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L'Unione informa |
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10 febbraio 2010 - 26 Shevat 5770 |
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alef/tav |
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Adolfo Locci, rabbino capo di Paova |
Compiere
la Mitzwà della Milà è certamente emozionante, ma quando in una
famiglia è presente anche la "nonna" della "nonna" del bambino, allora
siamo di fronte ad un evento straordinario. Tanto si è scritto riguardo
la terza mitzwà della Torà, la sua importanza e la sua peculiarità, ma
molto interessante è un pensiero di Rabbì David Zakut Modena, Av
Bet Din della Comunità di Modena (XIX secolo). Rabbi David, nella sua
opera Zekher David, si chiede perché il Signore abbia stipulato con
Avraham Avinu il Berit Milà dopo il Berit ben habetarim
(attraverso il quale fu decretato l'esilio in Egitto). Egli rispose
che attraverso la mitzwà della Milà, che sancisce l'ingresso nel
"mondo delle mitzwoth", siamo predisposti per ottenere il sostegno di
Dio contro "il giogo delle nazioni". Tuttavia, per far sì che
tale predisposizione risulti efficace, dobbiamo sì "entrare" nel
mondo delle Mitzwoth, ma soprattutto saperci "rimanere". Un personale e
sentito Mazal Tov al piccolo Avraham Chay, al papà Yaakov e alla
mamma Simchà. |
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Esiste un solo luogo al mondo dove si mangia insalata tre volte al giorno, ma mai lattuga. |
Guido Vitale, giornalista |
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Qui Milano - Rav Arbib: "I silenzi di Pio XII fanno ancora male"
L'esito
dell’evento non era affatto scontato, anzi, presentava un certo margine
di rischio. Ma a conti fatti devo dire che considero il bilancio finale
positivo. Ho apprezzato il grado di autenticità, il tono a tratti
vibrante dell’incontro e l’impronta di ferma autorevolezza che i
discorsi del presidente Riccardo Pacifici e di Rav Riccardo Di Segni
hanno saputo imprimere all’evento. La misura e il coraggio delle loro
parole erano notevoli, sono stati capaci di dire tutto e di dirlo bene,
senza risparmiare nessun aspetto sul tappeto, né eludere nessuna
questione aperta”. A parlare così è il Rabbino Capo di Milano, Rav
Alfonso Arbib, reduce dallo storico evento avvenuto nella Sinagoga di
Roma il 17 gennaio scorso, l’incontro di Papa Ratzinger con gli ebrei
d’Italia, la seconda visita di un pontefice dopo quella memorabile di
Papa Wojtila il 13 aprile 1986. Qual è secondo lei il cuore del discorso di Benedetto XVI? È
stato molto importante quanto detto dal Papa sull’alleanza
irreversibile tra ebrei e Dio. Da un punto di vista della teologia
cattolica è stato toccato un punto fondamentale, figlio del Concilio
Vaticano II, ma un figlio non così scontato: ovvero quello che
liquidava una volta per tutte la teologia della sostituzione che per
secoli aveva propugnato la sostituzione dell’ebraismo con il
cattolicesimo in quanto Verus Israel. Aver archiviato la teologia della
sostituzione, averne ribadito l’obsolescenza e aver sottolineato di
contro l’alleanza irreversibile tra Dio e il popolo ebraico è un fatto
non da poco, specie perché avviene dopo il controverso reintegro della
preghiera del Venerdì Santo, voluta dallo stesso Benedetto XVI. Dopo la visita del 17 gennaio si potrà dire che sia davvero cambiato qualcosa in fatto di dialogo inter-religioso? No,
non sostanzialmente. Cominciamo a dire che il dialogo ebraicocristiano
dura da pochi decenni e viene dopo secoli di incomprensioni, tragedie,
disprezzo. Tutto ciò non si cancella con un colpo di spugna. Quello che
invece credo è che la visita del 17 gennaio possa produrre qualche
semplice ma importante risultato. Il primo è un argine chiaro e netto
alle spinte anti-giudaiche, una forte limitazione dell’antigiudaismo
cattolico che era un tempo diffusissimo e che i decenni di dialogo
hanno contribuito a limitare fortemente ma non è sempre del tutto
dimenticato oggi. Un risultato questo da non sottovalutare, una presa
di posizione estremamente importante. Secondariamente, c’è da dire che
non è stata chiesta solo l’apertura degli Archivi storici vaticani
circa la vicenda della beatificazione di Pio XII. Un’altra cosa
significativa, avvenuta nel colloquio privato con rav Riccardo Di
Segni, è stata la richiesta di accedere agli Archivi delle istituzioni
cattoliche in merito ai bambini salvati dalla Shoà e convertiti al
Cristianesimo e poi “dispersi”, finiti chissà dove, molti mai
restituiti alla fede ebraica. Che fine fecero questi bambini? Il Papa,
in sede privata, ha mostrato grande comprensione per la vicenda. Terzo
punto importante: il gesto di fermarsi davanti alla lapide che ricorda
la razzia del 16 ottobre 1943 e il fatto che il Papa abbia
espressamente richiesto di incontrare i feriti dell’attentato avvenuto
a Roma nel 1982, quello che uccise il piccolo Stefano Tachè. Così
facendo Ratzinger ha espresso una decisa condanna non solo
dell’antisemitismo di ieri ma anche di quello di oggi, pericolosamente
contemporaneo. Infine, mi sembra di grande valore il fatto che
Benedetto XVI abbia ribadito lo spirito del Concilio Vaticano II
dicendo che quella fu una pietra miliare da cui non si torna più
indietro. Eppure il Pontefice,
nel suo discorso, non ha fatto cenno alla questione della
beatificazione di Pio XII e non ha mai nominato lo stato d’Israele
parlando sempre e solo di Terra santa... La Chiesa ha
molte contraddizioni al suo interno e non sarà certo una visita in
Sinagoga a porvi rimedio. Certo quello di Pio XII rimane un problema,
il suo silenzio, la sua scarsa sensibilità verso gli ebrei restano
ancor oggi un tasto molto doloroso. Ma attenzione: non è certo questa
una faccenda nuova, sono decenni che si parla della beatificazione di
Pio XII, la vicenda inizia addirittura con Papa Paolo VI ed è
proseguita finora attraverso altri tre pontificati anche se
indubbiamente il riconoscimento delle “virtù eroiche” di Papa Pacelli a
pochi giorni dalla visita ha rappresentato un’aggravante della
questione. Ad oggi, la scelta dell’ebraismo italiano è stata quella di
protestare, di esprimere fermamente la propria contrarietà ma senza
considerare che questo specifico motivo fosse una ragione sufficiente
per interrompere il dialogo. Anche il mancato riferimento a Israele
rappresenta indubbiamente un problema. C’era in ballo anche un’altra importante questione, quella della preghiera del Venerdì Santo... C’è
da dire che la faccenda si era chiusa già qualche tempo fa con una
specie di compromesso: la Cei aveva sostenuto che il riferimento alla
“conversione dei giudei” fosse qualcosa che rimandava a tempi
escatologici, alla fine dei giorni e al giorno del Giudizio, non
all’oggi, non al qui e ora, non all’attualità. Alla vigilia, molte erano le perplessità circa questo incontro. Guardi,
l’analisi e i dubbi circa questa visita erano in verità condivise da
tutti, con una unità di vedute come di rado è accaduto nel nostro mondo
ebraico. Era sulla prassi, sul da farsi che le posizioni divergevano.
C’è chi pensava che la visita andasse sospesa, chi ha scelto di non
venire... Pur con tutti i dubbi credo che la visita non andasse
annullata. La decisione avrebbe prodotto risultati gravi. A posteriori
ritengo che l’esito dell’incontro sia oggi da considerarsi senza dubbio
positivo. Inoltre ribadire le nostre posizioni è stato importante,
anche se, inutile negarlo, molte risposte da parte cattolica devono
ancora arrivare.
Fiona Diwan (Bollettino della Comunità ebraica di Milano, Febbraio 2010)
Qui Milano - Hofmann: "Tutta l'emozione di vivere un momento storico"
Un
incontro quanto mai atteso. Non solo per l’ovvia importanza ma anche
per le fasi che lo hanno preceduto, tensioni e apprensioni che tutti
noi abbiamo vissuto prima dell’incontro fra la Comunità romana e Papa
Benedetto XVI . Un evento la cui solennità e portata erano evidenti. E
invece lì, al momento, dentro al Tempio, tutto è stato diverso: il
clima di intensa concentrazione, l’empatia partecipativa sentita da
tutti durante ogni passaggio, hanno contribuito al formarsi di un
atmosfera calorosa e piena di rispetto reciproco. L’emozione di vivere
un momento storico era palpabile e grande è stata la compostezza e la
misura dei rappresentanti della Comunità di Roma, sia nell’accoglienza
del Papa che nei discorsi, che non hanno tralasciato nessun problema
sul tappeto (impeccabile l’organizzazione). Si percepiva nell’aria la
speranza che questo incontro potesse aggiungere qualcosa, non importa
quanto, alla comprensione da parte della Chiesa di ciò che è
l’immensità del patrimonio dell’Ebraismo in termini etici e spirituali,
non solo in fatto di sofferenze. Commovente è stato intercettare gli
sguardi dei sopravvissuti, soprattutto in alcuni passaggi
dell’intervento di Riccardo Pacifici. E poi lo sguardo di Benedetto XVI
, il suo discorso pronunciato in tono accademico ma partecipato e
profondo, intercettando più volte lo sguardo del Rabbino Capo rav
Riccardo Di Segni o rivolto al pubblico. Probabilmente questo incontro
non segnerà un passo significativo nel superamento delle questioni sul
ruolo storico di Pio XII durante la guerra e non ha la portata storica
e simbolica dell’incontro che fu tra rav Elio Toaff e Giovanni Paolo II
(il primo dopo duemila anni di sofferenze e di pregiudizio anti
ebraico). Ma ho avvertito la sensazione netta di uno sforzo: il
tentativo di cercare con serietà e profondità le comuni radici
religiose, storiche ed etiche, sia pur nella diversità, ma con pari
dignità. Cosa accadrà a partire dall’indomani di questo incontro e come
cambierà il rapporto fra la Chiesa e l’ebraismo?. Troppo presto per
dirlo. Sarà responsabilità dei protagonisti disegnare una nuova mappa
dei rapporti tra le due fedi. Il percorso di intesa va avanti. La
presenza dei musulmani al Tempio non ha fatto che sottolinerare lo
spirito che si è voluto dare all’incontro e alla necessità di un
rapporto proficuo fra le grandi religioni monoteiste.
Riccardo Hofmann, Consigliere dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane (Bollettino della Comunità ebraica di Milano, Febbraio 2010)
Qui Milano - Rav Laras: "Dal papa, nessuna parola riparatrice"
A
seguito della visita di Benedetto XVI alla Sinagoga di Roma, è
probabilmente arrivato il momento di trarre qualche riflessione”,
esordisce Rav Giuseppe Laras, “il grande assente” dell’incontro tra
Papa Ratzinger e gli ebrei di Roma. Presidente dell’Assemblea Rabbinica
Italiana, rabbino emerito della Comunità di Milano dopo aver ricoperto
per 25 anni la carica di Rabbino capo, professore emerito di Storia del
pensiero ebraico all’Università di Milano, Rav Laras è da trent’anni
una delle figure chiave del dialogo inter-religioso ebraico-cristiano. Lei non ha mai nascosto le sue posizioni circa questa visita. Su che cosa si basava il suo dissenso? L’intervento
del Papa in sinagoga non presentava alcun particolare elemento
innovativo rispetto a quanto ci si attendeva e rispetto alle
dichiarazioni ufficiali della Santa Sede degli ultimi anni circa il
dialogo con gli ebrei. Il discorso papale, pur ribadendo la condanna
dell’antisemitismo da parte della Chiesa Cattolica, non ha aggiunto
nulla di nuovo. Soprattutto da parte del Papa non vi sono state parole
chiarificatrici e riparatrici in relazione alle polemiche suscitate in
tutto il mondo ebraico a seguito proprio delle iniziative sottoscritte
dallo stesso Benedetto XVI in questi ultimi anni (il rito cattolico
dell’Oremus; la revoca della scomunica ai Lefevriani; la questione di
Pio XII), che inevitabilmente hanno complicato e reso più difficoltoso
il dialogo tra ebrei e cristiani. Per quanto riguarda l’accenno del
Papa al fatto che, nel corso della Shoà, siano stati salvati degli
ebrei, su istruzione della Santa Sede, anche questo era un fatto noto.
Il suo discorso però non allontana affatto alcuni interrogativi molto
seri. Mentre gli ebrei, perseguitati in tutta Europa, morivano a
milioni, Pio XII ha mantenuto un assordante silenzio che è perdurato
anni: perché? Può, in quel contesto drammatico, e specialmente
considerate l’importanza, l’autorevolezza e l’universalità del ruolo
del Papa, tale silenzio essere compatibile con le citate “virtù
eroiche”? Perché ha deciso di non partecipare all’incontro? Circa
la mia assenza, su cui molti hanno disquisito a sproposito, vorrei
precisare che essa non è stata motivata dalla volontà polemica di fare
dispetto a qualcuno. Il vero motivo è che io ho ritenuto doveroso
esprimere i miei sentimenti, ritenendo con ciò di dare voce anche a
quelli di molti altri ebrei. Di fronte alle proclamate “virtù eroiche”
di Pio XII, annunciate dal Papa alla quasi vigilia della visita, e
considerati anche i precedenti incidenti cui accennavo, ho espresso i
miei sentimenti di “figlio della Shoà”, che ha sofferto sulla propria
pelle personalmente e familiarmente le persecuzioni nazifasciste. Ho
quindi ritenuto impossibile per me, date queste premesse, presenziare
all’evento. Vorrei precisare che, ovviamente, non ho mai ritenuto che
venisse annullata o rinviata la visita papale, ma più semplicemente
volevo che si pretendesse da parte nostra una chiara dichiarazione
della Santa Sede che dimostrasse di aver compreso il nostro disagio e
le nostre riserve, cosa che non è avvenuta. L’avvio annunciato del
processo di beatificazione di Pio XII, elevandolo così a modello morale
da imitare, immediatamente a ridosso della visita, è stato e rimane una
grossa mancanza di sensibilità nei nostri confronti. Qual è adesso il suo giudizio? A
“effetti speciali” conclusi e a telecamere spente, resta
importantissimo il dialogo con i cattolici e con i cristiani in genere.
Dialogo che deve necessariamente coinvolgere sempre più persone di
buona volontà di entrambe le comunità, e che possibilmente si apra
anche all’Islàm.Solo il coinvolgimento e l’avvicinamento delle
rispettive basi, potrà portare un significativo e reale miglioramento e
arricchimento dei rapporti, costituendo così un’efficace baluardo
contro antisemitismo e antigiudaismo. Ed è questo che conta.
Fiona Diwan (Bollettino della Comunità ebraica di Milano, Febbraio 2010)
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Israele e la legittima difesa
La
recente visita di Berlusconi in Israele e Palestina (con la pubblica
giustificazione del premier, nel discorso alla Knesset, dell’operazione
militare a Gaza e le sollecitazioni, da parte palestinese, per una
condanna della barriera difensiva) hanno, per l’ennesima volta,
riacceso l’attenzione sulla liceità delle misura di difesa prese dal
governo israeliano. Che ciascuna di queste opzioni (barriera, arresti,
incursioni, guerre, esecuzioni mirate ecc.), sia, di volta in volta,
opinabile e criticabile, è ovvio, e in nessun Paese come Israele
qualsiasi atto di forza o di prevenzione è sottoposto a un severissimo
giudizio di legittimità e opportunità, in sedi disparate, ciascuna del
tutto indipendente dalle altre (comandi militari, magistratura, Corte
Suprema, Parlamento, stampa ecc.). Fra le varie scelte, l’unica
che non venga mai menzionata, e tanto meno criticata, è quella
dell’inerzia: nessuno, infatti, si chiede se sia accettabile,
politicamente e moralmente, che un Paese democratico non muova un dito
a difesa della vita dei suoi cittadini. Come disse il Presidente della
Corte Suprema, Aharon Barak, la democrazia è l’arte di difendersi con
una mano legata dietro la schiena. Certo, per nemici e
‘antipatizzanti’, se fossero legate tutte e due sarebbe meglio, e, ai
bersagli di razzi e kamikaze, il governo israeliano potrebbe rispondere
col titolo del fortunato romanzo della Mazzantini: “non ti muovere”.
Francesco Lucrezi, storico
“Elton John non andare in Israele", pressioni sul cantante
Caro
Elton John non suonare in Israele, è uno stato razzista. Questo il
sunto della lettera inviata alla celebre pop star inglese da un gruppo
di accademici britannici. “Politico o no, quando salirai su quel palco
a Tel Aviv, ti sarai schierato dalla parte di uno stato razzista”,
scrive il Comitato britannico per le università in Palestina, che
chiede al cantante di cancellare la data israeliana del 17 giugno. “Ti
comporti come se suonare in Israele sia moralmente neutrale - si legge
nella lettera aperta - ma come può esserlo? Come può la crudeltà delle
azioni di Israele contro i palestinesi (fondamentalmente perché i
palestinesi sono lì, sul suolo palestinese, e Israele li vuole
cacciare) essere moralmente neutrale?”. Poi il richiamo al controverso
rapporto Goldstone sull’operazione Piombo fuso, condotta dall’IDF fra
il dicembre 2008 e gennaio 2009 “per favore leggi ciò che il giudice
Goldstone ha detto a proposito del massacro a Gaza, cosa Amnesty
International e Human Rights Watch hanno detto per decenni sui crimini
commessi contro i palestinesi”. Questo non è il primo caso di
boicottaggio. Prima di Elton John, un’altra celebre star internazionale
è stata oggetto di pressioni da parte di gruppi anti-israeliani. Carlos
Santana, infatti, due settimane fa ha cancellato il suo concerto al
Bloomfield Stadium di Jaffa. La motivazione ufficiale non è nota.
Secondo alcuni organizzatori, Santana avrebbe ricevuto il chiaro
messaggio di “evitare la data israeliana”. Dello stesso parere il
produttore Shuki Weiss, promotore dell’evento: “Dalle nostre indagini
risulta che Santana abbia ricevuto messaggi da figure contro Israele
che facevano pressione perché annullasse lo show. Naturalmente,
dall’altra parte nessuno ha fatto riferimento a qualsiasi connessione
tra queste pressioni e la cancellazione dello show, ma noi siamo sicuri
questa connessione esista e sia molto stretta ". Intanto
l’organizzazione filo palestinese, nelle cui fila, stando a Ynetnews,
vi sono membri israeliani ed ebrei, auspica che Elton John segua le
orme di Santana. “Purtroppo - sostiene il presidente del Comitato, Haim
Bresheeth - non siamo riusciti a convincere Paul McCartney - né Leonard
Cohen - ad annullare il suo concerto, ma noi continueremo a prendere
provvedimenti simili, al fine di evitare che questi artisti
rispettabili vengano in un paese occupante che viola il diritto
internazionale. La decisione finale è nelle mani degli artisti stessi”.
La parola ad Elton John, dunque.
Daniel Reichel |
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L’Iran ci attacca? E’ un buon segno […]
Il nostro Paese è stato attaccato diplomaticamente sulla frase di
Berlusconi che affermava di fronte al Parlamento d’Israele, l'unico
Paese dell'Onu minacciato di morte da un altro Stato membro dell'Onu,
che è nostro dovere sostenere l'opposizione iraniana e insieme,
difendere la vita di Israele. Sinceramente, dà una bella soddisfazione
che ci sia avvenuto: è una conferma che l'Italia si è mossa con
determinazione e pungendo nel vivo un Paese che impicca i dissidenti e
gli omosessuali, che prepara la bomba atomica, che minaccia di
distruzione il popolo ebraico. È una medaglia al valore. Dobbiamo
aggiungere che, mentre si discutono le sanzioni, sia il ministro degli
esteri Frattini che il presidente Berlusconi hanno dichiarato che il
volume di affari con l'Iran è diminuito di un terzo nel giro di un
anno: un'intrinseca adesione alla necessità - ormai finalmente presente
anche nel resto dell' Europa, secondo le dichiarazioni di Westerwelle e
di Kouchner - di procedere a sanzioni decise, che forse non piegheranno
l'estremismo degli ayatollah, ma daranno il chiaro segnale
all'opposizione che il mondo desidera un cambio di regime e che esige
la fine della sfida atomica iraniana. Adesso che gli anni, per
la precisione dai 2003, ovvero dalle prime trattative con un cauto
Solana, ci hanno detto che la politica della mano tesa non funziona, ci
sono molte cose che possono dimostrare la nostra determinazione, prima
che le cose prendano una strada definitiva. Ci indica una delle vie
l'iniziativa del premio Nobel Elie Wiesel, che ha raccolto 40 firme di
premi Nobel per chiedere che Ahmadinejad venga sottoposto al giudizio
della corte penale internazionale dell' Aia con l'accusa di aperto
incitamento al genocidio. E un segno di mobilitazione internazionale
che, mentre l'Iran attacca l'Italia, la Germania, la Francia, l'Olanda,
per ora solo con dimostrazioni davanti alle loro ambasciate, chiama in
causa tutta la comunità internazionale ad una mobilitazione efficace
contro quello che unanimemente viene ormai ritenuto il maggior pericolo
dei nostri tempi. Non solo parole dunque e condanne rituali, ma atti
politici, economici e, se sarà il caso, militari contro il tiranno di
Teheran che ha dichiarato guerra anche all'Italia. Fiamma Nirenstein, Il Giornale, 10 febbraio 2010
Italia-Israele, rapporto sempre più solido Il
primo ministro italiano, Silvio Berlusconi, s'è reso responsabile di
atti servili verso i padroni israeliani ed è giunto ad affermazioni
faziose contro l'Iran e ad aperta giustificazione dei motivi che hanno
indotto l'esercito israeliano alla ingiustificabile guerra contro Gaza
. L'Agenzia televisiva iraniana di Stato Irna, con tali irritate note,
ha teso sottolineare la piena discutibilità dei giudizi e degli appoggi
a favore del tanto minacciato Israele, espressi dal capo del governo
italiano nel suo discorso alla Knesset. Tali attacchi contro la
politica di amicizia dell'Italia verso lo Stato ebraico, dimostrata
negli atti e nelle ferme affermazioni del premier, non hanno avuto
alcun potere di intimorire nessuno. Queste indebite ingerenze nella
politica estera italiana, invece, hanno provocato la giusta risposta da
parte del ministro degli Esteri, Franco Frattini. Il ministro, nella
nota, specificava il fatto che le affermazioni espresse a Gerusalemme
dal capo del governo rientravano nel bagaglio di tutti gli italiani,
nei loro valori di verità, libertà e democrazia che vedono nella Shoah
una grande tragedia epocale, frutto del folle odio umano . Risuona
altamente evidente come sia riuscito a suscitare le ire dei mullah il
pieno rigetto, da parte degli italiani, del negazionismo da Teheran
così ampiamente alimentato. Questa affermazione storica e civile,
sgorgante dagli atti del governo italiano, in aperto contrasto con i
silenzi e le compiacenze dei governi italiani precedenti, è stata come
un vero e proprio fulmine a ciel sereno per le sanguinarie teocrazie
iraniane abituate a tutt'altro atteggiamento. […] […] La visita in
Israele, da parte del capo del governo italiano, è stata una vera e
propria pietra miliare, che ha posto chiara e forte la verità
ineludibile di un Iran in fase ultimativa dell'apprestamento
dell'armamento nucleare, di un Paese aggressivo e dittatoriale che pone
in pericolo il mondo. Non è più possibile, per nessuno, secondo le
affermazioni del premier italiano, continuare a tollerare questa corsa
forsennata all'arma atomica, queste continue minacce all'esistenza
dello Stato d'Israele e questo insieme di ricatti e minacce infami che
la cricca iraniana lancia al mondo. Le decise affermazioni del
presidente Berlusconi debbono fare da sprone a tutto il mondo libero,
affinché le forze della prepotenza, i finanziatori del terrorismo
internazionale e i revanscisti nazisti islamici siano fermate: non ci
si può più permettere di ripetere gli errori e le viltà di Monaco
38. […] Franco Marta, Avanti, 10 febbraio 2010
Usa e Israele: "Subito le sanzioni” L'Iran ha annunciato ieri l'avvio del processo per l'arricchimento dell'uranio ai 20%. […] […]
La replica di Stati Uniti e Israele all'annuncio di Natanz è stata
durissima. Sia il presidente americano Barack Obama che il premier
Benyamin Netanyahu hanno ritenuto che l'iran si stia muovendo verso la
fabbricazione di ordigni nucleari. L'inquilino della Casa Bianca ha
aggiunto che l'Occidente metterà al varo una gamma significativa di
sanzioni nei confronti del Paese mediorientale entro le prossime
settimane. Il governo israeliano si è schierato dal canto suo a favore
di sanzioni immediate e paralizzanti . […] S.Ran-D, Il Messaggero, 10 febbraio 2010
"Non piangerei se Ahmadinejad fosse ucciso” New
York - «Cari presidenti Obama, Sarkozy e Medvedev, caro primo ministro
Brown e cancelliera Merkel, per quanto tempo ancora possiamo restare a
guardare con le mani in mano il compimento dello scandalo in Iran?».
Comincia così l'accorato appello pubblicato ieri sull'International
Herald Tribune dalla Elie Wiesel Foundation for Humanity, nello stesso
giorno in cui, intervistato dalla Radio militare israeliana, l'82enne
premio Nobel dichiara che «se il presidente iraniano Abmadinejad fosse
assassinato, non verserei una sola lacrima». Mentre Teheran alza i toni
dello scontro, minacciando direttamente i leader occidentali, lo
scrittore e attivista sopravvissuto alla Shoah non esita a proporsi
come guida morale nella crociata per fermare «il crudele e oppressivo
regime iraniano». «Le minacce a Berlusconi confermano l'urgenza del mio
messaggio», spiega Wlesel, che promette di «rivolgersi presto anche
alla Cina, grande ostacolo alle sanzioni Onu e per noi un caso a
parte». […] Alessandra Farkas, Il Corriere della Sera, 10 febbraio 2010
“Meglio morto che allenare Israele” L'ultima
crociata di Hassan Shehata, il ct dell'Egitto fresco vincitore della
terza Coppa d'Africa consecutiva, è contro Israele: «Meglio morire di
fame piuttosto che allenare la nazionale israeliana. Così parlò
«baffone» Shehata al quotidiano arabo al Massi al Youm due giorni fa a
Dubai, per commentare la notizia che a Tel Aviv hanno pensato di
affidare a lui la Nazionale. E' stato un famoso giornalista israeliano,
Daniel Shahah, a spiegare come si è arrivati alla soluzione Shehata:
«Il presidente della Lega ha formato una commissione per scegliere il
futuro ct della Nazionale e Shehata è sembrato il candidato più adatto
ha grande personalità e sa gestire i campioni». […] […] Il
retroscena Ma Shehata, che ha detto no anche alla Nigeria, ha respinto
l'offerta con una dichiarazione durissima nei confronti dello stato
ebraico: «Per tutta la mia vita ho sentito dire che Israele uccide i
nostri figli e le nostre donne, che bombarda città e villaggi. Questa è
la prima volta che sento dire che Israele gioca a calcio. E' assurdo
solo pensare che io possa allenare la squadra di questo Pese. Se
Israele fosse l'ultima squadra al mondo, piuttosto abbandonerei la
professione». […] Stefano Boldrini, La Gazzetta dello Sport, 10 febbraio 2010
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Radiotelevisione iraniana, lettera aperta al ministro Frattini Teheran, 10 feb - Ancora
attacchi dall'Iran. Il sito in italiano della radiotelevisione di Stato
iraniana ha pubblicato stamane una lettera aperta indirizzata al
ministro degli Esteri Franco Frattini. Soffermandosi in particolare
sull'affermazione del capo della Farnesina secondo la quale i
manifestanti davanti all'ambasciata italiana erano miliziani Basiji in
borghese, nella lettera si afferma che i Basiji non hanno "paura di
dichiarare quello che fanno". "Caro Ministro Frattini - si legge ancora
nella lettera - gli studenti iraniani presero l'ambasciata americana e
mantennero prigionieri per 444 giorni i diplomatici americani; perché
si dovrebbero travestire, hanno paura di voi? Siete più forti degli
americani?". "La polizia iraniana - aggiunge il sito - ha impedito
danni alla vostra ambasciata ed ha solo acconsentito che gli studenti
intonassero i loro slogan come è giusto che avvenga in una democrazia;
vuole che impediamo le manifestazioni?". Quanto infine alle proteste
dell'opposizione in Iran, nella lettera a Frattini si afferma che "in
Italia, molto probabilmente per via delle pressioni asfissianti di
Stati Uniti e Israele, si è costretti ad assumere politiche
anti-iraniane in occasione dei disordini post-elettorali". |
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delle Comunità Ebraiche Italiane sviluppa mezzi di comunicazione che
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indicato il contrario, non possono essere intesi come una presa di
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Il servizio Notizieflash è realizzato dall'Unione delle Comunità
Ebraiche Italiane in collaborazione con la Comunità Ebraica di Trieste,
in redazione Daniela Gross. Avete
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