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L'Unione informa
 
    10 dicembre 2009 - 23 Kislev 5770  
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Moked - il portale dell´ebraismo italiano
alef/tav    
  Alfonso Arbib Alfonso
Arbib,

rabbino capo
di Milano
Un episodio molto noto della parashà di Vayishlàch è la cosiddetta lotta di Ya'akòv con l'angelo. Secondo i Chakhamìm l'angelo altri non è che Esàv, il fratello nemico di Ya'akòv. Questa volta si conclude con la vittoria di Ya'akòv, che però rimane ferito, e la sua richiesta di una berakhà - benedizione - da parte del suo avversario. Secondo un commentatore dell'Ottocento, la richiesta di una berakhà da parte di Ya'akòv caratterizzerà tutta la storia ebraica successiva. Abbiamo sempre bisogno cioè di ottenere la benedizione dei nostri nemici, il riconoscimento da parte loro dei nostri diritti, della nostra funzione positiva. 
Il libro di Esodo (21, 24) con il verso "un occhio per un occhio, un dente per un dente" stabilisce in maniera inequivocabile il principio giuridico della proporzionalità fra i delitti e le pene. Molti anni dopo, in occasione della campagna militare di Gaza, l'accusa agli ebrei è stata antitetica: la mancanza di proporzionalità fra il numero delle vittime israeliane e palestinesi. Idealmente, secondo una teoria adombrata questa settimana da Sergio Luzzatto su Sole 24 Ore, Israele colpita da una pioggia di razzi provenienti da Gaza, avrebbe dovuto uccidere un numero di palestinesi identico a quello delle vittime israeliane (13) e ferire un numero di palestinesi pari a quello dei feriti israeliani, possibilmente usando armi uguali, dunque senza carri armati o aeroplani. Prendendo spunto dalla trattativa in corso per la liberazione di Gilad Shalit, Sergio Romano su Panorama disapprova invece la mancanza di proporzionalità fra un solo israeliano di fronte a mille detenuti palestinesi, inclusi molti pericolosi e sanguinari criminali. Seguendo questa logica Israele, in cambio del proprio prigioniero, dovrebbe dunque liberare un solo palestinese, possibilmente col grado di caporale. In passato, la precisa definizione della proporzionalità ha indotto infinite generazioni di antisemiti ad accusare gli ebrei di essere meschini, vendicativi e spietati. Oggi è la non proporzionalità, nell'uso della forza come nella discrezionalità umanitaria, a sollecitare reazioni di simile entità.  Sergio
Della Pergola,

Università Ebraica di Gerusalemme
Sergio Della Pergola  
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  slogan AntiminaretiQui Lugano - Quando il risentimento
contro il referendum diventa farsa


Che le motivazioni alla base del referendum anti-minareti siano state quantomeno discutibili, se non palesemente razziste, sono in molti a sostenerlo e a opporsi con forza alla logica assai poco tollerante che lo ha ispirato. Lo abbiamo fatto anche noi del Portale dell’Ebraismo Italiano, che nei giorni scorsi abbiamo riportato l’amarezza di alcuni degli esponenti di spicco della minoranza ebraica italiana, tra cui Anna Foa, che aveva affidato il suo pensiero ad una strofa di Addio Lugano bella, che dice “Elvezia, il tuo governo schiavo d'altrui si rende d'un popolo gagliardo le tradizioni offende e insulta la leggenda del tuo Gugliemo Tell”. A distanza di oltre una settimana dal voto non cessano, provenienti da mezzo mondo, le manifestazioni di biasimo nei confronti dei promotori del referendum e verso il governo, che pur si era opposto allo svolgimento di questa consultazione popolare. Ma nella miriade di telefonate e messaggi di protesta che in questi giorni stanno intasando i centralini e la posta elettronica dei vari ministeri, non manca lo spazio anche per qualche situazione grottesca. Come quella che ha coinvolto Micheline Calmy-Rey, membro del Consiglio federale e già presidente della Confederazione elvetica. A contattarla nelle scorse ore, infatti, il ministro degli Esteri iraniano Manuchehr Mottaki, il quale ha affermato, secondo quanto riporta l'agenzia di stampa ufficiale iraniana Irna, che “questo episodio non può portare benefici a un Paese che sostiene di essere all'avanguardia della democrazia e della libertà religiosa, nel rispetto della Dichiarazione universale dei diritti umani”. Considerazioni sicuramente condivisibili, se non fosse paradossale e ai limiti dell’assurdo, che vengano pronunciate da uno delle più alte cariche di un regime che la Dichiarazione non la rispetta da lungo tempo e in modo ben più evidente e cruento. “Il divieto cambierà sicuramente l'immagine della Svizzera quale difensore dei diritti umani”, ha proseguito Mottaki, che ha sottolineato come “valori quali la tolleranza, il dialogo e il rispetto della religione degli altri non dovrebbero mai essere sottoposti a referendum”. Non è mancato, infine, un avvertimento sulle “conseguenze” che un atto del genere, qualora il Consiglio federale non assumesse le azioni necessarie per prevenire l'applicazione del divieto, potrebbe comportare. Una prospettiva che sembra spaventare alquanto i politici svizzeri, che hanno tremato quando martedì sera Oskar Freysinger, uno dei promotori del referendum, ha partecipato ad un dibattito sugli schermi di Al-Jazeera. Una parola fuori posto e i rapporti economici con i paesi islamici sarebbero andati in alto mare. Fortunatamente tutto è andato liscio anche se Freysinger è stato definito da un ospite in studio “il nuovo Hitler d’Europa. Calmy-Rey, dal canto suo, ha ribadito molto sinteticamente al diplomatico iraniano che il referendum non era appoggiato né dal governo né dal parlamento e che si farà garante della tutela dei diritti dei musulmani in Svizzera, come aveva già fatto capire la sera stessa del referendum. E mentre era in corso questa telefonata, l'ambasciatrice elvetica Silvia Leu Agosti veniva convocata d’urgenza dalle autorità iraniane, episodio che in molti interpretano come il preludio a una possibile rottura dei rapporti diplomatici tra i due paesi. Al di là della questione delle relazioni tra Iran e Svizzera comunque, sarebbe interessante sapere cosa pensa Mottaki degli scontri avvenuti a Teheran in occasione della “Giornata degli studenti”, con la polizia che ha utilizzato nuovamente armi da fuoco nei confronti dei disarmati manifestanti. Non sono forse l’ennesimo affossamento dei diritti umani in Iran? O forse per il rispetto dei medesimi non si guarda mai nel proprio giardino?.

Adam Smulevich


Nahum_SuedQui Milano - Ambrogino d’Oro all’Ugei,
parla il presidente Daniele Nahum


Non si può davvero dire che l’incarico di Daniele Nahum come presidente dell’Ugei non si sia chiuso in bellezza. Tre anni, preceduti da un altro da consigliere, in cui l’Unione Giovani Ebrei d’Italia si è ritagliata un ruolo da protagonista nel dibattito politico italiano soprattutto nell’ambito di campagne in difesa dei diritti umani nel mondo, e che ha anche visto un aumento vertiginoso dei partecipanti a tutte le sue iniziative, politiche e culturali certo, ma anche ludiche e di socializzazione (nell'immagine, in primo piano, Nahum con l'Attestato di Civica Benemerenza, vicino a lui il presidente della Comunità Ebraica di Milano Leone Soued).
Daniele cosa hai pensato quando hai saputo che all’Ugei era stato assegnato l’Attestato di Civica Benemerenza?
È stata un’emozione grandissima. Essendo milanese, ho sempre sentito parlare degli Ambrogini d’Oro come di riconoscimenti davvero importanti, e non pensavo che l’Ugei potesse vincerne uno. Mi ha fatto molto piacere che nelle motivazioni sia stato esplicitamente sottolineato il nostro impegno per la difesa dei diritti umani. Questo riconoscimento va a tutti i consiglieri che hanno condiviso il duro lavoro che abbiamo portato avanti in questi anni. Personalmente, oltre che alla mia famiglia, vorrei dedicarlo a Marco Pannella, con cui ho iniziato a occuparmi di politica negli anni in cui sono stato iscritto al Partito Radicale, che mi ha trasmesso la sua sensibilità alla questione dei diritti umani. Lo dedico anche ad Ahamad Rafat, che è stato con noi nella campagna per la promozione della libertà in Iran, cui mi lega un rapporto personale grazie al quale ho imparato tantissimo.
Che bilancio tracci della tua presidenza Ugei, arrivato a meno di un mese dalla scadenza dell’incarico?
Sono molto soddisfatto dei risultati che abbiamo ottenuto. A mio parere, abbiamo reinterpretato il concetto del “Non dimenticare”, nel momento in cui, partendo dall’unicità della Shoah, ci siamo battuti contro altri genocidi nel mondo, come quello del Darfur. Siamo stati capaci di farci trascinatori dell’opinione pubblica, senza aspettare che qualcun altro intervenisse per accodarci. Ci siamo preoccupati di promuovere l’immagine d’Israele in Italia. Abbiamo conseguito traguardi importanti e concreti, come l’intitolazione di una via agli studenti di Teheran nella città di Salemi. Penso che l’Ambrogino d’Oro rappresenti il coronamento di questo percorso.
Le tue linee guida come presidente dell’Ugei hanno sollevato anche delle perplessità, specie nell’ultimo congresso. Molti ritengono che la tua presidenza sia stata caratterizzata da un contenuto non sufficientemente ebraico, e da un’impronta eccessivamente personalistica. Come rispondi alle critiche?
A mio modo di vedere, non c’è nulla di più ebraico che portare avanti la difesa dei diritti umani e delle istanze sociali, lo abbiamo visto in tanti momenti della storia. La nostra linea politica si è sempre mantenuta filo-israeliana, ma bisogna considerare che quando si tratta di Israele esistono istituzioni ebraiche più autorevoli della nostra che prendono posizione nel dibattito pubblico, come le varie Comunità ebraiche e l’Ucei, ragione per cui noi abbiamo ritenuto opportuno concentrarci maggiormente su questioni diverse. Per quanto riguarda la personalizzazione, ritengo che dare un’impronta forte sia stato fondamentale per trasformarci in una voce ascoltata, protagonista della vita politica e sociale del nostro paese. L’Ugei ha deciso di dotarsi della figura del Presidente anche per questo motivo, per avere qualcuno che potesse rappresentarla verso l’esterno. Detto questo, ci tengo a sottolineare che ho sempre agito su mandato del Consiglio.
Quale augurio e quali suggerimenti ti senti di dare al nuovo Consiglio Ugei, e a Giuseppe Piperno, che prenderà il tuo posto dal 1° gennaio 2010?
Ovviamente quello di portare l’Unione Giovani Ebrei d’Italia a una crescita sempre maggiore e al coinvolgimento di un numero sempre più elevato di ragazzi, proseguendo e migliorando quello che è stato fatto fino ad oggi, rimanendo sempre attenti a curare ogni dettaglio senza dare nulla per scontato, perché le sfide da affrontare a volte risultano più impegnative del previsto.

Rossella Tercatin
 
 
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  Di segniChanukkà, il miracolo della vittoria
dei pochi ma giusti conto i numerosi

Una delle due fonti classiche rabbiniche sulla storia di Chanukkà è la preghiera 'al hanissim che si recita durante tutta la festa in ogni 'amidà e benedizione dopo il pasto. E' una storia condensata dell'evento, con una sua interpretazione religiosa: Chanukkà è il miracolo della salvezza e della vittoria dei pochi, deboli, puri, giusti contro i numerosi, forti, impuri ed empi. La parte del cattivo la fa "il regno malvagio di Grecia" che vuole imporre ad Israele l'abbandono della Torà. La lunga formula liturgica è stata continuamente interpretata in ogni suo dettaglio. C'è ad esempio questa frase strana: "e Tu con la tua grande misericordia ti ponesti dalla loro parte [l'Israele perseguitato] nel momento della loro disgrazia, sostenendo la loro contesa, prendendo le loro parti nel giudizio, dando la giusta punizione..". Quello che non torna nella frase è come sia possibile parlare di misericordia insieme a termini come contesa (riv), giudizio (din), punizione (o forse vendetta, neqamà). La risposta realistica è che non è possibile misericordia senza giustizia, né giustizia senza misericordia.

Rav Riccardo Di Segni, rabbino capo di Roma



Tizio della SeraEnciclopedia della Vita / C come cinismo

Il telegiornale satellitare della Rai ha dato la raccapricciante notizia che l’altro giorno il Grande Fratello-edizione israeliana ha polverizzato il documentario sulla famiglia Shalit, in onda su un altro canale, con il 26 per cento di share contro il 10. Che cosa orrenda. Come se in Italia, ma guardate che è una pura assurdità, la maggioranza esorbitante del pubblico guardasse l’Isola dei Famosi invece di un documentario di Minoli sulla famiglia di Enzo Tortora.

Il Tizio della Sera
 
 
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L’opportunismo politico, quasi sempre, non rispecchia la volontà popolare. E allora ecco scorrere tra le pagine del Giornale un articolo che più di altri può chiarire questo concetto. La storia è quella di Zaki, un calciatore bomber di professione che veste la maglia della nazionale egiziana. A 26 anni Amr  Zaki ha la possibilità, grazie alle sue doti, di tuffarsi in una nuova avventura calcistica: trasferirsi in Israele per giocare con il Beitar di Gerusalemme, dove guadagnerebbe un bel po’ di quattrini in più. Ma a infilarsi tra le trattative ecco sputare la Federcalcio d’Egitto che gli minaccia: se vai a giocare in Israele non potrai più vestire la maglia della nazionale. Conta poco, ora, come andrà a finire la vicenda. Ciò che sembra chiaro è che almeno parte di quel popolo, non è poi così lontano da sentimenti che pensavamo svaniti dopo più di quarant’anni dalla Guerra dei Sei Giorni.
E intanto la diplomazia prosegue il suo lavoro mirato a far ripartire il processo di pace. Il ministro degli Esteri Franco Frattini, ieri a Ramallah in missione, ha ribadito la necessità di insistere sui negoziati (rivolgendosi ad Abu Mazen) e spronato Netanyahu a non cedere alle pressioni dei coloni. (Corriere, Repubblica, Osservatore Romano). Ma, almeno a mio avviso, non vedo uno sforzo intellettuale da parte dei leader mondiali nel voler trovare una soluzione oltre gli annunci, che porti realisticamente due mani a stringersi dietro un accordo. Intanto Avvenire fa sapere che per un eventuale ritiro dal Golan, Israele si affiderà a un referendum.
Concludo questa nota alla nostra rassegna segnalando un articolo e un incontro. Sul Sole 24 Ore è stimolante la riflessione di Bruno Forte sull’intreccio tra fede e politica. Mentre a Milano l’Università Cattolica sarà impegnata tutto il giorno in un seminario sull’insegnamento della Shoah e l’educazione alla cittadinanza (Avvenire).

Fabio Perugia

 
 
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Stallo nei negoziati di pace fra israeliani e palestinesi,                  
i capi dei servizi di intelligence sono preoccupati
Gerusalemme, 10 dic -
Preoccupazione per lo stallo nei negoziati di pace con i palestinesi è stata espressa, secondo il quotidiano Haaretz, dal capo dell'intelligence militare Amos Yadlin, dello Shin-Bet, Yuval Diskin, e altri alti ufficiali nel corso di una seduta con il consiglio di gabinetto per le questioni di sicurezza. La prolungata battuta d'arresto nei negoziati, hanno detto i capi dei servizi di intelligence, "ha creato un vuoto che diversi paesi stanno cercando di riempire introducendo loro iniziative, nessuna delle quali favorevole a Israele". Secondo questi ufficiali l' Autorità palestinese sta ora orchestrando una campagna diplomatica in seno alla comunità internazionale al fine di costringere Israele ad accettare un accordo "imposto dall'alto" che porti alla costituzione di uno stato palestinese.


Ungheria, Elie Wisel: “Non c'è posto per l'odio razziale”
Budapest, 9 dic -
Antisemitismo e rigurgiti nazisti sono in aumento in Ugheria. Elie Wisel, lo scrittore ebreo americano premio Nobel per la pace, sopravvissuto all'Olocausto, è stato invitato a tal proposito dall'Associazione delle comunità ebraiche in Ungheria a tenere un discorso alla conferenza per la convivenza tra ebrei e ungheresi. "Non c'é posto oggi per l'odio razziale, né per il passato, per il presente o il futuro". Questo il messaggio lanciato da Wiesel. Wiesel, 81 anni, nato in Transilvania (Romania) in una famiglia ebrea ungherese, fu deportato assieme alla famiglia nel 1944 ad Auschwitz da gendarmi ungheresi. La sua testimonianza di superstite della Shoah è molto apprezzata oggi in Ungheria, ha sottolineato Zoltan Balogh, presidente della commissione dei diritti umani del parlamento, co-presidente della conferenza. 
 
 
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