se non visualizzi correttamente questo messaggio, fai click qui |
|
|
 |
|
L'Unione informa |
|
|
|
21 gennaio 2010 - 6 Shevat 5770 |
|
 |
|
| |
|
alef/tav |
|
|
 |
|
 |
Alfonso Arbib, rabbino capo di Milano |
Prima
della settima piaga, quella della grandine, gli egiziani vengono
avvertiti e invitati a chiudersi in casa e chiudere nelle stalle il
bestiame. Solo pochi lo fanno e quei pochi riescono a salvare il loro
bestiame. E' strano che solo una piccola parte degli egiziani credono
alle parole di Moshè e agiscono di conseguenza. Dopotutto siamo alla
settima piaga e le piaghe precedenti hanno dimostrato ampiamente che le
parole di Moshè dovessero essere prese molto sul serio. Gli egiziani
però non credono, non per motivi razionali, ma perché non vogliono
credere. Le piaghe non distruggono solo fisicamente l'Egitto ma minano
alle radici le sicurezze e i punti di riferimento dell'Egitto. Questo è
talmente difficile da accettare che si può arrivare a negare la realtà. |
 |
Con
scelta di tempo degna di nota, tre giorni prima della visita del
Pontefice al Tempio di Roma, la Chiesa Cattolica critica la politica di
espansione edilizia condotta da Israele a Gerusalemme Est a maggioranza
araba. Secondo il lancio dell'agenzia Ansa da Gerusalemme, 14 Gennaio,
"a esprimersi una delegazione di presuli cattolici in missione in Terra
Santa. E' stata denunciata in particolare 'la politica di svuotamento
di Gerusalemme est dagli arabi residenti' attribuita allo Stato
ebraico, puntando l'indice contro quello che 'appare un approccio
discriminatorio e umiliante' dell'attuale governo israeliano verso i
palestinesi". La politica di Israele nei confronti dei territori
palestinesi è controversa e io stesso ho espresso le mie critiche in
varie occasioni. Ma non si può "puntare l'indice" e dunque
colpevolizzare Israele falsificando i dati. I dati sono questi: nel
1967, al momento dell'annessione israeliana di Gerusalemme Est, la sua
popolazione araba era di 71 mila (su un totale di 268 mila). Nel giugno
1983 gli arabi erano aumentati a 122 mila, alla fine del 2000 erano 209
mila, e all'inizio del 2010 sono 275 mila (su un totale di 780 mila).
Fin qui, dunque, lo "svuotamento di Gerusalemme Est dagli arabi
residenti". Ma se andiamo qualche chilometro a Sud, a Betlemme, lo
svuotamento della popolazione cristiana c'è e si vede. Chi comanda per
le strade di Betlemme non è Israele bensì l'Autorità palestinese. Per
l'islamizzazione della città della Natività la Chiesa Cattolica può
ringraziare chi a lungo è stato il suo leader spirituale appunto in
Terra Santa, il Patriarca Latino Monsignor Michael Sabah, che con la
sua arrogante posizione anti-israeliana ha incoraggiato senza riserve
il nazionalismo palestinese e ha finito per premiare il fondamentalismo
musulmano. E i Cristiani, minacciati e depredati, se ne vanno. Le
parole del Dialogo al Tempio (e la strage dei Copti in Egitto) invitano
a un'onesta riflessione nella Chiesa Cattolica. |
Sergio Della Pergola,
Università Ebraica di Gerusalemme |
 |
|
|
 |
|
|
torna su |
davar |
|
|
|
|
Equivoci e distorsioni sul sinodo dei vescovi del Medio Oriente
Il
19 Gennaio in preparazione del Sinodo dei Vescovi del Medio Oriente, la
Santa Sede ha pubblicato i Lineamenta, ossia le grandi linee della
politica Vaticana in Medio Oriente. Se Benedetto XVI ha evitato di
parlare di politica nella sua visita al Tempio Maggiore, questo
documento è pieno di politica, in generale anti-israeliana. Al
punto 18 è scritto: “L’occupazione israeliana dei Territori palestinesi
rende difficile la vita quotidiana per la libertà di movimento,
l’economia e la vita religiosa (accesso ai Luoghi Santi condizionato da
permessi militari concessi agli uni e agli altri, per motivi di
sicurezza)”. Si ignorano totalmente le ragioni che hanno spinto Israele
a istallare posti di controllo, ossia il terrorismo palestinese che pur
essendo fortemente diminuito, miete ancora vittime civili israeliane
come è accaduto pochi giorni fa. Al punto 63 è detto: “Causa di
questa ostilità è l’occupazione da parte d’Israele dei Territori
palestinesi e di qualche territorio libanese e siriano.” Ciò è falso
poiché anche quando finisce l’occupazione israeliana, continua
l’ostilità sia dei palestinesi sia dei paesi Arabi vicini (come il
Libano). Forse il paragrafo più importante da un punto di vista
ebraico è al numero 75 dove è detto fra l’altro: “La soluzione dei
conflitti è nelle mani del Paese forte che occupa un Paese o gli impone
la guerra. La violenza è nelle mani del forte ma anche del debole, che,
per liberarsi, può ugualmente ricorrere alla violenza a portata di
mano. Diversi nostri Paesi (Palestina, Iraq) vivono la guerra e tutta
la regione ne soffre direttamente, da generazioni. Questa situazione è
sfruttata dal terrorismo mondiale più radicale.” E’ qui riassunta la
dottrina politica del Vaticano di fronte al Medio-Oriente: la colpa è
tutta di Israele nemmeno nominato. Il Vaticano ritiene che Israele, che
è il più forte, occupa un paese non suo o impone la guerra, e dimentica
così le provocazioni, il lancio di missili sulle popolazioni civili
israeliane durante otto anni e gli atti terroristici. Il terrorismo
radicale sfrutta la situazione che ne deriva. Nulla è più falso nella
consecutio temporum delle guerre di Israele. Questi esempi tratti
da un lungo documento sono la prova dell’ostilità vaticana nei
confronti di Israele e della mancanza di equidistanza dai contendenti.
Ci domandiamo cosa ne guadagni la Santa Sede a non capire che di fronte
alla marea islamica e al terrorismo radicale, Israele costituisce una
barriera di difesa per i cristiani, altrimenti costretti a fuggire dal
Medio Oriente.
Sergio Minerbi, storico
Qui Torino - “A noi fu dato in sorte questo tempo” Primo, Luciana e i loro amici in una mostra straordinaria
Dalle
ricerche sulla deportazione femminile di Alessandra Chiappano nasce
un'esposizione che ricostruisce la vita di Primo Levi, Luciana Nissim,
e del loro giovane gruppo di amici torinesi prima della deportazione e
del lager. Realizzata dall'Istituto per la storia del movimento di
liberazione in Italia presieduto da Oscar Luigi Scalfaro, sarà
inaugurata alla presenza dell'ex presidente della Repubblica a Torino
il 26 gennaio. Lo stesso Napolitano ha ricevuto al Quirinale il
presidente dell'Insmli, Istituto Nazionale per la Storia del Movimento
di Liberazione in Italia, Oscar Luigi Scalfaro, presidente emerito
della Repubblica, che gli ha presentato la mostra “A noi fu dato in
sorte questo tempo 1938 - 1947”, realizzata nell'ambito delle
iniziative per il Giorno della Memoria 2010. Era presente anche la
vicepresidente dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane Claudia De
Benedetti. Il presidente delle Repubblica ha mostrato nel corso
dell'incontro interesse di portare l'iniziativa anche al Quirinale. La
mostra, prodotta dall'Insmli, è stata realizzata con il sostegno delle
Regioni Piemonte, Valle d'Aosta ed Emilia Romagna, promossa dal Museo
Diffuso della Resistenza, della Deportazione, della Guerra, dei Diritti
e della Libertà di Torino, con la collaborazione di numerosi enti e
fondazioni, e il patrocinio della Provincia di Torino, della Comunità
Ebraica di Torino, e l'adesione del Centro di Documentazione Ebraica
Contemporanea. All'incontro hanno partecipato la curatrice della
mostra, Alessandra Chiappano, il vicepresidente del Consiglio regionale
del Piemonte, Roberto Placido, i rappresentanti di tutti gli enti
organizzatori e due discendenti dei protagonisti della mostra, la
nipote di Vanda Maestro, che ne porta il nome, e il figlio di Franco e
Luciana Nissim, Alberto Momigliano. Ogni visitatore della rassegna sarà
fatto immedesimare con uno dei 13 protagonisti del gruppo, scegliendo
una fotografia all'ingresso della mostra. La foto è lo strumento per
attivare una serie di postazioni interattive e avere così accesso alle
informazioni che riguardano il personaggio scelto. I protagonisti sono
Levi e Missim, sopravvissuti al lager e autori dei due grandi classici
della letteratura sulla deportazione 'Se questo e' un uomo' e 'I
ricordi della casa dei morti, e i loro amici, che si chiamavano
Emanuele Artom, Vanda Maestro, Eugenio Gentili Tedeschi, Giorgio Segre,
Franco Momigliano, Giorgio Diena, Ada Della Torre, Silvio Ortona,
Alberto Salmoni, Bianca Guidetti Serra, Franco Sacerdoti. Quando le
loro vite furono sconvolte dai fatti della Seconda guerra mondiale,
erano tutti studenti o giovani laureati amanti della montagna, in gran
parte ebrei. Il loro primo luogo di ritrovo è stato la biblioteca della
Scuola ebraica di Torino. Travolti dalla storia, si dispersero.
Guidetti Serra, non ebrea, fece la staffetta a Torino e restò fino alla
fine della guerra il punto di contatto per gli amici ebrei. Tedeschi,
dopo il carcere ad Aosta operò con la banda Verraz e poi riparò in
Francia. Momigliano, Artom e Segre furono arrestati in Valle
Pellice. Artom morì sotto le torture, gli altri due riuscirono a
fuggire. Salmoni si unì alla banda di Ada Gobetti in Valle di Susa. Gli
altri furono internati nei lager, ma solo Primo Levi e Luciana Missim
riuscirono a sopravvivere. Dopo la guerra si ritrovarono e la vita
riprese impetuosa. Alcuni, come Bianca Guidetti Serra e Alberto
Salmoni, si sposarono tra loro. La mostra, finanziata dalla
Regione Piemonte, ha coinvolto anche la Valle d'Aosta e Emilia Romagna,
che la ospiteranno dopo Torino. Il 25 aprile arriverà a Fossoli presso
Carpi (Modena) dove resterà fino al 2 giugno. E infatti qui, dove si
trovava il più grande campo di transito italiano, che passarono Levi,
Missim e Vanda Maestro, arrestati insieme nei pressi di Saint-Vincent,
in Valle d'Aosta. Ed è al Forte di Bard (Aosta) che la mostra terminerà
il suo percorso la prossima estate. A presentare la rassegna,
oggi a Torino, la presidente della Regione Piemonte Mercedes Bresso, il
presidente del consiglio regionale Davide Gariglio, e il responsabile
del Comitato regionale Resistenza e Costituzione Roberto Placido.
L'iniziativa, hanno sottolineato, si rivolge soprattutto ai giovani,
cui racconta la storia di altri giovani «perché possano apprezzare che
la democrazia di cui oggi godono non è un regalo gratuito, ma il frutto di una conquista fatta di sacrifici e di lotta».
Qui Torino - Una settimana per la Memoria
Una
rete di iniziative, diverse strutture collaborano su un unico tema: la
Memoria. La Comunità Ebraica di Torino organizza, per il Giorno della
Memoria 2010, una serie articolata di eventi per ricordare e riflettere
sulla Shoah. La conferenza stampa organizzata dalla keilah subalpina
presenta le numerose collaborazioni avviate quest'anno con enti e
istituzioni che ha dato luogo a una vera e propria “settimana della
memoria”: con la Comunità polacca di Torino, il cui vicepresidente
Ulrico Leiss interviene per testimoniare i rapporti amichevoli che
intercorrono con la Comunità Ebraica, e con il Consolato Generale della
Repubblica di Polonia a Milano. Al centro delle iniziative in
collaborazione con i polacchi c'è la figura eccezionale di Bruno
Schultz, scrittore e pittore ebreo polacco nato in Galizia alla fine
del diciannovesimo secolo e ucciso nel ghetto di Drohobycz. Il 21
gennaio si terrà alle ore 16.00 presso il Teatro Ragazzi un corso di
formazione tenuto dagli studiosi Krystyna Jawaroska (Università di
Torino), Sarah Kaminski (Università di Torino), Guido Massino
(Università del Piemonte orientale) e Anna Salmon Vivanti, la
traduttrice per l'Italia di Bruno Schultz. Al termine del corso, alle
18, avrà luogo l'inaugurazione della mostra “L'epoca geniale di Bruno
Schultz”, un'esposizione dei suoi disegni, con letture a cura della
compagnia Onda Teatro. Ancora dedicata a questo illustre personaggio
sarà la lectio magistralis di domenica 24 gennaio alle 18 presso la
Comunità Ebraica tenuta da Jerzy Jarzebski (Università di Cracovia),
Krystyna Jaworska, Stefano Levi della Torre (Università di Milano) e
Anna Salmon Vivanti. Come dice Gad Lerner nel suo ultimo libro, “l'arte
di Schulz non teme il delirio, al contrario lo fa suo nell'animazione
con cui scuote la natura e perfino gli oggetti”. [...]
La versione integrale dell'articolo è sul Portale dell'ebraismo italiano moked.it
Qui Torino - 700 liceali in partenza col Treno delle Memoria
Mercoledì
20 gennaio, stazione Porta Nuova di Torino. I 700 ragazzi delle
superiori che affollano il binario 11 non passano inosservati. Sono
solo alcuni degli oltre tremila studenti provenienti da dieci regioni
italiane che, con il Treno della Memoria, raggiungeranno Cracovia. Il
Treno delle Memoria, quest'anno alla sue sesta edizione, è
un'iniziativa dell’Associazione Terra del Fuoco che punta a realizzare
un percorso di conoscenza ed educazione alla storia. Non si tratta di
viaggi di classe: i ragazzi che vi partecipano, quasi tutti
maggiorenni, sono singoli volontari. Partecipano ad un lavoro che dura
tutto l'anno scolastico, il cui culmine, il viaggio ad Auschwitz, è
preceduto e seguito da quattro incontri pensati per insegnare
l'importanza della memoria e per elaborarne i temi sotto molteplici
punti di vista. La conclusione del percorso sarà una celebrazione
collettiva del 25 Aprile. [...]
La versione integrale dell'articolo è sul Portale dell'ebraismo italiano moked.it
Qui Firenze - Il convento di Sant’Apollonia riapre al pubblico con la Memoria
Riapre,
dopo essere stato per lungo tempo oggetto di restauri, il bellissimo
convento di Sant’Apollonia, una volta vibrante cineforum e adesso
restituito alla cittadinanza sotto forma di auditorium. E lo fa con una
ricca rassegna di film dedicati alla Memoria, che saranno proiettati
nel trecentesco convento di via San Gallo fino all’inizio del mese
prossimo. L’iniziativa, organizzata dalla Regione Toscana con il
contributo di alcuni istituti bancari locali, è partita martedì sera
con il commovente La petite prairie aux bouleaux (Il boschetto delle
betulle) di Marceline Loridan-Ivens (nell'immagine durante le riprese
del film). Un film in gran parte autobiografico, in cui la regista
racconta il traumatico viaggio che Miriam, giornalista francese sui
settanta, fa nel campo dove era stata deportata da adolescente:
Birkenau, che per l’appunto significa “il boschetto delle betulle”. Tutto
nasce per caso. A distanza di quaranta anni dall’ingresso dell’Armata
Rossa ad Auschwitz, Miriam si ritrova insieme ad altri sopravvissuti in
una sala del Comune di Parigi per commemorare l’anniversario della loro
liberazione. Al termine della serata viene organizzata una tombola: il
premio che Miriam estrae è un biglietto aereo per Cracovia. Da quando è
finita la guerra, però, non ha mai avuto il coraggio di tornare in
Polonia. Il paese da cui, oltretutto, proveniva suo padre Salomon,
emigrato in Francia alla ricerca di “Libertè, Egalitè, Fraternitè” e
arrestato dai nazisti, che lo deporteranno nel giro di pochi giorni ad
Auschwitz. Dopo aver meditato a lungo se andare oppure no, decide di
partire per i luoghi in cui fu privata dell’innocenza. Sarà un viaggio
doloroso, durante il quale si confronterà con la generale indifferenza
della popolazione polacca e con una vita che, a poca distanza dal campo
della morte, continua a scorrere inesorabilmente. La scena più
emblematica è quella in cui l’avventore di un locale si avvicina ad
un’altra sopravvissuta chiedendole, senza apparente malizia, se quello
tatuato sul braccio è il suo numero di telefono. Ma sarà soprattutto un
viaggio che le permetterà di constatare in prima persona la scomparsa
quasi totale di una presenza ebraica in città. “C’è ancora qualche
ebreo in Polonia?” chiede Miriam a Gotek, il responsabile della
taverna-hotel Alef situata nel vecchio quartiere ebraico di Cracovia. E
per un attimo sembra Yitzhak Stern, il contabile di Schindler, che nel
capolavoro di Spielberg rivolge la stessa domanda al soldato russo a
cavallo. Solo che invece di Yerushalaim Shel Zahav e della marcia degli
oltre mille ebrei salvati dall’ex industriale nazista verso la luce e
la speranza, il suo è un percorso nelle tenebre. Attorno a lei si
muovono uomini soli, con una missione da compiere. Gotek, pur avendo
poco più di trenta anni, è la memoria storica della minuscola comunità
ebraica cittadina (un centinaio di persone). Nel suo registro si
trovano gli indirizzi delle abitazioni di proprietà degli ebrei prima
che venissero loro confiscate dai tedeschi. Anche quella in cui viveva
il padre di Miriam. E dove la figlia, vincendo la resistenza della
titubante padrona di casa, riesce ad entrare per qualche minuto:
probabilmente il momento più toccante dell’intero film. Nell’erba alta
di Auschwitz si aggira inoltre un giovane fotografo tedesco, “alla
ricerca di tracce” e depositario di un terribile segreto. Instaurerà un
rapporto speciale con l’ex deportata, arrivando a svelarle il suo
inconfessabile tormento nelle lacrime. E mentre spettri si muovono per
il campo, tra un kaddish e il suono triste di un violino, resta
impresso l’urlo di Miriam da una delle torrette: “Sono il numero 75750
e sono viva”. Lechaim
Auditorium di Sant’Apollonia (Giorno della Memoria) Via San Gallo 25/A Firenze Spettacoli ore 18.00 (Ingresso libero) 21/01 – Il giardino dei Finzi Contini 26/01 – Senza destino 28/01 – Arrivederci ragazzo 02/02 – Sobibor, 14 ottobre 1943 (ore 16.00) 05/02 – Lo specialista. Ritratto di un criminale moderno 09/02 – Train de vie
Adam Smulevich
Qui Venezia - Auschwitz, macchina di sterminio
Una
mostra fotografica per ricordare Auschwitz, luogo di morte, emblema del
massacro. Questa l’iniziativa promossa dall’amministrazione comunale di
Marcon in occasione del Giorno della Memoria 2010. La rassegna,
intitolata Destinazione Auschwitz, illustra in 18 pannelli la storia e
le fasi della persecuzione antiebraica in Europa e nello specifico in
Italia, il tutto accompagnato dalle testimonianze di alcuni
sopravvissuti come Liliana Segre, Goti Bauer, Shlomo Venezia e Nedo
Fiano. Una parte della mostra è dedicata alle ricostruzioni virtuali di
alcuni luoghi del lager, dalle piante degli edifici adibiti a forni
crematori, agli spogliatoi, ai bunker di Auschwitz-Birkenau. Il campo
riprende così vita davanti agli occhi del visitatore: le testimonianze
del massacro e delle tecnologie impiegate per perpetrarlo rappresentano
la prova che la Shoah non è stata una follia attuata da folli, ma un
freddo massacro pianificato con estrema lucidità. Presente
all’inaugurazione della mostra l’assessore alla Cultura Gianpietro
Puleo, che ha donato un piatto di Murrina con l’effigie del comune di
Marcon, per ringraziare l’associazione figli della Shoah per la
collaborazione nella realizzazione della mostra e per la disponibilità
nell’offrire i propri rappresentanti che interverranno nei prossimi
giorni per portare la loro testimonianza ai ragazzi delle classi terze
della scuola secondaria “Malipiero”. In occasione della prima
giornata di visite, a guidare i ragazzi in questo percorso, a tratti
impegnativo per studenti delle medie, si è resa disponibile Marina
Scarpa Campos, presidente della sezione veneziana dei “Figli della
Shoah” e con lei Lia Finzi che ha portato la sua testimonianza relativa
ai tragici eventi successivi alla promulgazione delle leggi razziali
nel 1938. Lia Finzi e la sua famiglia abitavano a Venezia ed erano
a tutti gli effetti una famiglia ebraica profondamente integrata nel
tessuto sociale cittadino. Nonostante appartenesse ad una famiglia
laica, Lia, sua sorella Alba e suo padre furono comunque perseguitati
dopo l’introduzione delle leggi razziali. Espulsa dalla scuola
elementare all’inizio dell’anno scolastico del 1938, Lia ha proseguito
gli studi alla scuola ebraica elementare del Ghetto di Venezia. Gli
ebrei diventarono presto cittadini di seconda categoria, furono
licenziati dai pubblici impieghi, radiati dagli albi professionali.
Alle grandi discriminazioni si sommarono le piccole umiliazioni di ogni
giorno come il divieto di frequentare la spiaggia del Lido o le scritte
sulle porte di alcuni locali pubblici: "vietato l’ingresso ai cani e
agli ebrei". La comunità dovette addirittura stampare degli elenchi
telefonici propri, poiché gli ebrei erano stati cancellati dagli
elenchi pubblici. Il 30 novembre del 1943 il ministro
Buffarini-Guidi emanò l'Ordine di Polizia n.5 in cui veniva annunciato
che tutti gli ebrei, residenti nel territorio nazionale, sarebbero
stati inviati in appositi campi di concentramento. Il 5 dicembre la
deportazione degli ebrei a Venezia: donne, vecchi, bambini. La maggior
parte decise di restare, ignara di quello che gli sarebbe successo,
alcuni fuggirono in campagna o si unirono ai partigiani, altri, come
Lia Finzi e la sua famiglia, tentarono di raggiungere la Svizzera.
Molti furono rispediti indietro alla frontiera, i più fortunati
riuscirono a passare il confine pagando cifre altissime ai
contrabbandieri. Per tutto il 1944 ci fu una vera e propria caccia
all’uomo, con uno stillicidio di persecuzioni e deportazioni da parte
delle SS e dei fascisti i quali prelevarono ebrei dagli ospedali di
S.Servolo, S.Clemente e dalla Casa di Riposo, deportati alla risiera di
San Sabba e ad Auschwitz. Più di 200 furono gli ebrei deportati e mai
più tornati. Con la liberazione i sopravvissuti tornarono a Venezia e
per anni rimasero in silenzio, cercando di negare anche a se stessi la
verità su ciò che avevano vissuto. Come negare che tra i cittadini di
quella città ormai estranea, c’erano anche i delatori che per pochi
denari avevano denunciato gli ebrei nascosti?
Michael Calimani
|
|
|
|
|
torna su |
pilpul |
|
|
|
|
Giusti
Il
27 gennaio, giorno della memoria, la RAI trasmetterà un documentario
sull'attività di salvataggio di ebrei svolta da funzionari del governo
italiano (diplomatici e militari) nei territori occupati dall'Italia
durante i primi anni della Seconda guerra mondiale. Il titolo è "50
italiani", e questo numero sembra evocativo della preghiera di Abramo
quando gli venne annunciata la distruzione di Sodoma e Gomorra: "Forse
vi sono 50 giusti, distruggeresti forse la città senza tener conto di
questi 50?" (Bereshit 18:21). Nella logica della Torà bastano 50 giusti
per salvare una città, anzi, come si vede nel seguito della discussione
con Abramo, ne basterebbero solo dieci. 50 giusti italiani hanno forse
salvato l'Italia dalla distruzione, ma di qui a dire che tutti gli
italiani sono stati giusti, "brava gente", ce ne corre.
Riccardo Di Segni, rabbino capo di Roma
Stavolta
Un
tempo ormai lontano la notizia sarebbe arrivata con un messaggero a
cavallo, come l'annuncio della data del secondo giorno di Pesach. Poi
la notizia si sarebbe sparsa, gridata nei ghetti come l'aveva gridata
il messaggero: "Il papa è andato al Tempio Maggiore di Roma e si è
incontrato con il rabbino". E un'altra voce avrebbe aggiunto, sempre
gridando: "Prima non era mai successo, e adesso è la seconda volta in
25 anni". Magari non ci avrebbe creduto nessuno, o solo i più ingenui,
perché le leggende sono incontrollabili. Ma ora, in 25 anni, è la
seconda volta che lo vediamo mentre succede - in televisione. Il
rabbino capo Di Segni e il papa Benedetto XVI erano seduti quasi
accanto e non vicini nel Tempio Maggiore di Roma, e sorridevano. E la
verità è che mentre sedevano quasi accanto e non vicini, senza
finzione, senza formalità, senza leggenda, su di loro era tracciato
quel segno irriducibile a finzione, formalità, leggenda che è il
sorriso sul volto umano. Come dice il poeta: "Un sorriso, quando è
sorriso, è sorriso per sempre".
Il Tizio della Sera |
|
|
|
|
torna su |
rassegna stampa |
|
|
|
|
|
|
|
|
|
Con
la fine dei lavori della Commissione bilaterale tra Santa Sede e Gran
Rabbinato di Israele si chiude anche la settimana che ha visto il
ritorno di un Papa nella sinagoga di Roma, a 24 anni di distanza dal
passo di Papa Giovanni Paolo II. Nella storica visita di domenica
scorsa è sembrato chiaro il grande sforzo di trovare punti in comune
per seguire lo stesso cammino. Così, mettendo da parte i temi caldi
come la beatificazione di Pio XII, le due rappresentanze hanno dedicato
gran parte dei lavori ad affermare l’importanza della salvaguardia
dell’ambiente (Osservatore Romano, Avvenire). Ma sui giornali è già il Giorno della Memoria. In attesa del 27 gennaio, ecco le prime riflessioni sul dramma della Shoah. Sul magazine Sette del Corriere,
Ernesto Menicucci va a rivivere i campi di sterminio con gli occhi dei
ragazzi. Il quotidiano, infatti, pubblicherà in allegato un libro
fotografico in cui saranno raccontate le espressioni e le emozioni di
tutti quegli alunni che ogni anno viaggiano verso la Polonia per
recuperare dai testimoni dell’inferno un pezzo di storia da ricordare.
Ad Auschwitz, intanto, è stata rimontata la scritta originale, rubata
poco più di un mese fa (Messaggero). Dall’Europa a Israele. Mentre la tennista Shaharm (Il Sole 24 Ore)
è sempre più contestata in tutto il mondo perché israeliana, costretta
ad abbandonare più di un campo da tennis, l’ex presidente libanese
Gamayel racconta al Messaggero:
“La tregua con Hezbollah è troppo fragile, possono riattaccarci. Dopo
l’alleanza con Hamas si rischia sempre di più una polveriera”.
Fabio Perugia |
|
|
|
|
torna su |
notizieflash |
|
|
|
|
Gli ebrei francesi alla ricerca del loro cognome d'origine Parigi, 20 gen - Rivendicano
il diritto di riacquistare il loro vero cognome ma si scontrano con un
netto rifiuto da parte del Consiglio di Stato. Accade in Francia.
Venivano derisi, vivevano in periodo di antisemitismo latente e
temevano un nuova Shoah, per questo molte famiglie francesi anche dopo
la Seconda guerra mondiale furono costrette a francesizzare il cognome.
Oggi, le nuove generazioni, vogliono riappropiarsene. Ma la legge in
Francia è a senso unico: è consentito agli stranieri che lo richiedano
di cambiare il proprio nome per sentirsi meglio integrati ma non il
contrario “in nome della immutabilità del cognome e della impossibilita
di adottarne uno a consonanza straniera” recita la legge del Consiglio
di Stato, che risale ad una legge arcaica dei tempi della Rivoluzione.
L'avvocato Nathalie Felzenszwalbe, che rappresenta l'associazione
la 'Forza del nome', sottolinea che questi francesi reclamano solo un
riavvicinamento simbolico alle loro radici, vogliono il recupero del
cognome come traccia concreta della storia spesso drammatica dei loro
genitori, e non hanno nessuna intenzione di rimettere in questione la
loro identità repubblicana. Perché, dice, il loro cognome dovrebbe
essere meno francese di quello dei baschi o dei bretoni? Il collettivo
intende avvalersi degli atti che riconoscono l'implicazione dello Stato
francese nella deportazione degli ebrei. La Francia, prosegue
l'avvocato, ha accettato di francesizzare i loro cognomi per riparare
in qualche modo ai torti che gli ebrei subirono durante il
collaborazionismo. Ma il Consiglio di Stato ha fatto già sapere di non
prevedere alcuna modifica alla legge e che esaminerà le domande di
ritorno alle origini caso per caso. |
|
|
|
|
|
torna su |
|
L'Unione
delle Comunità Ebraiche Italiane sviluppa mezzi di comunicazione che
incoraggiano la conoscenza e il confronto delle realtà ebraiche. Gli
articoli e i commenti pubblicati, a meno che non sia espressamente
indicato il contrario, non possono essere intesi come una presa di
posizione ufficiale, ma solo come la autonoma espressione delle persone
che li firmano e che si sono rese gratuitamente disponibili. Gli
utenti che fossero interessati a partecipare alla sperimentazione
offrendo un proprio contributo, possono rivolgersi all'indirizzo desk@ucei.it per concordare le modalità di intervento.
Il servizio Notizieflash è realizzato dall'Unione delle Comunità
Ebraiche Italiane in collaborazione con la Comunità Ebraica di Trieste,
in redazione Daniela Gross. Avete
ricevuto questo messaggio perché avete trasmesso a Ucei
l'autorizzazione a comunicare con voi. Se non desiderate ricevere
ulteriori comunicazioni o se volete comunicare un nuovo indirizzo
e-mail, scrivete a: desk@ucei.it indicando nell'oggetto del messaggio “cancella” o “modifica”. |
|
|