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L'Unione informa
 
    20 gennaio 2010 - 5 Shevat 5770  
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Moked - il portale dell´ebraismo italiano
alef/tav    
  adolfo locci Adolfo
Locci,

rabbino capo
di Padova
“...ma noi non sappiamo come serviremo il Sig-re nostro D-o fino a che ci troveremo in quel luogo” (Esodo 10, 26). Nell'estenuante trattativa con il faraone per uscire dall'Egitto, fra una piaga e l'altra, Mosè esprime un concetto molto attuale: a priori non possiamo giudicare quale sia l'effetto di una nostra decisione fino a quando non ci troveremo a viverne le conseguenze.
Non conosco Piero Laporta secondo il quale (su Italia Oggi, di stamane) avrei “promosso l’affissione della foto e della targa a Yad Vashem” che egli definisce “infamanti di Pio XII”. Ciò è doppiamente falso perché l’iscrizione non è infamante e io non l’ho promossa. Nel suo articolo l’unica cosa corretta è la grafia del mio nome. Grazie.
Sergio
Minerbi,
storico
sergio minerbi  
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Haiti - Continua l'impegno per gli aiuti

haitiContinua la grande corsa di solidarietà di Israele e delle organizzazioni ebraiche internazionali per aiutare la popolazione di Haiti. Su richiesta del Ministero della Difesa Israeliano, la compagnia di bandiera El Al ha risposto prontamente inviando già a partire dal 14 gennaio due aeromobili carichi di equipaggiamenti medici, mezzi e forniture di salvataggio a sostegno della popolazione di Haiti ferita dal devastante terremoto che ha colpito l'isola. Un primo aereo, un primo Boeing 777 carico di 8 tonnellate di merce e 229 passeggeri tra i quali operatori di soccorso, squadre mediche ed altri volontari ed un secondo Boeing 747-400 con ulteriori 68 tonnellate di materiali. Il Presidente di El Al Eliezer Shkedi ha così commentato: "El Al ha risposto prontamente alla richiesta del governo israeliano e farà tutto il possibile per assistere questa popolazione. E' nostro dovere con priorità assoluta aiutare coloro che sono stati colpiti da questa immane tragedia".


Memoria - Il Nobel Wiesel e il Quirinale
per il decimo Giorno della Memoria


Le principali iniziative e manifestazioni per il Giorno della Memoria sono state presentate in una affollata conferenza stampa a Palazzo Chigi. Il 27 gennaio 2010 sarà il decimo anno che in Italia si celebra il giorno “per non dimenticare” la Shoah: una occasione importante, che è stata illustrata dai sottosegretari alla presidenza del Consiglio Gianni Letta e Paolo Bonaiuti, e dal presidente dell’Ucei Renzo Gattegna.
Gianni Letta che presiede il “Comitato di Coordinamento per le Celebrazioni in Ricordo della Shoah”, istituito con decreto del presidente del Consiglio, ne ha illustrato i compiti ed ha affermato che il lavoro, in raccordo con l’Unione delle Comunità ebraiche italiane, “andrà oltre il decennale”. Il comitato è composto dai rappresentanti, oltre che della presidenza del Consiglio, del ministero degli Interni, da quelli dell'Istruzione, dei Beni culturali, della Conferenza delle regioni, dell'Ucei e del Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea di Milano. Ne è anima e motore la dottoressa Anna Nardini della Presidenza del Consiglio.
“Momenti principali del Giorno della Memoria” ha ricordato Letta, saranno “la cerimonia al Quirinale con il capo dello Stato e la presenza del premio Nobel Elie Wiesel alla Camera dei deputati.”
“Mi auguro che i media vogliano dedicare a questa Giornata un grande spazio, come alle iniziative in programma”, ha aggiunto Paolo Bonaiuti. “Trent'anni fa”, ha ricordato, “ho visitato Auschwitz ed ho potuto vedere l'ordinarietà del male che è il contrario della vita, della pietas e del rispetto dell'uomo.”
Il presidente dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane Renzo Gattegna ha ricordato che “l’istituzione del Giorno della memoria è una legge dello Stato italiano. Se fosse stata solo una nostra iniziativa, in un certo senso sarebbe stata svalutata in partenza. Invece una legge dello Stato significa che non sono solo gli ebrei a dover ricordare il proprio passato, ma che è lo Stato italiano che vuole che questi valori siano ricordati”.
Gattegna ha inoltre ringraziato la Presidenza del Consiglio per l’istituzione del Comitato coordinatore, ed ha aggiunto: “Dal barattro in cui l’Europa era caduta, sono nati i presupposti per una nuova Europa”.
Alla conferenza stampa hanno poi preso la parola i promotori di alcune iniziative. Marcello Pezzetti, direttore della Fondazione per il Museo della Shoah di Roma, ha illustrato i contenuti della mostra “Auschwitz-Birkenau” presentata a Roma al Vittoriano e con una sezione anche alla Camera dei Deputati. L’ambasciatore Gian Paolo Cavarai ha illustrato lo spettacolo teatrale “Salonicco ’43”, di cui è coautore, che andrà in scena il 26 gennaio presso il Complesso monumentale San Michele a Roma: una ricostruzione della vicenda del console italiano Guelfo Zamboni, il Giusto che salvò numerosi ebrei durante la Seconda guerra mondiale a Salonicco.


Marco Di Porto



Memoria - Marta Minerbi e Alessandro Ottolenghi
a Mogliano Veneto un convegno rende loro onore

minerbi ottolenghiIl Giorno della Memoria si avvicina e si moltiplicano gli eventi dedicati al ricordo e alla riflessione su quegli anni bui della storia. Il comune di Mogliano Veneto non manca all'appello e assieme, fra gli altri, alla Provincia di Treviso e all'associazione Clio '92 domani, giovedi 21 gennaio, dalle 9 alle 18 al liceo statale Giuseppe Berto, organizza un convegno dal titolo La colpa di essere nati, Marta Minerbi e Alessandro Ottolenghi, ebrei cittadini trevigiani, durante il periodo delle leggi razziali in Italia.
A dieci anni dalla sua istituzione ufficiale, il Giorno della Memoria ha ancora un significato oppure il suo contenuto si è ormai svuotato? Che efficacia possono avere oggi i racconti quando anche gli ultimi testimoni stanno scomparendo e la memoria cede definitivamente il passo alla storia? I riti e le commemorazioni pubbliche sono solo retoriche scadenze di un evento passato o sanno essere interrogazione sul presente e sulle sue contraddizioni? Come
si pongono le nuove generazioni nei confronti della persecuzione e dello sterminio degli ebrei europei e quale può essere il ruolo della scuola, oltre il dovere della memoria? Sono questi alcuni dei principali interrogativi su cui si rifletterà durante l'incontro.
Prima ancora che tentare di dare risposte o fornire spunti di riflessione su tali quesiti, l'intento del convegno è quello di far conoscere e ricordare la storia di due ebrei che vissero in prima persona la persecuzione e l'annientamento oltre che fisico morale: Marta Minerbi e Alessandro Ottolenghi, due cittadini trevigiani, due persone di cultura, direttrice didattica della scuola elementare di Mogliano Veneto lei, professore di chimica e matematica presso l'Istituto tecnico Riccati di Treviso lui. Alessandro trovò la morte ad Auschwitz, Marta, fortunatamente, si salvò grazie anche alla solidarietà delle suore e di persone disposte ad aiutarla. Storie come tante in quel periodo di persecuzioni che ci aiutano a comprendere allo stesso tempo i meccanismi dell'esclusione, dell'intolleranza e della violenza razzista ma anche a riflettere sulla presenza, se pur minimale rispetto alla foga nazi-fascista, dei giusti e di quanti seppero dire di no, mettendo in pericolo la propria vita pur di aiutare le vittime ingiustificate della furia nazi-fascista.
Fare il punto sulla nostra memoria, sull'intreccio fra oblio, rimozione e ricordo, e sulla necessità dell'elaborazione di un passato che non abbiamo ancora saputo guardare in faccia fino in fondo, questo è il nodo principale del convegno.
Sono previsti, fra gli altri, gli interventi di Alberto Cavaglion, professore dell'Università di Firenze, di Luigi Urettini dell'Istituto per la storia della Resistenza e della società contemporanea della Marca trevigiana, di Giorgio Morlin, anche lui collaboratore dell'Istituto per la storia della Resistenza, di Daniele Ceschin, Rossella Bei, Silvia Ramelli, Claudio Berto, docenti di Rete di storie locali di Peseggia, e di Ivo Mattozzi dell'Università di Bologna. Coordineranno gli interventi don Giuseppe Paolo, del gruppo di Ricerca storica “Astori”, e Ernesto Perillo dell'associazione Clio '92.  

Valerio Mieli



Le gran signore che facevano sognare 

libriDa qualche tempo, dentro il mondo ebraico, è maturato un interesse intorno alle "scritture bambine". Se osservato dall'interno il fenomeno sembrerebbe rafforzare il paradosso di Yerushalmi. Lo scoglio dell'emancipazione ha prodotto una memoria incardinata nella pedagogia ebraica (mi-dòr ledòr, di generazione in generazione). Dalla scuola i bambini non devono essere tolti "neppure per la costruzione del Tempio", insegna il Talmud. Quali fossero però le fantasie di questi bambini non lo sappiamo. Sappiamo del fascino esercitato da alcuni episodi biblici (la crudeltà è un aspetto dell'infanzia: la testa di Oloferne tenuta in mano da Giuditta, le orecchie di Amanno), ma non sappiamo con quali occhi giudicassero la trasformazione antropologica che l'eguaglianza aveva prodotto, né disponiamo di fondi archivistici che altre culture europee posseggono (Mont-Saint- Agnan presso Rouen, in Francia; i family magazines).[...]

Alberto Cavaglion, Pagine Ebraiche, febbraio 2010

(Il testo integrale dell'articolo è sul Portale dell'Ebraismo italiano moked.it)



La pedagogia del bello

libriNinìn bimbo felice, di Marta Ottolenghi Minerbi (edito da Amicucci nel 1956), è un libro importante sotto due diverse angolature. E' un testo per l'infanzia, come altri ne scrisse questa esperta autrice per bambini, che nella medesima collana ha stampato: La colpa di essere nati, Non è ancora giorno, La scimmiotta Topsy. Per l'infanzia il libro è stato sicuramente concepito, ma è anche una testimonianza di storia. L'autrice guarda al bambino che legge, ma con senso di responsabilità invita a riflettere noi adulti. Questo libro rappresenta l'antefatto di un celebre libro: i diari dell'ebreo torinese Emanuele Artom, da poco ristampati in edizione critica, a cura di Guri Schwarz, per i tipi di Bollati Boringhieri (Diari di un partigiano ebreo, 2008). 

Pagine Ebraiche, febbraio 2010

(Il testo integrale dell'articolo è sul Portale dell'Ebraismo italiano moked.it)


Qui Torino - La memoria secondo Massimo Ottolenghi

libri“Dobbiamo dare la parola ai ricordi; la nostra memoria è un monito per il futuro” mi spiega al telefono l’avvocato Massimo Ottolenghi, ex militante del movimento Giustizia e libertà, scrittore e Decano dell’ordine degli avvocati torinesi. Il suo nuovo libro, “Per un pezzo di patria”, è un affresco vivo e nitido di trent’anni di storia italiana, una testimonianza diretta e preziosa dei drammatici eventi della prima metà del secolo. Nato nel 1915, Ottolenghi regala al lettore un spaccato interessante sia del mondo ebraico, con le sue tragiche vicissitudini, sia della Resistenza, raccontata con sguardo critico ma appassionato.[...]

Daniel Reichel

(Il testo integrale dell'articolo è sul Portale dell'Ebraismo italiano moked.it)
 
 
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  LucreziIl dialogo e il piano inclinato

Forse, se non tutti, da parte ebraica – e non solo – si mostrano sempre entusiasti di fronte al tanto elogiato dialogo interreligioso, ciò dipende anche dalla ricorrente tentazione, da parte di alcuni ‘dialoganti’, a trasformare il dialogo stesso in qualcosa di più, e di diverso, da quello che esso dovrebbe essere. L’idea di una semplice conoscenza fra diversi, nel mutuo rispetto, senza alcuna pretesa di plasmare l’altro a proprio piacimento, o comunque, in qualche modo, di trasformarlo, a molti appare, evidentemente, non sufficientemente attraente, qualcosa per cui non varrebbe la pena impegnarsi troppo. È così, per esempio, che, a coronamento di un’esistenza in buona parte spesa proprio per la causa del dialogo ebraico-cristiano, il Cardinale Carlo Maria Martini, nel suo recente libro Le tenebre e la luce, ha affermato che le tradizioni religiose non dovrebbero essere considerate dei “monoliti immutabili”, ma dovrebbero accettare la possibilità di una propria decadenza, in nome di una nuova vivificazione, per arrivare alla conclusione che, al momento attuale, “il nostro cammino interreligioso deve consistere soprattutto nel convertirci radicalmente alle parole di Gesù, e, a partire da esse, aiutare gli altri a compiere lo stesso percorso”. Ed è singolare che parole simili possano venire anche dallo stesso mondo ebraico. Su la Repubblica di lunedì 18 gennaio, in un articolo a commento della visita del Papa nel Tempio, Gad Lerner, nell’elencare luci e ombre sulla strada del dialogo, dopo avere enumerato alcune “pietre d’inciampo” in campo cristiano, si chiede: “a loro volta, quando gli ebrei saranno pronti a riconoscere familiare e profetico il messaggio del loro correligionario Gesù…?”. Non si discute, per carità, lo spirito amichevole di simili esortazioni. Che, tuttavia, possono generare disagio, dando l’idea di un dialogo su “piano inclinato”, atto a fare insensibilmente scivolare verso nuovi, impensati confini. È proprio troppo difficile accontentarsi di un umile, modesto dialogo su “piano orizzontale”?

Francesco Lucrezi, giurista


Il papa in sinagoga: due visite a confronto

Non era realistico attendersi dalla visita di Benedetto XVI al Tempio Ebraico di Roma novità di portata storica e così infatti è stato, realizzandosi un incontro solenne ma interlocutorio, utile per il mantenimento e magari l'intensificazione dei regolari rapporti ormai in atto.
Sarebbe peraltro stato ingiusto pretendere che i protagonisti di questo incontro, come per il sequel di un film di successo, potessero superare la storicità dell'originale che vide,occorre dirlo con obbiettività e senza pregiudizio per le figure odierne, l'affiancarsi di due personaggi quali Papa Wojtyla ed il Rabbino Elio Toaff dotati di naturale capacità mediatica di "bucare il video", come d'uso dire oggi.
I passi storici compiuti da Giovanni Paolo II verso l'ebraismo e verso Israele godono quindi della forza della primogenitura ed è pertanto inevitabile riferirsi ad essi o, volendo esplorare una seconda ipotesi, "trincerarsi" dietro ad essi in quanto inevitabilmente ormai avvenuti.
Poteva esserci un certo spazio nell'accelerare una risoluzione condivisa,se possibile, sulla vicenda dei silenzi di Papa Pacelli dinanzi al nazifascismo e sulla divulgazione del materiale ebraico presente nelle biblioteche e negli archivi vaticani ma non mi è parso di cogliere nel discorso di Papa Ratzinger aperture in questo senso segno,delle due l'una specialmente per la questione Pacelli,che il Vaticano non vuole o non può per sue dinamiche interne aderire a queste richieste ben esplicitate dal Presidente della Comunità di Roma, Riccardo Pacifici, nel suo discorso denso di concreti e fattivi riferimenti.
Guardando quindi senza enfasi e pregiudizio a simili incontri, vi è di positivo che pare ormai evidenziarsi chiaramente il confine del cosiddetto "dialogo possibile": quello che può sfociare nel confronto culturale per il piacere di far cultura e conoscersi meglio e nella condivisione di comuni intenti da proporre alla società, senza pretese di andare oltre ove dal dialogo si passerebbe ad un'inaccettabile tentativo di "inglobamento".
In questo senso le chiare parole espresse, circa i limiti del dialogo, dallo stesso Ratzinger nella lettera-prefazione ad un saggio di Marcello Pera appaiono pragmaticamente fondate e perciò lo "scetticismo" verso il rapporto
ebraico-cattolico, per usare un termine a mio modesto giudizio impropriamente utilizzato in un articolo dall'Ambasciatore Lewy che lo attribuisce in particolare  all'ebraismo ortodosso,oltre a non essere reato appare tranquillamente realistico e rispettoso delle altrui visioni basandosi, peraltro, sulla convinzione ebraica che non pretende di possedere esclusivo canale con  il Signore.
Insomma un rapporto tra amici che, proprio perchè tali, non può richiedere l'appiattimento dell'uno nei confronti dell'altro e non stonano pertanto,in questo contesto, le annotazioni critiche lette in questi giorni e che si inseriscono proprio all'interno del dialogo non potendo essere sacrificate sull'altare di un presunto "buonismo" che falserebbe i termini del rapporto stesso.
Un "dialogo possibile" che sarebbe opportuno, lo affermo da liberale aderente alla comunità ebraica italiana che è ortodossa, rafforzare anche verso le altre espressioni di fede ed ai non credenti per sviluppare ulteriormente quella società aperta nella quale la laicità della sfera pubblica non è nemica dell'espressione religiosa,intesa nelle sue varie declinazioni rispettose delle comuni leggi dello Stato,ma anzi ne garantisce la libertà.

Gadi Polacco, Consigliere dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane
 
 
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rassegna stampa    
 
 
leggi la rassegna
 
 

Nei giorni scorsi si sono ripetuti due fatti di estrema importanza: il terremoto di Haiti e la visita di un papa alla sinagoga di Roma. Di entrambi i giornali di tutto il mondo hanno raccontato tutto, o meglio quasi tutto quello che andava raccontato; ed anche questa rassegna ne ha diffusamente parlato. Quasi tutto, dicevo; non ho infatti trovato molte tracce di una realtà che vorrei ricordare ai nostri lettori. Immediatamente dopo il terremoto di Haiti (che, come accennavo più sopra, si era già verificato ben
12 volte con simile intensità negli ultimi secoli), il governo israeliano aveva provveduto a far partire un'unità di crisi; sempre pronta a portare soccorso dove avvengono catastrofi umanitarie, in qualunque luogo esse avvengano (ricordiamo, tra i tanti, i soccorsi in Turchia ed in India). Due aerei sono decollati da Israele e già sabato 16 un ospedale da campo era il primo ad essere operativo a Port au Prince. Il notiziario in inglese mail@jerusalemonline.com, che chiunque può ricevere direttamente sul proprio computer, nell'edizione di domenica 17 annunciava che già 8 persone erano state salvate dalle unità speciali israeliane, e questa notte aggiungeva che ancora un'altra donna era stata estratta viva dalle macerie dell'università. Le unità speciali hanno incominciato ad operare immediatamente, lavorando con le squadre messicane conosciute durante precedenti interventi, tenendosi fuori dalle querelles che hanno invece disturbato il compito di altre unità di crisi, inviate da altri paesi, ma in concorrenza tra di loro. Duecentoventi israeliani, tra uomini e donne; oltre il triplo degli inglesi; intervento sproporzionato anche questo? Gli israeliani, senza preoccuparsi di come Haiti potesse aver votato nei vari consessi internazionali impegnati a censurare il loro Stato, sono stati tra i primi ad accorrere nonostante la distanza geografica, le dimensioni ridotte del loro Stato, e la necessità di non lasciarlo comunque mai sguarnito; solo il desiderio di solidarietà guidava questi uomini. Avrei voluto trovare, su qualche quotidiano nazionale, una breve che ricordasse questa realtà ai suoi lettori; no, questa volta non si è parlato degli israeliani (tranne che al TG5 e, oggi, Il Foglio), forse perché non potevano essere messi sul banco degli accusati, o perché erano più interessati alle dispute con la domestica di casa Netanyahu. Ma su Repubblica Ermanno Accardi ha parlato martedì dei giocattoli che da Gaza stanno per inviare ad Haiti... Sappiano i nostri lettori che sabato, dopo le preghiere nelle quali gli ebrei hanno ricordato il salmo 104 in cui si parla dei movimenti tellurici, gli haitiani hanno baciato il loro tallet. Le immagini del lavoro degli israeliani nel momento stesso in cui riportano alla luce un haitiano rimasto sepolto per giorni, e della gioia di tutti gli astanti, mostrate da informazionecorretta.com, sono di quelle che rimangono impresse nella memoria in modo indelebile. Un bambino nato domenica nell'ospedale israeliano di Port au Prince (l'unico anche oggi ad essere del tutto operativo, montato in solo 8 ore, ed in grado di effettuare 5000 interventi al giorno), è stato chiamato Israel. Una israeliana, nella divisa di Tsahal, è stata ripresa felice accanto al neonato ed alla madre haitiana.
La CNN ha trasmesso un altro bel servizio. Ancora dal sito Jerusalemonline.com, nell'edizione di lunedì, abbiamo appreso che un terrorista, responsabile di un attentato perpetrato in un pub di Tel Aviv 6 anni fa, dopo aver scontato una pena nelle prigioni egiziane, è stato ora nominato professore alla London School of Economics: anche questa istituzione inglese, nonostante le sue grandi tradizioni, si sta piegando al volere dei fondamentalisti islamici? Sarà solo un caso che il mancato attentatore dell'aereo diretto a Dallas avesse studiato proprio in quell'ambiente in rapida trasformazione?
Sul Corriere Bernard Henry Levy ritorna sulla figura di Pio XII, mentre sul Foglio Andrea Monda intervista il rabbino Neusner che ha anche incontrato Benedetto XVI. Su La Stampa Maria Corbi ricorda il piccolo Stefano Taché ed i suoi assassini che non hanno mai pagato per il loro crimine; alla mamma del piccolo che continua a rifiutare di parlare, anche a distanza di anni, non posso dire altro che la comprendo bene. Sul Corriere si parla della pièce portata in teatro che ricorda l'eroica vicenda del console italiano Zamboni: riuscì, da solo, a salvare tanti ebrei a Salonicco. Sull'indizione in ottobre di un Sinodo per il Medio Oriente, che dovrà trattare sia delle divisioni tra le varie fedi cristiane, sia dei problemi religiosi e politici da affrontare con i vari stati, troviamo numerosi articoli: sul Riformista (Cristiani trattati come non cittadini, e ci si chiede se si avranno di nuovo dei martiri cristiani), su Avvenire (il dialogo con gli ebrei è già aperto anche in Medioriente, mentre è più problematico con la maggior parte dei paesi medio-orientali), sul Messaggero (la diaspora cristiana pare inarrestabile, e questo per colpa dei fondamentalisti), mentre sul Corriere è riportato in una breve un documento davvero criticabile delle Chiese orientali. Pochi quotidiani ricordano la seconda seduta congiunta dei governi di Germania ed Israele, questa volta svoltasi nella capitale tedesca: avvenimento ricco di significati, e del quale si deve ringraziare la cancelliera Merkel. La Stampa, in una breve, intervista il Capo dei servizi informazioni militari di Israele: per questioni strategiche ci dice che è crisi profonda con la Turchia (dove ricordo si è appena recato il ministro della difesa Barak). Il Corriere (oltre a Repubblica) parla del viaggio del Prefetto della Polizia Manganelli in Israele: scambi di esperienze tra tecnici, con l'Italia interessata ad acquistare moderna tecnologia da usare anche nella lotta alla mafia, ed Israele interessata ai metodi di lavoro italiani. Herald Tribune, come sempre severo con Israele, esamina le difficoltà ancora da risolvere prima che possa entrare nell'Organisation for Economics Cooperation: ostacoli persistono per la sua industria delle armi, per quella dei medicinali e per i territori annessi di Gerusalemme e del Golan. L'Unità dedica un articolo ai nuovi arrivi dall'Etiopia di falashmura. Tutto in difesa di Hamas un articolo su Terra che chiama Gaza "riserva indiana": ai palestinesi viene impedito di lavorare, mentre Netanyahu frena la trattativa per liberare Gilad Shalit per non concedere un successo ad Hamas. Simile il tono di Michele Giorgio sul Manifesto che parla dei disastri provocati dall'alluvione in un wadi di Gaza dove tanti beduini, dimenticando le antiche abitudini (ndr), si erano accampati. Una volta nei wadi si mettevano bastoni di misurazione per vedere il livello delle acque, oggi si costruiscono accampamenti, e poi la colpa è naturalmente di Israele (dove ricordo che si sono avuti alcuni morti per le stesse, abbondanti piogge che servono sì a riempire i bacini ed a far diventare verde il deserto, ma che anche causano danni non indifferenti).

Emanuel Segre Amar

 
 
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Benedetto XVI riafferma la necessità                                                  
di approfondire  il dialogo con l'ebraismo
Città del Vaticano, 20 gen -
Benedetto XVI, nella sua visita alla sinagoga di Roma, "ha riaffermato categoricamente l'impegno della Chiesa cattolica e il suo desiderio di approfondire il dialogo e la fraternità con il Giudaismo e con il popolo ebraico, secondo la 'Nostra Aestate', il conseguente magistero e in particolare quello di Giovanni Paolo II". Lo si afferma nel comunicato finale congiunto della Commissione bilaterale per i rapporti tra ebrei e cattolici, conclusa oggi in Vaticano. All' incontro ha partecipato una delegazione della Santa Sede e una del Gran Rabbinato di Israele.
 
 
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