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L'Unione informa
 
    2 dicembre 2009 - 15 kislev 5770  
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Moked - il portale dell´ebraismo italiano
alef/tav    
  Adolfo Locci Adolfo
Locci,

rabbino capo
di Padova
“Ma tu hai detto: Io ti farò del bene (hetev etiv)...” (Genesi 32, 12). Tutto ciò che fa il Signore è sempre per il bene. Tuttavia, nella nostra realtà, il bene può scaturire da un fatto positivo o da un fatto negativo. Giacobbe si esprime attraverso una ripetizione in termini per dire che il bene che il Signore gli ha promesso magari provenga solo da fatti positivi. In un salmo dell’Hallel si esprime un concetto simile: “Ringraziate l’Eterno perché è buono, poiché è eterna la Sua bontà; Possa dichiarare Israel che è eterna la Sua bontà” (Salmi 118, 1-2). Dobbiamo auspicare che, a posteriori, si sappia ringraziare il Signore per il bene che opera con noi in ogni caso, ma anche che, a priori, si possa vedere con le nostre facoltà come il bene che ci aspettiamo può originarsi.
Fra gli ebrei americani fanno scalpore le dichiarazioni di Sarah Palin sugli insediamenti israeliani in Cisgiordania. "Vi andranno ad abitare un sempre maggior numero di persone" ha previsto con sicurezza l'ex candidata repubblicana alla vicepresidenza. Per i liberal è la conferma che Palin è una fondamentalista cristiana che sostiene il ritorno in massa degli ebrei nella Terra di Israele solo perché avvicina il secondo avvento messianico. Per i conservatori invece ciò che conta è la critica evidente di Palin al presidente Obama, che continua a premere su Israele per congelare gli insediamenti. Quale che sia la verità, il dibattito è destinato a tenere banco durante le serate di Chanukkà, in famiglia o con amici. Nel segno di Sarah.  Maurizio
Molinari,

giornalista
Maurizio Molinari  
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  Qui Milano - Confronto aperto sul nuovo Statuto
per l'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane

StatutoNegli ultimi vent’anni, da quando è stata stipulata l’Intesa con lo Stato Italiano e promulgato l’attuale Statuto dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, l’ebraismo del nostro paese e le comunità hanno subito profondi cambiamenti. Il numero degli iscritti è diminuito e si sono presentate, o fatte più pressanti, nuove problematiche.
Per queste ragioni si è ritenuto che i tempi fossero ormai maturi per introdurre alcune modifiche all’attuale Statuto Ucei, per rendere i diversi aspetti della vita ebraica comunitaria più efficienti, e anche per la regolamentazione di situazioni per le quali esiste tuttora un totale vuoto normativo, per cui si può fare riferimento esclusivamente alla prassi.
La bozza di modifica, redatta dalla Commissione coordinata da Valerio Di Porto, presentata agli iscritti dal presidente della Comunità di Milano Leone Soued, contiene proposte che vanno dal banale inserimento dei mezzi informatici per la convocazione per iscritto del Consiglio delle comunità, a una nuova disciplina di aspetti cruciali della vita delle istituzioni ebraiche.
Sono stati delineati nuovi sistemi elettorali, tanto per le singole comunità quanto per l’Unione, che propendono verso una maggiore razionalizzazione degli organi elettivi a garanzia di maggioranze stabili, ma che hanno sollevato diverse critiche fra i presenti a causa di una tendenza ad una “comunità di tipo presidenziale”, in cui troppi poteri sono concentrati nelle mani dei presidenti e viene eccessivamente diluita la rappresentatività. A tale scopo è stata proposta e approvata una mozione da portare alla prossima discussione della riforma dello Statuto per affrontare questo aspetto.
Non mancano anche i progetti di modifica alla disciplina sostanziale. La figura di segretario generale delle comunità viene qualificata come organo di quest’ultima, si propone di porre il limite massimo di tre mandati consecutivi ai consiglieri per ricandidarsi, si esplicita che i proventi dell’otto per mille sono mezzi di finanziamento dell’attività dell’Unione.
Alcuni dei nodi principali che si prefigurano sono senz’altro gli articoli modificati o introdotti ex novo che riguardano il rapporto tra le comunità e i rabbini, e in particolare i rabbini capo. Viene infatti proposta la possibilità per le comunità di scegliere tra la nomina di un rabbino capo e quella di un rabbino che semplicemente ne svolga la funzione. Secondo la bozza, inoltre, il rabbino capo sarà nominato con un contratto settennale al termine del quale sarà possibile, ma non automatico, il rinnovo. È inoltre attribuita alla Giunta, la competenza di decidere sulle richieste di iscrizione alla comunità, salva la facoltà del rabbino o degli interessati, di ricorrere contro la decisione alla Consulta rabbinica o al Collegio dei probiviri.
Sulle questioni concernenti il rabbinato, in attesa del documento ufficiale che esprimerà il parere dei rabbini italiani, rav Alfonso Arbib, su richiesta dei partecipanti all’assemblea, ha cercato di spiegare quali siano i profili problematici che queste novità potrebbero introdurre, in particolare l’idea che un incarico a tempo determinato potrebbe costituire un mezzo di pressione sull’operato del rav e sull’inaccettabilità di uno sdoppiamento delle figure di rabbino capo e facente funzione.
Tanti dunque gli aspetti da discutere per arrivare all’approvazione di un testo che rappresenterà una pietra miliare per le istituzioni dell’ebraismo italiano, prima della redazione della bozza finale, quando si dovrà arrivare alla votazione del nuovo Statuto.
 
r.t.



Qui Lugano - La Svizzera sotto choc dopo il referendum

moscheaReferendum anti-minareti. Mentre i giornali di mezzo mondo continuano a dedicare ampio spazio all’argomento (nell'immagine la moschea di Zurigo), per i cittadini e per la classe politica svizzera è arrivato il momento della riflessione. Come si è potuti arrivare a un risultato del genere? Quali saranno le conseguenze di questo voto? Sono in tanti a chiederselo. Intanto, a molti pare evidente che l’appello alla vigilia del voto di Hans Rudolf Merz, presidente della Confederazione, sia caduto nel vuoto. “Siate aperti e tolleranti”, aveva detto. I fatti hanno dimostrato il contrario. “Non penso che il voto rispecchi un rifiuto della comunità musulmana - prova a gettare acqua sul fuoco il ministro degli Esteri Micheline Calmy Rey - ma piuttosto il timore nei confronti di possibili derive estremiste”. Tenta di sdrammatizzare anche il consigliere federale Moritz Leuenberger. “La lotta per la libertà religiosa - ha spiegato - è sempre stata un processo molto lungo per la Svizzera, come nel caso del percorso per arrivare ad una convivenza pacifica tra cattolici e protestanti e in quello del riconoscimento dei diritti della comunità ebraica". Il ministro della Giustizia Eveline Widmer-Schlumpf, che nei mesi scorsi si era duramente opposta alla campagna promossa dal partito della destra populista dell’Udc e della destra cristiana dell’Udf, si fa portavoce del Consiglio federale: “Riteniamo che il divieto di costruzione di nuovi minareti non sia un mezzo possibile per contrastare le tendenze estremiste. Questa decisione, comunque, concerne soltanto la costruzione di nuovi minareti e non deve essere vista come un rifiuto della comunità musulmana, della sua religione e della sua cultura”. È infuriato Ueli Leuenberger, presidente dei Verdi: “I musulmani non hanno ricevuto solo una sberla, ma addirittura un pugno in faccia”. E intanto annuncia che il suo partito esaminerà la possibilità di fare ricorso alla Corte europea dei diritti umani di Strasburgo. Sulle implicazioni che questa votazione potrebbe avere nei rapporti con il mondo arabo si sofferma Jacques Neyrinck, consigliere nazionale del Partito Popolare Democratico, che ha messo in guardia sulla possibilità che i paesi islamici decidano di boicottare i prodotti “made in Switzerland”. “Le perdite potrebbero essere miliardarie”, il suo commento. Preoccupazioni che sono condivise anche dai vertici del Partito Liberale Radicale e del Partito Socialista, che avvertono: “l'Unione Democratica di Centro ha giocato con il fuoco, ora dovrà trarne le conseguenze”. Non sembrano preoccupati in casa Udc. Yves Perrin, vicepresidente nazionale ha detto di “non aver alcun problema ad affrontare le conseguenze del voto odierno”. Euforia, come previsto, negli ambienti dell’Udf. “Gli Svizzeri si sono ricordati che il nostro paese è stato fondato nel 1291 nel nome del Signore. Un grazie sincero a tutti coloro che ci hanno sostenuto in questa lotta”, il pensiero di Edo Pellegrini, presidente della sezione ticinese del partito. Sconcerto nel mondo islamico elvetico. Ismael Amin, ex presidente dell'Associazione delle organizzazioni islamiche di Zurigo, commenta: “Il popolo svizzero è stato ingannato”. Secondo Amin “la campagna è stata condotta in modo duro e aggressivo, si è parlato più dell'Islam che dei minareti, e questo utilizzando argomenti ingannevoli”. E intanto i musulmani di Oltralpe si mobilitano, manifestazioni e presidi sono previsti un po’ ovunque. Hafid Ouardiri, ex portavoce della moschea di Ginevra, al termine di una dimostrazione davanti alla cattedrale St-Pierre, alla quale hanno partecipato alcune migliaia di cittadini, si è commosso: “Ginevra è sempre stata terra di accoglienza”. Presente, tra gli altri, Remy Pagani, sindaco della città, che ha chiesto “un minuto di silenzio e riflessione”. Solidarietà alla comunità islamica è giunta anche dal Consiglio svizzero delle religioni, che racchiude i leader cristiani, musulmani ed ebrei del paese. Molto amareggiato del risultato del referendum si è detto Monsignor Felix Gmur, segretario generale della Conferenza episcopale svizzera, che ha dichiarato: “È un colpo alla libertà religiosa e all’integrazione di tutti coloro che vengono in Svizzera. Il Concilio Vaticano II dice chiaramente che la costruzione di edifici religiosi è lecita per tutte le fedi e confessioni”. E il quotidiano Le Temps, uno dei giornali più diffusi nella Svizzera francese, scrive: “I musulmani in Svizzera non meritano l'ingiustizia di questo voto-sanzione ispirato dalla paura e dall'ignoranza”.

Adam Smulevich



Qui Torino - Il ricordo di Rav Sierra z.l.

Per ventisei anni rav Sergio Josef Sierra è stato rabbino capo di Torino. La Comunità, profondamente colpita dalla scomparsa del suo maestro, lo ha ricordato ieri a margine della tefillà di arvith. Hanno pronunciato un discorso in sua memoria il presidente della Comunità Tullio Levi e il rabbino capo Alberto Somekh.
“Furono anni di grandi successi, anni davvero entusiasmanti, indissolubilmente legati alla figura di rav Sierra con cui si erano create le condizioni per la massima intesa e per un rapporto costruttivo e benefico per la nostra Comunità”, così il presidente ha ricordato gli anni della sua stretta collaborazione con il rav Sierra.
All'inizio del suo discorso lo stesso presidente aveva invece ricordato gli anni in cui il rav aveva svolto il ruolo di rabbino capo a Bologna, compito svolto, anche in questo caso, con profonda passione e alta professionalità. “Quelli di Bologna furono anni davvero straordinari caratterizzati dall’entusiasmo per la ricostruzione di una Comunità che tornava a vivere dopo la Shoà: un impegno che rav Sierra affrontò con grande passione e intelligenza, aiutato dalla carica umana che Sua moglie Ornella riusciva a imprimere a ogni sua attività. I risultati furono altrettanto straordinari: la Comunità fu ricostruita materialmente e moralmente e rav Sierra riuscì in particolare ad aggregare tutti i giovani plasmandoli a un ebraismo solidamente ancorato alla tradizione, al sionismo, ai valori etici e all’impegno nella società ebraica e non ebraica”, ha affermato Tullio Levi.
Il rav Somekh, dal canto suo, ne ha sottolineato invece le alti doti e profonde capacità nello svolgere il ruolo di maestro. Il capo rabbino di Torino ha iniziato il suo discorso con una citazione tratta dal libro del rav Sierra Il valore etico delle Mitzwòt :“'Soltanto se si riuscirà ad impostare il valore del contenuto educativo delle Mitzwòt, sarà possibile capire meglio e soprattutto far comprendere che l’educazione ebraica alle Mitzwòth non solo non contraddice alla più sana visione umana della problematica moderna, ma può essere invece di aiuto proprio per spargere, nel cuore degli ebrei, i semi stessi di una certa maniera di sentire e di approfondire la realtà sociale ed umana che caratterizza la nostra epoca… Le Mitzwòt pertanto, grazie all’idea etica da cui sono pervase, possono servire a forgiare il carattere morale dell’ebreo, purché esse non siano considerate fine a se stesse, ma mezzo di educazione e di elevazione di un vivere sociale illuminato dall’idea etica di D…. Come la disciplina e l’educazione fisica riescono ad allenare il corpo che può rendere il 100% delle sue naturali capacità in particolari circostanze, così l’animo, esercitato nella continua pratica delle Mitzwòth, può reagire istintivamente in maniera corrispondente al valore etico che anima quelle stesse Mitzwòth pratiche’. In queste parole, tratte dal primo capitolo del suo Il valore etico delle Mitzwòt, rav Sergio Yosef Sierra riassume di fatto l’insegnamento di una vita, basato sui valori di etica e pedagogia. Ebbi il privilegio di conoscere il Maestro nell’estate del ’79, allorché fui chiamato a leggere alcune Parashot nel nostro Bet ha-Kenesset. In realtà ero amico di suo figlio Ionatan, incontrato per la prima volta al campeggio del Benè Akivà quattro anni prima insieme ad Ariel Finzi e Irene Abbiate. All’epoca frequentavo il liceo a Milano e si doveva venire a Torino per intraprendere gli studi rabbinici. Fu così che per alcuni anni mi adattai a fare il pendolare, giungendo a Torino per due o tre giorni alla settimana per studiare sotto la guida sapiente di rav Sierra. Ricordo in particolare gli esami, che si svolgevano la domenica mattina presto nella sua casa di via Pietro Giuria insieme a rav Curt Arndt e a Adi Schlichter z.l. Partivo da Milano con il buio e il freddo e venivo puntualmente accolto dalla signora Ornella con una tazza di caffe-latte bollente. Non avrei immaginato allora che qualche anno più tardi mi sarei trovato a ripercorrere la stessa “carriera” rabbinica e a rivivere molte esperienze del Maestro. Come rav Sierra la mia prima cattedra è stata a Bologna e successivamente a Torino!”.
Nella conclusione del suo discorso rav Somekh ha proposto un’altra citazione tratta da uno scritto del rav Sierra: “La particolare attenzione che Egli ripose nel problema etico lo spinse certamente a tradurre in italiano, nel 1983, i “Doveri dei Cuori” del grande moralista spagnolo del Medioevo R. Bachyà Ibn Paqudà. C’è una frase della prefazione di rav Sierra che vorrei citare a conclusione di questo mio breve ricordo perché è un’epitome significativa del pensiero di entrambi, se così mi è lecito dire. Scrive rav Sierra: 'Con un appello alla ragione e al buon senso Bachyà sollecita il lettore ad impegnarsi per mantenere, in armonico equilibrio, la volontà di D. e la volontà dell’Uomo'”.
Zekher tzaddiq li-brakhah, il ricordo del Giusto sia in benedizione.



Qui Roma - Venti allievi della Scuola gastronomica di Marino
in Israele per una full immersion culinaria

Angelica Calò LivneIl cibo come veicolo di conoscenza e di integrazione. E' questo il principio ispiratore del nuovo progetto di Angelica Calò Livne, che attraverso un accordo fra la Fondazione Beresheet LaShalom, da lei rappresentata, e il Comune di Roma, conduce in questi giorni 20 allievi della Scuola Gastronomica di Marino, di età compresa fra i 16 ed i 17 anni, in Alta Galilea per una full immersion culinaria.
"Il settore gastronomico è un esempio chiaro e tangibile dello sforzo d’integrazione che stanno profondendo le etnie abitanti queste terre; i villaggi sono infatti costellati di punti vendita che espongono cibi e bevande propri delle diverse tradizioni alimentari presenti - spiega Angelica - Questo aspetto della Galilea lo rende unico al mondo non soltanto per aumentare le competenze gastronomiche di aspiranti operatori del settore, che potranno imparare i segreti della cucina medio-orientale in un momento storico in cui essa sta vivendo un forte incremento in Italia, ma anche per dar modo alle persone di immergersi in un contesto che nel mondo è esempio di convivenza e integrazione tra diversità".
I ragazzi sperimenteranno e scopriranno i segreti della cucina multietnica, una giornata sarà dedicata alla natura con un survival day sul monte Meron per cucinare con ciò che offre la natura, quindi alla scorta dei cibi dei cirkassi, ma ci si misurerà anche con la cucina drusa, e si farà attività culinaria con lo chef del kibbutz di Sasa Cesare Funaro. Il viaggio sarà anche occasione di incontro con  l'amica palestinese cattolica di Angelica, Samar Sahhar.

l.e.

Qui Milano - “L’Amore colpevole”
Maurizio Rosensweig presenta il suo libro
 
Amore colpevoleNel 2000, quando “L’Amore colpevole” uscì per la prima volta, il graphic novel ancora non esisteva, così come il genere del fumetto autobiografico, e il suo autore Maurizio Rosenzweig, disegnatore e sceneggiatore, insegnante alla Scuola del Fumetto di Milano, collaboratore di Pagine Ebraiche, fu guardato come un innovatore. Oggi, il graphic novel è un genere affermato e, dopo dieci anni dalla prima pubblicazione, i tempi erano maturi per una nuova edizione. Una nuova edizione, quella presentata ieri sera a Milano alla Associazione Esterni e pubblicato dalla BD edizioni, che non è una semplice copia della vecchia, ma che è stata rivista e arricchita di 40 pagine.
In quest’opera di ispirazione autobiografica, l’autore tratta del suo rapporto con le donne, attraverso il suo alter ego d’inchiostro Davide Golia, che si ritrova in un tribunale di sole donne a rispondere di come nella vita si è relazionato con il genere femminile e con l’amore stesso, tra egoismi e tradimenti, in un processo dai contorni onirici.
Maurizio, cosa significa riprendere in mano un’opera dieci anni dopo averla scritta e disegnata?
Ho sentito che era arrivato il momento giusto per rimettermi a lavorare su “L’amore colpevole” e così ho riguardato la sceneggiatura, insieme a un editor e l’ho ampliato. Questo graphic novel però rappresenta molto di quello che ero e di come lavoravo dieci anni fa, se avessi dovuto ideare la stessa opera col medesimo soggetto, oggi, avrei scritto e disegnato tutto diversamente. Questo perché quello che riporto sulla carta rappresenta semplicemente il mio modo di vedere le cose, che ovviamente si evolve nel corso del tempo.
Quando disegni, lo fai di getto, trascrivendo sulla carta l’impulso di qualcosa che ti balena nella testa o hai un approccio maggiormente riflessivo, pensando e studiando prima di cominciare?
Decisamente la prima. Per me disegnare rappresenta un modo di essere, di dire quello che sono. Non posso fermarmi a pensare, altrimenti quello che ho in testa potrebbe cambiare prospettiva, e il risultato sarebbe diverso. Anche per questa ragione i miei lavori non considerano le sensazioni che susciteranno nei lettori, non sono fatti per gli altri, sono fatti da me, partendo da quello che ho dentro. Questo può creare alcuni problemi. Per esempio nel caso di “L’amore colpevole”, alcune amiche si sono offese per come le ho rappresentate, perché non si riconoscono nell’immagine che ho dato di loro, altre si sono risentite perché non sono state menzionate nel libro. L’unico tipo di mediazione che esiste nel mio lavoro è quella data dai topos della letteratura, del cinema, del teatro, che mi appartengono quasi senza che me ne renda conto, ed è così che li utilizzo anche senza una specifica volontà.
Esiste qualche elemento della cultura o della tradizione ebraica che ha avuto un’influenza nel tuo lavoro?
Sicuramente l’ebraismo nella mia esperienza è entrato sotto una dimensione più culturale che religiosa, nonostante io sia cresciuto in una famiglia legata ai valori tradizionali. Se dovessi scegliere qualcosa di esplicito, direi Woody Allen e il suo modo drammatico di raccontare la commedia, anche se poi ci sono centinaia di scrittori, artisti, personaggi ebrei di cui ho conosciuto le opere che hanno senz’altro avuto un’influenza su di me e quindi sul mio lavoro, anche se in modo molto meno diretto.

Rossella Tercatin

 
 
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  Torah oggi - Trani, sognare e suonare una scala

Shabbath A TraniTornare a pregare Trani è sempre un’esperienza unica per l’atmosfera ebraica così intensa che si respira nella sinagoga Scolanova, riaperta dopo cinque secoli. L’ultimo week end (shabbath Vajetzè) mi sono così ritrovato assieme ad altre persone provenienti da Roma, dalla Puglia, dalla Calabria, dalla Sicilia e da Gerusalemme, per dare vitalità ebraica in quelle che, secondo molti, sono solo ossa secche. Avevo invitato a Trani Michael Freund e rav Eliyahu Birnbaum del Beth din di Gerusalemme, rispettivamente presidente e rabbino della fondazione Shavei Israel, il medico e rav Stefano Di Mauro, siciliano che ha studiato a Gerusalemme e ha diretto una sinagoga ortodossa a Miami in Florida, prima di trasferirsi a Siracusa. C’erano ovviamente i pugliesi più attivi e qualche calabrese, desideroso di immergersi in questa nuova realtà. L’organizzazione Shavei Israel lavora per rafforzare il collegamento fra i discendenti degli ebrei e il popolo ebraico e ha realizzato progetti importanti quali il recupero dei marrani del Portogallo e il ritorno dei Benè Menashè, un gruppo di indiani la cui origine viene fatta risalire alle 10 tribù scomparse (circa 1.600 si sono già trasferiti in Israele e altri 6.000 si stanno preparando in India). "Sono entusiasta di vedere la rinascita della vita ebraica che si svolge nel sud Italia - mi ha detto Michael Freund - e mi auguro che lavoreremo in partnership con i leader della comunità ebraica italiana per aiutare le piccole comunità ebraiche del sud Italia a continuare a crescere e a svilupparsi". In uno shabbath, costellato da preghiere, canti, pasti festivi accompagnati da canti sabbatici, non poteva mancare un tour a piedi per visitare i siti ebraici di Trani e il locale museo ebraico recentemente inaugurato. Così come non poteva mancare lo studio della parashà settimanale che apre con il sogno che fa Ja’akòv- Israèl quando lascia la terra d’Israele per andare dallo zio Labano in Mesopotamia: ci sono angeli che salgono e che scendono, e ci sono comunità che salgono e che scendono nell’arena della storia ebraica. Ogni ebreo è Israèl e può essere una scala per salire più in alto. Ma per poter salire la scala bisogna non solo sognare, ma risuonare come una scala che arriva fino al cielo. Il problema dell’ebreo moderno (e di quello italiano in particolare) è quello di sognare poco e di risuonare ancora meno. Solo se l’eco delle mitzvòth risuonerà dentro ogni ebreo, sarà davvero possibile che ognuno diventi una scala che arriva sino al cielo e sulla quale molti altri potranno salire.

Rav Scialom Bahbout 
 
 
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"L'Europa vuol dividere Gerusalemme in due 
per regalarla agli arabi"

[…] Dato che la sua presidenza della Unione Europea durerà fino al primo di gennaio, la Svezia fa di tutto per portare più in fretta possibile qualche risultato eclatante, spingendo la UE verso inusitate sponde di palestinismo.[...]
[…] Sarà presentato la prossima settimana all'incontro dei ministri degli esteri dei 27 paesi dell'UE: l'Unione Europea vi si pronuncia perché Gerusalemme sia divisa in due, insieme capitale israeliana e capitale palestinese. Ecco come si risolve all'Europea una delle questioni più delicate del mondo: un documento, una spina per Israele, un piacere per i palestinesi, e niente di fatto. Pare che la Germania, l'Italia, e la Spagna non vogliono starci, e invece la Francia e l'Inghilterra sì. Il solito stile che ha portato l'Europa fuori di ogni rilevanza politica in Medio Oriente. […]
[…] Gerusalemme ha 750mila abitanti di cui due terzi ebrei: senza garanzie, non vogliono trovarsi sotto il fuoco nemico nella strada accanto. Di destra o di sinistra inoltre, la capitale, riconosciuta o meno dal resto del mondo, è la loro stessa identità, la identificazione con la Bibbia, con la grande storia del re David, con la gloria del Primo e del Secondo Tempio, con la sopravvivenza nelle guerre dal 48 avanti. Gli arabi avevano sempre riconosciuto questa primogenitura nonostante l'importanza per l'Islam della città e delle bellissime moschee che sorgono sul Monte del Tempio e sono nella religione musulmana il luogo da cui Maometto volò in cielo. Fu Arafat che negò, con invenzione mediatica potente fino a oggi, le radici ebraiche di Gerusalemme. […]
Fiamma Nirenstein, Il Giornale, 2 dicembre 2009

"Piccolo appello per evitare che difendere Israele 
diventi un'idea bizzarra"

Sarebbe scioccamente narcisistico dire che ho avuto un sentimento di sollievo rileggendo l'articolo dal titolo “Come e perché è morta la questione palestinese” che ho firmato sul Foglio, assieme al direttore Giuliano Ferrara, il 22 maggio 2007. Tanto più è una tragedia perché l'articolo meriterebbe un aggiornamento su un solo punto: la prospettiva odierna non è più quella di “due popoli, due stati”, ma di tre stati. E quanto ai popoli, l'identità di uno dei due appare sempre più liquefatta o trasformata in quella di avamposto della rivoluzione permanente dell'islamismo iraniano. Più di due anni fa esponevamo la ragione primaria per cui la questione palestinese era morta: l'assenza di tutte le caratteristiche che contrassegnano il processo di formazione di uno stato nazionale e, tra di esse, la più importante, ovvero la manifestazione della volontà di costruire. Gli ebrei giunti in Palestina in una serie di “aliyah” iniziate nel 1881 non attesero di ottenere uno stato per costruire qualcosa, né anteposero a questa costruzione una questione militare. Cosa vieterebbe ai palestinesi di Gaza di costruire un primo nucleo di stato nazionale, per giunta con il sostegno degli imponenti aiuti finanziari internazionali? Ma siamo ben lungi da ciò, oggi ancor più di ieri. Gaza è una portaerei islamica, imbottita di missili e armi di ogni tipo, che vive nell'attesa di un confronto vincente con Israele e che sostiene la sua economia sugli aiuti internazionali concessi, a loro volta, nella speranza di esorcizzare quel confronto. Il potere di Abu Abbas e del Fatah sul West Bank è ormai tenuto in piedi come simulacro di un'alternativa alla trasformazione dell'intera area palestinese in una base iraniana. Non esiste alcuna volontà costruttiva, ma un solo obbiettivo: l'eliminazione di Israele. […]
Giorgio Israel, Il Foglio, 2 dicembre 2009

 
 
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notizieflash    
 
 
Israele - Hamas: scambio di prigionieri,                                            
Barghuti rifiuta di essere espulso
Ramallah, 2 dic -
Il dirigente di al-Fatah Marwan Barghuti - che sconta l'ergastolo in un carcere israeliano - rifiuta di essere inviato all'estero, se liberato nel contesto di uno scambio di prigionieri fra Hamas e Israele. La proposta dell'espulsione all'estero era stata discussa nella mediazione condotta da un emissario tedesco. Oggi il ministro palestinese per i prigionieri Issa Karake (Anp) ha confermato queste informazioni ma ha aggiunto che Barghuti e Saadat si rifiutano in maniera tassativa di trasferirsi fuori dai territori palestinesi. Ancora secondo Karake, sarebbero 12 detenuti i palestinesi che complessivamente saranno espulsi all'estero nel contesto dello scambio di prigionieri che dovrebbe portare al recupero da parte di Israele del caporale Gilad Shalit. La durata della loro eventuale espulsione è adesso oggetto di trattative, ha precisato il ministro.


 
 
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