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    25 novembre 2009 - 8 Kislev 5770  
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Moked - il portale dell´ebraismo italiano
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  Adolfo Locci, rabbino Adolfo
Locci,
rabbino capo
di Padova
E vide Giacobbe il volto di Labano che non appariva a lui più come una volta. E allora l’Eterno disse a Giacobbe: torna subito alla terra dei tuoi padre e alla tua patria e Io sarò con te” (Genesi 31, 2-3). Quando Giacobbe uscì da Beer Sheva fece il sogno di una scala piantata in terra con l’estremità che raggiungeva il cielo; il Signore era in cima alla scala e gli angeli salivano e scendevano da essa. Dopo anni di permanenza presso lo zio Labano, Giacobbe fa un secondo sogno: alza gli occhi e vede caproni da monta striati, punteggiati e maculati. Un angelo gli appare in questo nuovo sogno e gli dice di essere lo stesso di Bet-El - luogo del sogno della scala - e che ha visto cosa gli ha fatto Labano. In realtà, Labano non aveva fatto null’altro che essere se stesso. La perdita dell’identità ebraica, preoccupazione ricorrente nella nostra storia, può essere forzata, volontaria o riflessa. Ciò che è accaduto a Charan al nostro patriarca, che vide trasformati addirittura i suoi sogni, è l’esempio di un’assimilazione “asintomatica” ma, al tempo stesso, ci fornisce un parametro importante per configurare il nostro livello di attenzione al riguardo: a volte, quando non si vede più la “stranezza” altrui, non vuol dire che a cambiare siano stati gli altri...
Non sono le specie più forti, o le più intelligenti, a sopravvivere. Ma quelle più adattabili al cambiamento. (Charles Darwin) Guido
Vitale,

giornalista
Guido Vitale, giornalista  
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  Qui Venezia - Educare ed essere genitori
Il lavoro del Dec per i docenti e le famiglie


Pubblico“Educazione e genitorialità” questo il titolo dell’incontro svoltosi a Venezia in occasione del Seminario nazionale per insegnanti di scuola materna organizzato da Odelia Liberanome, coordinatrice del Centro Pedagogico del dipartimento Educazione e cultura dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane (nell'immagine un momento dei lavori assieme al rabbino capo di Venezia Elia Richetti). Molti insegnanti di scuole per l'infanzia giunti in laguna da otto città italiane in rappresentanza di nove scuole e istituzioni educative, per due giorni di full immersion sull'educazione ebraica prescolare.
Sul tema sono intervenuti il rav Roberto della Rocca, direttore del DEC e il professor Gavriel Levi, neuropsichiatra infantile e docente dell’università di Roma, che hanno offerto il loro contributo di conoscenza anche agli iscritti della Comunità ebraica di Venezia intervenuti alla giornata di studio e dibattito.
Qual è il senso dell’educazione ebraica e cosa intende l’ebraismo per educazione? Quale la sua specificità?
Gavriel Levi ha messo in luce qualche spunto: “Sulle orme del Ramchal (Moshè Chaim Luzzatto), se per educazione intendiamo la trasmissione di un’etica, essa consiste nella possibilità di trasferire quelle parole che si trovano nel cuore. Solo queste infatti, posso formare una persona. Solo queste educano. La formazione di una persona si gioca nella relazioni, complesse e conflittuali, entro cui il bambino è immerso fin dalla nascita. Possiamo dire che educare significhi prima di tutto relazionarsi e insegnare a relazionarsi. Per questo i sentimenti, che sono sempre, per definizione, relazionali, ovvero relativi a sé, alle cose e agli altri, sono “l’oggetto” dell’educazione ebraica“.
Dello stesso avviso è rav Della Rocca, che ha affermato infatti che l’educazione (Hinuch) non è tanto l’insegnamento, ma la formazione di una persona: essa non si manifesta tanto nel momento dell’insegnamento quanto piuttosto nell’accertamento che il proprio discepolo e figlio stiano seguendo un loro percorso. Secondo Gavriel Levi, seguendo infatti l’insegnamento della Mishnà (terzo capitolo dei Pirkè Avot - Massime dei padri), ciò che porta una persona a “formarsi” è la modulazione di tre sentimenti: l’invidia, il desiderio, l’onore (ovvero avvertire la presenza dell’altro). Modulare questi sentimenti in relazione a sé e agli altri, in equilibrio tra un senso di giustizia e di amore, permettono al bambino, e poi all’adulto, di apprendere sia le regole che la capacità di esprimersi e saper esistere in un mondo conflittuale, in cui convivono amore e timore.
Questo percorso porta il bambino ad acquisire quell’etica ebraica che si manifesta prima di tutto nell’essere capaci di un amore sincero, di senso del pudore e di essere in grado di “fare opere di bene”. L'educazione arriva a buon fine quando vediamo che il bambino riesce a prendere e ricevere senza vergogna e, così, quando riesce a dare con gioia.
Rav Della Rocca ha poi sottolineato questa reciprocità attraverso l’immagine del Sinai: “quando si studia Torà è come fossimo d’avanti al Sinai. Di fronte al maestro e di fronte al nonno il bambino è come se ricevesse la Torà dal Sinai. Ma se questo è vero è vera anche la reciprocità di questa relazione: il nonno e il maestro di fronte al proprio allievo e al proprio nipote è come se fossero d’avanti al Sinai. E’ la qualità di ogni relazione che dà senso a ogni insegnamento e parola.”
Nella stessa giornata l’Ufficio Giovani Nazionale dell’Ucei ha coordinato il primo incontro nell’ambito del progetto Netivot, un’iniziativa per i ragazzi dai 12 ai 18 anni tesa alla creazione di una rete di rapporti tra i giovani del Nordest. L’idea ha riscosso consenso con la presenza ragazzi provenienti da Venezia, Padova, Ferrara, Trieste e Brescia. Per i bambini dai quattro agli otto anni è stato inoltre organizzato un laboratorio narrativo teatrale intitolato “Storie di Giochà” su racconti canzoni e danze della tradizione popolare giudeo-spagnola, a cura dell’attore-animatore Renato Grilli. Grazie a questo laboratorio gli insegnanti hanno potuto osservare un diverso modo di concepire l’apprendimento , volto alla dinamicità dei contenuti proposti al bambino. Il seminario per insegnanti si è poi concentrato sulle caratteristiche delle diverse strutture educative nazionali sia a livello organizzativo che gestionale, spaziando da realtà con più di cento allievi a realtà decisamente più ridotte, che si attestano sulla decina. Il dibattito ha preso in considerazione l’aspetto programmatico con un focus sull’insegnamento delle materie ebraiche, basilari per la formazione del bambino nei primi anni di vita. Si è lavorato sullo scambio di materiali e di idee per la preparazione di unità didattiche specifiche e  l'opportunità di visionare in fase preliminare un programma per l'insegnamento della lingua ebraica, prodotto in Israele, e specificatamente studiato per l'età prescolare.

Michael Calimani
(hanno collaborato Ilana Bahbout e Odelia Liberanome)




Qui Torino - Bensoussan, un libro contro il pregiudizio
"Israele non è nato dal senso di colpa dei Paesi europei"


CopertinaIsraele è nato dalla Shoah. Un pregiudizio diffuso e allarmante, un concetto utilizzato dai detrattori per delegittimare l’esistenza stessa dello Stato israeliano. Contro questa falsa concezione il professor Georges Bensoussan, docente all’università Sorbona IV, oppone la storia, i fatti. Nel suo nuovo libro Israele, un nome eterno (Utet 2009), presentato a Torino presso la Fondazione Luigi Einaudi, lo storico francese analizza in modo attento e lineare la storia del sionismo, sottolineando il grande contributo che questo movimento ha dato alla nascita di Israele. Non solo, Bensoussan decostruisce, attraverso un  mirabile processo logico, il pregiudizio secondo cui Israele sarebbe nato dal senso di colpa dei paesi europei.
“In Italia ma non solo”, sostiene la coordinatrice dell’incontro Elena Loewenthal, scrittrice ed editorialista de La Stampa, “c’è l’idea diffusa che Israele sia un risarcimento agli ebrei per quanto accaduto durante la Seconda Guerra Mondiale. Il libro di Bensoussan smentisce questa tesi falsa e velenosa”. 
“Falsa - sottolinea il professor Alberto Cavaglion, docente di Storia contemporanea all’università di Firenze - perché in questo modo non si tiene conto, come invece accade nel libro, dello Yishuv: una realtà politica complessa che già dal 1922 vedeva nella futura Israele una società ben organizzata, con istituzioni politiche, sindacati, organi di stampa, università e così via”.
Bensoussan sostiene che la Shoah non sia stata una condicio sine qua non per la creazione dello Stato ebraico; non lo è stato nemmeno il l’antisemitismo perché altrimenti non si spiega come, dalla diaspora in avanti, per secoli non sia mai nata una corrente paragonabile al sionismo. Lo storico, inoltre, è critico nei confronti di coloro che guardano agli arabi come vittime del colonialismo israeliano e a chi sostiene che vi sia un genocidio palestinese, Bensoussan risponde con i numeri: la popolazione palestinesi, lungo questi decenni, è cresciuta da trecentomila persone a oltre un milione.
Altra questione importante che emerge dal libro è il problematico rapporto fra la memoria della Shoah e Israele, “un silenzio pieno di ombre”, sostiene Anna Foa, docente di storia moderna alla Sapienza. L’iniziale sordità di fronte alle testimonianze dei sopravvissuti, il concentrarsi solo su una visione eroica, portando ad esempio la resistenza del ghetto di Varsavia, o ancora l’angosciante visione della Shoah come “pecore mandate al macello”. Questi, ricorda la Foa, sono tutti temi che hanno a lungo caratterizzato la discussione in Israele e non solo. “La questione della memoria - spiega la storica - è esplosa con il processo Eichmann e da qui nasce l’esperienza dei testimoni. Il paradosso però è che progressivamente nasce una religione civile fondata sulla Shoah, Yad Vashem diviene il cuore storico della nazione. Il trauma non è stato elaborato fino in fondo ed è venuta a consolidarsi una memoria ipertrofica che rinuncia al sionismo”.
C’è spazio anche per un interessante critica di Cavaglion alla ricostruzione di Bensoussan: “Premesso che l’autore appartiene a quella ormai rara categoria di storici sobri e rigorosi che ricostruisce il passato attraverso la rottura degli schemi consolidati  - argomenta lo studioso - ho qualche perplessità sulla parte un po’ romantica del saggio riguardo al sionismo; è vero che già prima del 1948 vi era una struttura pre-statale organizzata ma non sono sicuro che sia sufficiente. Bisognerebbe comparare, con realismo politico, la nascita di Israele con la creazione degli altri stati, ad esempio con il Kosovo. Non credo basti l’afflato romantico, bisogna anche guardare la lezione dei fatti”.
All’incontro è intervenuto anche il presidente della Comunità di Torino, Tullio Levi, che ha voluto sottolineare il valore del libro di Bensoussan “è un testo davvero importante nel panorama italiano; restituisce al sionismo il suo vero significato. Non è un libro apologetico ed è storicamente inoppugnabile. Dimostra che Israele nasce e vive per virtù propria”.
Tutti concordi sul ruolo significativo che questo libro potrà giocare per la comprensione di un argomento tanto complesso come il rapporto tra sionismo, memoria e Israele. Va inoltre sottolineata l’abilità di Bensoussan nel coinvolgere il lettore, il libro è scorrevole e chiaro, riesce a spiegare con molta lucidità questioni complesse e sfaccettate come quelle toccate dai relatori. 
Chiudiamo con le parole di Bensoussan, un monito per chi perde di vista l’importanza di studiare la storia, i fatti: “Storia vuol dire conoscere. Chi la confonde con l’ideologia, preferisce non conoscere”.

Daniel Reichel



Qui Torino - Chiesa cattolica e Israele, Minerbi fa il punto
su un rapporto inevitabilmente difficile e delicato


Minerbi“I problemi tra Santa Madre Chiesa e Israele sono nati prima di Israele”, assicura il professor Sergio Minerbi (nell'immagine), uno dei maggiori esperti delle questioni diplomatiche tra il Vaticano e lo Stato ebraico. “L'opposizione della Chiesa a Israele è l'appendice del filone antisemita nella storia del cattolicesimo”, aggiunge lo studioso.
Internazionalista dell'Università di Haifa, collaboratore del Sole 24ore, ex ambasciatore israeliano a Bruxelles, Minerbi non usa sempre toni che ci si aspetterebbe da un navigato diplomatico. Lancia accuse forti e precise: “La Santa Sede si è sempre opposta alla preponderanza ebraica in Palestina, praticamente alleandosi con l'Olp.”. “La tesi principale della Chiesa, riguardo ai suoi rapporti col nazismo, è quella coniata nel 1945 da Pio XII: la Chiesa non è stata collaboratrice ma vittima della furia nazista. Ma questa tesi è un falso storico”. L'atmosfera in sala si scalda, ma i rilievi critici non sono finiti. Una delle figure più criticate da Minerbi, dopo aver premesso di non volersi dilungare su Pio XII, è papa Giovanni Paolo II: “E' quello che più ha lavorato al progetto di cristianizzare la Shoah (è nell'ottica di questo progetto che è pensata la tanto controversa beatificazione di Pio XII), di sottrarre agli ebrei il ruolo di vittima”. Nell'omelia per Birkenau papa Wojtila dice che sono morti sei milioni, ovvero un quinto della popolazione polacca; “ciò è gravissimo: cercò di far credere che sono morti sei milioni di polacchi, ma non è affatto così, i sei milioni sono ebrei”. Qualcuno a questo punto si alza per protestare, ma il professore non si tira indietro, sembra quasi disposto a trasformare la sua conferenza in un dialogo acceso con un cattolico suscettibile, anche gli organizzatori (l'associazione Italia-Israele di Torino) cercano di mantenere calmi gli animi.
Un'altra cosa che Minerbi non si sente di accettare del pontificato di Wojtila è “l'espressione Golgota del mondo moderno, usata ben tre volte per designare la Shoah: Golgota è il colle sul quale fu crocifisso un ebreo per dare vita al cristianesimo. Che messaggio vuole lanciare un simile parallelo?”. Le critiche si susseguono a ritmo incalzante, e c'è ne anche per il mondo ebraico: “Il rabbinato che intrattiene relazioni diplomatiche con la Santa Sede, con poche eccezioni, capisce di questioni ecclesiastiche quanto la Chiesa capisce di Talmud: davvero poco”. “Per esempio - spiega Minerbi - è stato firmato un documento diplomatico che parla di riconciliazione, senza conoscere il particolare significato che tale parola assume in San Paolo: riconciliarsi sotto un'unica croce”.
Tra polemiche sul caso Williamson, il vescovo negazionista, e confronti a volte contrastati con una parte del pubblico, si conclude con una nota amichevole: “Nonostante alcuni suoi errori, devo ammettere che provo simpatia per papa Benedetto XVI”.

Manuel Disegni
 
 
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  BahboutTorah oggi - Pregare in rete, pregare insieme

La frequenza sempre minore dei fedeli alle funzioni ha indotto la Chiesa cattolica a lanciare, in un recente convegno, l’idea della preghiera online (con la benedizione papale). Se ogni iniziativa tesa a educare alla preghiera è certamente benvenuta e se l’ebraismo ha sempre visto nella tecnica uno strumento importante per lo sviluppo religioso, sociale e culturale dell’uomo, è lecito interrogarsi su quali siano i limiti e quali i pericoli nell’intraprendere una via del genere e soprattutto perché nell’ebraismo sia così importante la preghiera pubblica. Gli ebrei hanno sempre fatto un grande uso dei mezzi di comunicazione, ma hanno anche elaborato regole che impediscono la trasformazione dell’uomo in una specie di macchina, affinché non si corra il rischio di trasformarlo in una sorta di monade senza contatti veri con gli altri. Alcune parti della preghiera possono essere dette solo se è presente un gruppo minimo di dieci adulti (il minian); di sabato e di giorni festivi non si può fare uso del computer o di registratori, ma solo di libri o di testi scritti a mano su pergamena (i testi biblici letti in pubblico). Del resto la preghiera, pur essendo importante, è sempre venuta in ordine di importanza dopo lo studio e, anche se si può studiare da soli, l’ebraismo ha sempre privilegiato lo studio in chavruta (compagnia). Non v’è dubbio che per lo studio sia molto utile fare uso dei siti che su internet danno lezioni di Torà o di Talmud. La preghiera stessa inizia con un percorso di studio che va dalla Bibbia al Talmud. Ci si può aggregare a un gruppo di preghiera (un minian) se ci si trova in un’altra stanza, anche se non lo si vede, purché si senta la voce dei membri del gruppo. Niente può sostituire il contatto diretto con gli altri. La preghiera non è un fatto che interessa il singolo, ma tutta una collettività. Una collettività che non può essere virtuale, ma deve essere costituita di singoli in carne e ossa.

Rav Scialom Bahbout 
 
 
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Gerusalemme verso il baratto shock Barghouti-Shalit
[...]Per Israele accettare l'accordo è già abbastanza difficile di per sé. Tra i punti dolenti, c'è Barghouti. Gerusalemme infatti considera il leader dei Tanzim il mandante di diversi attentati terroristici effettuati dai Martiri di Al-Aqsa, altro gruppo legato a Fatah: al momento sta scontando cinque ergastoli consecutivi per altrettanti omicidi, incluso l'assassinio di un ragazzino ebreo. Insomma, per gli israeliani è uno dei peggiori terroristi, con le mani sporche di sangue innocente. Per i palestinesi invece è uno degli esponenti politici più promettenti e benvoluti. Cinquant'anni e un'aura da eroe rivoluzionario, Barghouti è uno dei volti più popolari di Fatah, in particolare tra i giovani radicali della Cisgiordania. Secondo alcuni, l'unica speranza per mantenere Fatah in piedi, e contrastare l'ascesa di Hamas: per questo si era già ipotizzata la sua liberazione diverse volte, sia in concomitanza con le ultime tornate elettorali, sia in relazione al dossier Shalit. Ma poi non se n'era fatto nulla. Cosa cambia questa volta, allora? Posto che tutto è ancora incerto, per una volta le voci su una possibile liberazione di Barghouti avvengono da una fonte vicina al diretto interessato. Suo fratello Mukabal ha infatti detto al quotidiano israeliano Yediot Ahronot di avere ricevuto rassicurazioni in materia, nonché di essere stato informato sull'imminente liberazione del leader del Fplp Ahmed Sadat. Un'ulteriore conferma arriva poi dallo stesso Fronte Popolare.[...]
Anna Momigliano, Il Riformista 25 novembre 2009

Grenoble 1943 Un ricordo terribile e dolce
[...]In qualsiasi momento, si poteva incappare in un collaborazionista ed essere denunciati e arrestati. Morti, torture, deportazioni segnano questo percorso, ma nel libro prevale la nostalgia di quella vita, delle amicizie e degli amori che sbocciavano ingenui e frequenti. Non che l'ideologia sia assente in queste memorie: il gruppo di Simon e Paul Giniewski esalta l'azione armata e critica violentemente la presunta passività degli ebrei, ha un'ottica nazionalista tutta proiettata a far del salvataggio degli ebrei il ponte verso la costruzione dello Stato di Israele. Molti di questi ragazzi proseguiranno la loro attività nei mesi e negli anni successivi, partecipando all'organizzazione dell'emigrazione clandestina e alla lotta contro gli inglesi e poi, dopo la proclamazione dello Stato, alla guerra del 1948, in una continuità con la Resistenza che Giniewski sottolinea costantemente.[...]
Anna Foa, L'Osservatore Romano, 25 novembre 2009

Il record di Gretel, l'ebrea che saltava più alto di Hitler
Nessuna saltava più in alto di lei, ma aveva un difetto. Era ebrea. Gretel Bergmann mise in imbarazzo Hitler, che la escluse dalle sue Olimpiadi, nel 1936 a Berlino. E il suo record nazionale, un metro e 60, venne cancellato. Con 73 anni di ritardo, ora la federazione tedesca ha riconosciuto il primato. «E'un atto simbolico, non può essere una reale riparazione», ammette il presidente Theo Rous. «Mi dovevano almeno questo, anche se la storia non conosce replay», ha commentato la signora Gretel, lucidissima a 95 anni. Nei 1937, riuscì a emigrare negli Stati Uniti, dove si è sposata con il medico Bruno Lambert, anche lui ebreo tedesco, e che oggi ha 99 anni. 
[...]
[...] Il record femminile di salto è oggi di 2 metri e 9, un progresso di neanche un centimetro all'anno. Il risultato ottenuto da Gretel negli Anni Trenta, era eccezionale, e con il divieto il III Reich perse una medaglia d'oro che andò all'ungherese Ibolya Csalc, esattamente con un metro e 60. Una beffa per i nazisti.[...]
Roberto Giardina, Nazione-Carlino-Giorno, 25 novembre 2009

 
 
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notizieflash    
 
 
Il Consiglio di difesa israeliano si riunisce                                        
per discutere di uno scambio di prigionieri
Gerusalemme, 25 nov -
La radio militare israeliana ha annunciato stamane che il Consiglio di difesa del governo israeliano è stato convocato dal premier Benyamin Netanyahu e, probabilmente, si accinge a discutere le modalità di uno scambio di prigionieri con Hamas. Secondo la radio militare la consultazione era stata fissata da tempo per questa mattina mentre ieri è stato deciso di posticiparla al pomeriggio: ciò, secondo l'emittente, nell'ipotesi che nel frattempo giunga a Gerusalemme una risposta di Hamas sugli ultimi dettagli della intesa messi a punto da un mediatore tedesco. Con questo scambio Israele intende recuperare il caporale Ghilad Shalit (nelle mani di Hamas dal giugno 2006) e sembra disposta ad accettare di liberare diverse centinaia di palestinesi, condannati a lunghe pene detentive per aver partecipato ad attentati terroristici, per riavere il soldato israeliano. I dettagli esatti della intesa che sta prendendo forma sono per ora tenuti segreti.
 
 
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