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    28 dicembre 2009 - 11 Tevet 5770  
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Moked - il portale dell´ebraismo italiano
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  Riccardo Di Segni, rabbino capo di Roma Riccardo
Di Segni,

rabbino capo
di Roma
Il capitolo 47 di Bereshit, che abbiamo letto questo sabato, racconta la riforma dello stato egiziano organizzata da Yosef. Fu una rivoluzione nella storia, con la creazione di uno stato proprietario di tutta la terra. Prototipo di uno stato socialista, ne condivide anche il modello di una casta privilegiata al potere (i sacerdoti) esentata dalla confisca collettiva dei mezzi di produzione. In cambio della disponibilità della terra, tutti i lavoratori erano tenuti al pagamento di una tassa allo stato, pari al quinto del prodotto. La Torà racconta che in un certo senso i sudditi furono più che grati a Yosef ("dissero: ci hai fatto vivere"), ma chissà quali proteste ci furono per un'imposizione fiscale di quel tipo. Oggi negli stati moderni c'è chi ha proposto di festeggiare un certo giorno del mese di Luglio, che corrisponde al momento dell'anno in cui ognuno comincia a guadagnare per sé, perché fino a quel momento ha lavorato solo per pagare le tasse allo Stato, che in un modo o nell'altro sono superiori al 50 per cento. Rispetto al 20 per cento di Yosef, viene un po' di nostalgia.
Nella giornata della celebrazione dell'Ashura, si spara a Teheran. Una decina di morti ieri, tra cui il nipote del leader riformista Moussavi. A sparare sembra che sia ormai l'esercito, e non più soltanto i pasdaran del regime. Ma sembra anche che in alcuni casi i soldati si siano rifiutati di sparare sulla folla. Da Londra, dove è ormai in un semi esilio dai giorni delle elezioni, la Nobel Shirin Ebadi parla della volontà di democrazia che i manifestanti esprimono ormai apertamente. E democrazia in Iran non è una parola vuota, come può esserlo da noi, dove è un dato di fatto. Là è una speranza, e per le speranze si muore. Gli analisti si affannano a capire se vi siano le condizioni per una svolta rivoluzionaria. Non lo so, ma quando sento di soldati che buttano il fucile e rifiutano gli ordini, allora so di poter nutrire almeno una speranza per quella gente dell'Iran, che si batte da sola, nel disinteresse del mondo. Un mondo che aspetta pavidamente che quei ragazzi gli tirino fuori le castagne dal fuoco e abbattano il regime di Ahmadinejad. Anna Foa,
storica
Anna Foa, storica  
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  Qui Firenze - Il laboratorio teatrale della Comunità
reinterpreta un purimspiel di Itzik Manger

PurimspielDopo i grandi apprezzamenti ricevuti con “La tavola della festa”, performance messa in scena in occasione della Giornata Europea della Cultura Ebraica del settembre scorso, sono da poco riprese le attività del laboratorio teatrale della Comunità di Firenze diretto da Laura Forti, affermata drammaturga e traduttrice teatrale, molto nota anche all’estero, autrice del monologo “Via da Freedonia”, piece splendidamente interpretata dall’eclettico Enrico Fink. “La tavola della festa” prendeva spunto dal Seder di Pesach ed era stata un’occasione per confrontarsi su argomenti rilevanti per la vita quotidiana degli ebrei moderni, come l’importanza della tradizione e la difficoltà di fare convivere ai giorni nostri memoria, legge e sensibilità individuale. La nuova esibizione alla quale il gruppo del laboratorio sta lavorando, invece, andrà ad affrontare i grandi temi della festa di Purim, come il momento liberatorio e trasgressivo, la libertà, la responsabilità individuale e l’assenza di Dio, e sarà un adattamento del purimspiel “De Megile” di Itzik Manger, celebre poeta e drammaturgo in lingua Yiddish vissuto nel secolo scorso. Scritta nel 1936, “De Megile” rappresenta una delle rivisitazioni (in rima) più originali del Libro di Ester, tanto che grande spazio è dedicato ad un personaggio di pura fantasia come Fastigrossa il sarto, innamorato della regina e intenzionato a uccidere il re Assuero per conquistarne le attenzioni. A occuparsi della rielaborazione di questa storia tanto amata da grandi e piccini saranno una decina di ebrei fiorentini, che vanno a comporre un nucleo “vario e composito, per età e esperienze”, come spiega Laura. Si passa, infatti, dai diciotto anni di Lea ai qualche “anta”, pur splendidamente portati, di Elio. Ognuno con la sua storia personale, così diversa e così interessante, così sefardi e così ashkenazi, “un coro dalle molte voci e dai tanti punti di vista”. Ed è proprio quella di arrivare a un confronto tra le diverse esperienze, e al conseguente arricchimento personale che ne deriva, una delle finalità del laboratorio, che rappresenta uno spazio “in cui rielaborare la propria identità ebraica e quella di individui e di riflettere sul mondo in cui viviamo”, oltre a costituire “un punto di aggregazione, un luogo dove potersi ritrovare e esprimere usando un linguaggio creativo non convenzionale e liberatorio come il teatro, un luogo dove avere l’occasione di lasciar liberi corpo, fantasia e immaginazione”. E mentre gli incontri del laboratorio si susseguono, nel gruppo c’è già chi si chiede a chi toccherà il difficile compito di portare in scena il “perfido e impronunziabile Amman” o “il re Assuero col naso rosso e dal cipiglio altero”.

Adam Smulevich
 
 
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  L’importanza degli studi ebraici

Donatella Di CesareAccanto allo Stato di Israele, che lotta per la sua esistenza, l’ebraismo della Diaspora è alla ricerca del suo contenuto e della sua modalità d’essere. Anche qui ne va dell’esistenza che può essere alimentata solo dall’educazione ebraica.
Ma purtroppo nel mondo contemporaneo, e soprattutto nei paesi europei, gli studi ebraici hanno perso prestigio - come se la cultura che dovrebbero veicolare non riuscisse più a far fronte alla concorrenza e al fascino della civiltà occidentale. L’errore è proprio quello di vedere il rapporto tra cultura ebraica e civiltà occidentale in termini di concorrenza. E ancor più erroneo è considerare l’educazione ebraica solo come istruzione religiosa. Senza pregiudicare le opzioni religiose di ciascuno, l’educazione ebraica è il fondamento anche dell’ebraismo laico che anzi, senza un tale supporto, rischia di dileguarsi, come si dileguano i ricordi di famiglia. In un mondo in cui nulla è ebraico che cosa resta altrimenti di “ebraico” se non i testi, a cominciare dalla Torà?
L’identità non può essere confusa con un nazionalismo. Piuttosto la carta d’identità delle generazioni future deve essere scritta (e letta) in ebraico. Il resto di Israele nella diaspora può essere recuperato attraverso lo studio della lingua ebraica e del patrimonio sedimentato nelle sue lettere. Ma l’apprendimento della lingua non può essere strumentale; si deve imparare la lingua per leggere le fonti della tradizione, per interrogare i testi a partire dalle domande di oggi.
Perché il potenziale di queste fonti è l’umanesimo ebraico - tanto più attuale, data la fragilità dell’umanesimo (dei principi di umanità) nel liberalismo occidentale. La Torà è il Libro che non conduce al mistero di D-o, ma ai compiti dell’uomo. Chi vuole che l’ebraismo continui, deve aprire e far aprire i libri della tradizione: il Talmud, i testi dei commenti e quelli filosofici. La promozione degli studi ebraici è forse il compito più urgente dell’ebraismo moderno - anche di quello israeliano.

Donatella Di Cesare, filosofa


Le mezze verità della stampa italiana

Dire mezza verità, cos'è? E` una "bugia bianca" e distorcere gli eventi, o forse è pura disinformazione? E guai a parlare di antisemitismo, non sarebbe "politically correct". Ma ecco i fatti: giovedì viene ucciso da un commando di terroristi arabi in un agguato vicino a casa sua tale Meir Avshalom Hai di 40 anni, padre di sette figli. I militari israeliani danno la caccia ai tre assassini, e li trovano asserragliati in una casa a Sichem. A questi, poiché armati, viene ingiunto di uscire e arrendersi. Quando non si arrendono i militari sparano. Dopo la sparatoria, nei controlli della casa dove si erano rifugiati, viene ritrovato il consueto arsenale.
Adesso, la stampa e i telegiornali italiani, più o meno tutti, tralasciano lo sfondo, forse perché non troppo affascinante, e annunciano semplicemente che "l'esercito israeliano uccide tre poliziotti palestinesi", così viene annunciato per esempio dal TG5. Il Corriere della Sera, tanto per citare una fra le più prestigiose testate italiane, parla soltanto di tre miliziani uccisi, per cui è ovvia conseguenza la "dura condanna del presidente dell'ANP". L'unico che non si unisce a questo stridente coro è Il Foglio, che titola il suo articolo "Un altro martire d'Israele".
Da questa succinta descrizione, emerge chiaramente come la questione da discutere non sia il cosiddetto conflitto arabo-israeliano, bensì l'atteggiamento dei mezzi di comunicazione italiani verso gli eventi mediorientali, e più in generale la loro credibilità.

Andrea Yaakov Lattes, Università Bar Ilan
 
 
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Potrebbe essere la notizia più importante non solo della giornata, ma dell'intero periodo. Nonostante le durissime ammonizioni del vero padrone dell'Iran, Khamenei, nonostante una repressione determinata che fa dieci morti al giorno (Micalessin sul Giornale), in Iran la protesta continua (Omero Ciai su Repubblica; notizia siglata C.Zec. sul Corriere, Claudio Gallo sulla Stampa). Gli oppositori riescono ad accedere a internet e a darvi notizie di sé (Viviana Mazza sul Corriere). E l'Iran non è solo la testa del serpente che sta destabilizzando tutto il Medio Oriente, armando Hezbollah, Hamas, i ribelli dello Yemen, quelli della Somalia ecc.; non è solo il centro strategico dell'area di crisi che va dall'Afghanistan e dal Pakistan alla Somalia e al Sudan; non è solo lo stato più popolato e potente dell'area, ma anche quello che è lontano forse solo qualche mese dalla bomba atomica (così ieri i giornali israeliani). E' uno sviluppo forse inaspettato, che potrebbe cambiare il quadro strategico della regione. Si registra già un certo cambiamento d'accento dell'amministrazione Obama (notizia siglata M.Mo. sulla Stampa) che vergognosamente aveva persistito a cercare di accordarsi con il regime degli ayatollah (qualche settimana fa la "guida" Khamenei prese in giro pubblicamente Obama che "continua a scrivermi"). Che l'amministrazione americana debba cambiare strategia lo scrive Franco Venturini sul Corriere Il problema naturalmente sta nel capire quale può essere l'evoluzione della situazione. Da leggere, a questo proposito, l'opinione di Livio Caputo sul Giornale, quella di Renato Farina sullo stesso Giornale. Molti la paragonano a quel che accadde trent'anni fa, alla caduta dello Scià (intervista al premio Nobel Shrin Ebadi sul Messaggero, Guolo su Repubblica, intervista a Trita Parsi di Maurizio Molinari sulla Stampa). Si nota, in questa situazione l'assordante silenzio della sinistra, pronta a protestare sdegnata perché Israele si difende contro i terroristi che compiono omicidi o li preparano (si vedano fra i giornali di ieri  la notizia siglata Fra. Marr. su Liberazione; il pezzo di Salerno sul Messaggero e De Giovannangeli sull'Unità e ancora oggi Buck Tobias sul Financial Times, tutti senza una corretta ricostruzione della dinamica dei fatti) o a compiacersi perché i palestinesi ritirano fuori come trofei i proiettili sparati a Betlemme in occasione dell'invasione terrorista della basilica della Natività di sette anni fa (Anna Maria Selini sull'Unità), ma evidentemente disinteressata alla sorte dei ragazzi che si battono per la democrazia. Nella rassegna non c'è un articolo dei vari "Manifesto", "Liberazione", "Terra" e la cronaca dell'Unità è quella che dà maggior spazio e credito alle scuse del regime: da leggere per capire quanto sia profondo il riflesso totalitario nei (post)comunisti d'oggi.
Altre notizie. I giornali parlano dell'offerta di Netanyahu a Livni perché Kadima entri in un governo di unità nazionale (Wall Srteet Journal, Repubblica), ma nelle notizie su internet si legge che l'offerta è stata rifiutata.
Il generale Graziano, alla fine del suo mandato di comandante delle truppe Onu in Libano fa mostra di avere ottenuto grandi successi (intervista di Del Re su Repubblica), ma mente (per esempio sostenendo che solo Usa e Gran Bretagna considerano Hezbollah terroristi, mentre il movimento sta anche sulla lista dell'Unione Europea ed è contro di esso che è stata scritta la risoluzione dell'Onu che ha costituito la forza che egli ha comandato in maniera così discutibile), ma soprattutto tace l'essenziale, non dando ragione del riarmo del terrorismo. L'ultimo incidente è proprio di ieri ed è la scoperta di un grande deposito di esplosivo vicino al confine con Israele (notizia siglata p.d.r su Repubblica).
Da leggere sul Giornale l'intervista a Paolo Pillitteri che ha scritto un libro sui falsi fotografici nella documentazione storica e giornalistica. E' un tema che ci riguarda da vicino. Consiglio a tutti una visita al sito www.malainformazione.it curato da Marco Reis, che contiene un'incredibile collezione di false immagini pubblicate dalla stampa mondiale contro Israele.
 
Ugo Volli

 
 
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Israele: colloquio Netanyahu-Livni, inconcludente                       
Gerusalemme, 27 dic -
Nessun risultato nei colloqui fra il premier Benyamin Netanyahu e il leader dell'opposizione Tzipi Livni. Netanyahu voleva convincere la Livni ad entrare nella coalizione di governo. Il colloquio è durato circa due ore e secondo la stampa locale è stato inconcludente. I massimi esponenti del partito di Kadima avevano, già prima dei colloqui, giudicato insufficiente l'offerta del premier di due-quattro posti di ministro senza portafoglio. Ma Netanyahu non sembra arrendersi e sta conducendo in queste ore un'intesa opera di persuasione su alcuni deputati di Kadima per convincere, almeno loro, ad uscire da Kadima in cambio di incarichi ministeriali.


Avigdor Liberman: "Solo negoziati diretti con la Siria"
Gerusalemme, 27 dic -
 "Fino a quando io sarò ministro degli esteri e Israel Beitenu farà parte delle coalizione di governo non ci sarà una mediazione turca nei colloqui con la Siria", così a gran voce Avigdor Lieberman, nel corso di una riunione con gli ambasciatori israeliani, ha chiarito la sua posizione sui negoziati fra Israele e Siria. Nessuna mediazione e solo negoziati diretti. Le relazioni fra Turchia e Israele sono molto tese negli ultimi tempi dopo i ripetuti attacchi del premier turco alla politica israeliana nei confronti dei palestinesi.
 
 
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