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L'Unione informa |
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1 marzo 2010 - 15 Adar 5770 |
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alef/tav |
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Riccardo
Di Segni, rabbino capo di Roma |
Forse
è stata l'aria leggera di Purim con le sue maschere e i cambi di
identità. Forse è stata l'aria austera della Quaresima, in attesa della
recitazione dell'oremus. Sta di fatto che in questi ultimi giorni gli
organi di comunicazione cattolici, anche ai massimi livelli, sono
tornati a dedicare un'insolita attenzione alle storie di convertiti,
dal padre Daniel all'Israel-Italo-Eugenio-Maria già rabbino di Roma. Di
queste storie non si è parlato con il distacco dell'analisi storica, ma
con il tono di chi vuole indicare con affetto ai cari fratelli ebrei
l'exemplum edificante del corretto comportamento, perchè siete sì
fratelli, ma ancora non avete visto la luce. Decisamente il modo più
inopportuno per fare dialogo. Certo che ad usare certi esempi ci vuole
anche un bel coraggio. Dell'ex rabbino si racconta, tra l'altro, che
avrebbe deciso di finire di mangiare il maiale (cosa che da ebreo
faceva di nascosto) in un momento preciso della sua vita, appena
convertito. Un modo per dire che in tutte le sue migrazioni spirituali
il suo posto non l'avrebbe mai trovato. |
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"Hanno
vietato le strade, hanno accorciato il giorno e allungato la notte, ma
anche la notte hanno vietato, e così il giorno. Hanno vietato i negozi,
i medici, gli ospedali, gli automezzi e i luoghi di riposo, vietato,
tutto vietato. Hanno vietato le lavanderie, vietato le biblioteche. La
musica l'hanno vietata, vietata la danza. Vietate le scarpe. Vietato
fare il bagno. E dal momento che c'erano ancora soldi, li hanno
vietati. Hanno vietato quello che c'era e quello che poteva diventare".
Sono poche righe da uno straordinario romanzo di H.G.Adler, Un viaggio,
scritto nel 1950 e pubblicato per la prima volta in Italia poche
settimane fa, da Fazi editore. In una lettera del 1952, Elias Canetti
ringraziava l'autore per averlo potuto leggere e lo definiva "un
capolavoro". Il viaggio è, naturalmente, quello verso Auschwitz. |
Anna Foa,
storica |
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davar |
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Qui Roma - La Memoria non può essere cancellata
“Una profanazione orribile” così Piero Terracina indignato e in lacrime
ha definito la profanazione delle pietre d'inciampo, i sampietrini di
ottone lucente creati dall'artista danese Gunter Demnig, che recano il
nome, il cognome, data e luogo di nascita e data di assassinio nei
campi di concentramento, che esattamente un mese fa, nel Giorno della
Memoria erano state messe davanti alla sua casa, a Piazza Rosolino
Pilo, come davanti alle case di molti altri perseguitati politici e
razziali che da quei campi di concentramento non fecero più ritorno. Nella notte fra sabato e domenica gli stolpersteine
sono stati imbrattati di vernice nera "Io non abito più in quella
casa sono stato avvertito da un inquilino del palazzo. E'
terribile che ancora ci siano persone che fanno cose così orribili" E'
il commento addolorato di Terracina. Il presidente della
Comunità Ebraica di Roma, Riccardo Pacifici, recatosi immediatamente
sul luogo dove è stato commesso l'atto vandalico per testimoniare la
solidarietà personale e di tutta la Comunità Ebraica di Roma a
Terracina, unico sopravvissuto della sua famiglia alla
deportazione ad Auschwitz, ha espresso il proprio sdegno con queste
parole: "E' un ulteriore atto di debolezza di chi sente braccato e
fuori dalla storia " definendo poi questi atti “gesti vigliacchi
che provano a cancellare la memoria in modo puerile e che invece non
fanno che rafforzare tutti coloro che sono decisi a ricordare". Parole
di condanna dell'inqualificabile gesto sono giunte anche da parte del
sindaco di Roma Gianni Alemanno e dal presidente della Provincia Nicola
Zingaretti. “"La memoria è il patrimonio più importante che
abbiamo e che va salvaguardato.” ha commentato Alemanno che ha
immediatamente dato disposizioni al Decoro Urbano del Comune di
Roma per far cancellare la vernice nera dalle pietre d'inciampo. “Il
nostro auspicio - ha proseguito il Primo cittadino della
Capitale - è che i vili che hanno compiuto questo gesto siano
presto presi e venga loro inflitta una punizione esemplare". "Ha
ragione Piero Terracina: aver imbrattato le 'pietre d'inciampo',
simbolo della tragedia della Shoah, è un gesto orribile. A lui e a
tutta la Comunità ebraica va la nostra vicinanza e solidarietà". Ha
detto il presidente della Provincia di Roma, Nicola Zingaretti. Secondo
Zingaretti "E' necessario individuare i responsabili di questa lunga
serie di episodi di antisemitismo che si sono verificati, negli ultimi
mesi, a Roma. Chi lancia questa sfida ai nostri valori troverà una
risposta coesa e forte da parte di tutta la comunità, impegnata perché
non si ripeta mai più l'orrore di quegli anni che abbiamo conosciuto
proprio grazie ai racconti emozionanti e dolorosi e all'impegno di
molti ex deportati verso i quali saremo debitori per sempre". "Questo
episodio - ha aggiunto Zingaretti - conferma quanto siano importanti
una battaglia culturale e civile e i comportamenti quotidiani che
restringono gli spazi dell' intolleranza, del razzismo e della discriminazione". Questa
sera a Piazza Rosolino Pilo, alle ore 19 si terrà un presidio indetto
dal Municipio del quartiere Monteverde per condannare lo sfregio fatto
alle 'pietre d'inciampo' collocate davanti all'abitazione da cui fu
deportato il quindicenne Piero Terracina e la sua famiglia.
Lucilla Efrati
La
rinascita della comunità ebraica bulgara
Quarant’anni.
Tanto è durato il “letargo forzato” della Comunità
ebraica in Bulgaria. Dalla fine della Seconda Guerra Mondiale alla
caduta del Muro, il regime comunista sostenne con forza l’ateismo
di stato. Così nella generazione del tempo l’identità
ebraica, il legame con la religione e le tradizioni cominciarono ad
affievolirsi. Senza contare che, dopo la nascita d’Israele, in un
paio d’anni la Comunità bulgara si svuotò quasi
completamente: circa il novanta per cento degli ebrei fece l’aliyah.
Finito l’incubo del regime, gli ultimi vent’anni hanno visto
un graduale ritorno alle radici ebraiche, soprattutto da parte degli
anziani e delle nuove generazioni. Un vero e proprio risveglio. Di
questo trend positivo e di altre questioni che legano gli ebrei alla
Bulgaria abbiamo parlato con Alek Oscar, giovane presidente della
Comunità di Sofia e vicepresidente dell’organizzazione
ebraica bulgara Shalom, oltre che medico di professione.
Dottor
Oscar, nonostante la sua giovane età, lei ha una lunga
esperienza istituzionale all’interno della Comunità ebraica
bulgara e conosce a fondo questa realtà. In
effetti già nel 2003, all’età di soli ventiquattro
anni, sono stato eletto vicepresidente dell’organizzazione
nazionale Shalom. Questo ente, come tutte le comunità ebraiche
in Bulgaria, è laico e, ad esempio, possono farne parte anche
tutti coloro che hanno i nonni ebrei. La nostra organizzazione conta
fra i cinquemila e i seimila membri effettivi e duemila potenziali.
Sofia raccoglie l’ottanta per cento degli ebrei bulgari, poi, con i
suoi circa ottocento membri, c’è Plovdiv. Le altre
quattordici comunità sono numericamente piccole, alcune
formate da solo due famiglie. A livello organizzativo abbiamo
un’assemblea nazionale con centoquattro delegati, eletti dalle
comunità d’appartenenza. Questa assemblea nomina a sua volta
il concistoro, formato da trentatré membri provenienti da
tutto il paese. Per questo motivo, non potendosi riunire regolarmente
il concistoro, è stato creato un consiglio esecutivo (undici
membri) che si incontra almeno una volta al mese. Sostanzialmente il
consiglio propone e il concistoro deve decidere se approvare.
C’è poi un consiglio spirituale formato da undici persone
fra cui Rav Bechor Kachlon e rav De Wolf, entrambi ortodossi ma
vorremmo avere rappresentate tutte le diverse sfaccettature
dell’ebraismo. Facciamo
un passo indietro. A quando risale la presenza ebraica in Bulgaria? I
primi a stabilirsi in queste zone furono gli ebrei Romanioti (antica
comunità greca il cui nome deriva dalla definizione di
“Seconda Roma” attribuita alla Grecia) che si spostarono in
Bulgaria da Salonicco e da Istanbul. Era una comunità piccola
e con l’arrivo dei sefarditi venne ben presto assimilata. Tuttavia
ancora oggi abbiamo dei cognomi di origine romaniota come ad esempio
Kalò. Nel 1492 con la cacciata
dalla Spagna, un grande numero di ebrei sefarditi si stabilì
in Bulgaria, portando con sé le proprie tradizioni e
peculiarità, arrivate fino ai giorni nostri. I nostri nonni,
ad esempio, parlano in ladino ma è una lingua che purtroppo
sta scomparendo. Pagina
particolare della storia ebraica in Bulgaria fu la Seconda guerra
mondiale. Se non sbaglio non c’è unanimità di
giudizio su quel periodo. La
questione è complicata, alcuni ebrei pensano che i bulgari
abbiano salvato la propria comunità, altri, più
scettici, sostengono si tratti di sola sopravvivenza. In generale
comunque noi parliamo di salvezza, è grande merito va dato al
popolo bulgaro. Durante la Seconda Guerra Mondiale in Bulgaria
vivevano cinquantamila ebrei. La situazione decisamente non era facile. Nel
1940 fu emessa “legge per la protezione della nazione”,
chiaramente antisemita. In quel periodo gli ebrei non avevano diritto
ad avere proprietà, vennero sostanzialmente esiliati dalle
grandi città, fu stabilito il divieto di praticare, gli uomini
tra i 16 e i 60 furono confinati nei campi di lavoro. Nonostante
tutto, gli ebrei bulgari sopravvissero, tutti. Diversa è la
storia degli ebrei macedoni e della Tracia (più di undicimila persone), tutti
deportati, la maggior parte a Treblinka. La deportazione fu messa in
atto anche dall’amministrazione bulgara e comunque quei territori
erano sotto il controllo del sovrano Boris III. Quindi quando
commemoriamo la nostra storia, il nostro pensiero va necessariamente
anche a loro. Per
questo alcuni non sono d’accordo sul discorso dei “bulgari
salvatori”? Anche.
Io incontro costantemente persone, testimoni dell’epoca e c’è
una in pratica una divisione in due gruppi. Alcuni credono fortemente
al discorso della salvezza, altri dicono “ok ci hanno derubato di
tutto, si sono presi il possibile ma non ci hanno ucciso. Quindi è
meglio non parlare di salvezza ma di sopravvivenza”. Tanto più
che il piano era il di deportare gli ebrei bulgari dopo i macedoni.
Purtroppo non sapremo mai la verità per intero ma i fatti
dicono che la popolazione bulgara scese in piazza per protestare
contro il governo, i capi della chiesa dissero “se mandate gli
ebrei noi andremo con loro”. Scrittori, intellettuali, gente comune
si mobilitò per difendere i loro concittadini ebrei. Senza
dimenticare Peshev, nominato Giusto tra le Nazioni a Yad Vashem,
membro del parlamento che combatté strenuamente contro la
decisione di deportare gli ebrei bulgari e per questo fu cacciato.
Vorrei aggiungere che la nostra comunità fu probabilmente
l’unica comunità europea a crescere durante la Seconda Guerra Mondiale da cinquantunomila a cinquantacinquemila. Finita
la guerra, arrivarono i comunisti. Esatto.
Per i primi due anni ci fu un periodo di transizione a livello
governativo. Alla fine degli anni quaranta il regime comunista
instaurò la linea dura. In quel periodo, nel biennio 1949-50
la maggior parte degli ebrei lasciò la Bulgaria per il neonato
stato d’Israele. Cinquantamila persone fecero l’aliyah e poche migliaia
rimasero. Questi ultimi tennero accesa la luce dell’ebraismo, anche
se ufficialmente non esisteva una vera comunità ma solo
una sorta di associazione rappresentativa. Di fatto la vita ebraica
fu soffocata durante il comunismo. Negli anni '70 alcuni giovani
ebrei, fra cui mio padre, volevano celebrare Purim, così si
riunirono dove oggi c’è il centro della comunità. In
un attimo arrivò la polizia e tutti i ragazzi furono portati
fuori. La celebrazione di eventi religiosi era vietata, la sinagoga
rimase a lungo chiusa. Cade
il muro di Berlino, il regime comunista si sgretola e la Bulgaria
inizia a percorrere la strada “occidentale”. A fronte di tutto
questo, come si organizzarono gli ebrei bulgari, privi di una vera
comunità? Nel
1990 un gruppo di 20 persone costituì l’organizzazione
ebraica in Bulgaria, ricreandola sullo stampo di quanto c’era prima
del comunismo. In quegli anni iniziò il ritorno all’ebraismo,
un processo che continua ancora oggi. I più anziani erano e
sono i più attivi, fortemente legati alle tradizioni e
desiderosi di recuperare il “tempo perduto”. La generazione di
mezzo o, come la chiamiamo noi, la “Lost Generation” è
nata e cresciuta sotto il comunismo: non sente di appartenere alla
comunità, non ha avuto contatti con la realtà ebraica.
Queste persone stanno imparando dai figli, che raccolgono
l’esperienza dei nonni e oggi sono la spina dorsale della comunità.
Noi siamo parte della comunità da quand’eravamo piccoli,
eravamo chanichim, poi madrichim e così via. L’educazione ha
svolto un ruolo centrale per creare e rafforzare la nostra comunità.
Puntiamo molto sul futuro e sui giovani, i leader di
domani. Rimanendo
sul tema comunità e futuro, quali sono le questioni o i
problemi che dovete e dovrete affrontare? Non
parlerei di problemi ma ci sono due punti su cui vorrei che la nostra
comunità si focalizzasse nei prossimi anni. In primo luogo la
connessione con Israele: il nostro legame con lo stato ebraico non è
ancora abbastanza forte come organizzazione e ancor più per i
singoli. Molte persone della comunità, soprattutto i più
anziani, pensano “la nostra comunità è una cosa
mentre Israele è un’altra. Certo siamo legati ma vogliamo
restare distinti”. Io vorrei più partecipazione rispetto a
quanto accade in Eretz Israel. Le faccio un esempio, il caso
Goldstone. Le nostre comunità hanno deciso di non esprimersi
sulla questione pensando che non fosse un problema loro, “è
Israele ed Israele deve decidere cosa fare”. Queste cose mi
rattristano, i nostri fratelli e sorelle sono stati chiamati in causa
e noi rimaniamo indifferenti. Non mi sta bene. Il secondo punto
riguarda la religione. A Sofia abbiamo una sola sinagoga ed è
ortodossa. Abbiamo un nuovo rabbino, rav Avraham De Wolf, giovane e
pieno di energia, con noi da soli sei mesi, che sta facendo un ottimo
lavoro. Ci sono i chabad, che da una decina d’anni sono una
realtà molto forte ma la comunità nei loro confronti in
generale è molto riservata, si è creato una sorta di
muro invisibile. Comunque oltre ai chabad, ci sono altri modi per
appartenere alla sinagoga, parlo dei reformed o dei conservative. La
priorità è di aprire la comunità ai differenti
modi di appartenere alla religione, non solo ortodossi perché
da noi la realtà è questa: c’è una sola
sinagoga ortodossa ma la stragrande maggioranza degli ebrei
bulgari non lo è. Sostanzialmente
lei vorrebbe allargare la comunità ebraica a nuovi
orizzonti. Guardi,
io sono una persona molto concreta. Viviamo nel Ventunesimo secolo, forse il
periodo più prospero per l’umanità, crediamo nella
pace, nella collaborazione, le persone sono libere di andare dove
vogliono. Oggi i giovani delle comunità possono potenzialmente
creare relazioni con chiunque. Ovviamente ci impegniamo per dare la
possibilità ai nostri ragazzi e ragazze di incontrarsi
all’interno della comunità, ma allo stesso tempo non
possiamo vietare loro di costruire un rapporto con persone non ebree.
Per una questione di probabilità, è molto più
facile che si creino famiglie miste e bisogna far sì che
queste famiglie rimangano connesse alla comunità. Questo
legame sarà rafforzato se si darà alle persone la
possibilità di scegliere una visione religiosa, nei limiti
della ragionevolezza, compatibile con il proprio sentire.
Daniel
Reichel
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Totalitarismo, il confronto impossibile
Ormai è diventato scontato, nei giornali, nei libri, un po’ ovunque,
parlare di due “totalitarismi”, paragonare e, anzi, mettere sullo
stesso piano nazismo e stalinismo. E chi intuitivamente non è
d’accordo, fa fatica ad argomentare. Occorre però arginare questa
tendenza con cui si pretende di definire equivalenti le due ideologie.
Non è che i gulag siano un fenomeno più tollerabile della Shoah. Ma
anzitutto non si può ridurre il comunismo allo stalinismo. La
corruzione di un progetto non è il progetto, né tanto meno l’idea. Il
totalitarismo nazista è stato il progetto stesso in quanto perversione,
la perversione realizzata, portata a compimento. Sin dall’origine il
nazismo ha avuto come scopo e fine lo sterminio del popolo ebraico. Si
menziona spesso Hitler, ma pochi hanno letto quello che ha scritto,
quel progetto antisemita intenzionale, che si richiama a filosofi come
Schopenhauer, nasce da una conoscenza minuziosa, perfida e inquietante
dell’ebraismo (persino del Talmud) ed è mosso dal proposito consapevole
dell’annientamento. Non è possibile, neppure lontanamente, paragonare
il nazismo con l’ideologia comunista, con l’ideale di giustizia che ha
ispirato donne e uomini, tutti lontani da qualsiasi idea di gulag. Che
si abbia o no un rispetto, etico e politico, verso un ideale di
“giustizia”, è indispensabile riconoscere la differenza che separa
l’ideale comunista dal nazismo. Non c’è equivalenza, né paragone né
analogia che tenga. Il che non esime ovviamente dal porsi le domande
necessarie sull’ideale comunista e sulla sua storia. Ma queste domande
si situano su un piano del tutto differente rispetto al “male” che il
nazismo ha rappresentato. Non si tratta di misurare fatti e
manifestazioni di crudeltà. Si tratta di pensare – e pensare è anche un
atto di giustizia – la differenza e l’asimmetria del progetto.
Donatella Di Cesare, filosofa |
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rassegna stampa |
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L'argomento
più importante della rassegna è oggi la profanazione avvenuta a Roma
dei segni di ricordo delle vittime della Shoà, le "pietre d'inciampo"
dorate sistemate un paio di mesi fa davanti alla casa di Piero
Terracina, sopravvissuto ad Auschwitz, in memoria dei suoi parenti,
deportati con lui, che sono stati trucidati dal Lager. La notizia è su
tutti i giornali, in particolare sul Corriere, sul Mattino, sull'Unità;
la reazione di Piero Terracina si trova insieme alla solidarietà di
politici ed amministratori locali in un articolo di Paola Vuolo sul Messaggero; la reazione del mondo ebraico nell'intervista del presidente della comunità ebraica di Roma Riccardo Pacifici ancora al Messaggero.
A parte la solidarietà è lo sdegno, è chiaro che esiste a Roma un
nucleo neonazista bene individuato, che ha firmato molte azioni
clamorose, dai manifesti in occasione della giornata della memoria e
varie altre minacce e insulti negazionisti: ci si chiede perché le
forze dell'ordine e la magistratura non siano in grado di fermarli. Sul
piano internazionale, vi sono state nuove provocazioni arabe sul Monte
del Tempio a Gerusalemme: un gruppo di giovani si è messo a tirare
pietre sui turisti "scambiandoli per ebrei estremisti che stessero
occupando la spianata delle Moschee" (Il Messaggero).
A parte il fatto che turisti ed ebrei ortodossi si vestono di solito in
modo diverso e non sono facili da confondere, bisogna supporre che
l'istigazione religiosa e politica nel mondo palestinese sia tale da
far perdere il senso della realtà; o che questo sia l'ennesimo pretesto
per mettere in cattiva luce Israele, azione cui dà una mano volonterosa
Francesco Battistini sul Corriere.
Il fatto è che il governo israeliano ha stabilito un grande piano di
investimenti per tutelare luoghi archeologici e culturali dell'ebraismo
e ovviamente ha incluso in questa iniziativa di restauro e sostegno
anche economico dei luoghi che sono particolarmente cari all'ebraismo
fin dai tempi della Torah, su cui da millenni vi sono pellegrinaggi e
culti, come la tomba della famiglia di Abramo a Hebron e quella di
Rachele a Betlemme. L'iniziativa ovvia ha scatenato il negazionismo
islamico, che cerca di disconnettere l'ebraismo da Eretz Israel e di
sostituirvi una storia "palestinese" che non è mai esistita
autonomamente. Di qui iniziative ufficiali dell'Autorità Palestinese e
gli scontri di ieri. Da leggere infine sul Corriere un
inchiesta di Guido Olimpio che in seguito alla vicenda di Dubai sugli
"omicidi mirati" e sul modo in cui essi sono praticati da diversi paesi.
Ugo Volli |
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notizieflash |
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Gaza, giornalista britannico arrestato, oggi la sentenza Gaza, 1 mar - Il
caso di Paul Martin, il giornalista britanicco arrestato il mese scorso
perché sospettato di rappresentare una minaccia per la sicurezza
dell'esecutivo di Hamas nella Striscia, sarà nuovamente esaminato dal
tribunale militare di Gaza. Fonti del ministero dell'Interno, citate
dalla stampa, hanno previsto che la pubblica accusa chiederà un
prolungamento del suo arresto, avvenuto il 14 febbraio scorso per un
periodo iniziale di 15 giorni. Martin era entrato spontaneamente a Gaza
per deporre a favore di un amico, sospettato dal regime di Hamas di
aver agito da collaborazionista di Israele. A quanto risulta nel corso
della deposizione sono emersi sospetti nei confronti dello stesso
giornalista che è stato subito arrestato. L'episodio ha suscitato la
protesta dell'Associazione della stampa estera (Fpa), che rappresenta i
corrispondenti stranieri in Israele e nei Territori palestinesi, ha
protestato.
Gerusalemme Est, si temono nuovi scontri Guardia israeliana ferita Gerusalemme, 1 mar - E'
ancora stato di allerta per la polizia israeliana nella Città vecchia
di Gerusalemme, dove, nei giorni scorsi, si sono susseguiti vari
scontri scaturiti dalla decisione di Netanyahu di includere, fra i
luoghi del patrimonio storico ebraico da tutelare, anche due luoghi
sacri che si trovano in Cisgiordania (la Tomba di Rachele di Betlemme e
la Tomba dei Patriarchi di Hebron), si temono nuovi disordini. Una
guardia civile israeliana è stata ferita, la scorsa notte, da spari
esplosi verso la jeep in cui viaggiava nel rione palestinese di Silwan,
a ridosso della zona della contesa. L'episodio ha seguito di alcune ore
incidenti verificatisi sulla Spianata delle Moschee fra alcune decine
di fedeli musulmani e un reparto della polizia israeliana. Le preghiere
del mattino, fa sapere la radio militare, si sono oggi concluse senza
incidenti.
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L'Unione
delle Comunità Ebraiche Italiane sviluppa mezzi di comunicazione che
incoraggiano la conoscenza e il confronto delle realtà ebraiche. Gli
articoli e i commenti pubblicati, a meno che non sia espressamente
indicato il contrario, non possono essere intesi come una presa di
posizione ufficiale, ma solo come la autonoma espressione delle persone
che li firmano e che si sono rese gratuitamente disponibili. Gli
utenti che fossero interessati a partecipare alla sperimentazione
offrendo un proprio contributo, possono rivolgersi all'indirizzo desk@ucei.it per concordare le modalità di intervento.
Il servizio Notizieflash è realizzato dall'Unione delle Comunità
Ebraiche Italiane in collaborazione con la Comunità Ebraica di Trieste,
in redazione Daniela Gross. Avete
ricevuto questo messaggio perché avete trasmesso a Ucei
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ulteriori comunicazioni o se volete comunicare un nuovo indirizzo
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