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L'Unione informa |
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16 dicembre 2009 - 29 Kislev 5770 |
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alef/tav |
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Adolfo Locci, rabbino capo di Padova
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“Disse
il faraone ai suoi servitori: Si può trovare un uomo come questo in cui
sia così presente lo spirito di Dio?” (Genesi 41, 38). Giuseppe
spiegò i sogni al Faraone ma è possibile che la spiegazione fosse
conosciuta anche dai saggi di corte. La differenza tra gli altri saggi
e “l’ebreo Giuseppe” sta nel fatto che egli non ebbe timore di una
possibile punizione del Faraone perché portatore di cattive notizie.
Giuseppe si presenta con la fierezza e il coraggio di colui che confida
e si affida totalmente al Signore e alla Sua Torà. E’ per questo che il
Faraone si rende conto di essere davanti a una persona speciale. Un
collegamento con la festività di Hanukkah che terminerà il prossimo
Shabbat. In tutta la letteratura ebraica, biblica e post biblica,
l’unico riferimento storico relativo a Hanukkah si trova nel secondo
capitolo del trattato talmudico di Shabbat. Altre fonti ci hanno fatto
conoscere il resto di questa storia, ma il Talmud ha voluto porre
l’accento solo sulla questione dell’olio: Gli ellenisti contaminarono
tutto l’olio sacro; essi volevano che la Menorà fosse alimentata da
olio impuro e ciò significa, simbolicamente, che volevano che
l’identità ebraica fosse diffusa con l’intromissione di elementi
estranei cosicché, nel tempo, potesse perdere le sue pure peculiarità.
Gli ellenisti e loro accoliti, forse avevano compreso il significato
“dell’abbraccio di 'Esaw”, che l’odiato ebraismo si può eliminare, non
con la distruzione di un Tempio, di un oggetto rituale o di una persona
fisica, ma innestando in esso un “virus” che col tempo lo trasformasse
dal suo interno, tramutandolo in una cosa diversa. L’olio sacro
dell’ampollina ritrovata durò miracolosamente tutto il tempo necessario
per produrre nuovo olio sacro; i Chakhamim, a quanto pare, ci vogliono
mettere in guardia ricordandoci che se siamo sopravvissuti nel corso
dei secoli, è perché abbiamo avuto la capacità di produrre sempre
dell’olio puro nonostante le dominanti influenze esterne. Giuseppe e la
storia di hanukkah ci insegnano che per non assimilarci dobbiamo
educarci alla “luce” di una “pura” identità ebraica e che, per essere
rispettati, accettati o onorati, non dobbiamo adeguarla con caratteri
estranei. Basta essere “puramente e fedelmente” se stessi.Chag Urim Sameach a tutti. |
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Con
Gianni Pennacchi è scomparso un grande giornalista, irriverente su
tutto e con tutti, carico di umanità e curioso come pochi. Negli ultimi
tempi mi aveva confessato che voleva lavorare su una "storia
impossibile". "A Maurì - mi disse, vestito tutto di bianco - vojo
scrive sulla Menorah d'oro che forse sta nascosta in Vaticano". Ed a
chi gli replicava parlando di difficoltà insormontabili, replicava
alzando le mani al cielo: "E' per questo che la vojo fa..". |
Maurizio Molinari,
giornalista |
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Obama, il Nobel, la guerra e la pace
“Non
aver mai usata la guerra per arte, perché l'arte mia è governare i miei
sudditi e defendergli, e, per potergli defendere, amare la pace e saper
fare la guerra” scriveva, Niccolò Machiavelli nel suo Dell'arte della
guerra. Cinquecento anni dopo, il comandante in capo della prima
potenza mondiale, durante la cerimonia per l'assegnazione del premio
Nobel per la pace, dichiara: “In quanto capo di Stato che ha giurato di
proteggere e difendere la mia nazione [...] devo affrontare il mondo
così com'è e non posso rimanere inerte di fronte alle minacce contro il
popolo americano. Perché una cosa dev'essere chiara: il male nel mondo
esiste. Un movimento nonviolento non avrebbe potuto fermare le armate
di Hitler. I negoziati non potrebbero convincere i leader di al Qaeda a
deporre le armi. Dire che a volte la forza è necessaria non è
un'invocazione al cinismo, è un riconoscere la storia, le imperfezioni
dell'uomo e i limiti della ragione”. La guerra, dunque, come uno strumento necessario e a volte inevitabile per raggiungere la pace. A
Oslo il presidente Obama si è presentato con un discorso deciso e
profondamente realista e, a giudicare dall'interminabile applauso
finale, le sue parole hanno riscosso un notevole successo fra i
presenti. Fatto poco scontato perché in Norvegia, come ha ricordato su
“La Stampa” Molinari, il presidente americano è partito con il piede
sbagliato: mal digerita dai locali è stata la sua decisione di
disertare la colazione con il sovrano Herald V; ancor meno quella dei
suoi sostenitori dell'ala pacifista di inviare trentamila soldati in
Afghanistan. Ai primi Obama ha chiesto subito scusa, adducendo come
giustificazione un'agenda stracolma di appuntamenti. Ai secondi e a
coloro che criticano aspramente gli Usa, il comandante in capo delle
forze armate americane ha spiegato che “lo spirito di servizio e di
sacrificio dei nostri uomini e donne in uniforme ha promosso la pace e
la prosperità, dalla Germania alla Corea, e ha consentito alla
democrazia di insediarsi in luoghi come i Balcani. Abbiamo sopportato
questo fardello non perché cerchiamo di imporre la nostra volontà. Lo
abbiamo fatto per interesse illuminato, perché cerchiamo un futuro
migliore per i nostri figli e nipoti, e siamo convinti che la loro vita
sarà migliore se altri figli e nipoti potranno vivere in libertà e
prosperità”. L'America come paladina della giustizia, argomentazione un
po' retorica ma, in molti frangenti, incontestabile. I soldati
americani e degli alleati, per Obama, portano la pace e non fanno la
guerra; un’interpretazione sul filo del rasoio che non ha convinto chi
respinge del tutto l’utilizzo delle armi. Il presidente Obama ha
poi fatto appello ha tutte le nazioni, perché si uniscano nella tutela
dei diritti fondamentali dell’uomo e puniscano severamente paesi o
regimi che li violano. Lo sguardo corre immediatamente verso l’Iran,
dove libertà di espressione, informazione, riunione sono duramente
represse, con tanti saluti al rispetto della carta dei diritti del
1948. Le istituzioni internazionali devono prendersi la responsabilità
di difendere e tutelare la dignità di tutti i cittadini, che siano
birmani, congolesi o del Darfur. Dopo una richiesta dura di
intransigenza, Obama ritorna sulla strada della politica della mano
tesa “le sanzioni senza la sensibilizzazione - e la condanna senza
dialogo - possono produrre un immobilismo disastroso. Nessun regime
repressivo sceglierà di percorrere una strada nuova se non gli si
lascerà una porta aperta.” Due punti nodali: unirsi per tutelare
e difendere i diritti, anche con la forza e con sanzioni pesanti;
promuovere attivamente una via alternativa a coloro che sbagliano.
Siamo fallibili, possiamo cadere in errore e spesso lo facciamo, è
nella natura umana che non è perfetta ma perfezionabile, dunque
dobbiamo aiutarci a migliorare. Obama riprende le parole di Martin
Luther King: “Io rifiuto di accettare la disperazione come risposta
finale alle ambiguità della storia. Rifiuto di accettare l'idea che la
presente natura umana, che preferisce le cose come stanno ci renda
moralmente incapaci di conseguire l'eterno dover essere con cui
dobbiamo sempre confrontarci”. Non rimanere passivi testimoni della
storia ma protagonisti del nostro presente e futuro. Non esattamente un
compito facile. L’ottimismo si mischia a un pessimismo realista:
la globalizzazione ha abolito i confini, le persone possono entrare
sempre in contatto l’una con l’altra ma questo può comportare una
comprensibile paura di perdere sé stessi. Se non c’è un limite il
rischio è di confondersi col tutto, perdere la propria identità,
pericolo che per alcuni si trasforma in aggressività per difendere,
dice Obama, “le identità specifiche, la razza, la tribù e, forse più
forte di tutte, la religione”. In questo quadro secondo lui si
inserisce il conflitto fra israeliani e palestinesi o, utilizzando le
sue parole, fra “arabi ed ebrei”. E’ così? Israele è l’esempio del
tanto chiacchierato “scontro di civiltà”? La barriera che divide i due
popoli è la paura? Certo è che se Hamas vuole cancellare Israele dalla
faccia della terra avviare un dialogo non sarà mai possibile. Arrigo
Levi qualche giorno fa (La Stampa, 21 novembre 2009) ha fatto una
proposta interessante e provocatoria “in qualche modo, se i Palestinesi
sono ancora oggi, come sempre, incapaci di badare a se stessi, Israele
dovrebbe saper farsi carico anche di loro, delle loro sofferenze e dei
loro sogni. Chi, meglio degli ebrei, potrà mai capirli?”. Torniamo
all’Obama-pensiero, concreto e allo stesso tempo idealista: “possiamo
riconoscere che l'oppressione non sarà mai sconfitta, ma nonostante
questo continuare a lottare per la giustizia. Possiamo ammettere che la
depravazione è impossibile da sconfiggere, ma nonostante questo
continuare a lottare per la dignità. Possiamo essere consapevoli che ci
sarà la guerra, e nonostante questo continuare a lottare per la pace.
Possiamo farlo, perché questa è la storia del progresso umano, questa è
la speranza di tutto il mondo; e in questo momento di sfide dev'essere
il nostro compito, qui sulla Terra”. Davvero si può fare tutto
questo? La storia dà, a onor del vero, più torto che ragione al
presidente Obama; certo è che le sue parole sono un nobile auspicio e
un bel modo per ritirare il Nobel per la Pace.
Daniel Reichel
Qui Genova - Hanukkah e beneficenza
Hanukkah
all'insegna della beneficenza a Genova. Domenica nei locali della
comunità si è svolta la lodevole iniziativa organizzata dall'ADEI Wizo,
il bazar di Hanukkah: candele, Hanukkiot, prodotti tipici, ma anche
vestiti, bigiotteria e tanto altro, in vendita per un ottimo scopo. I
proventi, infatti, sono andati in beneficenza e molte persone hanno
partecipato attivamente al mercatino, donando o comprando qualcosina. Molto
successo ha avuto anche il pranzo organizzato per la festa in Comunità.
Una quarantina di persone hanno mangiato e conversato, in un clima
sereno e famigliare. Dopo aver inaugurato i locali del circolo, da poco
ristrutturati, mettendo le mezuzot alle porte, è arrivato il momento
per i più giovani con le divertenti attività legate alla festa,
organizzate dalla nuova morà israeliana Nitzan. L'accensione del
terzo lume ha concluso l'intensa giornata genovese. Accerchiato da
bambini, genitori e nonni, rav Giuseppe Momigliano ha celebrato, fra
canti e sufganiot, il terzo giorno di Hanukkah. Mercoledì si
ripete, con la festa per i giovani organizzata dal CGE-Genova JOY , che
prevede cena accensioni dei lumi e musica, per una piacevole serata
insieme.
Qui Roma - Riccardi, De Luca, Elkann e Israel discutono su Shalom del dialogo fra le grandi religioni
Il
numero di dicembre di Shalom, il mensile della Comunità Ebraica di
Roma, dedica la copertina al tema del dialogo fra le religioni.
Nell'immagine, una macchina da scrivere i cui tasti in sequenza formano
la parola "dialogo" termine su cui si interrogano Andrea Riccardi
fondatore della Comunità di Sant'Egidio, gli scrittori Erri De Luca e
Alain Elkann e il professor Giorgio Israel. "Il dialogo tra
religioni e culture differenti, nell'era della globalizzazione, prima
ancora che un opportunità, corrisponde a una vera e propria necessità
storica", sostiene Andrea Riccardi nell'articolo intitolato "Lo scopo
del dialogo è trasformare se stessi", che troviamo a pagina 4, "Certo,
non è un compito facile e occorre guardarsi da scontati irenismi. -
prosegue Riccardi - Ma occorre anche chiedersi quali sono le
alternative possibili?". Secondo lo scrittore Erri De Luca fra
l'ebraismo, il cattolicesimo e l'islamismo che si contendono il primato
della verità, sono possibili solo delle tregue. "La buona volontà
politica delle parti in causa, sostiene De Luca, ammessa per comodità
di ipotesi, è inerte nei confronti del più potente sentimento umano,
l'amore per la propria divinità, la sua temperatura interna. Per amore,
ben più che per odio, i tre monoteismi hanno visto nelle guerre tra
loro la via maestra". Di dialogo parla anche Alain Elkann ma
interrogandosi invece sulle analogie e sulle diversità fra la visita di
Giovanni Paolo II alla sinagoga di Roma nel 1986 e quella prossima di
Benedetto XVI rilevando che "...quello che conta è la continuità del
'dialogo', della 'cortesia', del buon 'vicinato'. Il rispetto reciproco
nelle diversità”. “Il 'rispetto' è, secondo Elkann, l'unica alternativa
possibile all'amore; è molto diverso dalle tolleranze. Il rispetto
significa accettare, apprezzare, stimare, mettere su un piano di
uguaglianza l'altro". Di diverso avviso il professor Giorgio
Israel "...non si tratta di decidere se il dialogo sia possibile o no:
esso è nei fatti, vi è stato sempre, anche nei momenti di massimo
conflitto", sostiene nell'articolo che troviamo a pagina 8, ponendo a
suo fondamento la comune visione delle Scritture come un testo rivelato
ma scritto da uomini e quindi soggetto a continua interpretazione. Lisa
Palmieri Billig firma il pezzo "Quando sono i giornalisti a non saper
comunicare" che si occupa della riammissione dei giornalisti israeliani
nella Federazione internazionale, dopo l'espulsione avvenuta nel giugno
scorso, ufficialmente per non aver pagato la quota annuale negli ultimi
4 anni. "Ci avete messo in un angolo mentre noi vogliamo essere
considerati membri con pieni e uguali diritti - ha sostenuto invece il
giornalista Yosi Bar Moha nell'incontro che si è svolto a Tel Aviv il 2
novembre - non ci avete consultato prima di organizzare una missione
investigativa sulla libertà di stampa durante l'operazione Piombo Fuso,
perciò pregiudicando i risultati ottenuti ...". Rimanendo sulle
questioni mediorientali Sergio Minerbi esamina la politica estera
israeliana alla luce della eventuale nascita di uno stato palestinese
attraverso una dichiarazione unilaterale e senza un accordo con Israele
cosa che, secondo Netanyahu, metterebbe a repentaglio gli accordi già
esistenti con Israele costringendo lo stato ebraico a prendere a sua
volta misure unilaterali. "Già 21 anni fa, nel 1988 ad Algeri l'Olp
aveva proclamato l'indipendenza della Palestina ossia uno stato nei
confini del 4 giugno 1967 con capitale Gerusalemme. - ricorda Minerbi -
Ma in mancanza del consenso israeliano la proclamazione rimase lettera
morta. La ritorsione israeliana potrebbe essere il blocco dei fondi
regolarmente trasferiti da Israele, il ritorno dei posti di blocco,
mentre le due grandi questioni del ritorno dei profughi e della
spartizione di Gerusalemme, rimarrebbero sul tappeto senza speranza di
soluzione". Dimitri Buffa parla del vertice Fao a Roma, sul
quale esprime un parere piuttosto negativo "ogni volta che Roma ospita
un vertice Fao dobbiamo constatarne l'assoluta inutilità". Sostiene il
giornalista. "Nonché la sua repentina trasformazione nel 'one man
show' di dittatori africani, sudamericani o mediorientali. Stavolta,
per la cronaca, è stato il turno di Muhammar Gheddafi, che non ci ha
fatto mancare niente, ma proprio niente, del suo repertorio
allucinante". E infine, Mario Calabresi il giovane direttore de
La Stampa, risponde alle domande di Francesca Bolino, Fiamma Nirenstein
parla dei governi europei che, attraverso le ONG, alimentano l'odio
contro Israele, Emanuele Ottolenghi analizza le ragioni per cui la
Russia continuerà ad impedire che la comunità internazionale adotti
misure contro Teheran e Umberto Ranieri getta uno sguardo sugli assetti
strategici del dopo caduta del Muro di Berlino.
Qui Milano - Il Bollettino di Dicembre tra Medioriente e Shoah
“Davvero
la recente amicizia tra Israele e Turchia si è definitivamente infranta
sugli scogli di una Unione Europea che, respingendo l’ingresso di
Istanbul nel proprio salotto buono, l’ha così costretta a ripensare
alla propria posizione all’interno dello scacchiere mediorientale?
Davvero starebbe per nascere un nuovo asse Ankara-Damasco-Teheran?”.
Inizia con questi interrogativi l’editoriale di Fiona Diwan sull’ultimo
numero del Bollettino della Comunità Ebraica di Milano. Parole che
sottolineano la grave tensione manifestatasi all'inizio dell'autunno
nei rapporti tra i due governi e che fanno parlare di “amicizia perduta
tra Ankara e Gerusalemme”. Gli instabili equilibri della zona e il
difficile cammino per il processo di pace sono tematiche care anche a
Ferruccio De Bortoli, tornato da poco a dirigere il Corriere della
Sera, che racconta ai lettori cosa pensa di Israele, Medioriente,
media, deontologia giornalistica e del crescente razzismo che interessa
la società italiana. Il direttore annuncia poi la prossima apertura sul
Corriere di una sezione di Judaica, “un’utile finestra per guardare con
più attenzione al mondo e al pensiero ebraico, ma anche a quello delle
scienze, delle lettere e a quanto si produce in Israele in termini di
eccellenza intellettuale”. Aldo Baquis, invece, ha intervistato Rina
Masliah, analista politica e conduttrice della tv israeliana Canale 2,
che ripercorre alcuni dei momenti e degli avvenimenti più significativi
della recente storia israeliana, dall’assassinio di Rabin per mano di
un folle estremista di destra all’uscita di scena dalla vita politica
di Ariel Sharon, ridotto in stato vegetativo persistente da ormai
quattro anni. Ilaria Myr, che ci parla di Joel e Ethan Coen, registi e
sceneggiatori statunitensi famosi soprattutto per le loro commedie
irriverenti e sofisticate, come Il grande Lebowski. Il tutto mentre
nelle sale italiane è da poco uscito A serious man, che alcuni critici
cinematografici hanno definito “il più ebraico dei loro film”. Grande
spazio viene dedicato anche ad alcune iniziative editoriali. Come
quella che vede protagonista Piero Budinich, editore triestino
fondatore della casa editrice Beit, nata per “far conoscere alla gente
il mondo a est di Trieste, riaprire antichi canali culturali,
riscoprire i tesori della mitteleuropa, la sua vivacità”. Fra i libri
pubblicati, la storia di Felice Schragenheim, poetessa morta a Bergen
Belsen a soli 23 anni, le cui vicende amorose nella Berlino nazista
raccontano come anche in un contesto del genere “la vita poteva pulsare
ed espandersi e irradiare la sua grazia leggera”. Sempre sul tema della
Memoria, Il Bollettino di dicembre riporta la notizia della proposta
presentata alla UE da tutti gli istituti europei che si occupano di
Shoah (In Italia questo compito è svolto egregiamente dalla Fondazione
CDEC) per catalogare e gestire con un metodo unico la documentazione di
cui dispongono. Il giornale contiene anche il resoconto dell’ultimo
Congresso Ugei, svoltosi a Milano a inizio novembre, che ha visto oltre
duecento giovani ebrei italiani riunirsi per eleggere il nuovo
Consiglio, chiamato a “portare avanti il lavoro eccellente fatto negli
ultimi tre anni”, lavoro che è stato recentemente premiato dal comune
di Milano con il riconoscimento dell’Ambrogino d’Oro.
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pilpul |
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Torah oggi - Il vero miracolo
Per l’accensione dei lumi di Hanukkah si recitano tre benedizioni, secondo una sequenza che ha un preciso significato: 1. La
prima benedizione evidenzia il fatto che, mentre i lumi dello shabbath
hanno una funzione utilitaristica - quella di illuminare la casa e la
tavola sabbatica, e per questo si dice: ner shel shabbath -, i lumi di
Hanukkah appartengono solo alla festa (per questo si dice: ner
shelachanukkà o ner Hanukkah) e non possiamo farne alcun uso, così come
non possiamo fare uso del nome e della kedushà, santità, di Israele. 2.
La seconda benedizione evidenzia che questo momento è diverso da quelli
che lo precedono e lo seguono: questi giorni sono stati assunti come
riferimento per l’affermazione dell’identità della piccola minoranza
ebraica, l’unica che sia riuscita a resistere all’espansione della
cultura greca, e sono quindi stati assunti come “bandiera” (NES) dai
nostri padri in quei giorni in questo tempo. Ma sarebbe più corretto
dire “in quel tempo, in questi giorni” e quindi … 3. La terza
benedizione, riprendendo proprio l’ultima parola (questo tempo, hazeman
hazè), esprime il ringraziamento al Signore per averci mantenuto vitali
fino a questo tempo. Perché il vero miracolo di Hanukkah (e oserei
dire, della storia dell’uomo) è il fatto che un piccolo popolo sia
riuscito a vivere fino a questo tempo, servendo anche da esempio per
altri popoli e minoranze. Scrive Bertrand Russel nella sua
Filosofia del mondo occidentale: se non ci fosse stata la
resistenza dei Maccabei, non ci sarebbe stato né il Cristianesimo né
l’Islamismo.
Rav Scialom Bahbout
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rassegna stampa |
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La
notizia del giorno, ripresa da tutti i quotidiani e anche dal GR1 delle
7, è la conferma che Tzipi Livni ha effettivamente dovuto annullare un
suo viaggio già organizzato a Londra per evitare il rischio di un
processo pronto ad aprirsi contro di lei per crimini commessi nella
guerra di Gaza. Oggi la Livni non è protetta da immunità diplomatica che aveva invece Barak, fatto segno di analoghi provvedimenti; il Corriere ricorda
che la regina Elisabetta, in 57 anni di regno, ha compiuto 250
visite in giro per il mondo, stringendo la mano a tanti dittatori, ma
mai si è recata in Terra Santa. Il Giornale
cita la frase pronunciata da un vice premier israeliano: "Ora siamo
tutti Livni": in Israele i partiti avversari riescono a unirsi, da
sempre, di fronte ai pericoli comuni. Repubblica,
unico tra i quotidiani, ricorda la spesso asserita sproporzione del
conflitto che ha causato 13 morti israeliani e 1400 palestinesi. Ma la
direzione in cui sta andando la Gran Bretagna è ricordata anche con il
progredire dell'azione di boicottaggio dei prodotti israeliani: l'Avvenire parla delle etichette dei prodotti alimentari che dovranno indicare se sono originari delle colonie o della Palestina. Ed Il Foglio
riporta che una ditta inglese ha addirittura messo a disposizione della
clientela un numero verde dove, "digitando il numero 1 si possono avere
informazioni sui prodotti da Israele". Grande rilievo viene ancora dato
all'aggressione subita da due sorelle commercianti di religione
ebraica, apostrofate da due abusivi al grido di "sporchi ebrei" e "vi
cacceremo con i treni" (Avanti). E' una situazione che dura da mesi, come ci ricorda anche il Tempo,
e ora vedremo se le autorità ed i Vigili bloccheranno questi fenomeni
di antisemitismo che speravamo non vedere più, o se invece, passato il
clamore, tutto tornerà ad essere come negli ultimi tempi. Il Foglio
parla del protrarsi dei bombardamenti con bombe al fosforo
dell'aviazione saudita contro i villaggi sciiti dello Yemen, e del
tentativo di Hamas di trovare un accordo tra Saudi Arabia e Iran
(tentativo stoppato da Ahmadinejad); sempre sul Foglio si legge di una
prossima visita di Hariri (forse accompagnato da Jumblatt) dal
presidente siriano Assad: "una visita che può cambiare gli equilibri
nella regione". E' comunque la dimostrazione del fatto che la Siria
continua a considerare il Libano un proprio protettorato. Liberazione,
unico tra i quotidiani italiani, informa delle dimissioni improvvise
del responsabile dell'agenzia nucleare iraniana Sahidi, e
dell'annullamento del previsto incontro a New York dei 5+1:
vedremo nei prossimi giorni le evoluzioni di questa vicenda cruciale
per il mondo intero. L'Unità
descrive la visita del gran Rabbino Ashkenazita Metzeger ai religiosi
islamici dopo l'incendio di una moschea avvenuto nei giorni scorsi per
colpa di qualche fanatico ebreo; purtroppo ancora una volta De
Giovannangeli non coglie il significato di questa visita, e dà alle
parole del rabbino (che ha fatto un parallelismo con la notte dei
cristalli) un significato che queste non volevano avere. Il Riformista
intervista lo scrittore americano Jonathan Rabb, in Italia per la
presentazione del suo ultimo romanzo; dice Rabb che la situazione nel
mondo non è molto diversa da quella di 80 anni fa; e, parlando delle
guerre dell'America, afferma che si deve terminare un processo, una
volta intrapreso, e che non serve prima avere gli eroi per poi
abbandonare il campo. Il Messaggero
descrive due attentati contro chiese cristiane in Iraq: i cristiani si
sono ridotti da oltre un milione a 350000, e ora si raggruppano in aree
protette da muri, a estrema difesa (nuovi muri). L'Herald Tribune parla dell'intervento della
polizia egiziana che ha chiuso un chiesa copta pronta
all'inaugurazione, e di quattro piccole moschee con minareto sorte ai
quattro angoli di un convento copto a sua limitazione. Il discorso si
lega al referendum svizzero del quale si è parlato nei giorni scorsi:
due pesi e due misure. In Francia le Figaro
propone una forza di interposizione tra ebrei e palestinesi, che è
l'esatto contrario di quanto altri sostengono (se non si lasciano ebrei
e palestinesi soli a trattare e gestire il tutto, non si arriverà mai
ad una soluzione). E le Figaro conclude chiedendosi come, se il mondo
non porterà la pace in un territorio pur così piccolo, potrebbe mai
trovare una soluzione alle crisi finanziaria ed ecologica. Se
torniamo indietro a guardare quanto è stato pubblicato nei giorni
scorsi, non si possono non ricordare le inaccettabili parole
dell'ambasciatore Sergio Romano che, su Panorama,
a proposito del discusso scambio di Gilad Shalit con un migliaio di
detenuti palestinesi, ha scritto che questo è dovuto "soprattutto
all'innato sentimento che un israeliano valga molto più di un
palestinese". Ha anche, ma non solo, dimenticato con ignominia il
ricatto cui sono sottoposti da oltre tre anni i governanti israeliani.
Criticata è stata anche Barbara Spinelli che, su La Stampa,
in un commento al discorso pronunciato da Obama in occasione della
cerimonia per la consegna del premio Nobel, ha infilato senza ragione
alcuna una considerazione su Israele scrivendo che sarebbe la "sua non
dichiarata potenza atomica che incita un'intera regione al risentimento
costante e al riarmo"; insomma, dell'Iran è sempre meglio non parlar
male, per la penna de La Stampa, ma contro Israele tutto è dovuto. A
seguito invece della dura polemica tra il cardinale Tettamanzi ed il
leghista Calderoli, sul Foglio
del 10 dicembre Giulio Meotti ha scritto un articolo di grande
giornalismo, ricostruendo tutto ciò che sta dietro le quinte nella
Arcidiocesi Milanese. Infine, per coloro che desiderano leggere quanto
scritto da un inviato straniero nei territori palestinesi, raccomando
l'articolo di Tom Gross
ne appare una realtà della vita dei palestinesi decisamente diversa da
quella che ci viene regolarmente descritta dai nostri quotidiani, e che
potrà dare a tutti utili informazioni.
Emanuel Segre Amar |
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Il governo inglese riflette sul caso Tzipi Livni “Cambieremo le nostre norme di procedura penale” Londra, 15 dic - All'indomani
dell'emissione del mandato di cattura nei confronti dell'ex ministro
degli Esteri Tzipi Livni ad opera di un giudice della corte britannica,
il governo londinese valuta come cambiare le sue norme di procedura
penale ed evitare così il ripetersi di casi analoghi in futuro. "La
procedura per la quale i mandati di arresto possono essere richiesti ed
emessi" senza informare la procura "è una particolarità rara del
sistema inglese e del Galles", ha osservato il ministro degli Esteri
britannico, David Miliband, in un comunicato. "Il governo cerca
urgentemente i modi di cambiare il sistema britannico per evitare casi
simili in avvenire" ha spiegato Miliband, sottolineando che Israele è
"un partner strategico e un amico stretto della Gran Bretagna".
Gilad
Shalit, stallo nei negoziati
Tel Aviv, 15 dic - Stallo
nei negoziati fra Israele e Hamas per il rilascio di Gilad Shalit. A
confermare la situazione di arresto nelle trattative dello scambio di
progionieri è stato il botta e risposta fra il presidente israeliano,
Shimon Peres, e un portavoce di Hamas a Gaza. Peres ha affermato che
"se fosse per Israele, Shalit sarebbe già libero" e ha addebitato il
mancato accordo sullo scambio dei prigionieri a "divergenze" fra la
leadership di Hamas all'estero e quella al potere nella Striscia di
Gaza. Da Gaza uno dei portavoce di Hamas, Ayman Taha, ha replicato:
"Non ci sono progressi perché Israele non accetta di liberare i
prigionieri dalle carceri", smentendo l'ennesima voce araba su un
possibile accordo entro sette giorni.
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