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L'Unione informa |
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19 novembre 2009 - 2 Kislev 5770 |
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alef/tav |
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Alfonso Arbib, rabbino capo di Milano |
Nella parashà di Chayè Sarà è scritto che Dio benedì Avraham "in tutto" - bakòl. Rashì dice che la parola bakòl
ha lo stesso valore numerico della parola ben - figlio. E' uno strano
commento questo, il significato del verso sembra essere assolutamente
evidente. Avrahàm ha ricevuto da Dio benedizioni materiali e spirituali
di vario tipo e quindi è stato benedetto "in tutto". Che senso ha
andare a cercare nel valore numerico della parola il riferimento al
figlio? Forse quello che vuole comunicare Rashì è il fatto che tutte
quelle benedizioni materiali e spirituali avrebbero perso significato
se non fossero state trasmesse alle generazioni successive, Insomma
secondo Rashì il problema che si pone in questo verso è quello della
continuità ebraica. |
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In
mezzo a quell'accozzaglia di regimi dittatoriali e calpestatori dei
diritti umani che hanno votato a favore della mozione dell'ONU sul
rapporto Goldstone – un documento mal concepito e squilibrato nelle sue
accuse nei confronti di Israele – spiccano, o forse stonano, tre paesi
democratici, tutti e tre confinanti con l'Italia che, ricordiamolo, ha
invece correttamente e onestamente votato contro. Il primo Paese è la
Svizzera. Nel prendere una posizione decisamente unilaterale a
differenza della maggioranza dei Paesi dell'Unione Europea che si sono
prudentemente astenuti, la Confederazione sembra essersi dimenticata
della sua storica tradizione di neutralità e affidabilità
internazionale nel campo dei diritti umani, della mediazione politica e
del fiduciariato economico. Privata della sua ben nota unicità
internazionale, la Svizzera diventerebbe un piccolo bel paese in cui,
essenzialmente, si può andare a sciare. Esattamente come nel secondo
paese, la Slovenia. Col suo voto, l'ex-repubblica jugoslava sembra
essersi dimenticata di essere uno degli stati successori maggiormente
coinvolti nella rude appropriazione di terre e città con una forte
presenza demografica e culturale italiana, attuata da Tito nel
dopoguerra con ben scarsa considerazione o memoria delle centinaia di
migliaia di profughi giuliani e dalmati che se ne dovettero andare
senza ricevere alcun indennizzo. E infine c'è San Marino, altra bella
località turistica, uno stato che evidentemente ha una politica estera
antitetica rispetto a quella dell'Italia. Ruggiti di topolino, si
potrebbe dire rammentando un vecchio film. Ma può darsi che le ragioni
del voto di questi tre Paesi vicini siano più serie e riconducibili
alla dilagante cupidigia nei confronti del denaro petroislamico, e al
servilismo politico che ne deriva.
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Sergio Della Pergola,
Università Ebraica di Gerusalemme |
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Yuri Foreman: pugni e Torah
Di Yuri Foreman
vi avevamo già parlato. Sulla sua doppia veste di studente di yeshiva e
di pugile professionista, Anna Momigliano si era già soffermata nel
primo numero di Pagine Ebraiche. Una storia incredibile, che negli
ultimi giorni è stata raccontata anche dai principali media
internazionali, inclusi Corriere della Sera, Repubblica e Gazzetta
dello Sport. Vi avevamo lasciato che Yuri era un aspirante campione del
mondo, adesso ad ambire al titolo dovrà essere qualcun altro, visto che
da sabato scorso è il nuovo re della categoria super welterweight della
World Boxing Association. Il primo israeliano in assoluto a riuscire
nell’impresa. Nella MGM Gran Garden Arena di Las Vegas, davanti a
quindicimila spettatori, Foreman si è sbarazzato del rivale, il
portoricano Daniel Santos, con verdetto unanime (116-110, 117-109 e
117-109) dei giudici. “Sono molto fiero di quello che ho fatto, per
Israele e per Brooklyn, e sono orgoglioso di aver dimostrato che gli
ebrei possono combattere”, ha gridato trionfante rivolto ai cronisti
che si contendevano un’intervista con il neocampione, coperto da capo a
piedi da una bandiera con la stella di David. La storia di Yuri,
infatti, è degna di un film. Dall’infanzia poverissima in un villaggio
della Bielorussia all’Aliyah nei primi anni Novanta, fino al viaggio
con destinazione New York, città dove vive da quasi dieci anni. Un
continuo peregrinare alla ricerca della consacrazione sul ring e della
spiritualità più profonda. Nella Grande Mela, infatti, studia per
diventare rabbino. Pochi giorni fa è riuscito a raggiungere uno dei
suoi due obiettivi, per il secondo ci sarà ancora da aspettare.
Adam Smulevich
Yuri Foreman: campione del mondo e futuro rabbino
Il
pugilato è uno sport per immigrati, per uomini duri che devono sbarcare
il lunario. Per questo era lo sport degli ebrei americani. Prima della
Seconda Guerra Mondiale, c’era un bel gruppo di grandi boxeurs ebrei,
come Benny Leonard, Barney Ross e Maxie Rosenbloom. Ai giorni nostri,
gli ebrei della Boxe sono generalmente i manager. Tuttavia, siamo
testimoni di un piccolo rinascimento. Pensiamo soltanto al moldavo ora
americano Roman Greenberg e a Dimitry Salita, nato in Ucraina, che
combatterà per il titolo welterweight contro il britannico Amir Khan il
5 Dicembre. E c’è l’amico di Salita, Yuri Foreman, israeliano nato in
Bielorussia e futuro rabbino che, nella notte di sabato scorso a Las
Vegas, ha battuto Daniel Santos vincendo il titolo super welterweight
della World Boxing Association. L’incontro si è rivelato una
grande opportunità per Foreman. Il match Foreman-Santos, infatti, ha
preceduto il più grande evento pugilistico a pagamento dell’anno, Manny
Pacquaio contro Miguel Cotto. In palio il WBO welterweight. La
vittoria di Foreman può diventare un’occasione per far salire le sue
quotazioni e, forse, anche per cambiare la percezione che alcune
persone hanno di lui. Foreman riceve l’attenzione della stampa più
per i suoi studi rabbinici che per le sue imprese sul ring. Anche se è
imbattuto da 28 incontri gli addetti lo considerano noioso da vedere,
perché generalmente vince ai punti piuttosto che con un bel KO. Nella
settimana precedente all’evento, i siti di box sul web erano pieni di
triti commenti su quanto noioso sarebbe stato l’incontro
Foreman-Santos. Io, invece, ho sempre pensato che sarebbe stato un bel
match. Mi chiedevo come un tattico, Foreman, si sarebbe comportato con
Santos, un mancino che sa picchiare. La mia idea era che Foreman
avrebbe potuto gestire Santos, che era più vecchio e non aveva
combattuto da un anno. Naturalmente, Foreman-Santos non era
l’incontro che orde di tifosi avevano invaso Las Vegas per vedere.
Così, quella notte, mi sono sentito un po’ solo mentre mi incamminavo
verso la MGM Gran Garden Arena. E non perché tutti, lungo la via, erano
ubriachi, tranne me. Spingendomi attraverso la folla, vedevo dozzine di
bandiere Filippine (per Pacquaio) e Portoricane (per Cotto). Era lo
stesso lungo i corridoi labirintici dell’MGM Grand Hotel e del casinò:
tifosi di Pacquaio e Cotto erano raggruppati all’entrata dell’arena,
sventolando le loro bandiere e inneggiando ai loro eroi. L’entusiasmo
era dilagante, e il mio orgoglio ebraico mi faceva immaginare che
quell’entusiasmo fosse per Foreman. Dentro l’arena, gli unici
ebrei visibili erano i sempre presenti gran signori della boxe e un
paio di ragazzi che lavoravano per le pubbliche relazioni. Non c’era
neanche un giornalista di Haaretz, cosa che sorprende considerato il
seguito che Foreman ha in Israele. Forse ci sarebbe stata qualche
presenza ebraica in più se l’incontro fosse avvenuto sulla East Coast.
O se Foreman avesse picchiato di più. È intrigante che tra
gli appassionati di boxe l’ebraismo di Foreman non sia un argomento
d’interesse. I suoi tifosi lo amano per la sua tecnica mentre i suoi
detrattori trovano quella tecnica noiosa. Lui è un pugile, non un
combattente, e nessuna formazione rabbinica renderà questo fatto più
interessante per un tifoso che vuole vedere qualcuno stendere al
tappeto il suo avversario. Secondo uno degli uomini della
sicurezza erano più di 15000 i biglietti venduti, ma quasi la metà dei
posti era vuota quando Foreman ha fatto il suo ingresso, anche se nella
zona stampa c’erano abbastanza giornalisti. Molti, però, non sembravano
tali, come il trio di spagnoli vicino a me. Per prima cosa erano
vestiti troppo bene; secondo, non stavano prendendo note, a meno che, i
messaggi che stavano scrivendo ai loro amici non fossero in verità
indirizzati alla redazione sportiva de El Paìs. Forse erano dei
marranos. Gli attimi prima dell’incontro possono rivelarsi strani. Foreman
e il suo entourage entrano nell’arena con, in sottofondo, una canzone
molto heavy metal accompagnata dal suono dello shofar. A questa segue
una salsa superveloce per l’entrata di Santos e i suoi. Entrambi i
gruppi sfilano intorno al ring: mentre Foreman scioglie un accappatoio
bianco, Santos ha un mantello a collo alto con un cappuccio a punta. Una
gigantesca bandiera israeliana viene sventolata ma gli spettatori
rispondono con indifferenza; una più piccola bandiera portoricana
appare e i tifosi di Cotto esultano. L’intera faccenda mi rende
impaziente. Finalmente il presentatore, il veterano Michael Buffer,
urla i nomi dei due pugili, il ring è liberato e l’incontro può
iniziare. Per gran parte del primo round entrambi i boxeurs si
mostrano cauti, specialmente Foreman, che gira in senso orario,
tenendosi a distanza dal sinistro pericoloso di Santos. Hanno lo stesso
peso, ma Foreman sembra più snello e veloce. Santos riesce a tirare un
paio di sinistri prima del suono della campana. Ma nel secondo round è
più lento, inconsistente (“Que pasa, Santos?” grida qualcuno). Poi
Foreman colpisce Santos con un gancio sulla testa. Lui si rialza
ma il colpo mette Foreman in buona posizione. Si scambiano colpi a
vicenda: spesso Foreman avanza per colpire e tornare subito indietro,
ogni volta che Santos glielo permette. Nei primi cinque round,
Foreman è in vantaggio ai punti. Un match dove combatte meglio
dell’avversario, con l’eccezione del terzo round, quando Santos
colpisce Foreman sulla faccia con un diretto. Me l’ero perso perché
avevo davanti la schiena tatuata di Santos. Ho visto solamente Foreman
barcollare, come se fosse inciampato sulla strada e poi avesse
riacquistato l’equilibrio. Ecco la differenza tra vedere un
incontro in TV e vederne uno dal vivo: essere lì vuol dire essere
pronti a perdersi qualcosa. Ma anche a fare certe considerazioni. Le
facce dei pugili diventano sempre più piatte, round dopo round; senti
il colpo del guanto sulla pelle; Foreman ha un grosso taglio sopra
l’occhio sinistro e il sangue scende copioso. Come sempre è tutto
spaventoso ed eccitante allo stesso tempo. Foreman è ferito per
primo ma io provo pietà per Santos. Negli intervalli tra i round la sua
faccia sul maxi schermo sembra quella di un uomo che ha perduto il
cane, specialmente dopo essere andato sotto di nuovo nel sesto round.
Apparentemente è scivolato. Ma è messo giù di nuovo nel settimo. E
ancora mi perdo il colpo, perché uno degli spagnoli si mette davanti a
me. Non sono sicuro che abbia capito come l’ho apostrofato ma di sicuro
ha compreso il messaggio ed è stato lontano da me per tutto il resto
dell’incontro. L’ultima azione di Santos arriva nel nono round,
tre colpi rapidi e impressionanti. Il decimo e l’undicesimo sono tutti
di Foreman. Il suo destro, le combinazioni e le gambe continuano a
muoversi veloci. Nel dodicesimo entrambe le facce sono sanguinanti: ai
colpi seguono i clinch e poi di nuovo i colpi, mentre una mezza dozzina
di persone in coro cantano “Yuri, Yuri, Yuri”. Quindi, forse c’erano
degli ebrei tra il pubblico! Un sinistro di Foreman stende Santos
per l’ultima volta: la campana suona e Foreman si arrampica sulle
corde, il pugno alzato, e il ring pieno della solita mischia del dopo -
incontro. Sventola una bandiera israeliana e Buffer annuncia che il
verdetto è unanimemente a favore di Foreman, il primo israeliano
campione del mondo. Adesso sento un ruggito dalla folla, o forse viene
solo da me, che grido e mando via gli ultimi rimasugli di obbiettività
giornalistica.
Gordon Haber, The Forward (versione italiana di Rocco Giansante)
Qui Roma - Il lavoro dello sportello antiusura un aiuto concreto contro il silenzio e l'omertà
Un
incontro. Un confronto per fare il punto della situazione sulla
terribile piaga dell'usura e sulla lotta che il Comune di Roma ha
intrapreso attraverso la creazione di cinque sportelli di prevenzione e
di ascolto di cui l'ultimo, nato nel 2006 ma operativo da circa 18
mesi, nel centro storico in una sede della Comunità Ebraica di Roma, è
gestito dall'Associazione DROR Onlus nell'ambito di una collaborazione
fra Comune di Roma e Comunità Ebraica. A parlarne saranno questa sera
alle 19 al Palazzo della Cultura, in via del Portico d'Ottavia,
l'onorevole Alfredo Mantovano, sottosegretario all'interno con delega alla lotta al racket e all'usura, Tano Grasso
il commerciante siciliano da anni impegnato sul fronte della lotta
all'usura e presidente onorario della Federazione associazioni
antiracket e antiusura italiane, Francesco Lucchino
presidente dell'Associazione Agisa, un'associazione non lucrativa di
utilità sociale impegnata nel contrasto all’usura e nella prevenzione
dell’indebitamento e Giosuè Marino, commissario antiracket e antiusura. Introdurrà la serata il presidente della Comunità Ebraica di Roma, Riccardo Pacifici. "La parola chiave è prevenzione, - spiega Fabio Calderoni,
presidente dell'associazione DROR - lo spirito che anima l'attività
dello sportello è soprattutto di aiutare famiglie e piccole imprese
nella gestione dei debiti contratti in momenti di difficoltà.
Contemporaneamente ci occupiamo anche di casi di vera e propria usura
prestando il nostro supporto attraverso una rete di professionisti,
avvocati, commercialisti, bancari ed anche psicologi tutti volontari". Calderoni
non nasconde tuttavia la propria preoccupazione per il crescente numero
di persone che si rivolgono allo sportello "Quando è iniziata la nostra
attività lo sportello si trovava a gestire 3-4 nuovi casi al mese. Al
momento attuale abbiamo una media di 10 nuovi casi al mese, per questo
faccio un appello affinché altri professionisti che sono in grado di
farlo, diano la propria disponibilità a coadiuvarci in questo
importante lavoro".
(DROR : antiusura@romaebraica.it, telefono 06 6876816)
l.e.
Qui Milano - Noi e gli altri, una sfida
Non
criticate, non condannate, non recriminate. Interessatevi sinceramente
agli altri. Ricordate che per una persona di qualsiasi lingua, il suo
nome è il suono più dolce e più importante che esista. Siate buoni
ascoltatori. Incoraggiate gli altri a parlare di se stessi. Fate
sentire importanti gli altri – e fatelo sinceramente. Sorridete. Questi
sono alcuni dei principi su cui si basa “Come trattare gli altri e
farseli amici” opera di maggior successo dello scrittore americano Dale Carnegie (1888 – 1957). Quando qualche mese fa Miriam Hason
ricevette questo libro in regalo da un’amica, ne rimase colpita,
colpita da quanto le idee illustrate per costruire un rapporto duraturo
con il prossimo fossero semplici, e allo stesso tempo fondamentali.
Tanto più nel contesto di un gruppo ristretto, dove i rapporti tra i
componenti risultano essenziali per il benessere di tutti, come è la
Comunità Ebraica di Milano. “Dopo aver letto il libro, ho provato
il desiderio di condividerne il contenuto con il maggior numero di
persone possibili - ricorda la signora Hason – Così ho deciso di
regalarlo a Rav Roberto Colombo e insieme a settembre abbiamo organizzato una serata per discuterne, che ha suscitato un grande interesse”. Durante
la conferenza, Rav Colombo ha messo in luce il legame tra i
suggerimenti di Dale Carnegie per rapportarsi agli altri e il pensiero
ebraico, concentrandosi sull’atteggiamento polemico insito nella natura
dell’uomo e sulla necessità di evitare giudizi e critiche nei confronti
delle opinioni altrui, ma piuttosto di sforzarsi per comprenderne il
punto di vista, anche quando non lo condividiamo. “Dato il
successo della conferenza che ha trattato la prima parte del libro, ho
pensato di continuare il discorso con un altro relatore che, dopo
averlo letto, ha dimostrato altrettanto entusiasmo – continua la
signora Hason – il rabbino capo di Roma Riccardo Di Segni”. Rav Di Segni sarà questa sera, giovedì 19 novembre, al Noam alle 20.30 per proseguire una riflessione sull’argomento. “Spero
che stasera partecipi il maggior numero di persone possibili,
soprattutto giovani e membri delle diverse anime della nostra comunità,
perché penso che sia un’occasione importante per riunirci e parlare di
qualcosa che dovrebbe essere interessante per tutti” conclude Miriam
Hason.
Rossella Tercatin
Qui Roma - "La mia famiglia" al Kolno'a Festival
“Il
nostro orgoglio risiede nell'aver contribuito a migliorare un aspetto
culturale della città di Roma e non solo, portando il cinema d'autore e
di intrattenimento israeliano a Roma, grazie a film presentati
rigorosamente in lingua originale sottotitolati”. Così la giornalista Ariela Piattelli e il critico cinematografico italo-israeliano Dan Muggia,
direttori del Pitigliani Kolno’a Festival, la rassegna di cinema
ebraico e israeliano giunta quest'anno alla settima edizione e tenutasi
nel verde di Villa Borghese presso le due sale della Casa del Cinema.
In cinque giorni di festival, più di tremila spettatori, 35 proiezioni
pomeridiane e serali, 4 sezioni “tematiche” non competitive, 8 ospiti
israeliani tra registi e attori. “Un vero successo – sottolineano i
direttori – frutto del lavoro di un anno, di viaggi in Israele e
attraverso i festival internazionali alla ricerca dei migliori film,
documentari, cortometraggi del cinema israeliano. Cinema che sempre
più, anche grazie alla manifestazione che propone il Pitigliani, si fa conoscere al pubblico di tutto il mondo”. Tra
i tanti film proiettati, “La mia famiglia”, che nella sua semplicità
indica una delle tante possibili strade attraverso le quali è possibile
trasmettere alle future generazioni la memoria delle proprie radici. Ed
è proprio dalle radici intese in senso metaforico che fisico che
partono le prime immagini. Ai romani, specialmente ai non più
giovani, questo film parlerà in modo particolare. I protagonisti, sono
una famiglia molto conosciuta nella comunità, almeno fino al momento
della loro alya. Un intenso ed emblematico percorso fisico e
psicologico che attraverso diverse tappe fornisce gli elementi per la
comprensione di una delle tante storie di ebrei italiani. La famiglia Portaleone-Tedeschi
ci conduce per mano nelle piccole intrecciandosi nella Storia: dalla
assimilazione post-emancipazione, continuando per le leggi razziste del
1938, le fughe dai nazisti negli anni 1943-44, fino alla liberazione di
Roma nel 1944. Un film che –si sente- nasce con l’intento di far
conoscere ai nipoti, specialmente a quelli del ramo israeliano della
famiglia, ricordi, vicende, piccoli e grandi avvenimenti che hanno
costituito il terreno in cui è germogliata, cresciuta e si è sviluppata
la identità dei nonni. Una bella storia, in particolare per tutti
coloro che sono stati – loro malgrado - privati dei ricordi di
famiglia. Ma, questa davvero, è un’altra storia.
Sira Fatucci
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pilpul |
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Questioni di fiuto, fra sacro e profano
Tra le curiosità di questa settimana c'è stata la pubblicazione
dei diari di Claretta Petacci di cui i giornali hanno riportato dei
brani sulle ossessioni antisemite e le pulsioni sessuali di Mussolini.
I due vizietti si associavano con strani risultati; ci fu una volta in
cui l'aspirante Duce fece tilt ma scaricò la colpa sulla sua amante
ebrea: "Non potevo per l'odore terribile che hanno addosso. Forse
dipende dall'alimentazione". Anche ammettendo per assurdo la logica
mussoliniana, chissà se la Margherita Sarfatti, non molto selettiva a
letto, fosse invece così rigorosa nella kasherut a tavola. Le stranezze
di questo racconto si accentuano per contrasto con la coincidenza della
parashà di questo Shabbat, dove c'è una speciale attenzione al tema
dell'odore e del profumo. Per assumere le sembianza del fratello Esav e
carpire la benedizione paterna, Yaaqov si veste con le pelli di una
capra. Il padre cieco le annusa e dice "il profumo di mio figlio è come
quello del campo benedetto dal Signore". Ora,se c'è qualcosa che manda
cattivo odore, è proprio la pelle di capra. Di qui tutta una serie di
interpretazioni simboliche in cui la tradizione allarga le prospettive
e sottolinea le allusioni sacre del racconto. C'è odore e odore, e c'è
modo e modo per valutarlo. Benedetto Colui che separa tra sacro e
profano.
Riccardo Di Segni, rabbino capo di Roma
Un’era nuova
Adesso
che la moglie di Ahmadinejad si è finalmente scagliata contro
l'attitudine mercantilistica dello sfruttamento delle risorse, la
strada è aperta. Tra i primi interventi attesi per l’inizio di un mondo
nuovo, quello della professoressa Enrica Maria Nasellone, la celebre
storica pronipote di Pinocchio. Secondo un approfondito studio della
professoressa collodiana, Abramo si chiamava Alberto Maria Zucca e
abitava ad Altopascio.
Il Tizio della Sera
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rassegna stampa |
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L’Islam avrà un partito politico anche in Italia. Sulle pagine di Libero
Andrea Morigi racconta la svolta dell’Ucoii. Come è avvenuto in altri
Paesi d’Europa, anche nelle schede elettorali della Penisola troveremo
il simbolo della Mezzaluna da barrare, probabilmente già dalle prossime
elezioni politiche. Intanto, dopo le analisi di Giulio Meotti dei
giorni scorsi sul Foglio,
compare un editoriale non firmato, ma attribuibile al direttore
Giuliano Ferrara, sulla questione partito islamico in Spagna. Secondo
l’intellettuale in un continente destinato a diventare per un quinto
maomettano, per ora si contano più insuccessi che successi. Il filone del commento alla rassegna può proseguire sulle pagine di Italia Oggi,
che ci racconta quanto il nazismo ha tentato di svuotare il
cristianesimo. Una mostra a Colonia espone oggetti, testi e ornamenti
che il regime tedesco portava in sostituzione della tradizione
cattolica. Dai canti liturgici rivisitati, all’albero di Natale dove al
posto della palle colorate si appendono croci naziste. Tutto da
leggere, invece, il “nuovo” diario di Anna Frank. Una riedizione dove
sono inserite inedite sezioni che descrivono amori e passioni della
piccola, prima di essere inghiottita dal nazismo. Ce ne parla La Repubblica. E
in Israele la via che condurrà al processo di pace non sembra ancora
vicina. Le rappresentanze palestinesi accusano ancora Israele di
“rubare spazio” con la costruzione di nuove colonie e case a
Gerusalemme Est (Osservatore Romano e Il Tempo). Il
governo israeliano minimizza, suscitando il disappunto dell’America. E
sembra concentrare le trattative intorno alla liberazione di Gilad
Shalit: per l’Unità l’accordo potrebbe essere vicino.
Fabio Perugia |
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notizieflash |
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MO:
ancora voci della stampa palestinese
sulla possibile liberazione di Ghilad Shalit Tel Aviv, 19 nov - Cresce
l'ottimismo su una probabile liberazione di Gilad Shalit, il soldato
israeliano nelle mani di Hamas dal giugno 2006. Il giornale palestinese
al-Manar di Gerusalemme est sostiene oggi la possibilità di uno scambio
di prigionieri a breve termine fra Israele e Hamas. Ieri l'esistenza di
"progressi" nelle trattative indirette fra Israele e Hamas era stata
notata separatamente dal ministro francese degli Esteri Bernard
Kouchner, in visita a Gerusalemme, e da un dirigente di Hamas a Gaza,
Osama al-Mezini. Entrambi avevano elogiato la discreta mediazione
condotta da un emissario tedesco. Al-Manar scrive che questo emissario
- la cui identità non é stata divulgata - è riuscito adesso a ottenere
dal premier Benyamin Netanyahu l'assenso ad uno scambio per fasi. La
prima sarebbe il trasferimento del caporale Ghilad Shalit nella
località egiziana di el-Arish, a ridosso della Striscia. Là il militare
sarebbe visitato da medici israeliani. Avuta conferma del suo
soddisfacente stato di salute Israele - secondo al-Manar - libererebbe
un primo scaglione di 450 palestinesi condannati in Israele per
attività terroristica. In Israele, finora, queste notizie non hanno
conferma. Il quotidiano Yediot Ahronot precisa che ancora non è stato
risolto un serio ostacolo: Hamas esige la liberazione anche di un certo
numero di arabi israeliani fiancheggiatori della lotta armata
palestinese e, secondo Yediot Ahronot, le autorità israeliane si
oppongono decisamente a questa richiesta. |
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L'Unione
delle Comunità Ebraiche Italiane sviluppa mezzi di comunicazione che
incoraggiano la conoscenza e il confronto delle realtà ebraiche. Gli
articoli e i commenti pubblicati, a meno che non sia espressamente
indicato il contrario, non possono essere intesi come una presa di
posizione ufficiale, ma solo come la autonoma espressione delle persone
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Il servizio Notizieflash è realizzato dall'Unione delle Comunità
Ebraiche Italiane in collaborazione con la Comunità Ebraica di Trieste,
in redazione Daniela Gross. Avete
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