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L'Unione informa
 
    23 dicembre 2009 - 6 Tevet 5770  
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Moked - il portale dell´ebraismo italiano
alef/tav    
  adolfo locci Adolfo
Locci,

rabbino capo
di Padova
Maimonide insegna in Hilkhot Teshuva (2;1) che quando alla persona che ha sbagliato gli si presenta l’occasione di incorrere nell’errore già commesso, e stavolta se ne distacca e non pecca, la sua teshuvà è veramente completa. Questo è ciò che è accaduto a Yehudà che si è trovato nella stessa situazione due volte: la prima volta torna a casa senza Giuseppe provocando grande sofferenza al padre; la seconda volta, invece di tornare a casa senza Beniamino, rimane al vicerè consapevole che l’errore di tornare dal padre senza il fratello non lo avrebbe più fatto. E’ questo il momento in cui Giuseppe ritrova i suoi fratelli, il momento in cui i fratelli riconoscono Giuseppe...
C'è un solo luogo al mondo dove gli autisti dell'autobus fermi al capolinea per passare il tempo leggono Kant e Spinoza.  Guido
Vitale,

giornalista
guido vitale  
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Dialogo, bisogna essere chiari

vignetta Le recenti parashot settimanali con gli incontri fra i due fratelli, Yaakov ed Esav, hanno offerto l’occasione al
rav Shear Yashuv Cohen di trattare il problema del dialogo interreligioso, nel numero 274 di Hashabbat Zohar, opuscolo settimanale dei rabbini che fanno capo al movimento Zohar.
Il rav Cohen (1927) sembra particolarmente adatto a trattare del problema. E’ figlio del rav David Cohen (1887-1972) conosciuto con il soprannome di Harav Hanazir, è rabbino capo ashkenazita di Haifa e membro del consiglio del Rabbinato centrale israeliano. In tale veste è responsabile al dialogo con il cristianesimo e l’Islam. Il rav Cohen ha studiato anche giurisprudenza e sua moglie, Naomi, ha insegnato letteratura greca all’Università. Spiega dunque il rav Cohen che il problema è quello di saper conciliare fra le due esigenze: quella di dialogare, di conoscersi, di agire per conseguire la pace da un lato, e quella di assicurare che non venga leso assolutamente neppure uno dei principi della nostra Torah, come diciamo nella Havdalah di Mozae Shabbat. In altre parole dobbiamo sapere bene quali sono i confini fra unicità e meta. L’unicità viene a sottolineare la differenza fra le vie della Torah e quelle delle altre religioni, mentre la meta ci fa aspirare di poter arrivare al giorno in cui tutti i popoli invocheranno il Nome del Sign-re. Questa vocazione fa parte della mitzvah del Kiddush Hashem, consacrazione del Nome, che avverrà davanti a tutti i popoli come parte del processo di redenzione, secondo la visione del Profeta
Isaia (2:2-3): “E avverrà alla fine dei giorni che il monte della casa del Sign-re si ergerà sopra la sommità dei monti, e sarà elevato più dei colli e ad esso affluiranno tutte le nanazioni. Andranno molti popoli e diranno: ‘Venite che saliremo sul monte del Sign-re, alla casa del D-o di Giacobbe, affinché Egli ci ammaestri sulle Sue vie, affinché procediamo nei Suoi sentieri’ ché da Sion uscirà l’insegnamento e la parola del Sign-re da Gerusalemme”.
Proprio noi che abitiamo in Erez Israel possiamo avvertire il profondo cambiamento nei confronti degli ebrei e della religione di Israele che si è prodotto in alcuni dei leader religiosi, in particolare fra i capi della Chiesa cattolica, per quanto riguarda il loro rapporto verso lo Stato d’Israele e l’Ebraismo. Noi vorremmo credere di essere ormai arrivati “alla fine dei giorni” e con questa profonda speranza ci accingiamo al dialogo interreligioso, senza complessi di inferiorità e senza timore della missione.
Sia il cristianesimo sia l’Islam si considerano parte del “partito di Abramo” e definiscono le tre religioni monoteiste, l’ebraismo, il cristianesimo e l’Islam, come religioni “abramite” vedendo nel nostro padre Avraham il fondatore della fede nel D-o uno e il padre di tutti i credenti, ebrei, cristiani, musulmani. Abbiamo una riserva di principio nei confronti del cristianesimo, che parla del shituf (credenza che altri esseri siano associati a D-o) e della trinità, che si oppongono ai nostri principi
fondamentali. Con l’Islam abbiamo il problema della profezia di Maometto, che loro vedono “profeta di D-o” e fondamento della loro religione dato che per loro “non vi è Allah senza Allah e Maometto profeta di Allah”. Ciò nonostante sia il cristianesimo, sia l’Islam respingono l’idolatria ed accettano l’Unità. Noi siamo stati comandati ad osservare l’Unità sul Sinai (“Non avrai altri dei al Mio cospetto”) e abbiamo accettato su di noi il giogo del regno dei cieli, come diciamo due volte al giorno: “Shema Israel, il Sign-re è nostro D-o il Sign-re è uno”. Ogni nostro dialogo, con ebrei o membri di altri popoli, deve essere basato sulla profonda comprensione dell’Unità divina e dei principi della fede: non è ammissibile pensare ad un benché minimo compromesso in questo campo. È proprio basandoci sull’Unità divina che possiamo accingerci a parlare con ogni uomo creato ad immagine divina, con amore, dignità e in generale con atteggiamento umano.
Inoltre i dialoghi con uomini religiosi cristiani e musulmani sono oggi anche per il bene dello Stato di Israele e degli ebrei del mondo in generale. Di fronte all’antisemitismo in continua espansione, la presenza di un “dialogo interreligioso per la pace”, sia con cristiani, sia con musulmani, è assai importante. È un dialogo che deve svolgersi con prudenza e con osservanza di alcune regole come ad esempio quella di evitare ogni discussione o esame su “principi della fede” sui quali siamo divisi, o evitare ogni tentativo di convincere gli altri della verità della nostra via e dei principi della fede e certamente bisogna respingere ogni tentativo in questo senso dell’altra parte.
Possiamo dire che condizione necessaria per ogni dialogo è quella del rispetto reciproco senza discussione o tentativo di “persuasione” da nessuna parte.
Ed allora di cosa parleremo?
Parleremo in particolare dei principi comuni come quello della santità della vita, l’evitare lo spargimento di sangue e il suicidio. Sottolineeremo l’importanza della modestia anche nel vestire, della dignità della donna e quella dell’uomo.
Sottolineeremo l’importanza della diffusione dello spirito religioso e della consapevolezza che non tutto deve essere considerato permesso e l’importanza delle opere di carità e misericordia verso ogni uomo, compresa la salvezza di vite umane e dei beni del prossimo; promuoveremo i valori della pace e l’evitare guerre fra popoli e stati nel mondo.
Il rav Cohen termina il suo articolo con una preghiera al Sign-re perché lo aiuti a percorrere una strada giusta senza cadere in inciampi, e permetta di santificare il Suo nome in Israele e nel mondo.

Alfredo Mordechai  Rabello, giurista, Università Ebraica di Gerusalemme
 
 
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  pio XIIPio XII e il suo assordante silenzio

Leggo su l'Unione informa e su Pagine Ebraiche i commenti sulla beatificazione di Pio XII e ho qualche perplessità  sulla posizione un po' "romanocentrica" che si può osservare da più parti. Penso che il giudizio sulla figura di Pio XII andrebbe formato tenendo conto del suo silenzio su tutta la storia d'Europa a partire dall'ascesa del fascismo in Italia e in Germania. Pio XII sale al soglio pontificio nel 1939, ma prima era stato alto prelato in Vaticano (negli ultimi anni con il potentissimo ruolo di Segretario di Stato). In questo periodo ha realizzato personalmente il Concordato con il regime nazista nel 1933. Non una parola esce dalla sua bocca in quei tempi  sulle persecuzioni contro gli antifascisti tedeschi (cattolici e non), anzi, l'allora cancelliere tedesco Bruening ricorda nelle sue memorie il suo personale intervento per ottenere la rottura dell'accordo di coalizione antifascista tra cattolici e socialisti tedeschi ed è  rilevante la posizione presa dal futuro Pio XII per un intervento di Hitler a fianco dei falangisti nella guerra civile spagnola. E' documentato in proposito il suo conflitto con Pio XI che riteneva necessaria una esplicita rottura con il nazismo. Non casuale il fatto tra i primi atti del suo pontificato ci sia l'avvicinamento con Charles Maurras (i cui testi erano stati messi all'indice durante il pontificato Ratti) animatore del gruppo francese di estrema destra e antisemita Action Francaise. Infine, non una parola è stata detta o scritta da Pio XII contro la creazione dei campi di concentramento e poi di sterminio in cui dieci milioni di ebrei di tutta europa, zingari, omosessuali o più semplicemente cittadini russi trovarono la morte. In conclusione, trovo un po' riduttivo limitare il giudizio su Pio XII al fatto se abbia tentato o meno di fermare un treno che trasportava 1000 ebrei romani (tra cui probabilmente il fratello di mio nonno) e se ha salvato o no la vita di qualche centinaio di ebrei nelle chiese e conventi di Roma, quando il suo consapevole e assordante silenzio ha ignorato il massacro i molti milioni di ebrei e non ebrei vittime del nazismo.

Claudio Luzzatti, Università di Milano Bicocca
 
 
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rassegna stampa    
 
 
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I giornali di oggi dedicano tutti ampio spazio alla decisione di papa Benedetto XVI di dichiarare venerabile anche papa Pio XII: in particolare il Corriere e il Messaggero sottolineano che un conto è dichiarare la profonda fede cattolica di Pio XII, ma ben diverso dare un giudizio storico sui suoi silenzi. Questa sera si terrà a Roma un Consiglio della Comunità aperto a tutti, che fin da ora si prospetta essere molto acceso; all'estero ne parlaanche Le Monde. Repubblica, in mancanza dei documenti vaticani, ricorda quanto risulta dai documenti del Foreign Office; disse papa Pacelli all'ambasciatore inglese che lo incontrava: "i tedeschi si sono sempre comportati correttamente" (ritengo col Vaticano ndr), e "il principale timore è la mancanza di viveri in caso di ritirata dei tedeschi". Tutti i quotidiani danno poi notizia del ritrovamento della scritta rubata ad Auschwitz: Manuela Repetti scrive sull'Avanti importanti parole sulla Memoria, sull'insegnamento che si può trarre dalla Storia, con un invito a non sottovalutare ciò che è avvenuto.
Liberal, unico tra i quotidiani, riporta la notizia del ritrovamento archeologico di una casa risalente al periodo in cui visse Gesù; ritrovamento fatto a Nazareth che permette di far vedere come gli ebrei vivessero nell'epoca in cui i soldati romani iniziavano le loro persecuzioni. Il Foglio ci informa delle elezioni del nuovo gruppo dirigente
dei Fratelli Musulmani: spariscono i pochi moderati e si avviano anche loro sulla stessa strada degli ayatollah iraniani. Conclude dicendo che la strategia del dialogo avviata da Obama è destinata a fallire. Interessante un altro articolo del Foglio che fa un confronto tra cristianesimo ed Islam: chi ha il Dio più forte? La Bibbia è ancora più venduta del Corano, i cristiani sono ancora più numerosi dei musulmani, ma il divario si sta rapidamente erodendo. Sempre sul Foglio Abu Mazen dice che, finché ci sarà lui, il rischio di una terza Intifada è scongiurato, anche perché i palestinesi da lui amministrati (come dice anche il primo ministro Fayyad) stanno sempre meglio; ed i sondaggi dicono che nei territori Fatah sta riconquistando la maggioranza nei confronti di Hamas. Quando il sorpasso sarà assicurato, si potrà votare. Di Intifada parla anche l'Espresso, ma di un'Intifada dei coloni israeliani: l'atteggiamento sempre ostile verso Israele di questa testata è molto evidente, e manca del tutto un corretto
inquadramento della situazione difficile che deve affrontare il governo Netanyahu. Su Panorama Sergio Romano ritorna alla crisi tra Israele e Gran Bretagna innescata dal rischiato arresto di Tzipi Livni; conclude l'ambasciatore, sempre astioso con gli israeliani, dicendo che "il caso Livni è stato diplomaticamente chiuso. Ma la memoria è più tenace ed ostinata della diplomazia". Su Avvenire si legge un'intervista a Franco Scaglia: diciamo solo che arriva a sostenere il "rifiuto di leggere la Bibbia come documento della necessità del ritorno del Popolo Eletto nella terra assegnata da D-o: tutto diventa molto difficile da discutere". Il Corriere parla del libro del vignettista Joe Sacco che, uscito in America, è destinato ad essere al centro di molte polemiche; ritorna sulla guerra del '56 e sui combattimenti a Khan Jounis. L'articolo si chiede se si tratti di Storia o di Fumettone. Anche l'Unità parla di libri mettendo a confronto le opere di tre scrittori: Wu Ming, Falcorus e Lerner. Sul Sole 24 Ore Tramballi, che evidentemente si è recato a Gaza, firma due articoli che appaiono essere in totale allineamento con tutto ciò che Hamas sta facendo, nonostante le difficoltà create dagli israeliani; neppure intervistando il vice ministro di Hamas, ed in pratica responsabile delle finanze, Mahfoz, Tramballi  trova nulla da criticare nella gestione della Striscia, che comunque si può considerare ben fallimentare in confronto a quella "corrotta" di Fatah. Importante l'articolo di Liberal che ufficializza l'ingresso a pieno titolo degli iraniani nelle faccende interne libanesi, dopo la visita di Hariri in Siria e le recenti dichiarazioni del ministro degli esteri iraniano Mottaki.
All'estero le Monde segue il processo che si tiene contro Demjanjuk; primo processo tenuto in Germania dopo Norimberga. Sarebbe importante che lo seguissero anche i giornali italiani, considerando come il processo contro Eichmann ha influenzato tutto quanto è successo dopo. In Canada il governo ha deciso di tagliare i fondi alle locali ONG che in Medio oriente, anziché fare quello che dichiarano essere il loro scopo, si limitano al boicottaggio di Israele. E in Israele, dopo le dure polemiche dei giorni scorsi per le istruzioni date ai negozi kosher, si apprende che le autorità stanno facendo grandi sforzi per facilitare il trasporto gratuito di numerosi residenti e pellegrini cristiani a Nazareth in occasione del Natale; alberi vengono donati in gran numero, le navette sono incrementate, e le maglie dei check points sono allargate.
Ed ora torniamo un momento a quanto è successo nei giorni scorsi nel mondo.
L'Europa ha un nuovo ministro degli esteri, la signora Ashton, che nel suo primo discorso ufficiale si è subito espressa contro Israele in termini ben più severi di quelli usati dai diversi ministri degli esteri (a questo  proposito si legga anche quanto pubblicato sul Wall Street Journal di oggi, che spiega come l'Europa si sta allontanando sempre di più da Israele). Se il buon giorno si vede dal mattino...
Alla Sorbona a Parigi è stata concesso l'anfiteatro Bachelard per una conferenza alla quale hanno partecipato in qualità di oratori Ali Fayad, dirigente di Hezbollah, e Nadine Rosa Rosso, militante in prima fila per la legittimazione di Hamas. I simpatizzanti di questi gruppi terroristi non si sono fatto scrupolo di impedire agli studenti ebrei di partecipare alla conferenza, espellendo anzi, anche con la violenza fisica, i pochi che erano riusciti a superare lo sbarramento. In Italia solo Giorgio Israel ne ha parlato, mentre in Francia questo grave episodio è stato oggetto di accese discussioni.
Il vice-ministro degli esteri israeliano Danny Ayalon ha scritto un articolo intitolato: lettera aperta al mondo arabo, apparso sul principale quotidiano arabo pubblicato in Inghilterra, As-Sharq al-Awsat. E' stato, da molti, giudicato "storico". E' un invito agli arabi a cogliere la mano tesa da Israele e ad agire insieme per vincere le "forze estremiste" che vogliono la "distruzione del Medio Oriente". E la mano di Israele si tende anche per aiutare tutti a trasformare le terre aride in campi coltivati, come già succede in tanti paesi africani ed asiatici. Parallelamente, sul quotidiano del Kuwait Al-rai il siriano Zein Al-Shami si scaglia contro il mondo arabo che preferisce preoccuparsi delle cosucce piuttosto che affrontare i problemi seri. Parla dei problemi del Libano, del Sudan, del Darfour, della Somalia, della Siria, della Libia, dell'Egitto, dell'Irak, di Hamas, e anche degli abbigliamenti femminili sui quali pesa l'assurda pressione dei religiosi. Egli esprime la propria vergogna per ciò che succede: "Non vi è un solo raggio di speranza" è il titolo del suo articolo. Non conoscevo Al-Shami, ma bisogna trovare il modo di far uscire allo scoperto queste voci che pur esistono nel mondo islamico. Peccato che non un solo giornale italiano lo abbia citato.

Emanuel Segre Amar

 
 
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Papa in Sinagoga: il Gran Rabbinato di Israele                      invierà una delegazione
Roma, 23 dic -
Il direttore generale del Gran Rabbinato di Israele, Oded Viner ha annunciato alla radio pubblica israeliana che una delegazione del Gran Rabbinato israeliano parteciperà alla visita di Papa Benedetto XVI nella Sinagoga di Roma, nel caso che questa sia approvata dalla comunità ebraica italiana. "Noi non vogliamo complicare le relazioni già complesse tra la Santa Sede, lo Stato di Israele e la comunità ebraica italiana" ha sottolineato Viner, ribadendo però la critica sulla scelta dei tempi del Vaticano di velocizzare la beatificazione del papa Pio XII. "Il Vaticano poteva aspettare l'apertura degli archivi per far luce piena sull'operato di Papa Pio XII. Noi non interveniamo nelle decisioni della Santa Sede ma la questione è molto dolorosa e scottante per tanti ebrei, in particolare per i sopravvissuti all'olocausto che vivono tra di noi", ha aggiunto.  

Pio XII: il Vaticano separa il giudizio religioso da quello storico
Città del Vaticano, 23 dic -
Un comunicato del Vaticano in risposta alle polemiche degli scorsi giorni riguardo alla beatificazione di papa Pio XII afferma che  le virtù eroiche per la beatificazione di Pio XII riguardano il suo rapporto con Dio, la sua fede, e "non la valutazione della portata storica di tutte le sue scelte operative". In una nota separata si legge che la Santa Sede si augura che "la prossima visita del papa alla Sinagoga di Roma sia occasione per riaffermare e rinsaldare con grandi cordialità i vincoli di amicizia e stima", che legano la Chiesa cattolica al popolo ebraico.


 
 
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