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    30 dicembre 2009 - 13 Tevet 5770  
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Moked - il portale dell´ebraismo italiano
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  Adolfo Locci Adolfo
Locci,

rabbino capo
di Padova
Tutte queste sono le Tribù di Israel...” (Genesi 49, 28). Le benedizioni/predizioni che Giacobbe diede ai figli, illustrano i ruoli e i compiti che ricopriranno le tribù in futuro. Non solo, le parole del patriarca Giacobbe rappresentano anche le peculiarità e il modo di essere dei singoli figli che li differenziano l’uno dall’altro. La molteplicità dei pensieri, delle opinioni, delle qualità si completano vicendevolmente; tale amalgama è fondamentale per la costituzione di un popolo. (Rav Ytzchak Levì)
L'intellettualismo accademico è il principale nemico dell'impulso creativo. Vittorio Dan
Segre,
pensionato

Vittorio Dan Segre  
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  "Imbarazzo e fastidio di fronte alla sofferenza"

Vi scrivo per riprendere la lettera di Shulim Vogelmann sulla prima pagina della Repubblica di oggi, tanto più che al momento in cui vi scrivo non è ancora stata segnalata dalla Rassegna Stampa, che non ha evidentemente capito di cosa si trattasse, cioè di una denuncia di un atto razzista, sia pur rivolto contro un handicappato e non contro un ebreo. La lettera merita di essere letta e conosciuta da tutti. L'autore testimonia in maniera circostanziata un episodio successo domenica su un treno, dove un giovane senza braccia e privo di biglietto perché non era riuscito a farlo alla stazione a causa del suo handicap, ma disposto a pagarlo subito sul treno, è stato maltrattato dal controllore, una ragazza, deriso, svillaneggiato, minacciato. Lo stesso Vogelmann è stato costretto, per essere intervenuto, a mostrare i suoi documenti alla polizia ferroviaria. Molte sono le domande che questa lettera ci spinge a porre, in primo luogo alle Ferrovie. La multa per chi fa il biglietto in treno è il risultato del fatto che le Ferrovie non garantiscono il servizio di controllo. Se i controllori ci fossero sempre, si potrebbe tranquillamente fare il biglietto in treno senza pagare la multa. Il controllore in questo caso non ha voluto dare le sue generalità. Non è forse obbligata a farlo? Le Ferrovie dovrebbero fare un'inchiesta sul suo comportamento e prendere provvedimenti, rendendoli pubblici. E' possibile che degli agenti della Polfer, vedendo una persona senza braccia, lamentino a gran voce che tal genere di persone (chi? gli handicappati? quelli senza braccia?) sono intoccabili. Non è forse una cosa insultante? Si può conoscere i loro nomi? Quando io faccio lezione o esami all'Università, e sono quindi un pubblico ufficiale, il mio nome è pubblico. Perché non lo è per controllori e agenti della Polfer? Credo che Shulim Vogelmann abbia dimostrato un grande coraggio: non quello di essere intervenuto a difesa di una persona che non era in grado di difendersi da sé, ma quello di avere sfidato, scrivendo questa lettera a Repubblica, quanti deprecano il buonismo, lo considerano tout court un atto intollerabilmente politically correct, e finiscono così per dare ragione a chi prende a spintoni le vecchiette, si fa beffe degli handicappati, considera i poveri come dei rompiscatole. E' più che indifferenza, è fastidio verso la sofferenza e il male. Alla controllora giovane, ben truccata e capace di prendersela con una persona incapace di reagire, auguriamo solo di non trovarsi mai in circostanze simili a quelle in cui si è trovata la sua vittima, a non dover mai, nella vita, dover soffrire di un handicap che le renda difficile salire delle scale, prendere un biglietto alla biglietteria automatica, insomma fare le cose che per le persone in buona salute sono scontate, per gli altri molto meno.

Anna Foa


Quel ragazzo senza braccia sul treno dell'indifferenza

Caro direttore, è domenica 27dicembre. Eurostar Bari- Roma. Intorno a me famiglie soddisfatte e stanche dopo i festeggiamenti natalizi, studenti di ritorno alle proprie università, lavoratori un po' tristi di dover abbandonare le proprie città per riprendere il lavoro al nord. Insieme a loro un ragazzo senza braccia.
Sì, senza braccia, con due moncherini fatti di tre dita che spuntano dalle spalle. E' salito sul treno con le sue forze. Posa la borsa a tracolla per terra con enorme sforzo del collo e la spinge con i piedi sotto al sedile. Crolla sulla poltrona. Dietro agli spessi occhiali da miope tutta la sua sofferenza fisica e psichica per un gesto così semplice per gli altri: salire sul treno. Profondi respiri per calmare i battiti del cuore. Avrà massimo trent'anni. Si parte. Poco prima della stazione di (...) passa il controllore. Una ragazza di venticinque anni truccata con molta cura e una divisa inappuntabile. Raggiunto il ragazzo senza braccia gli chiede il biglietto. Questi, articolando le parole con grande difficoltà, riesce a mormorare una frase sconnessa: «No biglietto, no fatto in tempo, handicap, handicap». Con la bocca (il collo si piega innaturalmente, le vene si gonfiano, il volto gli diventa paonazzo) tira fuori dal taschino un mazzetto di soldi, Sono la cifra esatta per fare il biglietto. Il controllore li conta e con tono burocratico dice al ragazzo che non bastano perché fare il biglietto in treno costa, in questo caso, cinquanta euro di più. Il ragazzo farfugliando le dice di non avere altri soldi, di non poter pagare nessun sovrapprezzo, e con la voce incrinata dal pianto per l'umiliazione ripete «handicap, handicap». I passeggeri del vagone, me compreso, seguono la scena trattenendo il respiro, molti con lo sguardo piantato a terra, senza nemmeno il coraggio di guardare. A questo punto, la ragazza diventa più dura e si rivolge al ragazzo con un tono sprezzante, come se si trattasse di un criminale; negli occhi ha uno sguardo accusatorio che sbatte in faccia a quel povero disgraziato. Per difendersi il giovane cerca di scrivere qualcosa per comunicare ciò che non riesce a dire; con la bocca prende la penna dal taschino e cerca di scrivere sul tavolino qualcosa. La ragazza gli prende la penna e lo rimprovera severamente dicendogli che non si scrive sui tavolini del treno. Nel vagone è calato un silenzio gelato. Vorrei intervenire, eppure sono bloccato. La ragazza decide di risolvere la questione in altro modo e in ossequio alla procedura appresa al corso per controllori provetti si dirige a passi decisi in cerca del capotreno. Con la sua uscita di scena i viaggiatori riprendono a respirare, e tutti speriamo che la storia finisca lì: una riprovevole parentesi, una vergogna senza coda, che il controllore lasci perdere e si dedichi a controllare i biglietti al resto del treno. Invece no. Tornano in due. Questa volta però, prima che raggiungano il giovane disabile, dal mio posto blocco controllore e capotreno e sottovoce faccio presente che data la situazione particolare forse è il caso di affrontare la cosa con un po' più di compassione. Al che la ragazza, apparentemente punta nel vivo, con aria acida mi spiega che sta compiendo il suo dovere, che ci sono delle regole da far rispettare, che la responsabilità è sua e io non c'entro niente. Il capotreno interviene e mi chiede qual è il mio problema. Gli riepilogo la situazione. Ascoltata la mia deposizione, il capotreno, anche lui sulla trentina, stabilisce che se il giovane non aveva fatto in tempo a fare il biglietto la colpa era sua e che comunque in stazione ci sono le macchinette self service. Sì, avete capito bene: a suo parere la soluzione giusta sarebbe stata la macchinetta self service. «Ma non ha braccia! Come faceva a usare la macchinetta self service?» chiedo al capotreno che con la sua logica burocratica mi risponde: «C'è l'assistenza». «Certo, sempre pieno di assistenti delle Ferrovie dello Stato accanto alle macchinette self service» ribatto io, e aggiungo che le regole sono valide solo quando fa comodo perché durante l'andata l'Eurostar con prenotazione obbligatoria era pieno zeppo di gente in piedi senza biglietto e il controllore non è nemmeno passato a controllare il biglietti. «E lo sa perché?» ho concluso. «Perché quelle persone le braccia ce l'avevano...». Nel frattempo tutti i passeggeri che seguono l'evolversi della vicenda restano muti. Il capotreno procede oltre e raggiunto il ragazzo ripercorre tutta la procedura, con pari indifferenza, pari imperturbabilità. Con una differenza, probabilmente frutto del suo ruolo di capotreno: la sua decisione sarà esecutiva. Il ragazzo deve scendere dal treno, farsi un biglietto per il successivo treno diretto a Roma e salire su quello. Ma il giovane, saputa questa cosa, con lo sguardo disorientato, sudato per la paura, inizia a scuotere la testae tutto il corpo nel tentativo disperato di spiegarsi; spiegazione espressa con la solita esplicita, evidente parola: handicap. La risposta del capotreno è pronta: «Voi (voi chi?) pensate che siamo razzisti, ma noi qui non discriminiamo nessuno, noi facciamo soltanto il nostro lavoro, anzi, siamo il contrario del razzismo!». E detto questo, su consiglio della ragazza controllore, si procede alla fase B: la polizia ferroviaria. Siamo arrivati alla stazione di (...). Sul treno salgono due agenti. Due signori tranquilli di mezza età. Nessuna aggressività nell'espressione del viso o nell'incedere. Devono essere abituati a casi di passeggeri senza biglietto che non vogliono pagare. Si dirigono verso il giovane disabile e come lo vedono uno di loro alza le mani al cielo e ad alta voce esclama: «Ah, questi, con questi non ci puoi fare nulla altrimenti succede un casino! Questi hanno sempre ragione, questi non li puoi toccare». Dopodiché si consultano con il capotreno e la ragazza controllore e viene deciso che il ragazzo scenderà dal treno, un terzo controllore prenderà i soldi del disabile e gli farà il biglietto per il treno successivo, per senza posto assicurato: si dovrà sedere nel vagone ristorante. Il giovane disabile, totalmente in balia degli eventi, ormai non tenta più di parlare, ma probabilmente capisce che gli sarà consentito proseguire il viaggio nel vagone ristorante e allora sollevato, con l'impeto di chi è scampato a un pericolo, di chi vede svanire la minaccia, si piega in avanti e bacia la mano del capotreno. Epilogo della storia. Fatto scendere il disabile dal treno, prima che la polizia abbandoni il vagone, la ragazza controllore chiede ai poliziotti di annotarsi le mie generalità. Meravigliato, le chiedo per quale motivo. «Perché mi hai offesa». «Ti ho forse detto parolacce?Ti ho impedito di fare il tuo lavoro?» le domando sempre più incredulo. Risposta: «Mi hai detto che sono maleducata». Mi alzo e prendo la patente. Mentre un poliziotto si annota i miei dati su un foglio chiedo alla ragazza di dirmi il suo nome per sapere con chi ho avuto il piacere di interloquire. Lei, dopo un attimo di disorientamento, con tono soddisfatto, mi risponde che non è tenuta a dare i propri dati e mi dice che se voglio posso annotarmi il numero del treno. Allora chiedo un riferimento ai poliziotti e anche loro si rifiutano e mi consigliano di segnarmi semplicemente: Polizia ferroviaria di (. . .). Avrei naturalmente voluto dire molte cose, ma la signora seduta accanto a me mi sussurra di non dire niente, e io decido di seguire il consiglio rimettendomi a sedere. Poliziotti e controllori abbandonano il vagone e il treno riparte. Le parole della mia vicina di posto sono state le uniche parole di solidarietà che ho sentito in tutta questa brutta storia. Per il resto, sono rimasti tutti fermi, in silenzio, a osservare.
L'autore è scrittore ed editore

Shulim Vogelmann, La Repubblica, 30 dicembre 2009
 
 
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  BahboutTorah oggi - La legge e l'etica
che su quel treno è mancata


E’ di oggi la notizia di un fatto accaduto sull’Eurostar Bari – Roma. Il 27 dicembre: un ragazzo senza braccia fatto scendere dal treno dalla polizia ferroviaria perché sprovvisto di biglietto. Il disabile ha fatto presente al controllore di non avere potuto acquistare il titolo di viaggio a causa del suo handicap, ma ha mostrato al controllore i soldi necessari a comprarlo in quel momento. Il controllore gli ha detto però che avrebbe dovuto pagare una soprattassa di 50 euro per acquistare il biglietto sul treno. Il ragazzo, che aveva anche una disabilità linguistica, ha fatto capire di non averli. Risultato: dopo aver umiliato il povero ragazzo con parole sprezzanti e modi sgarbati, la polizia ferroviaria ha prontamente provveduto a farlo scendere dal treno alla prima stazione. Il tutto è avvenuto nel quasi totale silenzio di tutti gli altri passeggeri, tranne uno, il quale, per aver chiesto al controllore il suo nome e cognome (cosa che l’ufficiale si è rifiutato di fare pur essendovi tenuto) si è visto richiedere i propri dati per avere “osato” chiedere un po’ più di compassione.
Quale sarebbe stata la posizione halakhica in questo caso? Si pensa in genere che la halakhà sia monolitica che debba essere sottratta a qualsiasi interpretazione che possa coniugarsi con le circostanze.. Chi ha avuto occasione di leggere i Responsa dei maestri antichi e moderni sa invece quanto questa visione sia distorta. Ogni caso è diverso dall’altro, perché ogni persona è diversa da un’altra. L’applicazione sic et simpliciter della legge porta spesso a delle distorsioni riassunte nella locuzione del diritto romano che affermava summa lex, summa iniuria, cioè che l’applicazione della legge alla lettera si traduce nella massima ingiustizia. Nelle scuole in cui vengono preparati i capotreni e i poliziotti e quant’altro, sarebbe necessario introdurre anche insegnamenti di etica e di applicazione della ghemiluth hasadim (amore e misericordia per tutti, ma in particolar modo per i più deboli).

Rav Scialom Bahbout
 
 
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I quotidiani di oggi si dilungano tutti sui fatti dell'Iran. Il Corriere scrive che continuano le proteste e gli arresti. Secondo il regime i dimostranti si ucciderebbero tra di loro (nei giorni scorsi ci avevano perfino detto che la polizia sarebbe disarmata). Il regime stringe il cordone attorno ai cosiddetti moderati o riformisti, i quali tuttavia non possono essere visti come i capi della rivolta che in realtà procede senza un vero leader. Le autorità accusano soprattutto il grande Satana (USA) e il piccolo Satana (GB), oltre ad Israele. Ci sarebbero inoltre voci di nuove grandi importazioni di uranio dal Kazakistan. Secondo il Foglio la guida suprema Kamenei sarebbe pronta ad una fuga verso la Russia. Il vero obiettivo delle manifestazioni di questi giorni sarebbe lui, più che Ahmadinejad, che ha un posto gerarchico subordinato a quello della Guida suprema, come ricorda il Giornale, che intervista Azar Nafisi. A Roma si è tenuta una manifestazione di fronte all'ambasciata iraniana, ma il Corriere osserva che solo una trentina di persone vi hanno partecipato: bisognerebbe interrogarsi sul ruolo di una certa sinistra che, in Italia, è l'unica in grado di far confluire le masse per questo tipo di manifestazioni. La sinistra non prende posizione come fece in passato in simili circostanze, e anche tanti leaders della sinistra tacciono in modo vergognoso di fronte a quei giovani coraggiosi. Su Repubblica Khamenei viene dichiarato essere più infame di Yazid, cioè dell'uomo che uccise Hussein, nipote di Maometto. Il Fatto quotidiano pure parla di Iran, ma riportando un articolo del Washington Post tradotto non ha notizie aggiornate. Terra parla dei 200 camion di aiuti per gli abitanti di Gaza bloccati in Egitto: questi marciatori hanno ricevuto grande solidarietà in Grecia e in Turchia (che per una volta la pensano nello stesso modo), ma ora sono stati bloccati da Mubarak. In realtà sul Manifesto Michele Giorgio dice che grazie alla moglie del rais ora gli amici di George Galloway, parlamentare inglese filopalestinese, avrebbero avuto via libera; ma poi si contraddice alla fine dell'articolo quando sostiene che le strade sarebbero tuttora chiuse per colpa di USA ed Israele che avrebbero spinto Mubarak a dare ordini tassativi ed assurdi. Sempre il Manifesto parla della trattativa per la liberazione di Gilad Shalit: Israele rifiuta di liberare 50 prigionieri, e insiste sulla necessità di mandare in esilio tra 100 e 150 prigionieri una volta liberati. Insomma, la colpa è solo di Israele. Sul Corriere un articolo parla di due gruppi qaedisti che opererebbero nel sud del Libano, responsabili di recenti lanci di razzi non voluti da Hezbollah. Per ora Israele non risponde, ma la situazione sarebbe critica, anche per le truppe dell'ONU. E sempre di Libano parlano Messaggero, Resto del carlino e Nazione, secondo i quali aerei israeliani avrebbero sorvolato il territorio della repubblica libanese. In un'altra breve di questi tre quotidiani si pretende di sapere che Mubarak avrebbe richiesto a Netanyahu di allentare i cordoni attorno a Gaza: strano proprio nei giorni in cui l'Egitto costruisce una barriera più invalicabile di quella israeliana. Molto interessante sul Foglio l'articolo di Michael Nazir-Ali, musulmano convertito alla Chiesa anglocattolica, che fa parte della Chiesa anglicana. Fa una attenta analisi del mondo musulmano e del suo desiderio di ricreare il mondo a propria immagine. I fondamentalisti vogliono purificare la Casa dell'Islam da ogni influenza degli infedeli, e vogliono limitare il ruolo delle donne e dei non musulmani che devono convertirsi o accettare lo status di dhimmi. Nell'articolo si analizza pure la eventuale guerra da combattere, la proporzionalità dei metodi di lotta, la situazione dei civili nella guerra stessa. Nazir-Ali critica inoltre le recenti dichiarazioni di Obama sull'annunciato futuro ritiro americano dall'Afghanistan: in tal modo certo non aiuta chi si deve difendere in casa propria da talebani e fondamentalisti, che ora non hanno che da aspettare i tempi migliori annunciati dal Presidente degli USA. Da segnalare due diverse interviste a Yehoshua: su l'Espresso Wlodek Goldkorn coglie l'occasione del prossimo romanzo che sta per uscire per far dire allo scrittore parole che potrebbero anche essere non corrispondenti al suo reale pensiero: non sarebbe la prima volta che Yehoshua viene manipolato: egli infatti non conosce l'italiano, e difficilmente gli si traduce il testo della sua intervista (Farian Sabahi docet). Anche Liberal intervista lo scrittore sul problema dei 500.000 coloni, per i quali l'unica via d'uscita sarebbe quella di dar loro una doppia nazionalità: palestinese ed israeliana. E dovrebbero vivere in uno stato palestinese che li dovrebbe ospitare, come Israele ospita gli arabi. Strada percorribile? Le Monde si interroga ancora sul silenzio di Pio XII e sulle sue conseguenze sulla reale eroicità delle virtù del Pontefice, per concludere che il peccato per omissione è l'ultimo che il fedele cattolico riconosce nell'atto di contrizione. Anche Repubblica ritorna sull'argomento ricordando l'anticomunismo della Chiesa di allora, terminato solo con Giovanni XXIII e il Vaticano II; questo potrebbe forse spiegare, a parere del redattore, anche recenti episodi che hanno coinvolto l'Arcidiocesi milanese. Ancora da segnalare un interessante articolo del Wall Street Journal che fa una attenta analisi dei territori, delle risoluzioni ONU che non permettono di condannare Israele, e dei diritti di installarvi delle colonie. Questo articolo conclude con una severa critica al nuovo ministro degli esteri dell'Europa, lady Ashton, che nelle sue prime dichiarazioni ha dimostrato di sbagliare approccio e di allontanare la possibilità di trovare una soluzione al conflitto.

Emanuel Segre Amar

 
 
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notizieflash    
 
 
Mofaz accusa duramente la Livni, Kadima scricchiola                  
Tel Aviv, 30 dic -
"La Livni non dimostra leadership, ostenta superbia, difetta nei contatti umani, non sa prendere decisioni", così il numero due del principale partito di opposizione al governo Netanyahu, Shaul Mofaz, ha attaccato la leader del suo partito. Ma Mofaz non si è limitato solo a questo e in un'intervista al quotidiano Haaretz ha anche affermato, fra le altre cose,  che “nelle elezioni primarie di Kadima e poi nella definizione della lista parlamentare si sono avute irregolarità quasi di carattere penale”. Immediata la reazione della Livni: “Se Mofaz ritiene di essere stato vittima di irregolarità non ha che da andare al commissariato di polizia più vicino per sporgere denuncia”. Dopo aver respinto nei giorni scorsi la proposta del premier israeliano di entrare in un governo di unità nazionale, secondo gli analisti, ora Kadima rischia lo sfaldamento. Alcuni deputati del partito, insoddisfatti della linea politica impressa dalla Livni, potrebbero abbandonarla e uscire dal partito.


Qui Firenze - Quando il dialogo è un’arte                                          
Ho appreso da una gentilissima e-mail di Edna Angelica Calò Livne che il titolo utilizzato per la mia mostra a Firenze è il nome di una fondazione israeliana che lavora con ragazzi ebrei e arabi per l'educazione al dialogo attraverso le arti. Mi sono imbattuta casualmente nella frase "Bereshit La Shalom", che spiegava perfettamente il messaggio che volevo comunicare. Shalom, la pace e Bereshit, la creazione di qualcosa di nuovo e vitale, nonché l'inizio del libro della Genesi e del Vangelo di Giovanni. L'ebraismo e il cristianesimo sono i due aspetti fondanti della mia esperienza artistica e le due realtà che dialogano in me. A seguito della lettera della dottoressa Calò Livne ho saputo dell'esistenza della toccante esperienza di "Beresheet La Shalom", la fondazione in cui quello che cerco di realizzare con la mia arte si sta già compiendo nella vita di molti ragazzi attraverso il teatro. Confortata dall'esperienza della Fondazione a cui vanno la mia stima e gratitudine colgo l'occasione per porgere a tutti voi il mio augurio fervido e cordiale di buon lavoro.
Benedetta Manfriani, curatrice della mostra Bereshit La Shalom
 
 
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