì gli studi, e da cui fu costretto ad emigrare, in Inghilterra
prima, nella Palestina del Mandato britannico e in USA), l'associazione
pone alla base del suo programma il concetto "Agisci in modo che le
conseguenze della tua azione siano compatibili con la sopravvivenza
delle generazioni future", il presidente Gattegna ha fatto riferimento
al "principio di responsabilità" contenuto nell'opera del filosofo. In
Italia il 12,7 per cento dei nuovi nati sono figli di immigrati. Il
fenomeno dell'immigrazione è così significativo da sollevare sempre più
pressantemente il problema dei diritti, gli stessi diritti per i quali
gli ebrei hanno sempre combattutto", ha spiegato Meghnagi, precisando
che "l'interrogativo di fondo è sempre stato come questa esperienza
ricca e difficile, possa essere un contributo per tutta la società.
Questo interrogativo è importante soprattutto nell'avvicinarsi dei 150
anni dalla fondazione dello Stato unitario italiano". Sulla stessa
linea la posizione del presidente dell'associazione Tobia Zevi: "Le
scelte politiche - ha aggiunto Tobia Zevi - dovrebbero essere
guidate dal rispetto di una duplice esigenza: la salvaguardia dei
diritti dei cittadini e la tutela delle prerogative dell'immigrato".
l.e.
Hans Jonas - Tobia Zevi: "Prepariamo i leader di domani"
“Una
buona gestione della minoranza ebraica in Italia è una sfida sempre più
difficile, ma necessaria per prevenire il progressivo sfaldamento delle
comunità”, sostiene Tobia Zevi,
ex presidente dell'Unione dei Giovani Ebrei Italiani ed esponente del
Partito Democratico, uno degli ideatori dell'associazione Hans Jonas. “Guardiamo
in particolare alle piccole comunità”, spiega ancora Zevi.
“L'associazione nasce con lo scopo di dare un'adeguata preparazione
alla futura classe dirigente dell'ebraismo italiano. Oggi occorrono
competenze specifiche maggiori rispetto a vent'anni fa”. Per esempio? Non
ci sono persone in grado di occuparsi di fundraising, la ricerca di
finanziamenti, che è a tutti gli effetti una professione. Anche
l'organizzazione di eventi è un settore su cui puntiamo: riteniamo che
iniziative come i festival di cultura ebraica abbiano anche la funzione
di risvegliare la vita comunitaria, di far provare ai più lontani
un'esperienza ebraica, non prettamente religiosa, ma culturale e
aggregativa. Finora cos'è stato fatto? Poco.
All'ultimo congresso UCEI fu approvata all'unanimità una mozione che
riguardava l'esigenza di una formazione seria dei giovani ebrei. È
stato avviato un corso di leadership, ma questo riguardava solamente
aspetti tecnici ed economici, imprescindibili ma non esaurienti. Di qui
l'idea di un'associazione che sostenga un programma di formazione più
completo. Cosa intendi per programma più completo? Quali competenze volete promuovere nei futuri leader ebraici? È
necessaria una preparazione a tutto tondo. Il nostro programma ruoterà
intorno a due cardini: lo sviluppo delle capacità gestionali
pragmatiche, da una parte. Dall'altra la formazione politica e
culturale, requisito indispensabile di un leader. Affronteremo le
grandi questioni ideologiche dell'ebraismo nel mondo contemporaneo, per
esempio i problemi identitari degli ebrei, il calo demografico, il
rapporto tra Israele e la Diaspora. Approfondiremo il significato della
laicità dello Stato, dell'integrazione delle minoranze. A questo
proposito la millenaria esperienza degli ebrei può e deve essere un
contributo alla vita politica e sociale del paese, la nostra ricchezza
portata nel dibattito pubblico rappresenta l'idea di una società
plurale, non è solo un interesse particolare o strumentale. La
nostra ambisce a essere un'attività di ricerca, cosa che a causa dei
forti costi e della scarsa spendibilità politica immediata oggi manca
completamente nell'ebraismo italiano. Questa la più grande lacuna che
vogliamo colmare. Chi e come parteciperà alle vostre attività? Il
nostro corso, gratuito, si terrà a Roma per quattro fine settimana tra
novembre e febbraio. Riprenderà l'anno seguente col secondo livello.
L'insegnamento è tenuto da docenti universitari autorevoli, ebrei e non
ebrei, americani ed europei. Possono partecipare giovani fra i 18 e i
35 anni, e l'auspicio è che siano in molti provenienti dalle piccole
comunità. I posti previsti sono venticinque, ma abbiamo già quasi il
doppio domande. Sarà anche possibile istituire borse di studio
intitolate: le risorse in partenza non sono molte, ogni contributo
volontario degli utenti sarà preziosissimo. Perché “Hans Jonas”? Siamo
particolarmente orgogliosi della scelta del nome. Jonas è stato un
filosofo ebreo tedesco, autore di “Il concetto di Dio dopo Auschwitz”.
Intelligenza lucidissima e lungimirante, fu tra i primi a porre alcune
grandi questioni oggi attuali. Introdusse lui la questione ambientale
nel dibattito filosofico: vinse la miopia della sua epoca. Propose
un'etica della responsabilità, l'esigenza di guardare alle conseguenze
anche più lontane delle proprie azioni. La frase che più mi ha colpito
è la sintesi di tutto il suo pensiero morale. Parafrasando Kant,
comanda: «Agisci in modo che le conseguenze della tua azione siano
compatibili con la sopravvivenza delle generazioni future» .
Manuel Disegni
Qui Torino - Maestro di vita, di libertà, di giornalismo Arrigo Levi parla delle sue tante patrie
Libro
di vita, testimonianza del Novecento, romanzo di formazione, esempio di
giornalismo. “Un Paese non basta” di Arrigo Levi è sicuramente tutto
questo ma è anche un racconto, o come ironicamente l’autore l’ha
definito durante la presentazione del libro alla Fnac di Torino “un
raccontone”. E’ l’intreccio fra la storia di un ebreo modenese e la
Grande storia, quella che si studia sui libri, quella che Levi ha
vissuto in prima persona. Non è solo un’autobiografia, ma è lo spunto
per una moltitudine di riflessioni sulla realtà. La varietà di strade
tracciate da “Un Paese non basta” si comprende dalle diverse
interpretazioni che il lettore può darne. Il professor Luigi Bonanate,
docente della Facoltà di scienze politiche di Torino, ha sottolineato
il cosmopolitismo di Levi e criticato il pericolo del nazionalismo
esclusivo; quello che, in nome di una presunta origine culturale
omogenea, vuole assorbire le diversità e, quando ciò non è possibile,
segregarle. Non esiste la purezza italiana, “l’Italia è un crogiolo di
culture, un melting pot - sostiene il professore e aggiunge - come
spiega Arrigo, ebrei, veneti, napoletani, fiorentini, tutti sono
diventati italiani nello stesso momento”. Sulla problematicità del rapporto fra fascismo ed ebrei si sofferma lo storico Alberto Cavaglion.
“E’ un illusione - dice lo studioso - pensare che gli ebrei si siano
accorti del fascismo solo nel 1938 ” e cita il racconto di Levi
sull’aggressione subita da Pio Donati, avvocato di origine ebraica,
dalle squadracce fasciste, guidate Duilio Sinigaglia, anch’egli ebreo. “Levi ci ricorda con forza e decisione - sostiene il giornalista de La Stampa Mimmo Candito
- che non è possibile mettere sullo stesso piano partigiani e fascisti
come qualcuno ha cercato di fare. Non è possibile dire: erano tutti
colpevoli o tutti innocenti”. D’accordo con Candito e Levi, un’altra
firma importante del giornalismo italiano, Andrea Casalegno:
“Tra giusti e ingiusti ci si divide. Non si può mettere sullo stesso
piano chi combatte per difendere la democrazia con chi la attacca.
Arrigo, forse anche grazie al fatto che nella cultura ebraica non vi è
spazio per il perdonismo, delinea in modo marcato il confine fra queste
due categorie”. Non è mai giustificata l’offesa dell’identità altrui e
a proposito viene ricordata la frase del padre di Levi, Enzo:
“Sacrificherò il mio interesse se in questo modo eviterò di fare del
male agli altri”. Al termine degli interventi degli amici e
colleghi, Levi sorride e rassicura ironicamente il pubblico torinese:
“Non sapevo di aver scritto un trattato di filosofia. Hanno reso questo
libro quasi illeggibile, in realtà è molto scorrevole e facile”, poi
aggiunge “Ovviamente sto scherzando, mi riconosco in tutto ciò che è
stato detto fin’ora”. Poi una riflessione sul titolo: “Un paese non
basta a nessuno, nemmeno a voi. Viviamo nella globalizzazione, termine
cupo e quasi spaventoso; viviamo in un mondo globale, in un grande
gioco in cui io dipendo da te e tu da me”. Sicuramente al grande
giornalista un paese non è bastato, ha vissuto in Argentina, in
Inghilterra, in Israele, in Russia e “tutti questi posti, che ho amato,
sarebbero potuti essere la mia patria. Ogni paese può diventare patria”
spiega Levi. Lui però una definizione di sé la dà, sottintendendo quale
patria ha scelto: “Sono ebreo, modenese, italiano”. Un’identità chiara,
forte, consolidata con il tempo e lungo percorsi diversi. "Un
uomo percorre tutte le strade del mondo per trovare ciò che gli serve”,
scriveva il filoso inglese George Edward Moore. Levi ha percorso
un’infinità di strade reali e concettuali e con il suo libro ci
permette di accompagnarlo lungo quest’avventura durata una vita. Dai
luoghi, dalle parole, dai ricordi di questo racconto prendiamo,
consciamente o meno, ciò che ci serve.
Daniel Reichel
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"Il racconto simbolico non si presta a strumentalizzazioni"
Leggeremo questo
Shabbat la storia del matrimonio di Izchaq con Rivka. Secondo il
midrash, Rivka, la matriarca Rebecca, sarebbe nata nel giorno del
mancato sacrificio di Isacco, suo futuro marito. Un po' come dire che
proprio nel momento in cui tutto sembra finito si aprono le speranze
per il futuro. Facendo i conti emergono però delle difficoltà. Izchaq
nasce quando Sara sua madre ha 90 anni. La madre muore a 127 anni,
quando Izchaq ha 37 anni. Tre anni dopo si sposa. Quanti anni aveva
quando ci fu il mancato sacrificio? Una tradizione prevalente insiste
nel collegare il momento del sacrificio con la morte di Sara, che non
avrebbe resistito all'emozione della notizia. Ma se Rivka nasce quel
giorno, vuol dire che Izchaq la sposa quando ha tre anni! Vi sono
ovviamente opinioni differenti; il Gaon di Vilna sostiene che Izchaq
aveva al momento del sacrificio 27 anni, per cui Rivka si sposa da
ragazzina, a 13 anni. Matrimonio precoce per i costumi di oggi, non per
quelli dell'antichità. Sempre meglio comunque di una sposa di tre anni
(ma almeno Izchaq non era poligamo). Il fatto è che è molto arduo
applicare mentalità e razionalità attuali a racconti, con ampi risvolti
simbolici, di età remote. Se lo si fa a scopi di politica, come è
successo pochi giorni fa, i risultati sono disastrosi.
Rav Riccardo Di Segni, rabbino capo di Roma
Risiko
La
prima mossa di D’Alema in qualità di ministro degli Esteri d’Europa
sarà di rendersi conto che la sua elezione non è avvenuta.
Il Tizio della Sera
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In
un’Italia con la tendenza a evitare che il ricordo impresso nella
memoria a breve termine sia trasferito nella memoria storica del Paese,
fa piacere ogni tanto sapere che c’è una coscienza critica intenzionata
a mettere dei paletti. Così, per una volta, potrebbe essere utile
iniziare la nostra lettura dal Foglio dell’approfondimento italiano, piuttosto che dalle notizie vere e proprie. Sul
giornale diretto da Giuliano Ferrara, Giulio Meotti ci parla di una
Beirut che si fregia, quest’anno, del titolo di “Capitale mondiale del
libro”. Una sorta di simbolico epicentro della scrittura e del diritto
a poter scrivere, dove però il Libro di Anne Frank non può essere
stampato in arabo. In Libano, del resto, è bandito tutto ciò che parla
di ebrei e di Israele - spiega l’autore dell’articolo -, grazie allo
sforzo di un governo composto principalmente dai ministri di Hezbollah,
l’organizzazione che per Giulio Meotti è “terroristica” e che ha
lavorato per impedire la lettura nelle scuole di tutta la nazione,
della storia della bimba olandese rimasta vittima del nazismo. Intanto
si stringe sempre più il cerchio del totonomine europeo sulla scelta
del futuro ministero degli Esteri e della Presidenza dell’Unione
europea. L’Italia e l’Inghilterra trattano per spartirsi le due
poltrone. Roma punta sulla carica di Mr Pesc, Londra alla nomina più
prestigiosa. In pole position per gli Esteri, ma bisognerà aspettare
almeno il 19 novembre per tirare le somme, c’è l’ex rappresentante
della Farnesina, Massimo D’Alema. Un nome appoggiato trasversalmente
dalla politica italiana (anche se il Corriere parla di “dubbi” tra le donne del Pdl) e da ieri, come spiega Repubblica,
anche dagli eurosocialisti. Israele, ricordando il passato di Baffino
nel Governo Prodi, non sembra invece felice della candidatura. Tutto
accade mentre nella Palestina “islamica” si celebra l’anniversario
della morte di Arafat. Il processo di pace fa fatica a ripartire, ma
Abu Mazen, dopo che nei giorni scorsi aveva minacciato di non
candidarsi alle prossime elezioni, è di nuovo sceso in campo chiedendo
a Israele e alla Comunità internazionale uno Stato con futuri certi (Il Giornale). Infine, per l’Italia che prova a ricordare, Avvenire
propone un interessante articolo sul dibattito su Papa Pio XII.
Fabrizio Rizzi parla della “lettera fantasma”, dell’enciclica mai
scritta contro il razzismo, dei silenzi di Pacelli e della
presunta corrispondenza con Hitler. Buona lettura. Fabio Perugia |
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Netanyahu: “Sì alla ripresa dei negoziati con la Siria, no al ritiro dalle alture del Golan” Gerusalemme, 12 nov - "Abbiamo
accettato il principio del ritiro dalle alture del Golan; discutiamone
i dettagli", questo il messaggio attribuito al premier israeliano
Benyamin Netanyahu, che sarebbe stato lanciato in occasione del suo
incontro a Parigi con Nicolas Sarkozy e rivolto al presidente siriano
Bashar Assad. Immediata la smentita da parte degli uffici del premier.
La notizia era stata resa pubblica dalla rete TV satellitare araba Al
Arabiya. Il presidente Sarkozy, che ieri ha ricevuto a colloquio
Netanyahu, si accinge ora a ricevere anche il presidente Assad. Nel
comunicato diffuso dall'ufficio del premier Netanyahu si afferma che
"la notizia su Al Arabiya non ha nulla a che fare con la realtà. Nulla
di quanto riferito si è verificato". Il segretario del governo
israeliano Zvi Hauser ha d'altra parte affermato alla radio pubblica
israeliana che "il premier ha detto di essere disposto all'immediata
apertura di negoziati ovunque e in qualunque momento, a patto però che
non vi siano condizioni preliminari né da Israele né dalla Siria". |
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L'Unione
delle Comunità Ebraiche Italiane sviluppa mezzi di comunicazione che
incoraggiano la conoscenza e il confronto delle realtà ebraiche. Gli
articoli e i commenti pubblicati, a meno che non sia espressamente
indicato il contrario, non possono essere intesi come una presa di
posizione ufficiale, ma solo come la autonoma espressione delle persone
che li firmano e che si sono rese gratuitamente disponibili. Gli
utenti che fossero interessati a partecipare alla sperimentazione
offrendo un proprio contributo, possono rivolgersi all'indirizzo desk@ucei.it per concordare le modalità di intervento.
Il servizio Notizieflash è realizzato dall'Unione delle Comunità
Ebraiche Italiane in collaborazione con la Comunità Ebraica di Trieste,
in redazione Daniela Gross. Avete
ricevuto questo messaggio perché avete trasmesso a Ucei
l'autorizzazione a comunicare con voi. Se non desiderate ricevere
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