se non visualizzi correttamente questo messaggio, fai click qui |
|
|
 |
|
L'Unione informa |
|
|
|
15 gennaio 2010 - 29 Tevet 5770 |
|
 |
|
| |
|
alef/tav |
|
|
 |
|
 |
Roberto Colombo, rabbino |
Secondo
Jonatàn ben ‘Uzièl il roveto, simbolo d’Israele oppresso, non si
consumava al fuoco in quanto grondava d’acqua. Di solito l’acqua
raffigura la Torà ma in Egitto non vi era vita ebraica. E’ dunque
probabile che quell’acqua provenisse dalle lacrime dei padri che
vedevano i figli perdersi generazione dopo generazione. Prendere
coscienza che il futuro famigliare è in pericolo e disperarsene è
l’inizio della redenzione. (Refaèl Luria)
|
 |
In
questa settimana, si è parlato molto di razzismo, a proposito
evidentemente dei gravissimi fatti di Rosarno. Ma se ne è parlato, devo
dire, anche in modo nuovo, non rituale, attento al razzismo comune,
diffuso, che bolle dietro tutte le perversioni di quello politico,
violento. Cosa pensiamo, quali sono i nostri pregiudizi? . Così, in un
articolo sull'Osservatore Romano, Giulia Galeotti ci racconta,
attraverso Pirandello, i processi d'aborto sotto il fascismo e fin
l'intervento di un deputato all'Assemblea Costituente, l'avversione
italiana per i "mulatti", il loro quotidiano, banale razzismo. Così,
oggi sul Corriere, Aldo Grasso attacca invece l'abitudine diffusa,
rimbalzata fin in televisione, a dare del tu agli immigrati di pelle
scura, del lei a coloro che hanno la pelle bianca. Ha perfettamente
ragione. "Sono razzista, ma sto cercando di smettere", intitolava
qualche anno fa un suo libro il genetista Guido Barbujani. Quali gli
antidoti al razzismo? Cominciamo dalla cortesia, dal dare del lei a
bianchi e neri, oppure, se proprio si appartiene alla generazione del
tu, del tu ad entrambi.
|
Anna Foa,
storica |
 |
|
|
 |
|
|
torna su |
davar |
|
|
|
|
Dialogo - Gattegna: “Il confronto deve proseguire”
“La
visita del pontefice non può che essere vista e interpretata come la
prosecuzione di quella stagione di dialogo iniziata 50 anni fa con la
salita al pontificato di Giovanni XXIII”, ha ribadito il Presidente
dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane Renzo Gattegna alla
vigilia dell'atteso incontro con Benedetto XVI. “Si è trattato - ha
spiegato - di un percorso non lineare, ma in generale certamente
positivo che ha visto il compimento di atti significativi". A questo
proposito ha ricordato la promulgazione della dichiarazione 'Nostra
aetate', la revisione di alcuni testi liturgici che contenevano parole
offensive verso gli ebrei, la visita di Giovanni Paolo II alla sinagoga
di Roma, il riconoscimento dello Stato di Israele, i viaggi in Israele
sia di Wojtyla sia di Benedetto XVI. "Non si può tuttavia negare -
precisa - che alcune decisioni prese dall'attuale papa nel corso del
2009 siano state all'origine di momenti di tensione e di preoccupazione
da parte ebraica. I più significativi sono stati: la reintroduzione
della preghiera del venerdì di pasqua in latino, la revoca della
scomunica ai seguaci di Lefebvre che hanno poi diffuso dichiarazioni
negazioniste della Shoah e per ultimo il riconoscimento delle “eroiche
virtu” per Pio XII, un passo verso la beatificazione, effettuato prima
di procedere all'apertura e allo studio dei documenti contenuti negli
archivi vaticani". Per questo Gattegna - che domenica interverrà nel
tempio con un suo discorso - formula l'auspicio che "un'occasione così
significativa, e attorno alla quale è concentrata l'attenzione di tutto
il mondo, coincida con il superamento di qualsiasi divergenza e ricrei
le migliori condizioni per la prosecuzione del cammino intrapreso". E
ancora, ha voluto precisare il Presidente a seguito delle
divergenze fra il rabbino capo di Roma Riccardo Di Segni e il
presidente
della Assemblea Rabbinica Giuseppe Laras: “Nonostante le proteste e le
critiche di alcune persone e di alcuni gruppi, il
rabbino capo Riccardo Di Segni e il Consiglio della Comunità ebraica di
Roma hanno ritenuto giusto realizzare questo importante momento di
incontro". "Siamo tutti in attesa di ascoltare le parole che il
pontefice pronuncerà all'interno del tempio" - ha concluso Gattegna.
Dialogo - ll coro del Tempio accorda le voci
Proseguono
febbrilmente le prove speciali e intensive per il coro del Tempio
maggiore che accoglierà l'arrivo del papa cantando fra gli altri
brani, il salmo 150 (l'Alleluja), il canto dei deportati, l'Ani Ma'amin
e un musicale del canto Inè Ma Tov, preparato dal maestro Angelo
Spizzichino su invito di Claudio Di Segni attuale direttore del coro,
tenore e voce solista già all'epoca della visita di papa Giovanni Paolo
II. "Il coro del Tempio maggiore ha un'antica tradizione che
risale al tempo delle Cinque Scole, - spiega il maestro Di Segni - ma
abbiamo rinvenuto delle musiche composte in quel periodo e scoperto che
il numero dei coristi (uomini e bambini) era maggiore di adesso"
(nell'immagine i componenti del coro al completo).
Di
Segni, da due anni insegnante di canto all'Accademia di Santa Cecilia
dove gli è stata assegnata l'aula in cui studiava il grande Beniamino
Gigli, dirige il coro del Tempio Maggiore da 18 mesi succedendo al
maestro Aldo Spizzichino e quest'ultimo a sua volta allo storico e mai
dimenticato maestro Elio Piattelli che lo aveva ricomposto dalle ceneri
della persecuzione razzista dirigendolo dal 1948 al 1984 (nell'immagine
a fianco Claudio Di Segni in una foto scattata all'Accademia di Santa
Cecilia). "Un'attività continuata fino agli ultimi anni della sua
vita, ricorda Pasquale Troia musicologo e amico di lunga data di
Piattelli, è stata quella di trascrivere canti di tradizione orale dei
diversi riti e tradizioni ebraiche italiane. Piattelli trascriveva non
soltanto per la paura che tutto scomparisse con la morte di quei
testimoni orali e documenti viventi che erano gli anziani chazzanim, ma
soprattutto perché i giovani cantori potessero imparare quei canti e
valorizzare così il patrimonio culturale, liturgico e musicale delle
comunità ebraiche italiane". All'importante opera di
conservazione della musica liturgica ebraica, Piattelli associò anche
quella compositiva “Molti canti liturgici composti dal maestro
Piattelli sono ancora oggi cantati e pregati dal Coro del Tempio
Maggiore nelle diverse festività e solennità della vita
ebraica”conferma infatti Troia ponendosi sulla stessa linea di Marco Di
Porto, uno dei componenti storici del coro. “A partire dal 1904
tutti i maestri hanno lasciato un patrimonio di musiche che attualmente
cantiamo a cappella, visto che l'uso dell'organo è consentito solo
nelle occasioni in cui non è shabbat o moed", spiega Di Porto. "Quando
ho iniziato a cantare nel 1948 avevo 8 anni ed ero una delle voci
bianche. Dovettero passare molti anni prima che il severo maestro
Piattelli mi consentisse di cantare da solista e quando accadde ero
talmente emozionato che la voce mi si bloccò in gola”. All'epoca
di Piattelli, come anche all'epoca delle Cinque Scole, il coro del
Tempio era composto da circa trenta elementi: tenori, bassi, baritoni e
voci bianche, attualmente invece il numero dei componenti è
drasticamente diminuito. Undici i suoi componenti fissi Pacifico
Pavoncello, Attilio Lattes, Giuseppe Mallel, Maurizio Di Veroli, Daniel
Dell'Ariccia, Massimo Gay, Massimo Camerini, Alberto Di Capua, Angelo
Spizzichino e il maestro Aldo Spizzichino oltre allo stesso Marco Di
Porto e a Claudio Di Segni, suo attuale direttore.
Di
Segni ha accolto e continuato con impegno e autorevolezza la preziosa
eredità dei maestri del Coro del Tempio Maggiore di Roma già dallo
scorso anno ha proposto un progetto per il Giorno della Memoria che si
è svolto con i complessi corali e orchestrali del Conservatorio e sono
state eseguite musiche ebraiche appositamente elaborate per
l'occasione, grazie anche alla disponibilità del direttore
dell'Accademia di Santa Cecilia, maestro Edda Silvestri (nell'immagine assieme al maestro Cladio Di Segni) che ha appoggiato il progetto. Grazie
all'impulso del maestro Di Segni, che vanta un'intensa attività
concertistica alternata alla attività didattica al Conservatorio di
Santa Cecilia, il coro è alle sue prime esibizioni concertistiche, fra
le quali una suggestiva presenza all'Arco di Tito in occasione della
visita del rav Lau a cui erano presenti i maggiori contribuenti a
livello mondiale della Keren Hayesod.
Lucilla Efrati
Per
iniziativa del maestro Lino Bianchi, amico del maestro Piattelli, del
prof. Giancarlo Rostirolla, direttore dell'Istituto di BIbliografia
MuSicale (Ibimus, http://www.ibimus.it/), della dott.ssa Daniela
Piattelli, figlia del maestro Piattelli, e del prof. Pasquale Troìa
presso la Biblioteca Nazionale di Roma e in particolare presso
l'Istiuto Ibimus è stato costituito il "Fondo Piattelli": ora tutte le
composizioni, manoscritti e pubblicazioni del maestro Piattelli, sono a
disposizione del pubblico ed aspettano nel frattempo un'adeguata e
scientifica catalogazione.
Memoria 3 - La guerra segreta per salvare il patrimonio artistico
Una
dozzina d’anni fa, Robert Edsel, americano di Dallas, passeggiava per
Firenze dopo aver accompagnato il suo bambino a scuola. All’improvviso,
attraversando Pontevecchio, ebbe una folgorazione. Come era stato
possibile salvare i tesori artistici del capoluogo toscano durante la
Seconda guerra mondiale dalla razzia dei nazisti? A partire da
quel momento Edsel, che si era trasferito in Italia dopo aver lasciato
gli affari (era imprenditore nel settore energetico), ha dedicato la
sua vita alla ricerca delle opere d’arte trafugate dai nazisti e alla
ricostruzione dello straordinario lavoro dei suoi “precursori”, i 345
ufficiali dell’esercito americano che durante il conflitto furono
arruolati nel corpo Monuments, Fine Arts, and Archives (“MFAA”), che
aveva il preciso compito di tutelare il patrimonio artistico
dell’Europa martoriata dalla Guerra, più noti come Monuments Men. Ai
suoi eroi Robert Edsel, che nel 2000 è tornato a Dallas dove ha
allestito il quartier generale della sua attività, ha dedicato una
fondazione, la Monuments Men Foundation for the Preservation of Art,
allo scopo di “custodire l’eredità del lavoro eroico e senza precedenti
degli uomini e delle donne che servirono nella MFAA”. Grazie all’eco
mediatico ottenuto attraverso il suo impegno, è stato possibile
conseguire nuovi risultati davvero incredibili. Nel novembre del 2007
il nipote di un soldato americano che aveva combattuto in Europa nel
1945 si mise in contatto con Edsel. Spiegò che aveva in casa due grossi
volumi che il nonno aveva trovato sul pavimento del Berghof, la
residenza di Hitler sulle Alpi Bavaresi. Dopo alcuni mesi di ricerche,
si scoprì che si trattava del sesto e dell’ottavo volume dell’archivio
dell’Einsatzstab Reichsleiter Rosenberg. L’ERR era stata costituita nel
1940 per requisire le proprietà di ebrei e dissidenti politici, e le
ricchezze dei territori occupati, specialmente le opere d’arte. Tutto
ciò che i nazisti incameravano veniva accuratamente catalogato in
quaderni corredati di fotografie e indicazioni sulle circostanze della
requisizione, i cosidetti “album di Hitler”. Al processo di Norimberga
furono presentati 39 volumi di questo genere, fondamentali per
ritrovare opere che erano state nascoste in Germania nei luoghi più
impensabili, come boschi, caverne e case abbandonate e per restituirle,
quando possibile, ai legittimi proprietari. “L’ossessione di
Hitler e Göring per l’arte e i loro sforzi per portare in Germania i
cimeli di tutta Europa sono un aspetto del conflitto mondiale che viene
ricordato poco - spiega Robert Edsel - Tuttavia è mia convinzione che
questa storia, queste opere, oltre a rappresentare un patrimonio
culturale europeo e mondiale, abbiano in qualche modo contribuito ad
accorciare i tempi della guerra. Tutte le risorse umane ed economiche
che Hitler impiegò per il saccheggio dei tesori artistici furono
distolte dal fronte, e furono molto più consistenti di quanto non si
immagini”. Nel settembre 2009 è uscito il libro di Robert Edsel
intitolato “Monuments Men”, che racconta la straordinaria storia di
“quegli uomini e quelle donne che, senza veicoli, benzina o autorità
attraversavano l’Europa in una corsa contro il tempo per salvare i
tesori dell’arte dalla follia nazista”. Come Mary Regan Quessenberry
di Boston, la seconda donna ancora in vita di cui si conosce l’identità
che fece parte dei Monuments Men. Il 10 novembre scorso la nipote ha
contattato la Fondazione per segnalare ciò che aveva fatto sua nonna.
Robert Edsel è corso a incontrarla donandole una copia dorata della
risoluzione approvata dal Parlamento americano in onore dei Monuments
Men in occasione del 63° anniversario del D-Day nel 2007. Mary, nata
nel 1915, laureata in Arte a Harvard, nel 1942 lasciò il suo lavoro di
insegnante per arruolarsi nel primo gruppo di donne che servirono
nell’esercito americano. Furono scelte in 450 su 400 mila che se ne
erano presentate. Quando nel 1945 lesse sul giornale dell’esercito Star
and Stripes che cercavano ufficiali con background storico e artistico
per l’MFAA, non ci pensò due volte. Rimase in Europa fino al 1948,
quando si congedò col grado di maggiore. Tra i Monuments Men si
annoverano molte tra le più grandi figure del panorama museale e
artistico americano degli anni Cinquanta e Sessanta, tra cui Paul
Sachs, che fu direttore del Fogg Art Museum, Lincoln Kirstein,
fondatore del New York City Ballet, e James Rorimer, direttore del
Metropolitan Museum.
Rossella Tercatin
Dialogo - La visita di Ratzinger e il popolo del web |
|
|
|
|
torna su |
pilpul |
|
|
|
|
Dialogo - I rabbini, i media e gli imbarazzi immaginari
 E'
buffo vedere come i grandi mezzi di comunicazione percepiscano talvolta
in maniera distorta l'abituale varietà di opinioni e di interpretazioni
che il mondo ebraico esprime tutti i giorni. Alcune
dichiarazioni di chi annunciava la sua volontà di non essere presente
allo storico incontro alla sinagoga di Roma, sono state così orecchiate
come un fattore di debolezza, di divisione del mondo ebraico italiano.
E il giornalismo italiano, che come è noto resta spesso un giornalismo
"a tesi", pur di farlo dimentica come le istituzioni degli ebrei
italiani eleggano democraticamente i propri organi di governo e
scelgano democraticamente i propri rabbini. Se chi ha la responsabilità
di rappresentare gli ebrei italiani non è funzionale a questo o a
quello, non si esita così a ricorrere agli "ex", sempre liberissimi,
ovviamente, di esprimere le proprie opinioni personali. Servirebbe
qualcuno disposto a spiegare che l'Assemblea rabbinica italiana non è
la Conferenza episcopale italiana. Che i rabbini non sono sacerdoti, ma
derivano la loro autorevolezza dalle loro conoscenze e dalle realtà che
li riconoscono. Che le diverse interpretazioni che i nostri rabbini
sono capaci di donarci sono da sempre considerate un patrimonio di
ricchezza e di stimolo. Non certo un motivo di imbarazzo. Per
questo, si rassegnino i giornalisti, non ci saranno scomuniche. E non
sarà un antipapa, e nemmeno un vescovo, ad accogliere Benedetto XVI. Ma
solo un un medico, uno studioso, un giudice, un Maestro. Sarà un
normale cittadino ad attenderlo sulla soglia. Un normale cittadino fino
al momento di ammantarsi del Talled ultracentenario che rappresenta il
simbolo della più antica realtà ebraica della Diaspora. Per questo non possono esistere, in certi casi, assenze ingiustificate. Ma solo storici appuntamenti che si rischia di mancare.
gv
Dialogo - Il Talled
Il
rabbino capo di Roma lo indosserà subito prima di accompagnare
Benedetto XVI dentro la sinagoga della Capitale. L’antichissima seta è
arricchita di pizzi e merletti. Oltre tre secoli di storia,
innumerevoli avventure, vicissitudini, sofferenze. Il manto rituale che
il rabbino capo di Roma riceverà in consegna subito prima di varcare la
soglia della sinagoga assieme a Benedetto XVI non è solo uno fra i
Talled più antichi e preziosi fra tutti quelli conservati al mondo, ma
anche il simbolo degli ebrei di Roma. Proveniente da una delle
sinagoghe della piazza Cinque Scole, la seta finemente lavorata,
arricchita degli intarsi e dei rosoni di pizzo opera di artigiani
mitici testimonia della lunghissima permanenza della realtà ebraica
sulla sponda del Tevere. Il manto, abitualmente utilizzato nella
preghiera del mattino e in altre occasioni solenni, coprirà le spalle
della massima autorità rabbinica romana, che molto probabilmente si
presenterà all’appuntamento con il papa vestito di scuro e senza
utilizzare le vesti tradizionali dei rabbini della sinagoga di Roma.
Nella variante più sfarzosa dell’epoca, il manto consisteva in un
grande rettangolo di seta bianca, ornato a volte da righe azzurre e
arricchito al centro e ai lati da fasce di merletto. I rosoni di pizzo
si trovavano spesso in corrispondenza delle frange rituali che il
talled ha il compito di sostenere e che gli ebrei devono portare in
vista durante la preghiera. Gli studiosi raccontano che in particolare
a Roma si compissero follie per possedere un bel talled e che le
fidanzate facessero a gara per offrirne gli esemplari più preziosi ai
futuri sposi. Durante la visita di Giovanni Paolo II nel 1986, il rav
Elio Toaff che accolse il papa in qualità di rabbino capo di Roma aveva
scelto di vestire la tradizionale tunica bianca su cui era appoggiato
un normale talled contemporaneo, comunemente utilizzato nelle preghiere
quotidiane ai giorni nostri.
(Pagine Ebraiche, gennaio 2010) |
|
|
|
|
torna su |
rassegna stampa |
|
|
|
|
|
|
|
|
|
L’immediata
prossimità della visita di Benedetto XVI al Tempio Maggiore e, con
essa, alla Comunità Ebraica di Roma, insieme all’approssimarsi della
nona ricorrenza del Giorno della Memoria (oggi ce lo ricorda l’Espresso),
polarizzano le notizie dei quotidiani per quel che concerne l’ambito
ebraico. Va da sé, tuttavia, che molte pagine siano ancora occupate
dagli effetti disastrosi del cataclismatico terremoto ad Haiti, dove un
intero popolo è stato messo in ginocchio. In casa nostra, la rilevanza
della presenza del Pontefice in un luogo di culto ebraico non può
sfuggire ai più. La visita avviene peraltro sotto auspici non univoci,
quasi si trattasse di una iniziativa di chiarimento (o, ancor di più,
di riparazione) nel mentre le discussioni e le polemiche sul percorso
di beatificazione di Pio XII non accennano a stemperarsi. Improbabile,
peraltro, che in un prossimo futuro si possa pervenire ad una intesa
sul giudizio da formulare riguardo al pontificato di Pacelli, il quale,
a torto a ragione, è depositario di quella che per certuni è una
“leggenda nera” (una imputazione di colpa che non gli competerebbe)
mentre per altri di una responsabilità inemendabile (l’omissione di una
chiara condanna dello sterminio di massa). La notizia del giorno, se
così la si vuole intendere, è la presa di posizione del rabbino
Giuseppe Laras, presidente dell’Assemblea rabbinica italiana, che ha
dichiarato la sua indisponibilità a partecipare all’incontro con Joseph
Ratzinger. Ne parla egli stesso con una intervista ad Andrea Tornielli
su il Giornale.
La vicenda, destinata prevedibilmente a stemperarsi nei giorni a
venire, è tuttavia sintomatica di un disagio, come osserva Giacomo
Galeazzi su la Stampa,
che serpeggia sia tra una parte degli ebrei italiani che, al di là
degli sforzi più o meno comuni fatti per avvicinare le due comunità -
quella cattolica e quella ebraica - tra gli stessi promotori del
dialogo. Una sintesi in tal senso sono le riflessione, al solito
puntuali, di Segre ancora per il Giornale. Per le reazioni di una parte della comunità romana si legga invece Gabriele Isman su la Repubblica.
Molteplici comunque gli articoli al riguardo, per i quali si possono
passare in rassegna un po’ tutti i giornali. Segnaliamo quindi Maria Antonietta Calabrò sul Corriere della Sera, Gian Guido Vecchi sempre sulla medesima testata, Domenico Zaccaria su E Polis, il Foglio, Raffaella Troili su Messaggero, Andrea Tornielli su il Giornale, Martino Cervo su Libero, Orazio La Rocca per la Repubblica così come il vaticanista Giancarlo Zizola, Fabio Perugia per il Tempo.
Di taglio assai più calcolato, ovvero attenta a mettere in rilievo gli
elementi di convergenza piuttosto che quelli di differenziazione, la
stampa cattolica. Così, tra gli altri, Giulia Rocchi su l’Avvenire, che ricorda anche la precedente visita del 1986 di Wojtyla, dando la parola ed Elio Toaff).
Capitolo a sé, che non data certo ad oggi, l’impegno pubblicistico di
parte del mondo cattolico per esaltare il coinvolgimento di una parte
cospicua dei suoi correligionari nell’opera di salvataggio degli ebrei
durante la Seconda guerra mondiale. Oggi registriamo in tal senso un
articolo di Lorenzo Fazzini, sempre su l’impegnato Avvenire,
che fa parlare un religioso nel merito di una «rete di salvataggio
messa in piedi in silenzio con grande efficacia dalla Santa Sede a
favore degli ebrei perseguitati dai nazisti». Non entriamo nei riguardi
della vicenda raccontata, la cui consistenza e rilevanza storica non è
detto che sia sempre aderente alla partecipe ricostruzione
giornalistica. Aggiungiamo, però, che a un lettore frettoloso e poco
avvertito parrebbe quasi di potere concludere che le posizioni del
Vaticano, plausibilmente avverse alle persecuzioni e allo sterminio in
atto, fossero, in quei tempi così cupi, espresse con una limpidezza e
un nitore diplomaticamente e politicamente incontrovertibili. Cosa,
invece, che è venuta a mancare e che costituisce, ancora a distanza di
più di sessant’anni da quegli eventi, il vero oggetto polemico. Ne è un
riscontro in tal senso il plumbeo silenzio della Santa Sede e del
Vescovo di Roma sulle sorti della Comunità romana durante i terribili
fatti del 16 ottobre 1943. Ci riflette sopra Amos Luzzato intervistato
da Edoardo Petti per il Riformista.
A questo stato di cose è atteggiamento assai poco profittevole il mero
contrapporre l’acquisizione di meriti derivanti dall’impegno, che pure
vi fu e anche corposo, da parte del clero di base così come di molti
cattolici a favore dei perseguitati. Poiché, se sul piano morale una
mano non lava l’altra su quello storico un atteggiamento non fa luce
sull’altro. I piani sono distinti: non pochi cattolici furono partecipi
di una opposizione attiva al nazismo, cosa che non deve essere
disconosciuta; diverso e più articolato, invece, il giudizio sulla
Curia romana. Ben vengano, quindi, i supplementi di riflessione, così
come fa Marco Ansaldo su la Repubblica,
ma non nella spasmodica ricerca di attestati di benemerenza. Quel che
mancò, e pare oramai definitivamente chiaro, fu una netta espressione,
nel pieno della autorevolezza del proprio magistero, di Pio XII. La
cosa in sé non avrebbe mutato forse più di tanto il corso degli eventi
ma di certo avrebbe dato a molti il segno di quanto si stava consumando
ai danni degli ebrei dietro la cortina fumogena di un conflitto in
corso. Ci sentiamo comunque di aderire alle considerazioni di Anna Foa
su il Sole 24 Ore. Particolarmente prodigo di informazioni, a tratti quasi fluviale, è infine il Corriere della Sera dove Paolo Conti fa un ritratto in comparazione dei due rabbini, Laras e Di Segni, Antonio Carioti parla dell’insediamento ebraico in Italia, Pierluigi Battista esprime i suoi auspici sul dialogo tra le due religioni, Gian Guido Vecchi parla di un travagliato 2009 per questo pontificato, mentre Armando Torno e Andrea Riccardi
riflettono sull’ebraismo e il cattolicesimo ai tempi nostri. Insomma,
per parlare di un imbarazzo, quello che deriva dalle diverse
sensibilità nei riguardi una visita autorevole, oggi non c’è che
l’imbarazzo della scelta! Claudio Vercelli |
|
|
|
|
torna su |
notizieflash |
|
|
|
|
Processo
di pace: emissario di Obama
a Gerusalemme e Ramallah Tel Aviv, 14 gen - Il
consigliere per la sicurezza nazionale americano, James Jones, ha avuto
tenuto incontri con i vertici israeliani e palestinesi a Gerusalemme e
a Ramallah per provare a rilanciare le tuttora incerte prospettive di
ripresa del processo di pace in Medio Oriente. Gli incontri, stando ai
comunicati ufficiali, si sono tenuti in un clima costruttivo, ma
nessuna ipotesi di svolta è stata per il momento evocata. Il faccia a
faccia con il capo del governo israeliano, Benyamin Netanyahu, è stato
sintetizzato dall'ufficio del premier in una nota di poche righe nella
quale si afferma che la riunione è servita per fare il punto sugli
"sforzi in atto per rilanciare il processo di pace", oltre che per
affrontare il tema delle "minacce alla sicurezza regionale" (attribuite
in prima battuta da Israele ai programmi nucleari dell'Iran).
L'incontro a Ramallah (Cisgiordania) con il presidente dell'Autorità
nazionale palestinese (Anp), Abu Mazen (Mahmud Abbas), è stato invece
illustrato brevemente dal capo negoziatore palestinese, Saeb Erekat,
secondo cui Jones ha ribadito "la determinazione del presidente Barack
Obama di promuovere una pace complessiva in Medio Oriente malgrado le
difficoltà" e ha assicurato che "l'amministrazione considera la
questione palestinese la chiave di volta della pace nella regione".
Nuovi studi sul messianismo ebraico |
|
|
|
|
|
torna su |
|
L'Unione
delle Comunità Ebraiche Italiane sviluppa mezzi di comunicazione che
incoraggiano la conoscenza e il confronto delle realtà ebraiche. Gli
articoli e i commenti pubblicati, a meno che non sia espressamente
indicato il contrario, non possono essere intesi come una presa di
posizione ufficiale, ma solo come la autonoma espressione delle persone
che li firmano e che si sono rese gratuitamente disponibili. Gli
utenti che fossero interessati a partecipare alla sperimentazione
offrendo un proprio contributo, possono rivolgersi all'indirizzo desk@ucei.it per concordare le modalità di intervento.
Il servizio Notizieflash è realizzato dall'Unione delle Comunità
Ebraiche Italiane in collaborazione con la Comunità Ebraica di Trieste,
in redazione Daniela Gross. Avete
ricevuto questo messaggio perché avete trasmesso a Ucei
l'autorizzazione a comunicare con voi. Se non desiderate ricevere
ulteriori comunicazioni o se volete comunicare un nuovo indirizzo
e-mail, scrivete a: desk@ucei.it indicando nell'oggetto del messaggio “cancella” o “modifica”. |
|
|