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    20 novembre 2009 - 3 Kislev 5770  
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Moked - il portale dell´ebraismo italiano
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  Roberto Colombo Roberto
Colombo,

rabbino
Itzkchàk e la moglie Rivkà pregavano insieme ma Dio ascoltava solo la tefillà di Itzchàk perchè “Tzaddìk figlio di uno Tzaddìk” (Rashì). Sembra un’ingiustizia ma non lo è. Itzhcàk seppe essere un giusto non grazie al padre ma nonostante il padre. Grande è colui che diventa tale senza limitarsi a emulare le azioni di un proprio famoso antenato (Malbìm).
Vi capita mai di cercare qualcuno sull'elenco del telefono? A me ormai non più, al massimo online sulle pagine bianche, ma non si trova mai nessuno. Ma proprio non mi viene in mente di consultare, semplicemente, un elenco. Sapete, quei volumi pesantissimi che di solito ti abbandonano nel cortile di casa. Eppure, uno studente viennese su un banale elenco del telefono ha trovato addirittura un criminale nazista. Ormai novantenne (ma anche Priebke novantenne è stato fotografato in motocicletta!), il criminale nazista, tal Adolf Storms, sergente delle SS, uno degli autori di una strage di 58 ebrei nel marzo 1945 in una cittadina sul confine austro-ungarico, è stato identificato dal giovane studente di Vienna sulla base del nome, trovato nell'elenco del telefono. Il giovane studente ha intervistato il vecchio nazista e ha poi consegnato la registrazione al tribunale di Duisburg, che ha incriminato il criminale di guerra. Semplice, eppure bisognava pensarci!  Anna Foa,
storica
Anna Foa, storica  
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  Qui Milano - Noi e gli altri, rimproverare ma non giudicare

ConferenzaUna delle 613 mitzvot comandate al popolo d’Israele ordina agli ebrei di rimproverare francamente il prossimo quando sbaglia.
Una mitzvah difficile, tremendamente difficile da adempiere nel modo giusto, senza trasformare l’ammonimento in un giudizio inopportuno, tanto che anche Rabbì Akiva aveva, secondo la tradizione, dei problemi nell’eseguirla.
Con questo profondo dilemma il rabbino capo di Milano Alfonso Arbib ha introdotto il tema poi sviluppato dalla conferenza del suo collega romano rav Riccardo Di Segni, ospite d’eccezione al centro Noam.
“Il punto fondamentale del rapporto con gli altri nell’ebraismo è l’ahavat Israel, l’amore per il prossimo - continua rav Arbib - ma non bisogna interpretare questo concetto nel modo sbagliato. Anche far notare un errore è un grande atto di amore, basti pensare al rimprovero di un genitore verso il figlio. È l’indifferenza il vero pericolo”.
Il rapporto con gli altri sotto il profilo del pensiero ebraico, questo l’argomento della serata, dimostra di stare a cuore alla comunità milanese, visto il numeroso pubblico in sala nel quale spiccavano rabbanìm di diverse sinagoghe, il presidente Leone Soued, alcuni membri del Consiglio.
Il libro dello scrittore americano Dale Carnegie “Come trattare con gli altri e farseli amici”, che ha ispirato la signora Miriam Hason, applaudita organizzatrice della serata, a proporre delle conferenze sull’argomento, viene giudicato da rav Di Segni un po’ troppo “americano” nel connotare il rapporto con il prossimo sotto una prospettiva utilitaristica, quella del venditore che ha bisogno di persuadere il cliente a comprare, quella del padre che vuole convincere il figlio a studiare. “Nell’ebraismo l’approccio che abbiamo nei confronti degli altri non deve ovviamente costruirsi in quest’ottica - specifica - ma questo non significa che una componente di strumentalità non vi sia, è necessario però spostarsi da un piano materiale a un piano spirituale”.
Secondo i dettami dell’ebraismo, mantenere buone relazioni, fiducia, serenità col prossimo, rappresenta infatti una premessa fondamentale per l’adempimento delle mitzvot, e soprattutto di quelle che disciplinano i rapporti tra l’uomo e D-o, come il rabbino capo di Roma illustra con un’efficace metafora. “Se volete comprare del latte, non potete versarlo in un cappello, ma avrete bisogno di una bottiglia, di un contenitore adatto. Ecco, la Torah è il latte, il contenuto, il recipiente necessario è il Derech eretz, il buon comportamento verso gli altri”.
Le parole di rav Di Segni analizzano varie sfaccettature del problema. La Parashà dello scorso Shabbat, Chajjè Sarà, ha offerto un importante esempio del concetto di Derech eretz, il comportamento di Eliezer nei confronti di Rifkà. Quella di questa settimana, Toledot, presenta l’occasione per affrontare un aspetto ancora più complesso all’interno dell’ebraismo, quello del tradimento nei confronti della propria famiglia, del proprio popolo. Giacobbe ingannò il padre Isacco per ottenere la Benedizione al posto di Esaù.
Rav Di Segni ha citato ebrei che nella storia assunsero i comportamenti più infamanti nei confronti di Am Israel, come colui che per ingordigia accettò di essere il primo a profanare il Beit Hamikdash quando fu distrutto dai Romani. Tuttavia alla fine si pentì e smise di cooperare con loro, pagando con la vita.
“Questa storia si è ripetuta nel corso dei secoli - ricorda il rav - Ogni volta che qualcuno ha voluto far del male agli ebrei per prima cosa ha cercato di avvalersi di collaborazionisti, pronti a vendere la propria gente. Tuttavia - esorta - noi non abbiamo nessun titolo per escludere che anche nei peggiori traditori esista la scintilla della Teshuvà”.
Non giudicare il prossimo, dunque. Punto fondamentale per creare quel rapporto di fiducia e vicinanza che la Torah stessa ci prescrive come fondamentale sin dai Dieci Comandamenti. Come si concilia tutto questo con la necessità di ammonire il nostro vicino quando si allontana dall’ebraismo e riaccostarlo alle mitzvot?
“Il Kiruv, l’avvicinamento, è un concetto estremamente delicato” puntualizza rav Di Segni “E’ giusto, per riportare qualcuno alla Torah, scendere a compromessi che si pongono in contrasto con la Torah stessa? Quale deve essere la scelta da suggerire a un amico di fronte all’idea di venire al tempio in macchina o non venirci affatto? È difficile trovare una risposta definitiva. L’idea generale dovrebbe essere che sarà la stessa persona che gradualmente si avvicina, a trovare la sua misura, i suoi compromessi e non che sia chi lo incoraggia in questo senso ad emettere sentenze. Tuttavia - conclude - il punto fondamentale rimane andare incontro alle persone, cercarle, evitare i giudizi, mantenere una religiosità discreta nelle parole, e salda nei comportamenti”.
 
Rossella Tercatin




Qui Roma - Pacifici: "A chi soffre diamo risposte concrete"


ConferenzaSono cinque gli sportelli antiusura creati per dare concretezza alla battaglia contro il fenomeno dell’usura che il Comune di Roma ha intrapreso. Nel 2002 viene creato il primo sportello a Cinecittà e l’ultimo nel 2006 nel centro storico in una sede della Comunità Ebraica di Roma, gestito dall’Associazione DROR Onlus grazie a una collaborazione fra Comune di Roma e Comunità Ebraica. Se n’è parlato al Palazzo della cultura, al portico d’Ottavia, dove Alfredo Mantovano, sottosegretario all’interno con delega alla lotta al racket e all’usura, ha incontrato gli operatori degli sportelli antiusura di Roma. Questi operatori sono psicologi, avvocati, banchieri, tutti professionisti volontari che con grande orgoglio dedicano una giornata a settimana del loro tempo per aiutare chi si trova strozzato dai debiti, chi non riesce più a ragionare lucidamente a causa di grandi pressioni economiche.
Sono intervenuti Davide Bordoni, assessore alle attività produttive, al lavoro e al litorale, Francesco Lucchino presidente dell’Associazione Agisa, un’associazione non lucrativa di utilità sociale impegnata nel contrasto all’usura e nella prevenzione dell’indebitamento, Tano Grasso il commerciante siciliano da anni impegnato sul fronte della lotta all’usura e presidente onorario della Federazione associazioni antiracket e antiusura italiane, e Giosuè Marino, commissario antiracket e antiusura. Ad introdurre la serata è il presidente della Comunità Ebraica di Roma, Riccardo Pacifici che ha espresso tutta la sua solidarietà verso chi è colpito da questo problema sociale e sottolinea che la Comunità Ebraica di Roma è onorata di collaborare con gli altri quattro sportelli esistenti e di poter dare un aiuto concreto aperto a tutta la città.
Pacifici ha spiegato che nella Comunità ebraica vi è una tradizione di assistenza verso chi si trova in difficoltà e ha descritto le attività della Deputazione ebraica di assistenza. Il Presidente ha ricordato con grande dolore di come a causa dell’usura alcuni ebrei romani abbiano in passato attraversato sofferenze enormi, persone che sembravano essere serene ma che invece vivevano e nascondevano l’incubo dell’usura.
Proprio dopo questi dolorosi episodi la comunità ebraica iniziò ad avvicinarsi agli enti pubblici che elaboravano una strategia contro questa piaga ed è così che nacque l’iniziativa di aprire uno sportello antiusura nel centro della capitale con la collaborazione della Comunità ebraica.
Lucchino, il presidente dell’associazione Agisa, interviene dando una panoramica molto chiara su come operano gli sportelli e su come si può e si deve fare molto di più in termini di mezzi finanziari, di reinserimento sociale e di comunicazione.
Tano Grasso ha rivolto un forte ringraziamento alla Comunità ebraica e sottolinea come lo sportello della DROR sia diventato un punto di riferimento nella città di Roma grazie al duro lavoro e all’efficacia degli operatori ed organizzatori.
Anche Giosuè Marino ha ringraziato calorosamente la Comunità ebraica per aver dimostrato attenzione verso un problema nazionale che si sente soprattutto a Roma e conclude dando peso nel comunicare che l’azione di solidarietà non è sufficiente ma deve essere solidificata da un piano ben studiato di prevenzione.
Ed è proprio sulla prevenzione che Mantovano, dopo aver salutato e ringraziato la Comunità ebraica di Roma, apre il suo intervento affermando “non credo sia un caso che oggi ci troviamo in una scuola dove gli alunni vengono educati prima di apprendere. Se non c’è l’educazione all’uso del denaro tutto il resto serve relativamente”. Infatti, Mantovani conferma insieme all’assessore Bordoni l’impegno dell’amministrazione nel voler raddoppiare il numero di scuole che parteciperanno al programma di educazione per l’uso responsabile del denaro e quindi di aumentare la prevenzione. Il sottosegretario prosegue assicurando il massimo sostegno per questa iniziativa e calcando l’importanza nell’aumentare la fiducia delle persone in difficoltà per farle arrivare a farsi affiancare. In conclusione Mantovani afferma “Possiamo fare molto di più e molto meglio. Abbiamo la volontà di farlo e quindi lo faremo”.

Loren Raccah 
 
 
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  KingComix - The King...

Jacob Kurztberg è nato il 18 agosto del 1917 a New York, il padre ebreo austriaco lavorava in una fabbrica di indumenti. E' cresciuto a Suffolk Street, dove le bande di giovani passavano il tempo a combattersi. Forse per questa esperienza così forte, Jacob, ma preferiamo ancora non scrivere il suo nome d'arte, realizzerà sempre impressionati scene di combattimenti di grande effetto cinetico.
Comunque Jacob vuole cambiare vita e come molti ragazzi dell'epoca è affascinato dai lavori di Alex Raymond con le strabilianti avventure di Flash Gordon. La sua prima esperienza di lavoro non è però nel mondo dei comics, bensì dei cartoon con Popeye (Braccio di ferro) nei Max Fleischer studios. Poi, come molti ragazzi aspiranti dell'epoca, incontra lo studio Eisner & Iger. Eisner non era molto più grande di lui o di altri ma aveva uno spirito pionieristico che lo rendeva più maturo.
Nel 1941 lo troviamo presso la Fox Feature Syndicate dove crea uno dei suoi primi personaggi The Blue Bettle con lo pseudonimo di Charles Nicholas, con un compenso di 15 dollari alla settimana.
E lì incontra Joe Simon con cui creerà Capitan America. Ebbene sì, stiamo parlando di Jakc The King Kirby, con pochi altri degno di essere studiato nei libri di storia dell'arte.
Nel 1943 entra nella Undicesima divisione di fanteria e a fine agosto arriva in Normandia, dopo che la Settima armata tedesca comandata da Von Kluge viene sconfitta dal generale Patton nella sacca di Falaise.
Al ritorno dalla guerra, Kirby inizia quella cavalcata creativa che lo farà entrare nella storia dei comics inventando o partecipando alla creazione di gran parte dei fumetti che ancora oggi spopolano nelle edicole e fumetterie del mondo: Manhunter, Fantastic Four, X-Men, The Hulk, Silver Surfer, ecc... Sono tutte co-creazioni, realizzate assieme a Stan Lee, Leiber di nascita, che stava dando vita a un nuovo modo di scrivere comics e supereroi.
A quell'epoca la Timely Comics diventa Marvel Comics, acquisita quest’anno dalla Disney.

New GodsFra le creazioni di Kirby ce n'è una estremamente particolare, si tratta dei New Gods (Nuovi Dei) che la DC Comics gli produce negli anni settanta.
New Gods è la storia di due pianeti abitati solo da dei, in un pianeta tutti buoni e un altro tutti cattivi. Semplice? Non è tanto semplice. Kirby dopo aver impostato la storia in modo manicheo, rimescola le carte. I figli dei due leader vengono scambiati come ostaggi per garantire la pace tra i due pianeti. Ma mentre il figlio di Darkside, il nome spiega tutto,viene educato alla pace e al rispetto del prossimo, il figlio dell'Altopadre non riesce a sopportare la violenza del pianeta cattivo e riesce alla fine a scappare.
Il Bene e il Male, l'educazione, la figura paterna come guida nella vita, le scelte ideali e l'attenzione al prossimo, la responsabilità di poteri così enormi, come posso avere degli dei, sono tutti argomenti che Kirby tratta con un disegno cinetico, privo di ogni stasi. Non è possibile leggere/osservare una pagina di Kirby senza avere la sensazione del movimento. Oltre al fatto che la particolare inchiostratura delle chine, con neri estremamente pesanti e addensati in spazi che sono il punto di partenza del movimento, impediscono di pensare i comics di Kirby come banali fumetti di supereroi. Il nostro occhio non può non fissarsi in quel punto per sentire la dinamicità del disegno.
Kirby disegnava personaggi nel loro attimo dopo la partenza di qualsiasi azione, quindi in procinto di fare qualcosa e non di "pensare" di fare qualcosa.
Probabilmente l'esperienza produttiva con Popeye ha influenzato il suo modo di vedere le linee, donandoci una delle esperienze visive più interessanti ed emozionanti del fumetto. Si può essere bravi, eccellenti, oppure essere al livello di Kirby e Eisner.
Jack Kirby ci ha lasciato nel 1994. Dei fumetti ha detto: “The audience is always there and the comic book has yet to reach its full potential.”

Andrea Grilli

Attualmente Kirby è oggetto di pubblicazioni molto interessanti, fra le quali "Kirby: King of Comics by Mark Evanier and Neil Gaiman".
 
 
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Partiamo da un evento apparentemente minore che tuttavia ha raccolto una certa attenzione tra le testate nazionali. Lo facciamo rimandando all’intervista di Tonino Bucci ad Alessandro Dal Lago, sociologo, docente universitario e studioso dell’immigrazione, pubblicata oggi su Liberazione. Data ai giorni trascorsi, infatti, la notizia che in un comune del bresciano, Coccaglio, l’amministrazione locale ha disposto affinché tutti i residenti stranieri di origine extracomunitaria, che abbiano il permesso di soggiorno scaduto da un po’ di tempo, siano sottoposti ad una verifica da parte della polizia municipale, per accertare se hanno effettivamente avviato le pratiche per il suo rinnovo. A ricadere in questa tipologia sono non meno di quattrocento persone, circa il cinque per cento della popolazione cittadina. Laddove dovesse essere riscontrata l’inadempienza il Comune intende revocare d’ufficio la residenza. A Coccaglio su poco più di settemila abitanti, in dieci anni gli allogeni sono passati dai centosettantasette del 1998 ai millecinquecentosessantadue registrati l’anno scorso. Non solo un incremento di quasi dieci volte ma anche una lievitante incidenza sulla popolazione locale. Il loro numero, infatti, è transitato da un marginale due per cento a ben il venti per cento. La grande presenza di stranieri è costituita perlopiù da marocchini, albanesi e appartenenti alle nazionalità della ex Jugoslavia. Il Comune ci tiene a fare sapere che dal 25 ottobre ad oggi, ovvero da quando ha preso avvio l’intera iniziativa, denominata «White Christmas», in omaggio al fatto che terminerà il 25 dicembre, sono state controllate circa centocinquanta persone. La metà di costoro è risultata non essere in regola con i documenti. A seguito di ciò l’amministrazione, dopo avere invitato i contravvenenti a mettersi a posto, qualora i motivi delle irregolarità dovessero persistere intende disporre per la decadenza dallo status di residente. Il sindaco, Franco Claretti, e l’assessore alla sicurezza, Claudio Abiendi, hanno sottolineato, un po’ contraddittoriamente, che in paese non c’è mai stata criminalità, aggiungendo poi che con queste scelte è loro intenzione «soltanto iniziare a fare pulizia». L’intero complesso di misure è stato variamente giudicato ma non pochi tra quanti lo hanno commentato hanno messo in rilievo come dietro il movente del controllo del territorio e della sicurezza comunitaria si possano celare intendimenti diversi, non infrequentemente sconfinanti nel pregiudizio. Più in generale, e Dal Lago si sofferma su questo passaggio al di là della polemica politica spicciola, è l’introduzione nel tessuto giuridico e culturale italiano della «clandestinità come condizione sostanziale» - alla quale si correlerebbero la vocazione di chi ne è titolare ad agire criminosamente - a costituire un corposo ribaltamento di alcuni tra i nostri più importanti principi, innervati nell’ordinamento giuridico vigente. L’unitarietà della nazione, nella concezione democratica della quale la nostra Costituzione è espressione, ispirandovisi integralmente, è garantita, tra le altre cose, dall’eguaglianza di diritti e di obbligazioni per chi risiede sul territorio della medesima. Non possono essere costituite categorie di individui a sé, ovvero destinatari di trattamento differenziato in virtù dell’appartenenza ad un gruppo sociale o etnico o di qualsiasi altro tipo. E questo poiché non è riconosciuta l’esistenza negli esseri umani di qualità ascrittive, ovvero di tratti individuali che non derivino dalle scelte che ognuno di noi fa e dalle condotte che assume, in piena, personale responsabilità. Non si può quindi giudicare una persona aprioristicamente, in ragione di una qualche origine, non importa quale essa sia. I provvedimenti assunti nell’ambito dell’operazione «White Christmas», invece, mettono in discussione questa premessa unitaria, introducendo per via amministrativa, in un modo apparentemente meno doloroso ma ancora più diretto del percorso giuridico, ossia dell’approvazione di una legge (che sarebbe da subito cassata per manifesta incostituzionalità), una condotta sostanzialmente discriminatoria. Lascia anche perplessi il nome stesso dato all’iniziativa, dagli amministratori definito come casuale e in intenzionale ma che sembra riallacciarsi alla concezione di un Natale “bianco”, mondato dalla presenza di figure estranee per colore e aspetto somatico quali, per l’appunto, troppo spesso sono percepiti gli immigrati. Non meno interessante, nell’intervista, è quando Dal Lago afferma che questa logica, per chi se ne fa sostenitore, «non ha niente a che fare con la sicurezza. È l’invenzione parossistica dell’uomo nero al fine del consenso», ovvero del ricorso alla figura del «nemico come meccanismo essenziale per avere consenso». Una riflessione di assoluta attualità, poiché i meccanismi dell’esclusione che operano nel processo xenofobo sono non molto diversi da quelli dell’antisemitismo praticato dagli Stati moderni ancora pochi decenni fa: stigmatizzazione, separazione, esclusione e, infine, persecuzione. E se di certo la società italiana, così come la sua classe politica, sono di molto lontane da qualsiasi intendimento strettamente persecutorio, rimane il fatto che la meccanica dei processi razzializzanti (ossia, che dividono le persone in base ad un gruppo etnico di appartenenza, per poi dare corso a politiche di trattamento differenziato) sono all’opera proprio in dispositivi come questi, che sembrano a certuni invece ovvi e “neutrali”, quando sono tutto fuorché ciò. L’attualità mediorientale è poca cosa, oggi, se si sfogliano i giornali. A parte un rimando, da parte di Mario Platero, sul Sole 24 ore, all’ipotesi di sanzioni contro Teheran, nel caso si dotasse di energia nucleare, per il resto le comunicazioni languono. Non dubitiamo però che siano destinate, prima o poi, a recuperare una qualche centralità rispetto all’ordinario timone dei giornali. Per il momento, però, dobbiamo accontentarci perlopiù di indiscrezioni. Due notizie di minore contenuto, una su Avvenire e su l’Opinione, dove si vocifera, sulla scorta di quanto già riportato da Maariv, di un accordo politico tra il ministro della Difesa Ehud Barak e il Presidente Shimon Peres riguardo alla definizione di un piano per la creazione di uno Stato palestinese su buona parte dei territori cisgiordani e di Gaza. Peraltro, anche altri esponenti del mondo politico israeliano, a partire da Shaul Mofaz di Kadima, che già ha esposto al pubblico le sue intenzioni al riguardo, avrebbero in animo di varare proposte in tal senso. Lo stesso Premier Benjamin Netanyahu sembra essere silenziosamente partecipe di questi progetti. Plausibile che l’ennesima tornata di proposte (il motto popolare dice che la speranza è l’ultima a venire meno) sia legata non tanto alle effettive disponibilità palestinesi di accoglierle, assai remote, bensì alla necessità per Gerusalemme di offrire all’interlocutore americano una qualche prospettiva di discussione. La seconda notizia ce la offre invece il Messaggero laddove ci dice che l’esponente della generazione della prima intifada, Marwan Barghouti, attualmente in carcere, sarebbe disposto a candidarsi alla presidenza dell’Autorità nazionale palestinese, in rappresentanza del Fatah, movimento politico che sta scontando una crisi di leadership e di legittimazione popolare molto forti. Le sofferte dinamiche infrapalestinesi ruotano intorno a due assi: la fratture (al momento irricomponibile) tra Hamas e Fatah e il tracollo politico ed elettorale del secondo. Il notabilato arafattista sa bene che senza un candidato forte il rischio di perdere anche le residue posizioni di potere è accentuata. Dopo di che, un po’ come i quattro capponi di manzoniana memoria, che si beccano tra loro nel mentre vengono portati in cucina, non è facile prevedere un accordo tra i maggiorenti dell’Olp. La forza di Barghouti è anche la sua stessa debolezza, essendo un outsider rispetto al consesso della élite nazionalista palestinese. Difficile dire poi, malgrado il suo prevedibile seguito tra i giovani, quanto possa mietere consenso in una futura competizione elettorale. Per andare verso la chiusura di una rassegna contenuta nel numero degli articoli commentati ci permettiamo di rimandare a quanto scrive Marco Valerio Lo Prete, su il Foglio, dedicando una riflessione a Milton Friedman, premio Nobel nel 1976 per l’economia, insigne rappresentante del monetarismo e del liberismo. Del pensiero dell’intellettuale ci vengono offerte in rassegna alcune manifestazioni relative al rapporto che egli reputa sia da sempre intrattenuto dagli ebrei con l’economia di mercato. Friedman, egli stesso figlio di ebrei, stabilisce correlazioni che, pur nella loro plausibilità, necessitano di essere raccolte con un certo grado di scetticismo se - com’è in animo di chi si ispira ad una lettura del comportamento umano basata sulla prevalenza del principio di utilità - non vengono corroborate da una robusta consapevolezza della multiformità del vivere sociale e della sua sostanziale imprevedibilità. Le generalizzazioni, come la storia ci insegna, se sembrano accettabili sul piano dell’analisi all’atto concreto possono concorrere all’offuscamento delle coscienze.
 
Claudio Vercelli

 
 
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Il WJC piange la scomparsa di Mendel kaplan                                  
Lauder: "E' stato uno dei grandi leader del mondo ebraico"
Il World Jewish Congress (WJC) piange la scomparsa di Mendel Kaplan, l'uomo d'affari sudafricano e filantropo, che in passato ha ricoperto diversi ruoli dirigenziali nell'organizzazione, compresa quella di tesoriere (1981-1991), presidente del consiglio di amministrazione e presidente del comitato esecutivo (fino al gennaio 2009). Giovedi Kaplan è morto, aveva 73 anni. Lodando la sua dedizione alla causa ebraica e allo Stato di Israele, il presidente del Wjc Ronald S. Lauder, lo ha definito "uno dei grandi capi della comunità ebraica mondiale degli ultimi decenni". 
 
 
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