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L'Unione informa |
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6 gennaio 2010 - 20 Tevet 5770 |
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alef/tav |
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Adolfo Locci, rabbino capo di Padova |
“E disse Mosè all’Eterno...non sono un oratore...ho difficoltà nel parlare” (Esodo 4, 10). Il
Maharal di Praga si domanda il perché la Torà indichi questo difetto
fisico in Mosè quando i chakhamim, invece, lo rappresentano come un
uomo completamente integro. L’essere umano è composto di una parte
materiale (guf/corpo) e una spirituale (neshama/anima) e una delle
facoltà determinate dalla commistione delle due parti integranti è la
parola, espressione dell’anima attraverso il corpo. Ma Mosè non era
come tutti gli uomini, era ad un livello molto vicino al Signore tanto
che la Torà lo definisce “uomo di Dio” (Deuteronomio 33, 1) e il
salmista di lui dice che “è fatto di poco inferiore a un essere divino”
(Salmi 8, 6). Pertanto quello che può sembrare un difetto nelle persone
“normali” è segno di elevazione e vicinanza al Signore per quelle
“speciali”. |
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C'è un solo luogo al mondo dove i pazienti si congedano dal medico curante offrendogli consigli e raccomandazioni. |
Guido Vitale,
giornalista |
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Il glorioso Tempio di Livorno riprende vita e colore grazie al progetto della famiglia Della Torre
Era
considerato il Tempio più bello d'Europa, era il 1789 (il 5750 anno
ebraico), e la Sinagoga di Livorno, costruita intorno alla metà del
Seicento, dopo numerosi ampliamenti e ristrutturazioni, aveva raggiunto
l’apice del suo splendore. E' stata un'altra vittima dalla furia
devastatrice dell'ultimo conflitto mondiale. Pochi mesi fa, anche se
solo virtualmente, questo Tempio ha ripreso vita. C'erano ancora delle sbiadite foto in bianco e nero di quell'edificio,
che era considerato l'orgoglio non solo della Comunità ebraica ma
dell'intera città ed era noto in tutto il mondo. La storia racconta
come i principi di Toscana e i Sovrani stranieri che venivano a
Livorno, attratti da quel luogo sacro e imponente, non mancavano di
visitare la Sinagoga e in ricordo del loro passaggio si muravano
artistiche lapidi sopra i ricchi portali all'interno del Tempio.
Grazie
all'ausilio di testimonianze, ricordi, e riscontri ancora possibili,
quelle storiche immagini, dei tempi più recenti, sono diventate a
colori. La mente e l'ispiratore di questo progetto è stato Mario Della
Torre, nato a Livorno nel 1917, che dopo la Liberazione si è trasferito
in Israele. Fra i ricordi più cari dell'Italia Mario “non ha mai
dimenticato il Tempio di Livorno” - scrive parlando di lui, in una
mail, il figlio Gamliel, che collabora con il padre, e con grande
passione da inizio a quel progetto che coinvolge, fra gli altri,
l'architetto Yaacov Frid (genero di Gamliel).
Quel
luogo di culto era stato costruito quando Livorno era un centro ebraico
fiorente, era la metà del Seicento, e la Comunità contava circa 5 mila
persone. Le leggi Granducali concedevano molto agli ebrei dell'epoca.
Con la legge “Livornina”, finalizzata a favorire lo stabilirsi di
mercanti di ogni nazione e religione nella nuova città, il Granduca
Ferdinando I concesse particolari privilegi agli ebrei dando loro la possibilità di abitare nelle città di Pisa e Livorno e la possibilità di comprare beni stabili che li portarono a radicarsi nel tessuto urbano. La vecchia Sinagoga subì nel corso degli anni numerose modifiche. Da
una struttura inizialmente piuttosto modesta e sobria, nel corso del
XVII secolo, anche in virtù dell’accresciuta presenza ebraica nella
città, si resero indispensabili dell’opere di ampliamento della
struttura. Nel 1641, su progetto dell’architetto granducale
Francesco Cantagallina avvenne un primo ampliamento. Con la consulenza
dell'architetto Giovanni Del Fantasia, provveditore della Fabbrica del
Granduca, e a spese di alcuni benefattori della città, a cavallo fra
Seicento e Settecento, l'edificio fu allargato ulteriormente e vennero
costruite nuove arcate. Successivamente nel 1742 su progetto dello
scultore Isidoro Baratta di Carrara venne costruito l' Hekhal con marmi
colorati e intarziati e una preziosa porta in legno sulle cui ante
spiccavano le Tavole della Legge in madreperla. Questo magnifico Hekhal
era sovrastato da una corona d'argento nella quale era incastonato un
grosso topazio. Con gli stessi marmi preziosi venne costruita la Tevà,
mentre il soffitto era arricchito di stucchi, decorazioni e dorature
dal quale pendevano lampadari d'argento. Ma il terremoto del 1742
incise sulla stabilità del Tempio e ciò rese d'obbligo effettuare opere
di rafforzamento dell'edificio. Allo stesso tempo fu dato il via alla
costruzione di altre arcate unite alla realizzazione del secondo ordine
di balconate per le donne, su progetto dell'architetto Ignazio Fazzi.
Così dopo i nuovi ampliamenti, il 20 Settembre 1789, prima sera di Rosh
haShanà 5550 ebbe luogo, con grande solennità, l'inaugurazione.
Il
maestoso Tempio è andato in parte distrutto nella Seconda Guerra
Mondiale. Ad oggi alcuni egli arredi originali, scampati ai
bombardamenti, sono depositati presso il Museo ebraico di via Micali.
Al suo posto nell'ampia piazza Benamozegh, dove sorgeva la
vecchia Sinagoga, nel 1962 è nato un nuovo Tempio su progetto
dell'architetto Angelo Di Castro. La nuova costruzione rappresenta, con
Trieste e Genova, una delle sole tre grandi sinagoghe edificate nel
dopo
guerra.
Valerio Mieli |
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pilpul |
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Jason Lezak – Il vecchio leone che nuota contro crisi finanziaria e anagrafe
Continuano
ad arrivare in redazione commenti sul Pagellone, la classifica di un
anno di sport ebraico recentemente pubblicata su l'Unione informa.
È ancora Vittorio Pavoncello, presidente della Federazione Italia
Maccabi, a segnalarci un nome che non era stato preso in considerazione
e sul quale è invece importante soffermarsi, anche per ragioni
extrasportive. Quello di Jason Lezak, plurititolato nuotatore
statunitense. Sì, perché la sua storia è molto diversa da quella di
tanti atleti di successo, abituati a vivere nel benessere e
generalmente non sfiorati più di tanto da crisi e turbolenze
finanziarie. Ma il 2009 di Lezak, vincitore di due medaglie (un oro e
un bronzo) agli ultimi giochi olimpici, è stato un anno terribile,
sicuramente il più difficile della sua lunga carriera. Dall’oggi al
domani, infatti, si è ritrovato senza uno sponsor. E senza soldi. Colpa
della drammatica situazione dell’economia americana, che non ha
concesso sconti neanche a uno degli eroi di Pechino 2008 e che ha
spinto molte aziende a disinvestire dal settore. Compresa la Nike, da
cui Jason riceveva centomila dollari all’anno. Una bella cifra, adesso
completamente volatilizzata. E probabilmente, per il povero Lezak, non
si tratta di una situazione temporanea. Non gioca certo a suo favore
avere trentacinque anni, in un ambiente in cui, superata l’asticella
dei trenta, sei considerato vecchio. Fortunatamente, comunque, in vasca
scendono ancora esseri umani in carne ed ossa e non banconote e assegni
bancari. Anche se il denaro, in un ambiente competitivo come quello del
professionismo, gioca indubbiamente la sua parte. Però Jason è una
forza della natura. E un uomo tutto di un pezzo, fiero in particolare
delle sue solide radici ebraiche. Tanto che nello scorso luglio, mentre
a Roma si disputavano i Mondiali di nuoto, ha preferito partecipare
alle Maccabiadi. E in Israele non è andato con l’intenzione di farsi
due settimane di vacanza. No, Lezak, ha mostrato a tutti di che pasta è
fatto. Quattro titoli e, soprattutto, un 47"78 nei 100 metri stile
libero. Tempo che fino al 2008 gli sarebbe valso il record del mondo.
Un modo per dire che il vecchio leone non è morto, ma che punta con
decisione a disputare, da protagonista, le Olimpiadi del 2012. L’ultimo
obiettivo di una carriera straordinaria. Alla faccia dei soldi e
dell’età che inesorabilmente avanza.
Adam Smulevich |
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I quotidiani di oggi affrontano numerosi argomenti relativi al Medio Oriente. L'Osservatore Romano
parla delle possibili evoluzioni politiche dopo gli incontri di
Mubarak, nei giorni scorsi con Netanyahu, ieri con Abu Mazen ed il re
giordano Abdullah II; anche la diplomazia saudita è al lavoro, con
incontri con gli antichi nemici siriani e coi libanesi. Ma il piano
degli USA potrà servire? Intanto sul Giornale
R.A. Segre parla del prossimo futuro di Israele che, col gas trovato al
largo di Haifa, e col processo di desalinizzazione dell'acqua oramai
realizzato, senza dimenticare i successi dell'alta tecnologia, si trova
a raccogliere risultati economici da primo della classe. Ma, si chiede
Segre, lo stallo nei negoziati non cela la calma che precede la
tempesta? Sempre sul Giornale
si analizzano i risultati della lotta al terrore: nel 2009 non vi sono
stati attentati terroristici in Israele, i razzi sparati da Gaza si
sono ridotti drasticamente dopo la guerra (solo 160, numero pur alto
per qualsiasi altro paese), e anche i morti palestinesi si sono molto
ridotti. La collaborazione tra ANP e Tsahal mostra i suoi risultati,
come già aveva illustrato Tom Gross nell'importante articolo pubblicato
sul Wall Street Journal, e ripreso da questa newsletter. Il progetto di
costruzione di 4 case per 24 famiglie sul Monte degli Ulivi, a
Gerusalemme est, viene discusso sul Corriere e su Liberazione;
entrambi qualificano queste come "colonie" e "insediamenti",
dimenticando che Gerusalemme unificata è da considerare territorio
dello Stato di Israele. Terra, con un sopralluogo in Libano, trova un
paese che avrebbe ben 3 rivendicazioni territoriali, al posto
dell'unica degli anni passati: oltre alle fattorie di Shebaa (che la
stessa ONU riconobbe non essere libanesi), ci sarebbero oggi anche un
villaggio ed alcune colline a giustificare le rivendicazioni di
Hezbollah. Ma andando in giro nei villaggi del sud non si vedono i
terroristi che si stanno riarmando grazie all'Iran, ma solo "i cecchini
israeliani che ti scrutano". Gli insuccessi della prevenzione negli
aeroporti internazionali sono messi a confronto dal Manifesto
con quanto avviene al Ben Gurion, dove alla tecnologia si unisce
l'analisi psicologica dei viaggiatori; si potrebbe andare verso
un'israelizzazione dei sistemi anche nel resto del mondo, con buona
pace di Vittorio Sgarbi che si è offeso per i metodi usati anche con
lui a Tel Aviv (ndr); ovviamente il Manifesto chiude l'articolo
criticando i "metodi vessatori nei confronti dei cittadini
palestinesi". L'Unità
fa una analisi della sinistra israeliana dalla creazione dello Stato
alla sua crisi attuale: solo Rabin si salva, tra i suoi leaders (forse
perché fu ucciso?); conclude realizzando che la crisi non riguarda solo
la sinistra israeliana, e tuttavia osserva che "lì il problema è più
urgente". Il Manifesto
pubblica un articolo di approfondimento sulla realtà di Gaza, dando
voce a tante persone, spesso anche scelte tra gli ebrei odiatori. Si
legge quindi che Hamas "non è un movimento terrorista, ma un movimento
politico riformatore" (povere vere idee politiche riformatrici, così
calpestate). Tutti i problemi sono dovuti alla "miopia della comunità
internazionale e alla rigidità delle posizioni di Tel Aviv" (e chissà
poi perché proprio di Tel Aviv, dove ha sede solo il ministero della
difesa). Numerosi giornali poi (fra gli altri Libero, il Messaggero e la Repubblica)
parlano della tennista israeliana Peer che in Nuova Zelanda ha dovuto
sconfiggere non solo l'avversaria di turno, ma anche
l'antisionismo-antisemitismo del pubblico. Tra un mese vi saranno
nuovamente le gare a Dubai, dove l'anno scorso la Peer non venne
ammessa perché israeliana; gli organizzatori dovettero allora pagare
una forte multa; potrà finalmente un'atleta israeliana giocare su suolo
arabo quest'anno? Su l'Espresso,
a lato di un articolo di Tahar Ben Jalloun, si legge: "Due immagini
dell'Etiopia meridionale dove convivono musulmani, ebrei e cristiani".
Come può questa testata insistere nel presentare un mondo che non
esiste? Non conosce, il direttore de l'Espresso, il ponte aereo
organizzato da Israele proprio per salvare gli ebrei di quel paese dove
non "convivono" più gli uomini delle tre religioni monoteiste? Ben
Jalloun poi, nel suo articolo, scrive che "i sostenitori di un Islam
tranquillo, calmo ed autentico stanno aumentando", ma il problema
sarebbe il fatto che "non hanno a disposizione i media". Perché non ne
approfitta proprio lui, che i media ha a disposizione, per aiutare
coloro che "starebbero aumentando"? Perché, ad esempio, non fa una
bella propaganda al Movimento dei Musulmani Moderati i quali hanno
messo in rete il loro Manifesto.
Non conosco personalmente questa associazione, ma credo che siano
proprio queste le persone alle quali bisogna dare credito per vedere se
vogliono e riescono a sconfiggere il fanatismo che si annida dietro una
lettura del Corano "preso alla lettera a 14 secoli di distanza da
quando fu scritto" (parole di Ben Jalloun). Credo inoltre che ci sia
molto da discutere su queste altre parole che leggiamo ancora
nell'articolo, a proposito della mancanza di una vera democrazia nel
mondo musulmano: "Il problema è allora politico e non religioso (come
se fosse facile separare i due mondi nell'universo islamico ndr), anche
se i fautori della laicità faticano a far ascoltare la loro voce". Io
ritengo che sia piuttosto una questione di coraggio; il coraggio che
dimostrano i giovani che stanno manifestando nelle strade dell'Iran, il
coraggio del siriano Zein Al-Shami del quale riportai le parole scritte
sul quotidiano del Kuwait Al-rai nella rassegna del
23 dicembre. Delle due, l'una: o si deve intervenire dall'esterno per
far cambiare il mondo dell'estremismo islamico, oppure sono solo i
musulmani coraggiosi che potranno riuscire in questa azione. Ma questo,
per utilizzare le parole di chiusura di Ben Jalloun, è "un programma
quasi utopico". Sui giornali esteri si segnala Emanuele Ottolenghi che, sul Wall Street Journal, fa una lunga analisi delle rivoluzioni sciite da Hussein ai giorni nostri. L'Herald Tribune
descrive una realtà che non può essere accettata come l'unica realtà di
Gaza, come la si vuol far passare; è riportata da tanti cittadini
grazie a cineprese messe a loro disposizione da B'Tselem,
l'associazione israeliana filopalestinese che si bea, fin dalla sua
creazione, dei finanziamenti della Fondazione Carter. Questi
improvvisati cineoperatori vengono presentati come tanti pacifisti (o
pacifinti, come direbbero alcuni?) che illustrano una realtà di vita
quotidiana contro la quale ci si domanda perché Israele debba lottare
tanto duramente. In fondo nei tunnel passano solo olio per cucinare,
detergente e qualche sposa. Le Monde
analizza la solitudine di Netanyahu di fronte alla difficilissima
decisione da prendere per salvare Gilad Shalit; in questa accurata
analisi si affronta anche la realtà politica palestinese, spaccata tra
Hamas e Fatah, e, all'interno di quest'ultima, tra Abbas e Barghouti.
Infine, sempre su Le Monde,
vi è un'intervista al professor Kadivar che analizza la situazione in
un Iran spaccato tra i verdi ed i neri. Propone come soluzione un
referendum con tre quesiti sul futuro voluto dai cittadini iraniani: ma
non è una pura utopia, in questo momento?. Emanuel Segre Amar |
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notizieflash |
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Minacce di morte per Barak, la radio militare accusa i coloni, loro replicano: "E' una campagna di disinformazione" Tel Aviv, 6 gen - Ehud
Barak ha ricevuto “decine” di minacce anonime, a rivelarlo è stata la
radio militare israeliana. I servizi segreti, temendo che la vita
del ministro possa essere in pericolo, hanno rafforzato le misure di
sicurezza attorno a lui. Una lettera minatoria è stata mostrata ieri
dalla televisione commerciale, Canale 10. Dopo un inizio formale,
"Spettabile ministro della difesa", l'autore della missiva passa ad
esplicite minacce di morte nei confronti di Barak e dei suoi familiari
se il ministro "distruggerà gli insediamenti in Giudea-Samaria
(Cisgiordania) per farsi bello agli occhi degli americani". L'emittente
ha aggiunto che minacce analoghe sono giunte anche al capo della
polizia israeliana, Dudi Cohen. I servizi segreti hanno avvertito che
estremisti ebrei, in prevalenza residenti nelle colonie cisgiordane,
potrebbero ricorrere alla violenza pur di impedire il congelamento dei
loro insediamenti. Ma il movimento dei coloni non ci sta e i suoi
dirigenti accusano: “ E' solo una campagna di disinformazione
orchestrata dagli stessi responsabili militari per esporre noi coloni
sotto cattiva luce e costringerci dunque alla difensiva”.
Aeroporti israeliani: introdotto al Ben Gurion il sistema di riconoscimento biometrico Tel Aviv, 5 gen - E'
stato inaugurato all'aeroporto Ben Gurion di Tel Aviv il sistema
biometrico di riconoscimento passeggeri. Il nuovo controllo al momento
non è obbligatorio per i passeggeri bensì solo su base volontaria. Ma
chi sceglierà di sottoporsi a tale modalità di riconoscimento, ha
spiegato il direttore generale degli aeroporti israeliani, Koby Mor,
intervistato dal quotidiano Maariv, dopo aver dedicato qualche minuti
alla registrazione iniziale, in futuro risparmierà tempo prezioso. Non
dovrà più sottoporsi alle domande degli ispettori di polizia con la
consegna delle valigie e al controllo passaporto. Ancora il giornale
Maariv spiega che il sistema, denominato 'Unipass', registra la
fisionomia biometrica del volto del passeggero, le sue impronte
digitali e i dati del passaporto. Conserva inoltre nella memoria le
risposte ad alcune domande. Infine produce per il passeggero una
tessera personale che potrà essere utilizzata, secondo Maariv, "per
tutta la vita". Grazie alla tessera 'Unipass' dopo il 'check in' i
passeggeri nell'aeroporto Ben Gurion potranno procedere direttamente
all'imbarco dove gli verrà richiesto nuovamente di
esibire la tessera e di sottoporsi alla verifica delle impronte
digitali. Il giornale afferma che il nuovo sistema è ancora in fase
sperimentale, ma sta già destando interesse all'estero. |
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L'Unione
delle Comunità Ebraiche Italiane sviluppa mezzi di comunicazione che
incoraggiano la conoscenza e il confronto delle realtà ebraiche. Gli
articoli e i commenti pubblicati, a meno che non sia espressamente
indicato il contrario, non possono essere intesi come una presa di
posizione ufficiale, ma solo come la autonoma espressione delle persone
che li firmano e che si sono rese gratuitamente disponibili. Gli
utenti che fossero interessati a partecipare alla sperimentazione
offrendo un proprio contributo, possono rivolgersi all'indirizzo desk@ucei.it per concordare le modalità di intervento.
Il servizio Notizieflash è realizzato dall'Unione delle Comunità
Ebraiche Italiane in collaborazione con la Comunità Ebraica di Trieste,
in redazione Daniela Gross. Avete
ricevuto questo messaggio perché avete trasmesso a Ucei
l'autorizzazione a comunicare con voi. Se non desiderate ricevere
ulteriori comunicazioni o se volete comunicare un nuovo indirizzo
e-mail, scrivete a: desk@ucei.it indicando nell'oggetto del messaggio “cancella” o “modifica”. |
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