se non visualizzi correttamente questo messaggio, fai  click qui  
 
  logo  
L'Unione informa
 
    15 gennaio 2010 - 29 Tevet 5770  
alef/tav   davar   pilpul   rassegna stampa   notizieflash  
 
Moked - il portale dell´ebraismo italiano
alef/tav    
  Roberto Colombo Roberto
Colombo,

rabbino 
Secondo Jonatàn ben ‘Uzièl  il roveto, simbolo d’Israele oppresso, non si consumava al fuoco in quanto grondava d’acqua. Di solito l’acqua raffigura la Torà ma in Egitto non vi era vita ebraica. E’ dunque probabile che quell’acqua provenisse dalle lacrime dei padri che vedevano i figli perdersi generazione dopo generazione. Prendere coscienza che il futuro famigliare è in pericolo e disperarsene è l’inizio della redenzione. (Refaèl Luria)
In questa settimana, si è parlato molto di razzismo, a proposito evidentemente dei gravissimi fatti di Rosarno. Ma se ne è parlato, devo dire, anche in modo nuovo, non rituale, attento al razzismo comune, diffuso, che bolle dietro tutte le perversioni di quello politico, violento. Cosa pensiamo, quali sono i nostri pregiudizi? . Così, in un articolo sull'Osservatore Romano, Giulia Galeotti ci racconta, attraverso Pirandello, i processi d'aborto sotto il fascismo e fin l'intervento di un deputato all'Assemblea Costituente, l'avversione italiana per i "mulatti", il loro quotidiano, banale razzismo. Così, oggi sul Corriere, Aldo Grasso attacca invece l'abitudine diffusa, rimbalzata fin in televisione, a dare del tu agli immigrati di pelle scura, del lei a coloro che hanno la pelle bianca. Ha perfettamente ragione. "Sono razzista, ma sto cercando di smettere", intitolava qualche anno fa un suo libro il genetista Guido Barbujani. Quali gli antidoti al razzismo? Cominciamo dalla cortesia, dal dare del lei a bianchi e neri, oppure, se proprio si appartiene alla generazione del tu, del tu ad entrambi.
Anna Foa,
storica
Anna Foa, storica  
  torna su
davar    
 
  Dialogo - Gattegna: “Il confronto deve proseguire”

Coro“La visita del pontefice non può che essere vista e interpretata come la prosecuzione di quella stagione di dialogo iniziata 50 anni fa con la salita al pontificato di Giovanni XXIII”, ha ribadito il Presidente dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane Renzo Gattegna alla vigilia dell'atteso incontro con Benedetto XVI. “Si è trattato - ha spiegato - di un percorso non lineare, ma in generale certamente positivo che ha visto il compimento di atti significativi". A questo proposito ha ricordato la promulgazione della dichiarazione 'Nostra aetate', la revisione di alcuni testi liturgici che contenevano parole offensive verso gli ebrei, la visita di Giovanni Paolo II alla sinagoga di Roma, il riconoscimento dello Stato di Israele, i viaggi in Israele sia di Wojtyla sia di Benedetto XVI. "Non si può tuttavia negare - precisa - che alcune decisioni prese dall'attuale papa nel corso del 2009 siano state all'origine di momenti di tensione e di preoccupazione da parte ebraica. I più significativi sono stati: la reintroduzione della preghiera del venerdì di pasqua in latino, la revoca della scomunica ai seguaci di Lefebvre che hanno poi diffuso dichiarazioni negazioniste della Shoah e per ultimo il riconoscimento delle “eroiche virtu” per Pio XII, un passo verso la beatificazione, effettuato prima di procedere all'apertura e allo studio dei documenti contenuti negli archivi vaticani". Per questo Gattegna - che domenica interverrà nel tempio con un suo discorso - formula l'auspicio che "un'occasione così significativa, e attorno alla quale è concentrata l'attenzione di tutto il mondo, coincida con il superamento di qualsiasi divergenza e ricrei le migliori condizioni per la prosecuzione del cammino intrapreso". E ancora, ha voluto precisare il Presidente  a seguito delle divergenze fra il rabbino capo di Roma Riccardo Di Segni e il presidente della Assemblea Rabbinica Giuseppe Laras: “Nonostante le proteste e le critiche di alcune persone e di alcuni gruppi, il rabbino capo Riccardo Di Segni e il Consiglio della Comunità ebraica di Roma hanno ritenuto giusto realizzare questo importante momento di incontro". "Siamo tutti in attesa di ascoltare le parole che il pontefice pronuncerà all'interno del tempio" - ha concluso Gattegna.


Dialogo - ll coro del Tempio accorda le voci


Coro Proseguono febbrilmente le prove speciali e intensive per il coro del Tempio maggiore che accoglierà l'arrivo del papa cantando fra gli altri brani, il salmo 150 (l'Alleluja), il canto dei deportati, l'Ani Ma'amin e un musicale del canto Inè Ma Tov, preparato dal maestro Angelo Spizzichino su invito di Claudio Di Segni attuale direttore del coro, tenore e voce solista già all'epoca della visita di papa Giovanni Paolo II.
"Il coro del Tempio maggiore ha un'antica tradizione che risale al tempo delle Cinque Scole, - spiega il maestro Di Segni - ma abbiamo rinvenuto delle musiche composte in quel periodo e scoperto che il numero dei coristi (uomini e bambini) era maggiore di adesso" (nell'immagine i componenti del coro al completo).

Di SegniDi Segni, da due anni insegnante di canto all'Accademia di Santa Cecilia dove gli è stata assegnata l'aula in cui studiava il grande Beniamino Gigli, dirige il coro del Tempio Maggiore da 18 mesi succedendo al maestro Aldo Spizzichino e quest'ultimo a sua volta allo storico e mai dimenticato maestro Elio Piattelli che lo aveva ricomposto dalle ceneri della persecuzione razzista dirigendolo dal 1948 al 1984 (nell'immagine a fianco Claudio Di Segni in una foto scattata all'Accademia di Santa Cecilia).
"Un'attività continuata fino agli ultimi anni della sua vita, ricorda Pasquale Troia musicologo e amico di lunga data di Piattelli, è stata quella di trascrivere canti di tradizione orale dei diversi riti e tradizioni ebraiche italiane. Piattelli trascriveva non soltanto per la paura che tutto scomparisse con la morte di quei testimoni orali e documenti viventi che erano gli anziani chazzanim, ma soprattutto perché i giovani cantori potessero imparare quei canti e valorizzare così il patrimonio culturale, liturgico e musicale delle comunità ebraiche italiane".
All'importante opera di conservazione della musica liturgica ebraica, Piattelli associò anche quella compositiva “Molti canti liturgici composti dal maestro Piattelli sono ancora oggi cantati e pregati dal Coro del Tempio Maggiore nelle diverse festività e solennità della vita ebraica”conferma infatti Troia ponendosi sulla stessa linea di Marco Di Porto, uno dei componenti storici del coro.
“A partire dal 1904 tutti i maestri hanno lasciato un patrimonio di musiche che attualmente cantiamo a cappella, visto che l'uso dell'organo è consentito solo nelle occasioni in cui non è shabbat o moed", spiega Di Porto. "Quando ho iniziato a cantare nel 1948 avevo 8 anni ed ero una delle voci bianche. Dovettero passare molti anni prima che il severo maestro Piattelli mi consentisse di cantare da solista e quando accadde ero talmente emozionato che la voce mi si bloccò in gola”.
All'epoca di Piattelli, come anche all'epoca delle Cinque Scole, il coro del Tempio era composto da circa trenta elementi: tenori, bassi, baritoni e voci bianche, attualmente invece il numero dei componenti è drasticamente diminuito. Undici i suoi componenti fissi Pacifico Pavoncello, Attilio Lattes, Giuseppe Mallel, Maurizio Di Veroli, Daniel Dell'Ariccia, Massimo Gay, Massimo Camerini, Alberto Di Capua, Angelo Spizzichino e il maestro Aldo Spizzichino oltre allo stesso Marco Di Porto e a Claudio Di Segni, suo attuale direttore.

DI Segni - SilvestriDi Segni ha accolto e continuato con impegno e autorevolezza la preziosa eredità dei maestri del Coro del Tempio Maggiore di Roma già dallo scorso anno ha proposto un progetto per il Giorno della Memoria che si è svolto con i complessi corali e orchestrali del Conservatorio e sono state eseguite musiche ebraiche appositamente elaborate per l'occasione, grazie anche alla disponibilità del direttore dell'Accademia di Santa Cecilia, maestro Edda Silvestri (nell'immagine assieme al maestro Cladio Di Segni) che ha appoggiato il progetto.
Grazie all'impulso del maestro Di Segni, che vanta un'intensa attività concertistica alternata alla attività didattica al Conservatorio  di Santa Cecilia, il coro è alle sue prime esibizioni concertistiche, fra le quali una suggestiva presenza all'Arco di Tito in occasione della visita del rav Lau a cui erano presenti  i maggiori contribuenti a livello mondiale della Keren Hayesod.

Lucilla Efrati

Per iniziativa del maestro Lino Bianchi, amico del maestro Piattelli, del prof. Giancarlo Rostirolla, direttore dell'Istituto di BIbliografia MuSicale  (Ibimus, http://www.ibimus.it/), della dott.ssa Daniela Piattelli, figlia del maestro Piattelli, e del prof. Pasquale Troìa presso la Biblioteca Nazionale di Roma e in particolare presso l'Istiuto Ibimus è stato costituito il "Fondo Piattelli": ora tutte le composizioni, manoscritti e pubblicazioni del maestro Piattelli, sono a disposizione del pubblico ed aspettano nel frattempo un'adeguata e scientifica catalogazione.



Memoria 3 - La guerra segreta per salvare il patrimonio artistico
 
MonumentsUna dozzina d’anni fa, Robert Edsel, americano di Dallas, passeggiava per Firenze dopo aver accompagnato il suo bambino a scuola. All’improvviso, attraversando Pontevecchio, ebbe una folgorazione. Come era stato possibile salvare i tesori artistici del capoluogo toscano durante la Seconda guerra mondiale dalla razzia dei nazisti?
A partire da quel momento Edsel, che si era trasferito in Italia dopo aver lasciato gli affari (era imprenditore nel settore energetico), ha dedicato la sua vita alla ricerca delle opere d’arte trafugate dai nazisti e alla ricostruzione dello straordinario lavoro dei suoi “precursori”, i 345 ufficiali dell’esercito americano che durante il conflitto furono arruolati nel corpo Monuments, Fine Arts, and Archives (“MFAA”), che aveva il preciso compito di tutelare il patrimonio artistico dell’Europa martoriata dalla Guerra, più noti come Monuments Men.
Ai suoi eroi Robert Edsel, che nel 2000 è tornato a Dallas dove ha allestito il quartier generale della sua attività, ha dedicato una fondazione, la Monuments Men Foundation for the Preservation of Art, allo scopo di “custodire l’eredità del lavoro eroico e senza precedenti degli uomini e delle donne che servirono nella MFAA”. Grazie all’eco mediatico ottenuto attraverso il suo impegno, è stato possibile conseguire nuovi risultati davvero incredibili. Nel novembre del 2007 il nipote di un soldato americano che aveva combattuto in Europa nel 1945 si mise in contatto con Edsel. Spiegò che aveva in casa due grossi volumi che il nonno aveva trovato sul pavimento del Berghof, la residenza di Hitler sulle Alpi Bavaresi. Dopo alcuni mesi di ricerche, si scoprì che si trattava del sesto e dell’ottavo volume dell’archivio dell’Einsatzstab Reichsleiter Rosenberg. L’ERR era stata costituita nel 1940 per requisire le proprietà di ebrei e dissidenti politici, e le ricchezze dei territori occupati, specialmente le opere d’arte. Tutto ciò che i nazisti incameravano veniva accuratamente catalogato in quaderni corredati di fotografie e indicazioni sulle circostanze della requisizione, i cosidetti “album di Hitler”. Al processo di Norimberga furono presentati 39 volumi di questo genere, fondamentali per ritrovare opere che erano state nascoste in Germania nei luoghi più impensabili, come boschi, caverne e case abbandonate e per restituirle, quando possibile, ai legittimi proprietari.
“L’ossessione di Hitler e Göring per l’arte e i loro sforzi per portare in Germania i cimeli di tutta Europa sono un aspetto del conflitto mondiale che viene ricordato poco  - spiega Robert Edsel - Tuttavia è mia convinzione che questa storia, queste opere, oltre a rappresentare un patrimonio culturale europeo e mondiale, abbiano in qualche modo contribuito ad accorciare i tempi della guerra. Tutte le risorse umane ed economiche che Hitler impiegò per il saccheggio dei tesori artistici furono distolte dal fronte, e furono molto più consistenti di quanto non si immagini”. 
Nel settembre 2009 è uscito il libro di Robert Edsel intitolato “Monuments Men”, che racconta la straordinaria storia di “quegli uomini e quelle donne che, senza veicoli, benzina o autorità attraversavano l’Europa in una corsa contro il tempo per salvare i tesori dell’arte dalla follia nazista”. Come Mary Regan Quessenberry  di Boston, la seconda donna ancora in vita di cui si conosce l’identità che fece parte dei Monuments Men. Il 10 novembre scorso la nipote ha contattato la Fondazione per segnalare ciò che aveva fatto sua nonna. Robert Edsel è corso a incontrarla donandole una copia dorata della risoluzione approvata dal Parlamento americano in onore dei Monuments Men in occasione del 63° anniversario del D-Day nel 2007. Mary, nata nel 1915, laureata in Arte a Harvard, nel 1942 lasciò il suo lavoro di insegnante per arruolarsi nel primo gruppo di donne che servirono nell’esercito americano. Furono scelte in 450 su 400 mila che se ne erano presentate. Quando nel 1945 lesse sul giornale dell’esercito Star and Stripes che cercavano ufficiali con background storico e artistico per l’MFAA, non ci pensò due volte. Rimase in Europa fino al 1948, quando si congedò col grado di maggiore. Tra i Monuments Men si annoverano molte tra le più grandi figure del panorama museale e artistico americano degli anni Cinquanta e Sessanta, tra cui Paul Sachs, che fu direttore del Fogg Art Museum, Lincoln Kirstein, fondatore del New York City Ballet, e James Rorimer, direttore del Metropolitan Museum.

Rossella Tercatin
 

Dialogo - La visita di Ratzinger e il popolo del web  
 
 
  torna su
pilpul    
 
  Dialogo - I rabbini, i media e gli imbarazzi immaginari
Immagine P.E.
E' buffo vedere come i grandi mezzi di comunicazione percepiscano talvolta in maniera distorta l'abituale varietà di opinioni e di interpretazioni che il mondo ebraico esprime tutti i giorni.
Alcune dichiarazioni di chi annunciava la sua volontà di non essere presente allo storico incontro alla sinagoga di Roma, sono state così orecchiate come un fattore di debolezza, di divisione del mondo ebraico italiano. E il giornalismo italiano, che come è noto resta spesso un giornalismo "a tesi",  pur di farlo dimentica come le istituzioni degli ebrei italiani eleggano democraticamente i propri organi di governo e scelgano democraticamente i propri rabbini. Se chi ha la responsabilità di rappresentare gli ebrei italiani non è funzionale a questo o a quello, non si esita così a ricorrere agli "ex", sempre liberissimi, ovviamente, di esprimere le proprie opinioni personali.
Servirebbe qualcuno disposto a spiegare che l'Assemblea rabbinica italiana non è la Conferenza episcopale italiana. Che i rabbini non sono sacerdoti, ma derivano la loro autorevolezza dalle loro conoscenze e dalle realtà che li riconoscono. Che le diverse interpretazioni che i nostri rabbini sono capaci di donarci sono da sempre considerate un patrimonio di ricchezza e di stimolo. Non certo un motivo di imbarazzo.
Per questo, si rassegnino i giornalisti, non ci saranno scomuniche. E non sarà un antipapa, e nemmeno un vescovo, ad accogliere Benedetto XVI. Ma solo un un medico, uno studioso, un giudice, un Maestro. Sarà un normale cittadino ad attenderlo sulla soglia. Un normale cittadino fino al momento di ammantarsi del Talled ultracentenario che rappresenta il simbolo della più antica realtà ebraica della Diaspora.
Per questo non possono esistere, in certi casi, assenze ingiustificate. Ma solo storici appuntamenti che si rischia di mancare.

gv


Dialogo - Il Talled

Immagine P.E.Il rabbino capo di Roma lo indosserà subito prima di accompagnare Benedetto XVI dentro la sinagoga della Capitale. L’antichissima seta è arricchita di pizzi e merletti. Oltre tre secoli di storia, innumerevoli avventure, vicissitudini, sofferenze. Il manto rituale che il rabbino capo di Roma riceverà in consegna subito prima di varcare la soglia della sinagoga assieme a Benedetto XVI non è solo uno fra i Talled più antichi e preziosi fra tutti quelli conservati al mondo, ma anche il simbolo degli ebrei di Roma. Proveniente da una delle sinagoghe della piazza Cinque Scole, la seta finemente lavorata, arricchita degli intarsi e dei rosoni di pizzo opera di artigiani mitici testimonia della lunghissima permanenza della realtà ebraica sulla sponda del Tevere. Il manto, abitualmente utilizzato nella preghiera del mattino e in altre occasioni solenni, coprirà le spalle della massima autorità rabbinica romana, che molto probabilmente si presenterà all’appuntamento con il papa vestito di scuro e senza utilizzare le vesti tradizionali dei rabbini della sinagoga di Roma. Nella variante più sfarzosa dell’epoca, il manto consisteva in un grande rettangolo di seta bianca, ornato a volte da righe azzurre e arricchito al centro e ai lati da fasce di merletto. I rosoni di pizzo si trovavano spesso in corrispondenza delle frange rituali che il talled ha il compito di sostenere e che gli ebrei devono portare in vista durante la preghiera. Gli studiosi raccontano che in particolare a Roma si compissero follie per possedere un bel talled e che le fidanzate facessero a gara per offrirne gli esemplari più preziosi ai futuri sposi. Durante la visita di Giovanni Paolo II nel 1986, il rav Elio Toaff che accolse il papa in qualità di rabbino capo di Roma aveva scelto di vestire la tradizionale tunica bianca su cui era appoggiato un normale talled contemporaneo, comunemente utilizzato nelle preghiere quotidiane ai giorni nostri.

(Pagine Ebraiche, gennaio 2010)
 
 
  torna su
rassegna stampa    
 
 
leggi la rassegna
 
 

L’immediata prossimità della visita di Benedetto XVI al Tempio Maggiore e, con essa, alla Comunità Ebraica di Roma, insieme all’approssimarsi della nona ricorrenza del Giorno della Memoria (oggi ce lo ricorda l’Espresso), polarizzano le notizie dei quotidiani per quel che concerne l’ambito ebraico. Va da sé, tuttavia, che molte pagine siano ancora occupate dagli effetti disastrosi del cataclismatico terremoto ad Haiti, dove un intero popolo è stato messo in ginocchio. In casa nostra, la rilevanza della presenza del Pontefice in un luogo di culto ebraico non può sfuggire ai più. La visita avviene peraltro sotto auspici non univoci, quasi si trattasse di una iniziativa di chiarimento (o, ancor di più, di riparazione) nel mentre le discussioni e le polemiche sul percorso di beatificazione di Pio XII non accennano a stemperarsi. Improbabile, peraltro, che in un prossimo futuro si possa pervenire ad una intesa sul giudizio da formulare riguardo al pontificato di Pacelli, il quale, a torto a ragione, è depositario di quella che per certuni è una “leggenda nera” (una imputazione di colpa che non gli competerebbe) mentre per altri di una responsabilità inemendabile (l’omissione di una chiara condanna dello sterminio di massa). La notizia del giorno, se così la si vuole intendere, è la presa di posizione del rabbino Giuseppe Laras, presidente dell’Assemblea rabbinica italiana, che ha dichiarato la sua indisponibilità a partecipare all’incontro con Joseph Ratzinger. Ne parla egli stesso con una intervista ad Andrea Tornielli su il Giornale. La vicenda, destinata prevedibilmente a stemperarsi nei giorni a venire, è tuttavia sintomatica di un disagio, come osserva Giacomo Galeazzi su la Stampa, che serpeggia sia tra una parte degli ebrei italiani che, al di là degli sforzi più o meno comuni fatti per avvicinare le due comunità - quella cattolica e quella ebraica - tra gli stessi promotori del dialogo. Una sintesi in tal senso sono le riflessione, al solito puntuali, di Segre ancora per il Giornale. Per le reazioni di una parte della comunità romana si legga invece Gabriele Isman su la Repubblica. Molteplici comunque gli articoli al riguardo, per i quali si possono passare in rassegna un po’ tutti i giornali. Segnaliamo quindi Maria Antonietta Calabrò sul Corriere della Sera, Gian Guido Vecchi sempre sulla medesima testata, Domenico Zaccaria su E Polis, il Foglio, Raffaella Troili su Messaggero, Andrea Tornielli su il Giornale, Martino Cervo su Libero, Orazio La Rocca per la Repubblica così come il vaticanista Giancarlo Zizola, Fabio Perugia per il Tempo. Di taglio assai più calcolato, ovvero attenta a mettere in rilievo gli elementi di convergenza piuttosto che quelli di differenziazione, la stampa cattolica. Così, tra gli altri, Giulia Rocchi su l’Avvenire, che ricorda anche la precedente visita del 1986 di Wojtyla, dando la parola ed Elio Toaff). Capitolo a sé, che non data certo ad oggi, l’impegno pubblicistico di parte del mondo cattolico per esaltare il coinvolgimento di una parte cospicua dei suoi correligionari nell’opera di salvataggio degli ebrei durante la Seconda guerra mondiale. Oggi registriamo in tal senso un articolo di Lorenzo Fazzini, sempre su l’impegnato Avvenire, che fa parlare un religioso nel merito di una «rete di salvataggio messa in piedi in silenzio con grande efficacia dalla Santa Sede a favore degli ebrei perseguitati dai nazisti». Non entriamo nei riguardi della vicenda raccontata, la cui consistenza e rilevanza storica non è detto che sia sempre aderente alla partecipe ricostruzione giornalistica. Aggiungiamo, però, che a un lettore frettoloso e poco avvertito parrebbe quasi di potere concludere che le posizioni del Vaticano, plausibilmente avverse alle persecuzioni e allo sterminio in atto, fossero, in quei tempi così cupi, espresse con una limpidezza e un nitore diplomaticamente e politicamente incontrovertibili. Cosa, invece, che è venuta a mancare e che costituisce, ancora a distanza di più di sessant’anni da quegli eventi, il vero oggetto polemico. Ne è un riscontro in tal senso il plumbeo silenzio della Santa Sede e del Vescovo di Roma sulle sorti della Comunità romana durante i terribili fatti del 16 ottobre 1943. Ci riflette sopra Amos Luzzato intervistato da Edoardo Petti per il Riformista. A questo stato di cose è atteggiamento assai poco profittevole il mero contrapporre l’acquisizione di meriti derivanti dall’impegno, che pure vi fu e anche corposo, da parte del clero di base così come di molti cattolici a favore dei perseguitati. Poiché, se sul piano morale una mano non lava l’altra su quello storico un atteggiamento non fa luce sull’altro. I piani sono distinti: non pochi cattolici furono partecipi di una opposizione attiva al nazismo, cosa che non deve essere disconosciuta; diverso e più articolato, invece, il giudizio sulla Curia romana. Ben vengano, quindi, i supplementi di riflessione, così come fa Marco Ansaldo su la Repubblica, ma non nella spasmodica ricerca di attestati di benemerenza. Quel che mancò, e pare oramai definitivamente chiaro, fu una netta espressione, nel pieno della autorevolezza del proprio magistero, di Pio XII. La cosa in sé non avrebbe mutato forse più di tanto il corso degli eventi ma di certo avrebbe dato a molti il segno di quanto si stava consumando ai danni degli ebrei dietro la cortina fumogena di un conflitto in corso. Ci sentiamo comunque di aderire alle considerazioni di Anna Foa su il Sole 24 Ore. Particolarmente prodigo di informazioni, a tratti quasi fluviale, è infine il Corriere della Sera dove Paolo Conti fa un ritratto in comparazione dei due rabbini, Laras e Di Segni, Antonio Carioti parla dell’insediamento ebraico in Italia, Pierluigi Battista esprime i suoi auspici sul dialogo tra le due religioni, Gian Guido Vecchi parla di un travagliato 2009 per questo pontificato, mentre Armando Torno e Andrea Riccardi riflettono sull’ebraismo e il cattolicesimo ai tempi nostri. Insomma, per parlare di un imbarazzo, quello che deriva dalle diverse sensibilità nei riguardi una visita autorevole, oggi non c’è che l’imbarazzo della scelta!
 
Claudio Vercelli

 
 
  torna su
notizieflash    
 
 
Processo di pace: emissario di Obama                                            
a Gerusalemme e Ramallah
Tel Aviv, 14 gen -
Il consigliere per la sicurezza nazionale americano, James Jones, ha avuto tenuto incontri con i vertici israeliani e palestinesi a Gerusalemme e a Ramallah per provare a rilanciare le tuttora incerte prospettive di ripresa del processo di pace in Medio Oriente. Gli incontri, stando ai comunicati ufficiali, si sono tenuti in un clima costruttivo, ma nessuna ipotesi di svolta è stata per il momento evocata. Il faccia a faccia con il capo del governo israeliano, Benyamin Netanyahu, è stato sintetizzato dall'ufficio del premier in una nota di poche righe nella quale si afferma che la riunione è servita per fare il punto sugli "sforzi in atto per rilanciare il processo di pace", oltre che per affrontare il tema delle "minacce alla sicurezza regionale" (attribuite in prima battuta da Israele ai programmi nucleari dell'Iran). L'incontro a Ramallah (Cisgiordania) con il presidente dell'Autorità nazionale palestinese (Anp), Abu Mazen (Mahmud Abbas), è stato invece illustrato brevemente dal capo negoziatore palestinese, Saeb Erekat, secondo cui Jones ha ribadito "la determinazione del presidente Barack Obama di promuovere una pace complessiva in Medio Oriente malgrado le difficoltà" e ha assicurato che "l'amministrazione considera la questione palestinese la chiave di volta della pace nella regione".



Nuovi studi sul messianismo ebraico
 
 
    torna su
 
L'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane sviluppa mezzi di comunicazione che incoraggiano la conoscenza e il confronto delle realtà ebraiche.
Gli articoli e i commenti pubblicati, a meno che non sia espressamente indicato il contrario, non possono essere intesi come una presa di posizione ufficiale, ma solo come la autonoma espressione delle persone che li firmano e che si sono rese gratuitamente disponibili.
Gli utenti che fossero interessati a partecipare alla sperimentazione offrendo un proprio contributo, possono rivolgersi all'indirizzo desk@ucei.it per concordare le modalità di intervento.
Il servizio Notizieflash è realizzato dall'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane in collaborazione con la Comunità Ebraica di Trieste, in redazione Daniela Gross.
Avete ricevuto questo messaggio perché avete trasmesso a Ucei l'autorizzazione a comunicare con voi. Se non desiderate ricevere ulteriori comunicazioni o se volete comunicare un nuovo indirizzo e-mail, scrivete a: desk@ucei.it indicando nell'oggetto del messaggio “cancella” o “modifica”.