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    30 novembre 2009 - 13 Kislev 5770  
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Moked - il portale dell´ebraismo italiano
alef/tav    
  Riccardo Di Segni, rabbino capo di Roma Riccardo
Di Segni,

rabbino capo
di Roma
Abbiamo letto questo Shabbat una delle poche storie di amore della Bibbia, quella tra Yaakov e Rachel. E' stato fatto il conto: in tutta la Bibbia sono sette gli uomini di cui si dice che abbiano amato una donna, e una sola donna che abbia amato un uomo (è Mikhal, figlia di Shaul, che ama David). C'è chi tenta di dimostrare che anche in questi rari casi non di amore nel senso corrente si tratta, ma di un amore differente. In ogni caso le dichiarazioni di amore si accompagnano a un destino complicato, se non tormentato. Mentre chi è meno amato sembra avere un rapporto e una vita più facile. In questo c'è anche un'allusione al difficile rapporto di amore che lega reciprocamente Israele al suo D. 
“Elvezia, il tuo governo schiavo d'altrui si rende d'un popolo gagliardo le tradizioni offende e insulta la leggenda del tuo Gugliemo Tell”. (Addio Lugano bella, 1894) Anna Foa,
storica
Anna Foa, storica  
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  Qui Venezia - L'affascinante storia degli ebrei di Corfù
nella trentaquattresima giornata di studio a Venezia

                                                                                                                     
giornata di studio “Yudim de Yavan, ebrei tra Venezia e Corfù” è il titolo della trentaquattresima giornata di studio che si è svolta a Venezia, un’occasione unica per celebrare il professor Cesare Vivante e il suo libro “La memoria dei padri”, grazie ai contributi di alcuni esimi professori intervenuti sul tema. Dopo i saluti iniziali del Presidente della comunità ebraica di Venezia, Vittorio Levis agli ospiti e alle autorità presenti, è intervenuto l’avvocato Augusto Salvadori, Assessore al Turismo e al Decoro del comune di Venezia che ha ricordato quanto la Comunità Ebraica da sempre sia legata alla Serenissima, una comunità internazionale, ricchissima nella sua realtà composita, fedele a Venezia nonostante le limitazioni imposte. Un aiuto economico indispensabile nelle guerre che la dominante dovette sostenere nei secoli.
In una sala Montefiore oltremodo gremita, il moderatore Reinhold Mueller, professore di storia medievale economica e sociale all’università Ca’ Foscari di Venezia, ha dato il via ufficiale alla giornata introducendo in breve i relatori e il primo intervento dedicato alla preistoria della dominazione veneziana a Corfù tra il XIV e il XV secolo a cura di Renata Segrè, Professoressa della Tel Aviv University e in particolare alle ricerche d’archivio sulle prime attestazioni ebraiche in area ionica.
Degli ebrei corfioti e del commercio internazionale della prima età moderna, ha parlato Benjamin Arbel professore di  storia moderna, economica e sociale, alla Tel Aviv University. Arbel ha delineato le fasi che permisero agli ebrei corfioti di occupare ruoli sempre più importanti nel commercio marittimo. Importante da ricordare è come cambiò il ruolo di Corfù nel sistema economico veneziano, grazie allo sviluppo di un’intensa attività commerciale relativa allo scambio di prodotti di origine balcanica come la cera, il cuoio e specifiche stoffe. Infine del commercio dell’olio che diventerà nel ‘600 una componente fondamentale dell’economia isolana.
Una parte consistente della mattinata è stata dedicata ad una tavola rotonda sul libro di Cesare Vivante “La memoria dei padri” con gli interventi di Giovanni Levi, Ennio Concina, Gilberto Penzo e Gabriele Mancuso. Una storia di memoria familiare, ma anche di una vera e propria ricerca storica, coniugando alla ricerca personale le metodologie della ricerca documentale. Con Giovanni Levi, professore di storia all’università Ca’Foscari di Venezia, si è parlato di com’era la vita a Corfù e di come fosse difficile vivere in un contesto dominato da un forte disordine sociale, un paese selvaggio difficile da contenere anche per la potente Venezia. Gilberto Penzo ha incentrato invece il suo intervento sull’analisi specifica dei materiali elencati negli inventari relativi alle navi degli armatori Vivante. Dai semplici materiali marittimi ad insoliti oggetti utilizzati nelle cucine di bordo delle oltre 20 imbarcazioni citate. Un lavoro di ricerca indubbiamente esemplare.
Dello stesso avviso è stato Ennio Concina, professore di storia dell’arte bizantina all’università Ca’ Foscari di Venezia, che ha definito il libro in questione  un “Nostos”. Un ritorno alla storia d’una famiglia, ma anche il ritorno ad un mito di un’isola felice che accolse la popolazione ebraica e grazie ad essa conobbe secoli di florido sviluppo. Gabriele Mancuso, ebraista, musicista e professore della Boston University, ha commentato invece la lista, da lui redatta in appendice al volume, dei testi ebraici ritrovati negli elenchi della famiglia Vivante. Testi di grammatica, mistica e Torah che vanno a delineare un contesto culturale solido non solo di una famiglia, ma di una comunità intera. Un legame indissolubile con la tradizione ebraica e con le correnti cabalistiche, spesso poco visibili, ma decisamente presenti a Venezia.
Nel pomeriggio, ha preso la parola Donatella Calabi, docente di Storia della città presso l'Università IUAV di Venezia, sostituendo il professor Mueller nella conduzione della discussione. Nell’ambito di una ricerca comparata realizzata tra storici dell’architettura su scala nazionale era stata proposta Corfù come esempio significativo di città cosmopolita. Tra fine ‘800 e lnizi del ‘900 la città aveva infatti subito una serie di interventi monumentali e di ampliamento atti a dare ordine a quella città selvaggia, dove coabitarono in maniera assai poco conflittuale greci, veneziani, pugliesi, austriaci, ungheresi ed ebrei.
L’intervento del Professor Alfredo Viggiano, docente e ricercatore di Storia  Moderna all'Università di Padova, ha posto l’attenzione sulla particolare congiuntura storica che fa da contorno alle vicende narrate nel libro evidenziando il rapporto controverso tra Venezia, la dominante e le isole Ionie, attraverso fonti, nello specifico trattati e relazioni scritte sul governo non solo delle isole Ionie, ma di tutta una zona inquieta che dall’Albania veneta coinvolge il Montenegro, il Peloponneso e la giurisdizione delle isole Ionie.
Riallacciandosi al contributo precedente Photis Baroutsos, professore di storia moderna alla Ionian University di Corfù, ha approfondito le caratteristiche della convivenza tra ebrei e cristiani a Corfù, con un’analisi storica della città e del quartiere a loro dedicato, portando alcuni esempi di limitazioni e di privilegi a cui erano soggetti gli ebrei corfioti sudditi di Venezia, dei mestieri che potevano svolgere, degli incarichi di rilievo che negli anni vennero attribuiti a personaggi di spicco della comunità ebraica locale.
Riguardo alle radici e all’eredità dell’ebraismo corfiota è poi intervenuto Fabrizio Lelli , professore di ebraico all’università di Lecce e profondo conoscitore dell’ebraismo pugliese. Lelli ha cercato di ristabilire l’identità dell’ebraismo salentino, tra i più antichi dal punto di vista di insediamenti nella diaspora occidentale, a partire da alcune ricerche manoscritte. Infatti una parte dell’ebraismo corfiota proveniva di fatto dalla Puglia, ma non si parla di una situazione stanziale, si erano infatti trovati in Puglia nel ‘500 di passaggio, attirati dalle condizioni favorevoli instaurate dagli aragonesi nel regno di Napoli, per poi dirigersi a Corfù, sotto il dominio tollerante della Serenissima.
In chiusura della giornata, l’intervento di Rav Elia Richetti sul rito corfiota, fondamentalmente un rito spagnolo con una qualche lieve influenza italiana legata alle comunità ebraiche della Puglia. La posizione strategica dell’isola ha portato gli ebrei corfioti ad intrattenere rapporti con le comunità situate più ad est, come Salonicco e Rodi. Grazie a queste molteplici contaminazioni ancora oggi possiamo ascoltare alcuni canti liturgici sinagogali in ebraico, italiano, spagnolo e greco.

Michael Calimani


Referendum sui minareti - Il no degli svizzeri
e il pericolo della religione dominante


sergio minerbiSono preoccupato dal libero volere dei cittadini svizzeri. E sono preoccupato dal commento di Roberto Castelli sulla croce sulla bandiera "per battere l'ideologia massonica e filoislamica". Intervengo da storico. A proposito del commento e della recente agitazione sul crocefisso, trascrivo un brano di un mio libro. "Il 16 novembre 1922, presentando alla Camera la propria compagine ministeriale, Mussolini pronunciò parole assai chiare sui diritti riconosciuti dal governo alle varie religioni: 'tutte le fedi religiose saranno rispettate, con particolare riguardo a quella dominante, che è il cattolicismo'. (...) Il 22 novembre il sottosegretario alla Pubblica istruzione Dario Lupi dispose la ricollocazione del crocefisso, definito il simbolo della 'religione dominante dello Stato', in tutte le aule delle scuole elementari dalle quali era stato rimosso. Come venne osservato con soddisfazione, 'in meno di un quinquennio il Crocefisso tornò al Colosseo, sul Campidoglio, nelle scuole, nelle caserme, nei tribunali, negli uffici pubblici, e, sull'esempio di questi, in moltissimi uffici privati. Un mese dopo, il 26 dicembre 1922, il nuovo ministro della Pubblica istruzione Giovanni Gentile annunciò che intendeva fare dell'insegnamento della religione cattolica 'il principale fondamento del sistema della educazione pubblica e di tutta la restaurazione morale dello spirito italiano'." In quel momento il governo era di coalizione; né totalitario né dittatoriale. Il passato non si ricopia. Oggi non vedo minacce reali di fascismo. Ma la strada della religione 'dominante' ci viene sempre più prospettata.

Michele Sarfatti


Referendum sui minareti - La nostra solidarietà
contro le strumentalizzazioni


La Federazione delle Comunità Ebraiche svizzere, con un netto comunicato, da tempo si era espressa contro il "referendum dei minareti" rilevando, tra l'altro,come la "coesistenza pacifica si fondi sui messaggi espressi in chiese, moschee e sinagoghe, non per come appaiono dall'esterno". Da queste pagine voglio quindi soffermarmi brevemente sull'Italia, per esprimere solidarietà al mondo cristiano per la strumentalizzazione che subisce in queste ore tramite l'apparente ed ingannevole difesa del suo simbolo più noto, usato invece come arma di scontro politico da chi viene a proporre, penso peraltro pago del solo effetto mediatico, il suo inserimento nella bandiera italiana. Paradossalmente a mettere a nudo l'uso strumentale che viene fatto in Italia, da taluni, del referendum svizzero è proprio uno dei suoi promotori, Oskar Freysinger, il quale sottolinea avversione "alle interferenze della religione nella sfera pubblica" e rileva come "la preghiera è un fatto privato"...mi viene in mente Monsignor Plotti e la sua famosa disquisizione sugli "atei devoti"!

Gadi Polacco, Consigliere dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane


Qui Torino - Sionismo, fra liberazione e creazione

sergio minerbi“Il giorno della liberazione” ricorda Sergio Minerbi (nella foto a fianco) “ero nascosto nel collegio cattolico Salvatore Magno. Mi salvarono la pelle” e aggiunge con un sorriso “ma, dal loro punto di vista, non mi salvarono l’anima”. Inizia in una Roma festante ed effervescente la storia del giovane Minerbi e del suo rapporto con il movimento Hechaluz, tema al centro di uno degli incontri del Convegno internazionale “Culture del sionismo”. “Ben presto” racconta Minerbi, internazionalista dell’Università di Haifa ed ex ambasciatore israeliano a Bruxelles “incontrai i soldati della Brigata Palestinese con cui iniziai a stringere amicizia. Spesso li invitavo a casa e da loro imparai un’infinità di cose”. Da quelle conversazioni si deciderà molto del suo futuro. “Volevo combattere le idee cristallizzate nella società, già allora non sopportavo i conformismi” confida Minerbi “la mia era una ribellione contro i genitori, contro le ipocrisie”. Inizia ad occuparsi del giornale Hechaluz, partecipa al seminario di Pitigliano e al congresso di Nonantola. Condivide quello spirito nuovo, propositivo proprio del movimento, incontra Leo Levi “un genio in ebollizione – racconta Minerbi – si occupava senza sosta dei giovani, cercando di coinvolgerli. Assieme ci dedicammo a creare contatti con le piccole comunità perché non rimanessero isolate”.
Lo sguardo però è rivolto a Israele e l’occasione per l’Aliyah arriva nel 1947 “Avevo diciotto anni. Discutevamo chi dovesse andare in Eretz Israel per partecipare a un congresso. Io ero l’ultimo della lista, ma dalla mia parte avevo Raffaele Cantoni, socialista, dirigente del Delasem (Delegazione per l'assistenza degli emigranti ebrei)
e presidente nel dopoguerra dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane. Dopo una serie infinita di discussioni e con un po’ di fortuna riuscì ad aggregarmi al gruppo”.
In Israele Minerbi entra nel Kibbutz Arzì ed è lì quando viene votata la risoluzione Onu che sancirà la creazione dello stato ebraico “eravamo tutti in refettorio, o meglio io non ero con gli altri. Ascoltavo via radio la votazione: trentatré a favore, tredici contro e dieci astenuti. Subito corsi verso il refettorio ed entrai urlando –abbiamo uno Stato-”.
Il resto, come si suol dire, è storia. Il viaggio di Minerbi termina in Israele. Ma il tema del binomio Israele - Italia nel convegno di Torino non si conclude con il suo intervento. Alberto Cavaglion, docente di Storia contemporanea all’università di Firenze, racconta al pubblico della splendida sala di Palazzo Granieri della Roccia, il viaggio a Gerusalemme di alcuni dei più grandi personaggi della letteratura italiana del Novecento. Primo Levi, per esempio, che visiterà assieme ai partigiani un kibbutz, dipingendolo come un buon esperimento socialista. Sul suo soggiorno in Israele, Ennio Flaiano, scrittore, giornalista e sceneggiatore, scriverà addirittura tre saggi “comprendendo in modo sottile e acuto i nodi di una società in divenire come quella israeliana” spiega Cavaglion che aggiunge “Fliaiano capì,entrando in contatto con le persone, che vi era una diffusa sensazione di nostalgia per l’Europa, sia fra i sabra quanto, evidentemente, fra coloro che di europee avevano le origini”.  
Montale invece, andato in Israele come inviato del Corriere e al seguito del papa, è colpito dalla lingua “secondo lui” sostiene Cavaglion “il baricentro della società israeliana è l’ebraico e in particolare Montale è impressionato dall’uso del tempo verbale”. L’ebraico sarebbe una lingua del presente ma con un forte legame, a tratti oneroso, con il passato.
Infine Pasolini, di cui il professor Cavaglion ha scritto su “Pagine ebraiche”, che va in Israele per girare il Vangelo secondo Matteo e di quel brevissimo soggiorno, dieci giorni, scriverà un’infinità di articoli, appunti, lettere. Toccanti e dure saranno le parole di Pasolini quando, all’indomani della guerra dei sei giorni, vedrà la sinistra italiana spaccarsi in pro e contro Israele, in particolare il grande scrittore e regista condannerà coloro che sceglieranno di stare incondizionatamente da una parte. Pasolini scriverà “scegliere con il dubbio è la sola umana di tutte le scelte”.

Daniel Reichel


Qui Milano - Un anno fa, terrore a Mumbai

MumbaiIn Italia è passato abbastanza inosservato, ma ricorre in questi giorni il primo anniversario degli attacchi terroristici che il 26 novembre 2008 straziarono la città di Mumbai, la più popolosa dell’India.
La sera del 26 novembre, History Channel ha trasmesso un documentario che ha ricostruito quelle ore di sangue e terrore, attraverso immagini, testimonianze dei sopravvissuti, e anche mostrando l’interrogatorio, un’ora dopo la cattura, dell’unico terrorista rimasto in vita.
I dieci terroristi giunti a Mumbai via mare dal Pakistan si divisero in coppie per andare a colpire gli obiettivi designati. Locali, la stazione ferroviaria, gli alberghi più lussuosi della città, l’Oberoi e il Taj Mahal Hotel. Fu preso di mira anche il centro ebraico Chabad, la Nariman House. Ebrei uccisi in quanto ebrei, perché, come sottolinea il capo commando parlando ai suoi uomini attraverso il cellulare intercettato dalle autorità indiane durante quelle ore terribili, colpire un ebreo vale molto più che un ospite dell’Hotel Taj, “uccidere un ebreo vale almeno quanto uccidere cinquanta persone altrove”. Il centro era coordinato dal rabbino Gavriel Holtzberg di Brooklyn e dalla moglie israeliana Rivka (nella foto in alto), incinta di cinque mesi. L’altro bimbo Moshe, due anni, era già a letto e fu portato in salvo dalla bambinaia indiana. I due terroristi che fecero irruzione nel centro assassinarono la coppia non ancora trentenne, alcuni ospiti e diverse persone che si erano radunate lì attorno.
Stasera a Milano sarà ricordato tutto questo in un incontro cui prenderà parte come ospite d’onore il padre di Rivka. La serata sarà anche l’occasione per inaugurare i lavori che porteranno presto alla nascita del Milan Jewish Center. Nuova sede milanese di Beit Chabad, il Milan Jewish Center offrirà un’ampia gamma di servizi. Ospiterà infatti una sinagoga, una Yeshivah con dormitorio, un centro studi, una biblioteca, una ludoteca, e inoltre ristorante,  salone per eventi, centro giovani, Mikvè e terrazza per la Sukkà.
“Abbiamo voluto inaugurare il Centro con la commemorazione delle vittime di Mumbai perché ritenevamo fosse fondamentale ricordarle, come hanno fatto altre città in Europa – spiega l’organizzatrice Gheula Canarutto – E’ anche importante per noi lanciare il messaggio di un ebraismo che reagisce a una strage senza farsi spaventare, ma continuando a vivere e a crescere, perché la vitalità ebraica è la nostra più grande risorsa contro chi vuole distruggerci”.


Rossella Tercatin
 
 
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  donatella di cesareEsprimere se stessi senza cadere nel fanatismo

Si racconta – inevitabilmente in varie versioni – che agli inizi del Novecento alcuni anarchici ebrei atei, che dall’Europa orientale avevano raggiunto New York, organizzavano puntualmente dei balli per Yom Kippur. Avevano rotto con il passato, che tuttavia conoscevano bene, e si sforzavano di dissacrarlo pubblicamente. Il “Forward”, il principale giornale socialista in yiddish, uscì con un editoriale intitolato: Ateistn, zeit nisht fanatiker! (Atei, non siate fanatici!).

Donatella Di Cesare, filosofa  
 
 
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Il soldato Shalit e una scelta straziante

Per salvare il soldato Gilad Shalit, Israele è pronto a liberare 1.400 militanti palestinesi. Uno contro 1.400: una dismisura impensabile in un Paese come il nostro, che pure sprofondò nello psicodramma collettivo quando venne rifiutata ogni trattativa per liberare l'ostaggio Aldo Moro. Un prezzo elevatissimo per una comunità che ogni giorno deve affrontare i dilemmi esistenziali più radicali: la vita e la morte, la sopravvivenza e l'onore, la pace e la guerra. E che sente di proteggere la vita di un caporale del proprio esercito rapito nel 2006 a Gaza da guerriglieri di Hamas come un valore supremo. Anche a costo di rimettere in circolazione un numero altissimo di nemici, tra cui (lo ha ricordato Fiamma Nirenstein) Ibrahlm Flammed, noto per aver assassinato 73 civili israeliani, o Abdullah Barghouti, «l'ingegnere che ha confezionato quasi tutti gli ordigni che hanno seminato stragi a Gerusalemme tra il 2001 e il 2003». Una scelta lacerante. [...]  Protestano i parenti dei civili assassinati da chi sta per essere liberato dopo condanne somministrate al termine di regolari processi. Si teme che il rilascio di un numero così elevato di militanti e terroristi suoni come un incoraggiamento ai professionisti dei rapimenti, come un salvacondotto per uccidere di nuovo e seminare lutti infiniti. [...]

Pierluigi Battista, il Corriere della Sera, 30 novembre 2009


No della Svizzera ai minareti

[…] Bastava la doppia maggioranza di elettori e cantoni, invece il sì alla modifica costituzionale ha stravinto con il 57,5% contro il 42,5% dei no e in 22 cantoni su 26, affluenza record intorno al 54%. Il referendum sui minareti in Svizzera si è trasformato nell'esame di coscienza di un Paese che s'interroga sul processo d'integrazione e sulla propria identità. All'articolo 72 della Carta fondamentale sarà aggiunta una clausola che vieta la costruzione di nuovi minareti. Gli stessi promotori dell'iniziativa, i conservatori del Partito popolare di Christoph Blocher (Svp), non si aspettavano un successo di questa portata. «Non è un voto contro l'Islam, i musulmani che rispettano le leggi saranno sempre i benvenuti - dice al Corriere Oskar Freysinger, lanciatissimo frontman dell'Svp -, ci opponiamo al simbolo della penetrazione politica dell'Islam, alle interferenze della religione nella sfera pubblica. 
[…] ll timore che l'esito del referendum alzi il livello di tensione e fornisca un pretesto agli estremisti è forte. In serata centinaia di persone, in gran parte non musulmani, hanno protestato a Berna e Zurigo inscenando cortei funebri e mostrando striscioni con le scritte: «Non è la mia Svizzera», «Passaporto in vendita», «Ci dispiace». Per Amnesty International il voto viola la libertà religiosa. Preoccupati i vescovi cattolici; delusi i vertici di governo e Confindustria per le possibili ricadute nelle relazioni con il mondo arabo e musulmano, verso il quale nel 2008 era diretto il 7% del totale delle esportazioni. [...]

Maria Serena Natale, il Corriere della Sera, 30 novembre 2009


“Strumentalizzare le religioni porta sempre frutti velenosi”

[…] «Bisogna stare attenti, a strumentalizzare le religioni. E' una cosa che ha sempre portato frutti cattivi, velenosi». Giovanni Maria Vian, direttore dell'Osservatore Romano, riflette pacato sulla genesi del referendum, prima ancora che sul risultato: «Premesso che c'è il pieno rispetto del voto popolare, come del resto hanno detto le autorità civili e religiose svizzere, trovo molto interessante ciò che ha osservato alla Radio Vaticana monsignor Felix Gmiir, segretario generale della Conferenza episcopale svizzera: non siamo riusciti a fare abbastanza per spiegare che era un referendum da respingere. Una sorta di autocritica che dobbiamo tare tutti, religiosi, e non». [...]

Gian Guido Vecchi, il Corriere della Sera, 30 novembre 2009



Teheran rilancia la sfida atomica “Costruiremo 10 nuovi impianti”

Una incredibile escalation politica: è questo il senso della risposta iraniana alla condanna con cui venerdì l'Aiea aveva criticato la mancanza di cooperazione di Teheran sul suo programma nucleare. Ieri gli iraniani nel giro di poche ore hanno annunciato tre mosse: la decisione di costruire altri 10 siti per l'arricchimento dell'uranio; la minaccia di salire da un arricchimento dell'uranio dal 3,5 al 20 percento (e anche oltre) e infime la minaccia di ridurre la cooperazione con l'Aiea, l'agenzia nucleare dell'Onu. Poche ore ed è arrivata la risposta americana, secca ma dura: per il portavoce della Casa Bianca «i nuovi piani sono una prova di nuove violazioni, della scelta dell'Iran di isolarsi dal resto del mondo». La sequela delle mosse e delle contromosse tra Iran e comunità internazionale è lunga: l'ultimo colpo messo a segno dall'Onu venerdì era stato politicamente durissimo. A Vienna per la prima volta l'Aiea aveva votato unita una dichiarazione che chiede all'Iran di fermare immediatamente i lavori nell'impianto nucleare di Qom, quello costruito in segreto dall'Iran e denunciato a sorpresa il 25 settembre da Barack Obama assieme a Nicolas Sarkozy e Gordon Brown. Questa volta a Vienna Russia e Cina si sono schierate senza esitazione con gli occidentali, tanto che ieri a Teheran qualche deputato vicino al presidente Ahmadinejad ha parlato di disonestà di Mosca e Pechino nell'abbandonare il sostegno all'Iran per sostenere le tesi politiche dell'Occidente. [...]

Vincenzo Nigro, la Repubblica, 30 novembre 2009



Viaggi della memoria: gli studenti a Berlino per conoscere il '900

Secondo viaggio della memoria per gli studenti romani. Dopo Auschwitz è cominciato ieri il viaggio educativo-didattico degli studenti di 20 scuole superiori che per la prima volta hanno visitato Berlino nell'ambito del progetto dei percorsi della Memoria promosso dall'assessorato alla scuola. «Gli avvenimenti del '900 e soprattutto la costruzione del Muro hanno lasciato nella capitale tedesca evidenti segni», ha detto l'assessore capitolino alla scuola Laura Marsilio salutando gli studenti durante la prima tappa del viaggio davanti alla monumentale Porta di Brandeburgo, situata esattamente dove il muro divideva a partire dal 1961 Berlino ovest da Berlino est. «Questa visita ci tocca tutti nel profondo - ha spiegato – perché una cosa è studiare la storia sui libri, altra ascoltare le testimonianze di chi ha vissuto l'esperienza di quella drammatica separazione che ha provocato morti e sofferenze per chi tentava di fuggire verso la ricerca della libertà». [...]

Il Messaggero, 30 novembre 2009

 
 
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notizieflash    
 
 
Referendum sui minareti - La protesta degli ebrei svizzeri          
La Federazione delle Comunità Ebraiche svizzere e la PLJS, la piattaforma degli ebrei liberali in Svizzera, con un fermo comunicato hanno ribadito il loro rifiuto al referendum contro la costruzione di minareti. Gli ebrei svizzeri si sono pronunciati decisamente a favore della parità di trattamento contro le leggi di qualsiasi tipo, che sono destinate ad essere applicate in particolare ad alcune comunità religiose. Secondo la Federazione, il referendum viola la libertà religiosa, un concetto sancito dalla Costituzione. Questa libertà comprende anche il diritto delle comunità di fede di costruire i loro luoghi di culto secondo la legislazione vigente per gli edifici. La Federazione ritiene che il referendum rappresenti anche una minaccia per la convivenza pacifica tra le religioni e inibisca gli sforzi d'integrazione dei musulmani in Svizzera. Come una delle minoranze più antiche della Svizzera, la comunità ebraica, è ormai radicata e integrata nella società svizzera, ma proprio perché la comunità ebraica ha esperienza diretta di discriminazione, si è impegnata in un'opposizione attiva contro la discriminazione e di azione a favore della libertà religiosa e di relazioni pacifiche tra le religioni. Questo impegno è parte integrante della tradizione ebraica. Tuttavia, né il SIG (la Federazione delle Comunità Ebraiche svizzere) né la PLJS possono chiudere gli occhi di fronte al rischio di estremismi religiosi. Ma il divieto dei minareti, non è una soluzione, crea solo, nei musulmani in Svizzera, un senso di alienazione e di discriminazione. La convivenza pacifica è fondata sui messaggi espressi all'interno delle chiese, moschee e sinagoghe, non per come esse appaiono dall'esterno. L'unica risposta reale a tutte le forme di estremismo è il rafforzamento dei principi ispiratori dello Stato di diritto.

Referendum sui minareti - "Decisione razzista"
la stampa israeliana commenta così il risultato

L'esito del referendum condotto in Svizzera ha ricevuto grande risalto sulla stampa anche in Israele. In Europa, avverte Maariv, "é iniziata adesso una reazione" contro la popolazione islamica, condotta simultaneamente in vari Paesi da forze nazionaliste e xenofobe. "Si tratta di una decisione razzista, forse la più grave dalla fine della seconda guerra mondiale... è come se avessero deciso di tagliare i boccoli degli ebrei religiosi" ha esclamato in una intervista alla radio militare Uriah Shavit, un ricercatore della Università di Tel Aviv autore di un libro sull'Islam in Europa.Secondo Shavit dietro la mobilitazione degli svizzeri contro i minareti ci sono anche considerazioni di carattere economico: ossia il timore che la loro presenza possa abbassare il valore delle abitazioni nei quartieri vicini. "In quanto Paese che rispetta il diritto di culto - ha concluso Shavit - Israele dovrebbe adesso condannare pubblicamente l'esito del voto degli svizzeri".
 
 
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