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    19 novembre 2009 - 2 Kislev 5770  
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Moked - il portale dell´ebraismo italiano
alef/tav    
  alfonso arbib Alfonso
Arbib,

rabbino capo
di Milano
Nella parashà di Chayè Sarà è scritto che Dio benedì Avraham "in tutto" - bakòl. Rashì dice che la parola bakòl ha lo stesso valore numerico della parola ben - figlio. E' uno strano commento questo, il significato del verso sembra essere assolutamente evidente. Avrahàm ha ricevuto da Dio benedizioni materiali e spirituali di vario tipo e quindi è stato benedetto "in tutto". Che senso ha andare a cercare nel valore numerico della parola il riferimento al figlio? Forse quello che vuole comunicare Rashì è il fatto che tutte quelle benedizioni materiali e spirituali avrebbero perso significato se non fossero state trasmesse alle generazioni successive, Insomma secondo Rashì il problema che si pone in questo verso è quello della continuità ebraica. 
In mezzo a quell'accozzaglia di regimi dittatoriali e calpestatori dei diritti umani che hanno votato a favore della mozione dell'ONU sul rapporto Goldstone – un documento mal concepito e squilibrato nelle sue accuse nei confronti di Israele – spiccano, o forse stonano, tre paesi democratici, tutti e tre confinanti con l'Italia che, ricordiamolo, ha invece correttamente e onestamente votato contro. Il primo Paese è la Svizzera. Nel prendere una posizione decisamente unilaterale a differenza della maggioranza dei Paesi dell'Unione Europea che si sono prudentemente astenuti, la Confederazione sembra essersi dimenticata della sua storica tradizione di neutralità e affidabilità internazionale nel campo dei diritti umani, della mediazione politica e del fiduciariato economico. Privata della sua ben nota unicità internazionale, la Svizzera diventerebbe un piccolo bel paese in cui, essenzialmente, si può andare a sciare. Esattamente come nel secondo paese, la Slovenia. Col suo voto, l'ex-repubblica jugoslava sembra essersi dimenticata di essere uno degli stati successori maggiormente coinvolti nella rude appropriazione di terre e città con una forte presenza demografica e culturale italiana, attuata da Tito nel dopoguerra con ben scarsa considerazione o memoria delle centinaia di migliaia di profughi giuliani e dalmati che se ne dovettero andare senza ricevere alcun indennizzo. E infine c'è San Marino, altra bella località turistica, uno stato che evidentemente ha una politica estera antitetica rispetto a quella dell'Italia. Ruggiti di topolino, si potrebbe dire rammentando un vecchio film. Ma può darsi che le ragioni del voto di questi tre Paesi vicini siano più serie e riconducibili alla dilagante cupidigia nei confronti del denaro petroislamico, e al servilismo politico che ne deriva.
Sergio
Della Pergola,

Università Ebraica
di Gerusalemme
sergio della pergola  
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  Yuri Foreman Yuri Foreman: pugni e Torah

Di Yuri Foreman vi avevamo già parlato. Sulla sua doppia veste di studente di yeshiva e di pugile professionista, Anna Momigliano si era già soffermata nel primo numero di Pagine Ebraiche. Una storia incredibile, che negli ultimi giorni è stata raccontata anche dai principali media internazionali, inclusi Corriere della Sera, Repubblica e Gazzetta dello Sport. Vi avevamo lasciato che Yuri era un aspirante campione del mondo, adesso ad ambire al titolo dovrà essere qualcun altro, visto che da sabato scorso è il nuovo re della categoria super welterweight della World Boxing Association. Il primo israeliano in assoluto a riuscire nell’impresa. Nella MGM Gran Garden Arena  di Las Vegas, davanti a quindicimila spettatori, Foreman si è sbarazzato del rivale, il portoricano Daniel Santos, con verdetto unanime (116-110, 117-109 e 117-109) dei giudici. “Sono molto fiero di quello che ho fatto, per Israele e per Brooklyn, e sono orgoglioso di aver dimostrato che gli ebrei possono combattere”, ha gridato trionfante rivolto ai cronisti che si contendevano un’intervista con il neocampione, coperto da capo a piedi da una bandiera con la stella di David. La storia di Yuri, infatti, è degna di un film. Dall’infanzia poverissima in un villaggio della Bielorussia all’Aliyah nei primi anni Novanta, fino al viaggio con destinazione New York, città dove vive da quasi dieci anni. Un continuo peregrinare alla ricerca della consacrazione sul ring e della spiritualità più profonda. Nella Grande Mela, infatti, studia per diventare rabbino. Pochi giorni fa è riuscito a raggiungere uno dei suoi due obiettivi, per il secondo ci sarà ancora da aspettare.

Adam Smulevich

Yuri Foreman: campione del mondo e futuro rabbino


Il pugilato è uno sport per immigrati, per uomini duri che devono sbarcare il lunario. Per questo era lo sport degli ebrei americani. Prima della Seconda Guerra Mondiale, c’era un bel gruppo di grandi boxeurs ebrei, come Benny Leonard, Barney Ross e Maxie Rosenbloom. Ai giorni nostri, gli ebrei della Boxe sono generalmente i manager.
Tuttavia, siamo testimoni di un piccolo rinascimento. Pensiamo soltanto al moldavo ora americano Roman Greenberg e a Dimitry Salita, nato in Ucraina, che combatterà per il titolo welterweight contro il britannico Amir Khan il 5 Dicembre. E c’è l’amico di Salita, Yuri Foreman, israeliano nato in Bielorussia e futuro rabbino che, nella notte di sabato scorso a Las Vegas, ha battuto Daniel Santos vincendo il titolo super welterweight della World Boxing Association.
L’incontro si è rivelato una grande opportunità per Foreman. Il match Foreman-Santos, infatti, ha preceduto il più grande evento pugilistico a pagamento dell’anno, Manny Pacquaio contro Miguel Cotto. In palio il WBO welterweight.
La vittoria di Foreman può diventare un’occasione per far salire le sue quotazioni e, forse, anche per cambiare la percezione che alcune persone hanno di lui.
Foreman riceve l’attenzione della stampa più per i suoi studi rabbinici che per le sue imprese sul ring. Anche se è imbattuto da 28 incontri gli addetti lo considerano noioso da vedere, perché generalmente vince ai punti piuttosto che con un bel KO. Nella settimana precedente all’evento, i siti di box sul web erano pieni di triti commenti su quanto noioso sarebbe stato l’incontro Foreman-Santos. Io, invece, ho sempre pensato che sarebbe stato un bel match. Mi chiedevo come un tattico, Foreman, si sarebbe comportato con Santos, un mancino che sa picchiare. La mia idea era che Foreman avrebbe potuto gestire Santos, che era più vecchio e non aveva combattuto da un anno.
Naturalmente, Foreman-Santos non era l’incontro che orde di tifosi avevano invaso Las Vegas per vedere. Così, quella notte, mi sono sentito un po’ solo mentre mi incamminavo verso la MGM Gran Garden Arena. E non perché tutti, lungo la via, erano ubriachi, tranne me. Spingendomi attraverso la folla, vedevo dozzine di bandiere Filippine (per Pacquaio) e Portoricane (per Cotto). Era lo stesso lungo i corridoi labirintici dell’MGM Grand Hotel e del casinò: tifosi di Pacquaio e Cotto erano raggruppati all’entrata dell’arena, sventolando le loro bandiere e inneggiando ai loro eroi. L’entusiasmo era dilagante, e il mio orgoglio ebraico mi faceva immaginare che quell’entusiasmo fosse per Foreman.
Dentro l’arena, gli unici ebrei visibili erano i sempre presenti gran signori della boxe e un paio di ragazzi che lavoravano per le pubbliche relazioni. Non c’era neanche un giornalista di Haaretz, cosa che sorprende considerato il seguito che Foreman ha in Israele.
Forse ci sarebbe stata qualche presenza ebraica in più se l’incontro fosse avvenuto sulla East Coast. O se Foreman avesse picchiato di più. 
È intrigante che tra gli appassionati di boxe l’ebraismo di Foreman non sia un argomento d’interesse. I suoi tifosi lo amano per la sua tecnica mentre i suoi detrattori trovano quella tecnica noiosa. Lui è un pugile, non un combattente, e nessuna formazione rabbinica renderà questo fatto più interessante per un tifoso che vuole vedere qualcuno stendere al tappeto il suo avversario.
Secondo uno degli uomini della sicurezza erano più di 15000 i biglietti venduti, ma quasi la metà dei posti era vuota quando Foreman ha fatto il suo ingresso, anche se nella zona stampa c’erano abbastanza giornalisti. Molti, però, non sembravano tali, come il trio di spagnoli vicino a me. Per prima cosa erano vestiti troppo bene; secondo, non stavano prendendo note, a meno che, i messaggi che stavano scrivendo ai loro amici non fossero in verità indirizzati alla redazione sportiva de El Paìs. Forse erano dei marranos.
Gli attimi prima dell’incontro possono rivelarsi strani.
Foreman e il suo entourage entrano nell’arena con, in sottofondo, una canzone molto heavy metal accompagnata dal suono dello shofar. A questa segue una salsa superveloce per l’entrata di Santos e i suoi. Entrambi i gruppi sfilano intorno al ring: mentre Foreman scioglie un accappatoio bianco, Santos ha un mantello a collo alto con un cappuccio a punta.
Una gigantesca bandiera israeliana viene sventolata ma gli spettatori rispondono con indifferenza; una più piccola bandiera portoricana appare e i tifosi di Cotto esultano. L’intera faccenda mi rende impaziente. Finalmente il presentatore, il veterano Michael Buffer, urla i nomi dei due pugili, il ring è liberato e l’incontro può iniziare.
Per gran parte del primo round entrambi i boxeurs si mostrano cauti, specialmente Foreman, che gira in senso orario, tenendosi a distanza dal sinistro pericoloso di Santos. Hanno lo stesso peso, ma Foreman sembra più snello e veloce. Santos riesce a tirare un paio di sinistri prima del suono della campana. Ma nel secondo round è più lento, inconsistente (“Que pasa, Santos?” grida qualcuno). Poi Foreman colpisce Santos  con un gancio sulla testa. Lui si rialza ma il colpo mette Foreman in buona posizione. Si scambiano colpi a vicenda: spesso Foreman avanza per colpire e tornare subito indietro, ogni volta che Santos glielo permette.
Nei primi cinque round, Foreman è in vantaggio ai punti. Un match dove combatte meglio dell’avversario, con l’eccezione del terzo round, quando Santos colpisce Foreman sulla faccia con un diretto. Me l’ero perso perché avevo davanti la schiena tatuata di Santos. Ho visto solamente Foreman barcollare, come se fosse inciampato sulla strada e poi avesse riacquistato l’equilibrio.
Ecco la differenza tra vedere un incontro in TV e vederne uno dal vivo: essere lì vuol dire essere pronti a perdersi qualcosa. Ma anche a fare certe considerazioni.
Le facce dei pugili diventano sempre più piatte, round dopo round; senti il colpo del guanto sulla pelle; Foreman ha un grosso taglio sopra l’occhio sinistro e il sangue scende copioso. Come sempre è tutto spaventoso ed eccitante allo stesso tempo.
Foreman è ferito per primo ma io provo pietà per Santos. Negli intervalli tra i round la sua faccia sul maxi schermo sembra quella di un uomo che ha perduto il cane, specialmente dopo essere andato sotto di nuovo nel sesto round. Apparentemente è scivolato. Ma è messo giù di nuovo nel settimo. E ancora mi perdo il colpo, perché uno degli spagnoli si mette davanti a me. Non sono sicuro che abbia capito come l’ho apostrofato ma di sicuro ha compreso il messaggio ed è stato lontano da me per tutto il resto dell’incontro.
L’ultima azione di Santos arriva nel nono round, tre colpi rapidi e impressionanti. Il decimo e l’undicesimo sono tutti di Foreman. Il suo destro, le combinazioni e le gambe continuano a muoversi veloci. Nel dodicesimo entrambe le facce sono sanguinanti: ai colpi seguono i clinch e poi di nuovo i colpi, mentre una mezza dozzina di persone in coro cantano “Yuri, Yuri, Yuri”. Quindi, forse c’erano degli ebrei tra il pubblico!
Un sinistro di Foreman stende Santos per l’ultima volta: la campana suona e Foreman si arrampica sulle corde, il pugno alzato, e il ring pieno della solita mischia del dopo - incontro. Sventola una bandiera israeliana e Buffer annuncia che il verdetto è unanimemente a favore di Foreman, il primo israeliano campione del mondo. Adesso sento un ruggito dalla folla, o forse viene solo da me, che grido e mando via gli ultimi rimasugli di obbiettività giornalistica.

Gordon Haber, The Forward
(versione italiana di Rocco Giansante)



Qui Roma - Il lavoro dello sportello antiusura
un aiuto concreto contro il silenzio e l'omertà



arenulaUn incontro. Un confronto per fare il punto della situazione sulla terribile piaga dell'usura e sulla lotta che il Comune di Roma ha intrapreso attraverso la creazione di cinque sportelli di prevenzione e di ascolto di cui l'ultimo, nato nel 2006 ma operativo da circa 18 mesi, nel centro storico in una sede della Comunità Ebraica di Roma, è gestito dall'Associazione DROR Onlus nell'ambito di una collaborazione fra Comune di Roma e Comunità Ebraica. A parlarne saranno questa sera alle 19 al Palazzo della Cultura, in via del Portico d'Ottavia, l'onorevole Alfredo Mantovano, sottosegretario all'interno con delega alla lotta al racket e all'usura, Tano Grasso il commerciante siciliano da anni impegnato sul fronte della lotta all'usura e presidente onorario della Federazione associazioni antiracket e antiusura italiane, Francesco Lucchino presidente dell'Associazione Agisa, un'associazione non lucrativa di utilità sociale impegnata nel contrasto all’usura e nella prevenzione dell’indebitamento e Giosuè Marino, commissario antiracket e antiusura. Introdurrà la serata il presidente della Comunità Ebraica di Roma, Riccardo Pacifici.
"La parola chiave è prevenzione, - spiega Fabio Calderoni, presidente dell'associazione DROR - lo spirito che anima l'attività dello sportello è soprattutto di aiutare famiglie e piccole imprese nella gestione dei debiti contratti in momenti di difficoltà. Contemporaneamente ci occupiamo anche di casi di vera e propria usura prestando il nostro supporto attraverso una rete di professionisti, avvocati, commercialisti, bancari ed anche psicologi tutti volontari".
Calderoni non nasconde tuttavia la propria preoccupazione per il crescente numero di persone che si rivolgono allo sportello "Quando è iniziata la nostra attività lo sportello si trovava a gestire 3-4 nuovi casi al mese. Al momento attuale abbiamo una media di 10 nuovi casi al mese, per questo faccio un appello affinché altri professionisti che sono in grado di farlo, diano la propria disponibilità a coadiuvarci in questo importante lavoro".

(DROR : antiusura@romaebraica.it, telefono 06 6876816)

l.e.



Qui Milano -  Noi e gli altri, una sfida


come trattare gli altriNon criticate, non condannate, non recriminate. Interessatevi sinceramente agli altri. Ricordate che per una persona di qualsiasi lingua, il suo nome è il suono più dolce e più importante che esista. Siate buoni ascoltatori. Incoraggiate gli altri a parlare di se stessi. Fate sentire importanti gli altri – e fatelo sinceramente. Sorridete.
Questi sono alcuni dei principi su cui si basa “Come trattare gli altri e farseli amici” opera di maggior successo dello scrittore americano Dale Carnegie (1888 – 1957).
Quando qualche mese fa Miriam Hason ricevette questo libro in regalo da un’amica, ne rimase colpita, colpita da quanto le idee illustrate per costruire un rapporto duraturo con il prossimo fossero semplici, e allo stesso tempo fondamentali. Tanto più nel contesto di un gruppo ristretto, dove i rapporti tra i componenti risultano essenziali per il benessere di tutti, come è la Comunità Ebraica di Milano.
“Dopo aver letto il libro, ho provato il desiderio di condividerne il contenuto con il maggior numero di persone possibili - ricorda la signora Hason – Così ho deciso di regalarlo a Rav Roberto Colombo e insieme a settembre abbiamo organizzato una serata per discuterne, che ha suscitato un grande interesse”.
Durante la conferenza, Rav Colombo ha messo in luce il legame tra i suggerimenti di Dale Carnegie per rapportarsi agli altri e il pensiero ebraico, concentrandosi sull’atteggiamento polemico insito nella natura dell’uomo e sulla necessità di evitare giudizi e critiche nei confronti delle opinioni altrui, ma piuttosto di sforzarsi per comprenderne il punto di vista, anche quando non lo condividiamo.
“Dato il successo della conferenza che ha trattato la prima parte del libro, ho pensato di continuare il discorso con un altro relatore che, dopo averlo letto, ha dimostrato altrettanto entusiasmo – continua la signora Hason – il rabbino capo di Roma Riccardo Di Segni”.
Rav Di Segni sarà questa sera, giovedì 19 novembre, al Noam alle 20.30 per proseguire una riflessione sull’argomento.
“Spero che stasera partecipi il maggior numero di persone possibili, soprattutto giovani e membri delle diverse anime della nostra comunità, perché penso che sia un’occasione importante per riunirci e parlare di qualcosa che dovrebbe essere interessante per tutti” conclude Miriam Hason.

Rossella Tercatin



Qui Roma - "La mia famiglia" al Kolno'a Festival

nostra famiglia“Il nostro orgoglio risiede nell'aver contribuito a migliorare un aspetto culturale della città di Roma e non solo, portando il cinema d'autore e di intrattenimento israeliano a Roma, grazie a film presentati rigorosamente in lingua originale sottotitolati”. Così la giornalista Ariela Piattelli e il critico cinematografico italo-israeliano Dan Muggia, direttori del Pitigliani Kolno’a Festival, la rassegna di cinema ebraico e israeliano giunta quest'anno alla settima edizione e tenutasi nel verde di Villa Borghese presso le due sale della Casa del Cinema. In cinque giorni di festival, più di tremila spettatori, 35 proiezioni pomeridiane e serali, 4 sezioni “tematiche” non competitive, 8 ospiti israeliani tra registi e attori. “Un vero successo – sottolineano i direttori – frutto del lavoro di un anno, di viaggi in Israele e attraverso i festival internazionali alla ricerca dei migliori film, documentari, cortometraggi del cinema israeliano. Cinema che sempre più, anche grazie alla manifestazione che propone il Pitigliani, si fa conoscere al pubblico di tutto il mondo”.
Tra i tanti film proiettati, “La mia famiglia”, che nella sua semplicità indica una delle tante possibili strade attraverso le quali è possibile trasmettere alle future generazioni la memoria delle proprie radici. Ed è proprio dalle radici intese in senso metaforico che fisico che partono le prime immagini.
Ai romani, specialmente ai non più giovani, questo film parlerà in modo particolare. I protagonisti, sono una famiglia molto conosciuta nella comunità, almeno fino al momento della loro alya. Un intenso ed emblematico percorso fisico e psicologico che attraverso diverse tappe fornisce gli elementi per la comprensione di una delle tante storie di ebrei italiani. La famiglia Portaleone-Tedeschi ci conduce per mano nelle piccole intrecciandosi nella Storia: dalla assimilazione post-emancipazione, continuando per le leggi razziste del 1938, le fughe dai nazisti negli anni 1943-44, fino alla liberazione di Roma nel 1944.
Un film che –si sente- nasce con l’intento di far conoscere ai nipoti, specialmente a quelli del ramo israeliano della famiglia, ricordi, vicende, piccoli e grandi avvenimenti che hanno costituito il terreno in cui è germogliata, cresciuta e si è sviluppata la identità dei nonni. Una bella storia, in particolare per tutti coloro che sono stati – loro malgrado - privati dei ricordi di famiglia. Ma, questa davvero, è un’altra storia.

Sira Fatucci

 
 
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  rav riccardo di segni Questioni di fiuto, fra sacro e profano

Tra le curiosità di questa settimana c'è stata la pubblicazione dei diari di Claretta Petacci di cui i giornali hanno riportato dei brani sulle ossessioni antisemite e le pulsioni sessuali di Mussolini. I due vizietti si associavano con strani risultati; ci fu una volta in cui l'aspirante Duce fece tilt ma scaricò la colpa sulla sua amante ebrea: "Non potevo per l'odore terribile che hanno addosso. Forse dipende dall'alimentazione". Anche ammettendo per assurdo la logica mussoliniana, chissà se la Margherita Sarfatti, non molto selettiva a letto, fosse invece così rigorosa nella kasherut a tavola. Le stranezze di questo racconto si accentuano per contrasto con la coincidenza della parashà di questo Shabbat, dove c'è una speciale attenzione al tema dell'odore e del profumo. Per assumere le sembianza del fratello Esav e carpire la benedizione paterna, Yaaqov si veste con le pelli di una capra. Il padre cieco le annusa e dice "il profumo di mio figlio è come quello del campo benedetto dal Signore". Ora,se c'è qualcosa che manda cattivo odore, è proprio la pelle di capra. Di qui tutta una serie di interpretazioni simboliche in cui la tradizione allarga le prospettive e sottolinea le allusioni sacre del racconto. C'è odore e odore, e c'è modo e modo per valutarlo. Benedetto Colui che separa tra sacro e profano.

Riccardo Di Segni, rabbino capo di Roma



tizioUn’era nuova

Adesso che la moglie di Ahmadinejad si è finalmente scagliata contro l'attitudine mercantilistica dello sfruttamento delle risorse, la strada è aperta. Tra i primi interventi attesi per l’inizio di un mondo nuovo, quello della professoressa Enrica Maria Nasellone, la celebre storica pronipote di Pinocchio. Secondo un approfondito studio della professoressa collodiana, Abramo si chiamava Alberto Maria Zucca e abitava ad Altopascio.

Il Tizio della Sera 
 
 
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rassegna stampa    
 
 
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L’Islam avrà un partito politico anche in Italia. Sulle pagine di Libero Andrea Morigi racconta la svolta dell’Ucoii. Come è avvenuto in altri Paesi d’Europa, anche nelle schede elettorali della Penisola troveremo il simbolo della Mezzaluna da barrare, probabilmente già dalle prossime elezioni politiche. Intanto, dopo le analisi di Giulio Meotti dei giorni scorsi sul Foglio, compare un editoriale non firmato, ma attribuibile al direttore Giuliano Ferrara, sulla questione partito islamico in Spagna. Secondo l’intellettuale in un continente destinato a diventare per un quinto maomettano, per ora si contano più insuccessi che successi.
Il filone del commento alla rassegna può proseguire sulle pagine di Italia Oggi, che ci racconta quanto il nazismo ha tentato di svuotare il cristianesimo. Una mostra a Colonia espone oggetti, testi e ornamenti che il regime tedesco portava in sostituzione della tradizione cattolica. Dai canti liturgici rivisitati, all’albero di Natale dove al posto della palle colorate si appendono croci naziste. Tutto da leggere, invece, il “nuovo” diario di Anna Frank. Una riedizione dove sono inserite inedite sezioni che descrivono amori e passioni della piccola, prima di essere inghiottita dal nazismo. Ce ne parla La Repubblica.
E in Israele la via che condurrà al processo di pace non sembra ancora vicina. Le rappresentanze palestinesi accusano ancora Israele di “rubare spazio” con la costruzione di nuove colonie e case a Gerusalemme Est (Osservatore Romano e Il Tempo). Il governo israeliano minimizza, suscitando il disappunto dell’America. E sembra concentrare le trattative intorno alla liberazione di Gilad Shalit: per l’Unità l’accordo potrebbe essere vicino.

Fabio Perugia

 
 
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notizieflash    
 
 
MO: ancora voci della stampa palestinese                                      
sulla possibile liberazione di Ghilad Shalit
Tel Aviv, 19 nov -
Cresce l'ottimismo su una probabile liberazione di Gilad Shalit, il soldato israeliano nelle mani di Hamas dal giugno 2006. Il giornale palestinese al-Manar di Gerusalemme est sostiene oggi la possibilità di uno scambio di prigionieri a breve termine fra Israele e Hamas. Ieri l'esistenza di "progressi" nelle trattative indirette fra Israele e Hamas era stata notata separatamente dal ministro francese degli Esteri Bernard Kouchner, in visita a Gerusalemme, e da un dirigente di Hamas a Gaza, Osama al-Mezini. Entrambi avevano elogiato la discreta mediazione condotta da un emissario tedesco. Al-Manar scrive che questo emissario - la cui identità non é stata divulgata - è riuscito adesso a ottenere dal premier Benyamin Netanyahu l'assenso ad uno scambio per fasi. La prima sarebbe il trasferimento del caporale Ghilad Shalit nella località egiziana di el-Arish, a ridosso della Striscia. Là il militare sarebbe visitato da medici israeliani. Avuta conferma del suo soddisfacente stato di salute Israele - secondo al-Manar - libererebbe un primo scaglione di 450 palestinesi condannati in Israele per attività terroristica. In Israele, finora, queste notizie non hanno conferma. Il quotidiano Yediot Ahronot precisa che ancora non è stato risolto un serio ostacolo: Hamas esige la liberazione anche di un certo numero di arabi israeliani fiancheggiatori della lotta armata palestinese e, secondo Yediot Ahronot, le autorità israeliane si oppongono decisamente a questa richiesta.
 
 
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