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    15 febbraio 2010 - 1 Adar 5770  
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Moked - il portale dell´ebraismo italiano
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  Riccardo Di Segni, rabbino capo di Roma Riccardo
Di Segni,

rabbino capo
di Roma
"Non farti corrompere, perchè la corruzione acceca le persone intelligenti e falsifica le parole dei giusti" (Esodo 23:8). Spiega Iashar (Izchaq Shemuel Reggio): come la vista è metafora del cuore e del giudizio lucido, così al contrario la cecità rappresenta la mancanza di chiarezza, nel senso che la corruzione devia il cuore dell'uomo dalla via della giustizia e indebolisce la luce dell'intelletto, al punto che la persona intelligente, opposta al cieco, non vede più la verità delle cose e considera distorte e false le parole dei giusti.  
Delizioso il saggio inedito del 1950 di George Orwell che il Corriere di ieri pubblicava nella sua pagina culturale. "Quanto costano i libri rispetto agli altri passatempi, come il fumo e l'alcol", si domanda lo scrittore, sfatando con calcoli meticolosissimi l'idea corrente nel 1950 (e ancora oggi molto diffusa) che i libri siano troppo cari. Se leggiamo poco, sosstiene, non è perchè i libri siano troppo cari, ma "perché la lettura è un passatempo meno allettante dell'andare alle corse dei cani, al cinema, o al pub". In sessat'anni le cose sono molto cambiate, ma in peggio. Ma trovo straordinario chiamare la lettura un passatempo. Credo che siano in pochi a pensarla così.
Anna Foa,
storica
Anna Foa, storica  
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  Qui Torino - L'arcivescovo in sinagoga

TorinoProsegue il percorso del dialogo tra gli ebrei italiani e la Chiesa cattolica. Sulla scia della traversata del Tevere di papa Benedetto XVI, il cardinale Severino Poletto, arcivescovo di Torino, si recherà in visita alla Comunità ebraica della città. Ad accoglierlo, nella mattinata di domani, saranno il rabbino capo Alberto Somekh e il presidente Tullio Levi. Saranno presenti anche, a testimoniare l'importanza dell'evento, l'Associazione Amicizia ebraico-cristiana e il Comitato Interfedi. Il cardinale avrà modo, per la prima volta nella storia delle relazioni interreligiose del capoluogo piemontese, di visitare le due sinagoghe. L'incontro si concluderà nelle sale dell'Archivio Terracini, ove è custodito il patrimonio storico della Comunità. Al cardinale saranno mostrati alcuni oggetti e documenti dell'antichissimo ebraismo piemontese, tra cui due segnaofferte del XVIII secolo, un libro del rito Apam delle Comunità di Asti, Fossano e Moncalvo, e alcuni discorsi del Rav Dario Disegni scritti a mano da lui durante la guerra.
“I rapporti tra noi e la Chiesa vanno sempre più in direzione del rispetto reciproco, sostiene Tullio Levi. Questo fatto è significativo: da un lato s'inserisce nella lotta al pregiudizio antisemita di matrice cattolica, e dall'altro funge da esempio in questa società multietnica. La minoranza ebraica è nella posizione di dimostrare alle altre che, sulla base della condivisione di alcuni principi civili, l'integrazione è un obiettivo raggiungibile, e che è fruttuosa per tutti”.
La distensione dei rapporti con le gerarchie vaticane deve molto all'ambasciatore israeliano presso la Santa Sede, Mordechay Lewy. “È stato lui – dice Levi – a sollecitare questo incontro, finora mai avvenuto”.
E i nervi scoperti, le tante questioni irrisolte, su tutte la beatificazione di Pio XII? In che termini saranno affrontate? “Per il mantenimento dei buoni rapporti, nel rispetto della discordanza di opinioni, è bene usare un certo tatto diplomatico. Questo genere di occasioni non è il più opportuno per dibattere tali tematiche. Che avvenga l'incontro è già di per sé un passo avanti”, sostiene il presidente.
A poche ore dall'arrivo del cardinale Tullio Levi sottolinea l'importanza della presenza della Comunità ebraica all'incontro: “ Mi auguro che vi sia una grande partecipazione degli appartenenti alla Comunità a questo evento perché è fondamentale proseguire nel cammino del dialogo e della conprensione reciproca ".
“Rachamanà yedakhrinnakh li-shlam. Il Misericordioso Ti ricordi in pace”. Con quest'antica formula aramaica si aprirà il discorso di accoglienza pronunciato dal rabbino Somekh, a testimonianza di tre valori assai cari alla tradizione ebraica: misericordia, memoria e pace. “Essi sono il fondamento dell'incontro fra culture diverse, siano l'auspicio di una rinnovata fraternità fra le Comunità religiose”.

Manuel Disegni


Qui Torino - Ricordo, osservanza, libertà spunti di riflessione
nella giornata dedicata al dialogo ebraico cristiano


tullio levi TorinoNell'ambito della rassegna “Innamorati della cultura”, la Comunità Ebraica di Torino apre le sue porte al pubblico per celebrare la Giornata di riflessione ebraico cristiana. In molti  sono accorsi ad ascoltare le parole del rabbino capo Alberto Somekh sul tema “ricordati del giorno di sabato per santificarlo”. L’evento, organizzato in collaborazione con la Commissione Diocesana per il dialogo con le altre religioni e l'Amicizia Ebraico Cristiana, è stato un vero successo, prima tappa di una settimana all’insegna proprio del dialogo fra le due religioni. Martedì 16 febbraio sarà ospite della comunità il cardinale Severino Poletto, arcivescovo di Torino.
Domenica in apertura ha parlato Stefano Rosso, sacerdote salesiano, che ha ricordato la lunga collaborazione con la comunità ebraica (pubblicazione dei Quaderni dell’Aec di Torino – ultimo volume Medioevo ed Età Moderna – Gli ebrei e l’Occidente contributi al pensiero, alla scienza e alla cultura) e ha voluto sottolineare che “l’occidente non sarebbe tale senza gli ebrei”.  Il pubblico ha seguito con vivo interesse l’intervento del rav Somekh in merito all’importanza dello Shabbat nel mondo ebraico. “Il settimo giorno è dedicato al riposo” spiega il rav “ che, attenzione, è ben diverso dall’ozio o dal puro divertimento. Il sabato restituisce l’uomo a sé stesso, alla propria identità”. Lo Shabbat ha un forte valore etico: “quando per esempio Mosé ed Aronne andarono dal faraone” racconta rav Somekh “per chiedere che agli ebrei fosse concesso un giorno di riposo, questi inizialmente acconsentì. Ben presto, però, si ricredette perché vide che il popolo ebraico dedicava il suo tempo ad approfondire la propria cultura, la propria identità. In questo modo gli ebrei infatti riassaporavano il concetto di libertà.  Un’idea pericolosa per il potere del faraone”. E vengono ricordate le parole di  Augusto Segre “lo studio e la cultura da sempre spaventano i dittatori e i totalitarismi”.
Ricordo, osservanza, libertà, tempo su questi temi corre la spiegazione del rav e le persone in sala sembrano apprezzare. La percezione è che molti siano contenti di potersi avvicinare ad un mondo che non conoscono e a volte non capiscono. “Ma il sabato per gli ebrei è solo una somma di precetti da osservare o è qualcosa di più? Come lo vivete, voi ebrei?” è la domanda di una signora della Chiesa Avventista del Settimo Giorno. “In Israele” chiede una giovane cattolica “di Shabbat si ferma tutto? Ci sono dei lavori che si possono fare?”. C’è spazio anche per problemi molto concreti: un architetto, che sta costruendo un ospedale in Piemonte, si interroga su come agire per la creazione di  uno spazio di culto all’interno dell’edificio. A questo riguardo è interessante il discorso del rav, molto inerente al clima di dialogo fra le religioni. “Ogni degente” sostiene Somekh “vuole professare la propria fede, per cui quando si parla di spazi comuni per le diverse religioni bisogna fare attenzione. Dobbiamo ricordare che ciascuna religione parte dal presupposto di essere assoluta, non può scendere a compromessi. Non è un partito che può far parte di una più ampia coalizione. Detto questo durante le Olimpiadi, nel villaggio olimpico di Torino era stata creata una doppia sala interspirituale, che tutto sommato aveva funzionato”. La convivenza e il dialogo sono evidentemente possibili ma bisogna tutelare l’integrità di ciascuna fede.
Al termine dell’applaudito intervento di rav Somekh, il presidente della Comunità, Tullio Levi ha invitato il pubblico a visitare le due sinagoghe. In molti hanno colto l’occasione, ascoltando le spiegazioni dello stesso Levi, di Alda Segre e Silvia Di Chio sulla storia della comunità torinese.

Daniel Reichel


Qui Milano - Il Nord alla sfida dell’immigrazione
Fiano: "Servono politiche costruttive"

emanuele fianoMilano come Rosarno? Sabato pomeriggio in via Padova, solo quattro fermate di metropolitana dall’esclusiva via Montenapoleone, esplode il conflitto etnico in una bolla di degrado nella città che ora viene descritta come “dimenticata dalle istituzioni”. Una notte di scontri e vandalismi, protagoniste bande rivali, latinos contro nordafricani. Vittima dello scontro è il ventenne egiziano Ahmed Abdel Aziz, ucciso con un coltello.
L’onorevole Emanuele Fiano, responsabile Pd per la sicurezza, parteciperà al dibattito “Integrazione e sviluppo, il Nord alla sfida dell’immigrazione”, che si terrà questo pomeriggio 15 febbraio alle 17.30 in via Eupili 8, organizzato dall’Associazione di cultura ebraica Hans Jonas. Interverranno anche Stefano Bolognini, assessore alla Provincia di Milano con delega alla sicurezza, Daniele Farina, coordinatore milanese di Sinistra ecologica e libertà, e Carlo Fidanza, eurodeputato Pdl. Un tema che alla luce degli ultimi eventi si conferma quanto mai attuale, e che tocca da vicino gli ebrei italiani, la più antica minoranza del nostro paese.
Onorevole Fiano, qual è il suo commento sulla questione dell’integrazione, alla luce dei fatti di via Padova?
Penso prima di tutto che il problema dell’integrazione e delle condizioni di vita degli immigrati sia in generale sottovalutato, specie nelle realtà in cui accade che l’apparenza inganni, come a Milano. Si potrebbe pensare che in questa città, dove gli stranieri in regola sono una percentuale molto alta, l’integrazione funzioni bene, il quadro economico sia positivo e quindi tale da evitare che gli immigrati vivano in un contesto di illegalità e degrado. Questo rappresenta un approccio miope. I quartieri che si trovano in queste situazioni di estrema difficoltà, a prevalenza etnica marcata ci sono anche qui. Bisogna prendere coscienza della situazione e affrontarla, investendo denaro pubblico e avendo il coraggio di fare scelte anche impopolari, se necessario.
Dopo questi ultimi scontri, in molti hanno puntato il dito contro l’immigrazione clandestina. È questo il punto su cui concentrarsi per trovare una soluzione?
Sicuramente tra i clandestini sono più numerosi coloro che vivono grazie ai proventi di attività illecite, e il problema va affrontato con decisione. Ma il degrado e l’insofferenza coinvolgono anche moltissimi immigrati regolari e questo non può essere dimenticato. Le statistiche ci dicono che a Rosarno l’85 per cento degli stranieri che sono stati fatti sgombrare dalle baraccopoli erano in regola. Un dato del genere dovrebbe farci riflettere.
Lei pensa che le istituzioni ebraiche italiane possano dare un contributo alla questione dell’integrazione, considerando l’esperienza ormai bimillenaria della minoranza ebraica, e anche la capacità di accogliere le migliaia di ebrei in fuga, in maggioranza proprio dai paesi arabi che l’ebraismo italiano ha saputo mettere in campo?
Sicuramente gli ebrei in Italia possono rappresentare un esempio importante. Manteniamo la nostra cultura, continuiamo a tramandare le nostre tradizioni, ma al tempo stesso rispettiamo le leggi del nostro paese, e sentiamo di farne profondamente parte. L’ebraismo italiano dimostra quindi di coniugare il binomio fondamentale, non assimilazione, ma nemmeno chiusura verso la società esterna. Per quanto riguarda le politiche di accoglienza delle istituzioni ebraiche, sicuramente hanno rappresentato un successo importante, però ritengo sia necessario fare delle distinzioni rispetto alla situazione del paese. La prima è di tipo quantitativo. Per gli ebrei italiani si è trattato dell’arrivo di alcune migliaia di persone, mentre in Italia ragioniamo ormai su cifre delle centinaia di migliaia, se non addirittura di milioni di immigrati. Non meno importante è poi il fatto che gli ebrei che arrivavano nel nostro paese venivano accolti come fratelli, come parte della famiglia, dagli ebrei italiani. Una situazione che purtroppo è molto diversa da quella che vivono gli immigrati normalmente.
Nel dibattito organizzato dall’Associazione Hans Jonas, lei si confronterà con esponenti di altri partiti politici. Ritiene sia possibile individuare delle soluzioni condivise ai problemi sul campo?
Tutte le forze politiche hanno l’obiettivo di risolvere queste situazioni. Certamente non possiamo essere d’accordo con l’idea di “andare casa per casa” a cercare non si sa bene cosa, come ha proposto qualcuno. Ma se si tratta di individuare delle politiche mirate a intervenire in modo costruttivo, come è successo in altri casi, l’opposizione farà la propria parte. Ricordo per esempio l’esperienza di via Paolo Sarpi, che è stata trasformata in isola pedonale per combattere lo scarso rispetto delle regole da parte dei commercianti cinesi, e contemporaneamente si è incentivato lo studio della lingua italiana nell’ambito di questa comunità e sono stati aumentati i controlli perché i bambini venissero mandati a scuola. Questo è il tipo di iniziative che possono contribuire davvero a risolvere i problemi.

Rossella Tercatin

 
 
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  Il profondo significato dello Shabbat

donatella Di Cesare Spesso si dimentica che Shabbat ha anche un valore politico. La parola viene dalla radice shavat che vuol dire “cessare”, “riposare”, “festeggiare” – che si tratti del lavoro di D-o, dell’uomo o degli animali (Gen 2,1-3; Es 20,8-11; Deut 5,12-15). Ma alcuni la mettono in relazione con la radice sh-v “rivolgere”, “far ritorno”, “invertire”, “sovvertire”; in questo caso non sarebbe sbagliato tradurre Shabbat con “rivoluzione”. E a buon diritto. Non solo perché è un ricordo, e dunque una ripresa dell’inizio, non solo perché attesta la liberazione dalla schiavitù, ma perché è l’irrompere del futuro nel presente, di un tempo altro nel tempo che sarebbe altrimenti sempre uguale. L’utopia non è, nella forma di vita ebraica, una chimera che scivola nel lontano passato o nel lontano futuro, ma è un presente che torna ogni Shabbat. E può essere vissuto, festeggiato, testimoniato.
Schiavitù vuol dire che un giorno è uguale all’altro – in una catena ininterrotta; rivoluzione vuol dire “interruzione”. Questa interruzione dello Shabbat è il “segno” dell’ebraismo, di cui dobbiamo essere grati e per cui ringraziamo.

Donatella Di Cesare, filosofa 
 
 
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La sola notizia di oggi è il ritorno di una qualche attività diplomatica americana in Medio Oriente. Hilary Clinton è andata nei paesi del Golfo persico a consolidare sui confini la colaizione antipersiana (Paolo Valentino sul Corriere della sera) e il capo di stato maggiore delle forze americane, Mike Mullen, ha fatto visita in Israele, dove ha avuto vari incontri e ha dichiarato la sua "preoccupazione" per la possibilità di un'azione israeliana (la notizia è sempre sul Corriere).
A proposito dei rapporti fra Stati Uniti ed Israele, La Stampa informa di una polemica sorta intorno al "New York Times" per il fatto che il figlio del capo dell'ufficio di corrispondenza del principale giornale americano, Ethel Bronner, sposato con un'israeliana,  ha un figlio che fa il servizio militare in Tsahal. Nonostante le richiesta da parte araba, il giornale ha deciso di non sostituire Bronner, argomentando che un precedente del genere produrrebbe a catena incompatribilità a non finire. L'ironia è che Bronner, di cui in Europa e sulla rassegna leggiamo gli articoli riportati sullo "Herald Tribune" segue scrupolosamente la linea filo-obamiana del suo giornale e le sue corrispondenze dell'ultimo anno sono sempre molto critiche dell'azione del governo israeliano.
Sullo Herald Tribune di oggi vale la pena di segnalare l'articolo di Michael Young, che giustamente si domanda che fina abbia fatto il tribunale internazionale stabilito per processare i responsabili dell'omicidio del premier libanese Hariri, compiuto qualche anno fa  molto probabilmente dai siriani. Ora che il figlio ha imbarcato nel suo governo Hezbollah e si proclama amico dei siriani, anche la giustizia internazionale, per nulla apolitica, ha praticamente cessato le sue attività.
Da segnalare infine l'interessante intervista dell'Unità a  Shar-Yasuf Cohen, rabbino capo di Haifa e membro della delegazione ebraica che tratta col Vaticano.

Ugo Volli

 
 
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Giornalista britannico arrestato da Hamas                                       nella Striscia di Gaza                    
Gaza, 15 feb -
Il giornalista britannico freelance Paul Martin che in passato ha collaborato con la Bbc, con il Times e con il Daily Mirror, arrestato ieri durante un dibattito a porte chiuse mentre deponeva a favore di un palestinese sospettato di collaborazionismo con Israele, sarà  sotto inchiesta, per un periodo prevedibile di due settimane, e viene assistito da un legale di Gaza. A renderlo noto Ihab al-Ghusein, il portavoce del ministero degli interni di Hamas a Gaza. Le circostanze dell'arresto, sono state descritte in dettaglio dal ministero degli esteri dell'esecutivo di Hamas a un rappresentante del consolato della Gran Bretagna."Abbiamo confessioni sulle violazioni della legge palestinese di cui si è reso responsabile il giornalista", ha detto Al-Ghusein senza precisare da chi le confessioni siano venute.
 
 
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L'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane sviluppa mezzi di comunicazione che incoraggiano la conoscenza e il confronto delle realtà ebraiche.
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