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L'Unione informa |
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3 marzo 2010 - 17 Adar 5770 |
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alef/tav |
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Adolfo Locci, rabbino capo di Padova |
“...e
questi giorni di Purim non cesseranno mai (dall’essere celebrati) da
mezzo gli ebrei e il loro ricordo non sarà cancellato fra la loro
discendenza” (Ester 9:28). I Maestri sostengono che questo
versetto della “Meghillà” elevi la festa di Purim, tra tutte le altre,
tanto da affermare che nell’era messianica tutti i Moadim saranno
annullati tranne i giorni di Purim. Rabbì David Zakut Modena, Av Bet
Din della Comunità di Modena (XIX secolo) si domanda il perché le
festività “mideoraità” (comandate dalla Torà) saranno annullate in era
messianica mentre una festività “middivrè kabbalà” (istituzione fondata
su una tradizione) sarà mantenuta. Egli spiega che le altre feste si
fondano su miracoli avvenuti quando il popolo d’Israele era già vicino
al Signore, anche attraverso figure scelte, che al momento opportuno
sapevano ridestare nel popolo l’attaccamento a Lui; invece, il miracolo
avvenuto in Persia, si è verificato nelle condizioni più difficili, in
esilio, in un contesto di forte assimilazione, dove non c’era nessun
segno, simbolo o persona scelta che potesse favorire un riavvicinamento
verso il Signore. La salvezza, per gli ebrei di Persia, è arrivata
perché sono stati capaci di andarle incontro. E’ per questo che il
miracolo di Purim, proprio perché si identifica con la Gheullà che -
presto ai nostri giorni - si verificherà in era messianica, non sarà
cancellato fra la “nostra” discendenza. Cominciamo a muoverci... Lealtar dighullà shelemà |
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"Marry
Him" (Sposalo) è il titolo dell'ultimo saggio di Lori Gottlieb nel
quale si sostiene la necessità di accontentarsi di un' "anima
abbastanza gemella" senza cercare la perfezione. Per la psichiatra
Michelle Friedman della scuola rabbinica "Yeshivat Chovevei Torah"
è un invito a tornare "ai tempi di patriarchi e matriarche" perché
"accettavano molti compromessi ma condividevano solidi valori
comuni". |
Maurizio Molinari,
giornalista |
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davar |
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Rinasce HaTikwa, il glorioso giornale dei giovani ebrei italiani La speranza del nostro futuro vuole parlare a tutte le generazioni
Se
c'è una cosa cui tengo davvero poco, è essere invitato alle feste.
L'unica cui avrei partecipato con tutto il cuore, invece, me la sono
persa. Avrebbe rappresentato il più gioioso coronamento di questa
stagione di Purim. Eppure, di presentarmi non me la sono sentita. Non
che non mi volessero, anzi mi avevano pure formalmente invitato. Non
che l'orario non mi andasse a genio (non c'era da fare tardi, si è
conclusa pochi istanti fa). E' che si trattava di una festa di giovani
in cui un meno giovane sarebbe stato credo fuori posto. Per star loro
vicino senza rischiare di sciupare un momento di gioia, mi sono
limitato ad aspettarli fuori della porta. Ne sono usciti con un
giornale antico e nuovissimo per le mani (nell'immagine, fra gli altri,
il presidente Ugei Giuseppe Massimo Piperno, i giornalisti praticanti
della redazione del Portale dell'ebraismo italiano Daniel Reichel, Adam
Smulevich e Rossella Tercatin, assieme ad alcuni tecnici alle rotative
dello stabilimento Stem-Seregni che produce quindici quotidiani
italiani). Me ne hanno regalata una copia, profumava ancora
d'inchiostro. Tutto è nuovo nelle sue pagine, ma la testata, forte e
fiera, continua a proclamare le parole che da Roma a Gerusalemme furono
il segno della rinascita di Israele dopo gli anni bui. E' qualcosa che
conosciamo tutti troppo bene per evitale di emozionarci. Festa o
non festa, ho avuto così anch'io la mia emozione. Perché oggi HaTikwa,
il glorioso giornale dell'Unione dei giovani ebrei d'Italia che fu
fondato nel 1949, dopo un lunghissimo silenzio è tornato alla vita. E
non solo, da giornale di nicchia, come fu in passato, è ora una testata
stampata con larghissima tiratura (larghissima rispetto alle piccole
dimensioni del mondo ebraico italiano e anche rispetto alle tirature
reali dei giornali d'opinione che si stampano nel nostro paese). Il
progetto è di farlo arrivare a tutti gli ebrei italiani, giovani e meno
giovani. Perché i giovani pretendono a ragione di essere ascoltati da
tutti e tutti hanno il dovere di dare ascolto a coloro che
rappresentano il futuro della più antica realtà ebraica della Diaspora.
Il progetto è quello di farne un giornale bello, leggibile. E del tutto
autonomo. Le premesse ci sono. Perché HaTikwa è nato in pochi
giorni di intenso lavoro direttamente dalle mani di molti giovani che
hanno collaborato. Le pagine del giornale ospitano (su invito della
redazione) il saluto del Presidente dell'Unione delle Comunità Ebraiche
Italiane Renzo Gattegna e un editoriale della vicepresidente Ucei con
delega alle politiche giovanili Claudia De Benedetti. E con ciò la presenza dei meno giovani si ferma. Il
direttore, il comitato di direzione, la redazione, i collaboratori,
navigano tutti attorno ai vent'anni. Il responsabile a termine di
legge, prima che la redazione si imbarcasse in questa avventura non ha
speso troppe parole: “Rispettate la Legge ebraica, rispettate la legge
civile e non fatemi prendere querele. Insomma, arrangiatevi”. Ora,
dopo anni di silenzio, HaTikwa taglia il traguardo del primo numero di
una nuova serie. E non è più un sogno. E' la bandiera del nostro futuro.
gv
Educazione ebraica, direttori delle scuole a confronto
Il
Centro bibliografico dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane
ospita oggi e domani l’undicesimo forum di formazione per direttori
scolastici organizzato dal Centro pedagogico del Dipartimento
educazione e cultura Ucei (Dec). “Il Forum è nato quasi quattro
anni fa come piattaforma di dialogo e di confronto aperto fra i
direttori della rete delle scuole ebraiche italiane”, spiega Odelia
Liberanome, coordinatrice del Centro. A presiedere le sessioni
dei lavori di oggi e di domani il rav Roberto Della Rocca, direttore
del Dec, che ha aperto la giornata citando e commentando il famoso
passo della Bibbia che riguarda il vitello d’oro. “La scuola è un punto
critico in cui il confronto può essere molto delicato”, ha osservato
poi il Rav Della Rocca nello spiegare la grande responsabilità che
compete agli educatori. A moderare l’incontro lo psicologo ed esperto
di coaching Daniel Segre. Oggi saranno argomento di dibattito e
confronto: I punti forti dell’educazione ebraica in Italia, e i
Possibili sviluppi per il rafforzamento delle prospettive per il futuro
dell’educazione ebraica. Domani i lavori riprenderanno alle 9 del
mattino. Daniel Segre parlerà di: aggiornamenti e riflessioni al
termine del primo quadrimestre e La scuola e la società in cui opera,
nuovi valori. Marta Morello analizzerà e presenterà il progetto sul
clima scolastico condotto a Torino. Nel pomeriggio saranno invece presi in esame i progetti futuri del Forum di formazione per direttori scolastici. Lunedì
e martedì della prossima settimana a Firenze ci sarà il terzo incontro
dei vicepresidi e collaboratori alla direzione che affronterà tematiche
relative ai ruoli che queste persone ricoprono all’interno delle scuole
ebraiche.
l.e.
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pilpul |
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A proposito di antisemitismo
Nel
momento in cui i segnali di antisemitismo - come ricordato, anche ieri,
in questa newsletter - sembrano moltiplicarsi, dovunque, in modo
sinistro e inquietante, e l’Europa, e l’Italia, ricominciano, con la
cosiddetta settimana di boicottaggio contro Israele, a dare il peggio
di sé, non sarà inutile formulare, a mo' di "pro-memoria", quattro
brevi considerazioni in ordine all’antico, velenoso fenomeno. La
prima osservazione da fare è che è sempre un grave errore far
coincidere l’antisemitismo con il suo più recente, o più incombente,
"abito" o "travestimento", giacché sua prima caratteristica è proprio
la straordinaria capacità di mimesi, camaleontismo e adattamento. In
virtù di tale attitudine, esso si è annidato, in passato, negli abiti
più disparati - di taglio teologico (il popolo "deicida"), economico
(gli avidi usurai), biologico (la razza inferiore), politico (gli
scherani del capitalismo o, al contrario, i sovversivi bolscevichi) -,
senza mai, tuttavia, esaurirsi in nessuno di essi, in quanto, “passato
di moda” un abito (in genere per una sconfitta storica dei suoi
promotori, come per il nazifascismo), è facilissimo indossarne un
altro, apparentemente assai diverso. “Voi odiate gli ebrei - scrisse,
nella sua Lettera a Hitler, nel 1932, Louis Golding - per certe vostre
ragioni. Per esempio: hanno ucciso Cristo, hanno generato Cristo. Sono
i granitici baluardi del capitalismo, sono gli acidi che dissolvono il
capitalismo. Hanno un aspetto repellente, seducono e portano alla
perdizione i giovani e le ragazze nordiche”. (E, se avesse scritto
qualche decennio più tardi, avrebbe probabilmente aggiunto: “si
lasciano portare al macello come agnelli, sono guerrieri feroci e
spietati”). Per combattere - o semplicemente comprendere -
l’antisemitismo occorre pertanto, innanzitutto, saperne riconoscere e
smascherare i vari travestimenti, passati, presenti e futuri, senza
preferire (per ingenuità, o per viltà) quelli ormai dismessi, o in
declino, nella cui condanna sembrano potersi facilmente raggiungere
ampie convergenze, e facendo finta di non vedere i nuovi paludamenti
dell’odio antiebraico. Anche se, certo, è più comodo e meno rischioso,
al giorno d’oggi, parlare del superamento dell’accusa di “deicidio”
piuttosto che delle sue “versioni aggiornate” (come il
“palestinicidio”), o prendersela con tiranni già abbattuti, morti e
sepolti, piuttosto che con i loro baldanzosi "nipotini”.
Francesco Lucrezi, storico
Sulla scena - Grande teatro per il processo a Furtwangler
Uno
spettacolo da non perdere. Per il tema, di grande fascino, per la
bravura degli attori, per la eleganza della regia di Manuela Kustermann. “Taking
sides” al Teatro Vascello di Roma fino al 14 marzo, è tratto da un
testo di Ronald Harwood (il drammaturgo sudafricano autore tra l’altro
della sceneggiatura de Il Pianista)
e racconta il processo al direttore d’orchestra Wilhelm Furtwangler,
accusato alla fine della Seconda guerra mondiale di collaborazionismo
con i nazisti. Un’accusa mai provata completamente, tant’è vero
che il mitico musicista, considerato tra i migliori del suo tempo, ne
uscì assolto; ma che l’autore ripropone, in un gioco sottile di
psicologie a confronto, quelle dell’accusatore, un rozzo ufficiale
americano che disprezza la cultura e in particolar modo la musica
classica (chiama Furtwangler il “capobanda”), ed è convinto che, al di
là del suo genio, egli vada giudicato in quanto uomo qualunque; e
quella del Maestro, altero, raffinato, consapevole del suo genio
(meravigliosamente interpretato da Aberto Di Stasio) che invoca la
spiritualità, la difesa dell’arte come gli unici parametri di giudizio
nei suoi confronti. E’ colpevole, Furtwangler? I testimoni in sua
difesa, numerosissimi, sostengono di no; anzi egli ha contribuito a
salvare la vita molti musicisti ebrei, e non è mai risultato iscritto
al Partito nazista. Ma il maggiore Arnold è convinto che in realtà
il direttore fosse connivente, per mantenere la sua posizione, il suo
successo, per non dar spazio a rivali più giovani e più disponibili.
Anche il silenzio è colpevole, sostiene il Maggiore. “Perché non te ne
sei andato dalla Germania quando Hitler ha preso il potere?” è la
domanda che ossessivamente gli pone. Dov’è il sottile confine fra
innocenza e complicità? Ed è possibile che l’artista si mantenga
autonomo dalla politica, come continua a ripetere il Maestro, e che
suonare per il regime non significhi necessariamente esaltarlo, anzi,
al contrario “una sola esecuzione di un grande capolavoro era la
negazione dello spirito di Auschwitz e Buchenwald”? Prendere posizione: taking sides,
è questo che l’autore richiede agli spettatori, ed effettivamente chi
assiste allo spettacolo si sente coinvolto nel giudizio, che non è
assolutamente scontato. Tant’è vero che la incrollabile certezza di
colpa del Maggiore Arnold (un Giuseppe Antignati completamente
immedesimato nel ruolo) è messa in dubbio dai suoi stessi
collaboratori, il giovane tenete Wills Antonio Grosso) , che pur
essendo ebreo è affascinato da Furtwangler e lo difende fino in fondo,
e la segretaria Tamara Sacks (Gaia Benassi), la tedesca “buona”,
innamorata della musica e in reverente ammirazione per chi la impersona
con tanta autorevolezza. Non c’è mai un calo di ritmo, nella regia
di Manuela Kustermann, che spesso si occupa di tematiche ebraiche
(l’anno scorso ha messo in scena il monologo di Lia Levi “L’amore mio
non può”, qualche anno fa lo spettacolo-omaggio a Herbert Pagani):
perché questo interesse per l’ebraismo, lei che ebrea non è? “Nasce
dalla collaborazione con mio marito, Luigi Franzini, appassionato di
cultura ebraica e studioso di ermeneutica biblica: è lui che spesso mi
suggerisce dei testi o mi presenta degli autori, come è stato il caso
di Lia Levi. E scopro che queste tematiche risuonano in me, perché sono
tematiche universali”.
Viviana Kasam
Qui Venezia - Il Pitigliani Kolno’a Festival sbarca nella Laguna
Dopo
il successo dell’edizione romana, sbarca nella città lagunare il
Pitigliani Kolno’a Festival con una rassegna di sette lungometraggi e
due documentari che dal 2 al 18 marzo arricchiranno la programmazione
della Casa del Cinema di Venezia. Ogni anno il Pitigliani
Kolno’a Festival presenta il meglio della cinematografia israeliana
suddivisa in quattro sezioni: La sezione “Sguardo sul nuovo cinema
israeliano”, lungometraggi e documentari, “Scuole di cinema da
Israele”, cortometraggi provenienti dalle più rinomate scuole di cinema
israeliane. Le ultime due sezioni, una dedicata alle realtà israeliane
e l’altra al cinema di argomento ebraico, variano ogni anno tema. Nel
2009 per la sezione “percorsi ebraici” si sono prese in considerazione
le realtà ebraiche ai quattro angoli della Terra, mentre per la sezione
dedicata a Israele si è deciso di festeggiare i 100 anni della città di
Tel Aviv con i classici della cinematografia locale. Un evento che
si è potuto realizzare grazie all’impegno della sezione veneziana
dell’Adei e alla collaborazione del Pitigliani Centro Ebraico Italiano,
con il contributo del Centro veneziano di studi ebraici
internazionali, del Ministero degli Esteri di Israele e dell’Hotel
Kosher restaurant Giardino del Ghetto. Già
da tempo L’Adei Venezia dedica serate alla proiezione di film
israeliani o di interesse ebraico, l’intento di questa rassegna è di
riuscire a portare questa attività al di fuori delle mura comunitarie
cercando di coinvolgere il pubblico cittadino.
A
inaugurare il festival, l’intervento del curatore Dan Muggia che ha
posto l’attenzione sull’evoluzione del cinema israeliano negli ultimi
anni: “L’evoluzione del cinema israeliano è rappresentata dal fatto che
i grandi soggetti, come il conflitto israelo-palestinese o la tensione
tra le varie componenti etniche della società, non vengono più indagati
attraverso un filtro politico, ma attraverso un filtro personale
analizzando le influenze della realtà israeliana odierna
sull’individuale”. Presenti all’evento Roberto Ellero, direttore
del settore cultura del Comune di Venezia e responsabile del centro
Culturale Candiani di Mestre e il regista Erez Tadmor; di quest’ultimo
la firma da coregistra sui due film che aprono la rassegna: Una grande
storia (Sipur Gadol) e Stranieri (Zarim). Il primo film, realizzato
insieme a Sharon Maymon, racconta le avventure di un gruppo di persone
obese della città israeliana di Ramle, che dopo il tentativo
fallimentare di mettersi a dieta cercheranno un riscatto nella pratica
sportiva del Sumo. Nella seconda pellicola, realizzata insieme a Guy
Nattiv, viene invece descritta una storia d’amore impossibile: sei
giorni immersi nella vita di Eyal, un israeliano proveniente da un
kibbutz, e di Rana, una palestinese di Parigi. I due incontratisi per
caso nella metropolitana di Berlino durante la finale della coppa del
mondo 2006, dopo varie vicissitudini si ritroveranno profondamente
innamorati l’uno dell’altro. La rassegna proseguirà nei prossimi
giorni con Meduse di Etgar Keret e Shira Geffen (giovedì 4, ore 18/21),
Souvenirs di Shahar Cohen e Halil Efrat (martedì 9 ore 18), Noodle di
Ayelet Menahemi (martedì 9 ore 21), Il giardino di limoni di Eran
Riklis (giovedì 11 ore 18/21), La forza di nuotare di Yaron Zilberman
(martedì 16 ore 18), Vacanza d’estate di David Volach (martedì 16 ore
21) e infine La sposa siriana di Eran Riklis (giovedì 18, ore 18/21).
Michael Calimani |
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Arnoldo, l'amabile burbero Sulla
scena, fra le centinaia di personaggi cui ha dato voce e vita, non si è
fatto problemi a vestire le sottane di quattro diversi pontefici: «E
non è tutto ricorda divertito perché una volta mi è toccato dare voce
persino al Creatore. Per un ateo mi sembra una bella soddisfazione». Ad
ascoltarla, sulla soglia del suo novantacinquesimo compleanno, quella
voce calda, profonda che ha fatto rabbrividire e commuovere intere
generazioni di italiani, quella voce che ha lanciato dai microfoni
della radio Alleata di Napoli il segnale della riscossa e della
liberazione, quella voce che ha attraversato un secolo non è appannata.
L'immancabile pipa non l'ha irruvidita, gli anni non l'hanno
incrinata. Fra i nuovi progetti di lavoro e qualche momento di riposo,
ci aspetta nel suo appartamento romano, ornato delle sue multiformi
creazioni, disegni, dipinti, sculture, ricordi del lavoro di attore e
degli innumerevoli viaggi che hanno accompagnato un' esistenza segnata
dall'irrequietudine. Accanto ad Annamaria, che ama teneramente
ricambiato, Arnoldo Foà non può fare a meno di cedere al vecchio vizio
e di restare perennemente sotto i riflettori. Ora che che decine di
colleghi, amici appassionati e tanta parte del suo pubblico se ne sono
andati in punta di piedi, Arnoldo Foà porta il peso immenso dei grandi
vecchi che hanno amato troppo la vita. Migliaia di ore sul
palcoscenico, tanti amori, quattro matrimoni, l'affetto di milioni di
italiani che hanno amato la sua voce e la sua arte, un'identità ebraica
contraddittoria, difficile e combattuta, ma mai negata, sempre portata
a testa alta, con fierezza, come spesso avviene agli ebrei italiani.
Negli scorsi giorni ha regalato al lettore italiano un libro di
memorie, Autobiografia di un artista burbero, Sellerio, pp. 212. […] Guido Vitale, Pagine ebraiche (ripreso dal Riformista, 3 marzo 2010)
Università europee contro Israele. Schiaffo alla libertà di pensiero Mentre
anche la Siria, secondo a quanto anticipa oggi il quotidiano Haaretz,
sta nuovamente valutando la possibilità di arrivare presto a un accordo
di pace con il governo Netanyahu, le università europee hanno
dichiarato invece la nuova, solita guerra. Una guerra annuale che dura
sette giorni, la «Settimana contro l'apartheid di Israele» […] […]Perché,
infatti, fare circolare film come Valzer con Bashir o Lebanon e
confrontarsi con le idee dei loro autori? Meglio farli tacere, come il
regime iraniano sta tentando di fare con il loro collega Jafar Pahani,
arrestato ieri mattina a Teheran. Meglio ignorare la quantità
impressionante di pensiero critico che gli intellettuali israeliani
hanno prodotto in questi anni, riuscendo non di rado a bloccare o
moderare le spinte più intransigenti della politica e dei settori meno
concilianti dell'opinione pubblica. La tentazione sarebbe quella di
lasciar correre, di ignorare queste forme aggressive di ostilità
minoritaria […] […]Quello che sta accadendo nella «Settimana
contro l'apartheid di Israele» a Roma, Pisa, Bologna, Amsterdam,
Toronto, Londra, è però un insulto alla dialettica culturale, uno
schiaffo immeritato a quella libertà di pensiero che uomini come Oz,
Abraham Yehoshua, David Grossman hanno sempre difeso con forza e con
coerenza. Come hanno nello stesso tempo difeso senza esitazioni la loro
patria da tutti quelli che la volevano e la vogliono distruggere. Paolo Lepri, il Corriere della Sera, 3 marzo 2010
Difendere il Mossad per difendere Israele La
santimonia di quei censori d'Israele che si ergono a proteggerlo da
se stesso raramente brilla d’onestà intellettuale. S'agghindano
da amico preoccupato e lanciano strali pieni di livore mascherati da
buoni consigli. Ma alla fine non riescono a celare il rancore. E il
caso di David Gardner (Financial Times e ll Sole 24 Ore di sabato
scorso). Affidandosi a letteratura faziosa e spesso fantasiosa quali
gli scritti di Avi Shlaim - lo storico di Oxford malato della stessa
propensione alle filippiche contro Israele con l'aggravante di una
parallela riluttanza a criticare le tirannie arabe di cui ha passato la
vita a fare apologia - Gardner usa la scusa dell'assassinio a Dubai del
terrorista di Hamas Mahmoud alMabhou per ricordare al lettore tutti i
fallimenti del Mossad e per offrire un messaggio politico neanche
troppo velato - i servizi farebbero meglio a far di punto, altrimenti
tali avventatezze producono imbarazzi o peggio, veri e propri disastri
politici. [...] [...] Primo, la storia nota di ogni servizio
segreto (una professione che si fonda spesso sulla violazione delle
leggi di altri paesi) abbonda di fallimenti: i successi sono più spesso
tenuti segreti e solo più tardi e solo in parte resi noti. Pensiamo
soltanto alla guerra in Iraq o alla rivoluzione in Iran, la prima
avvenuta grazie a informazioni sbagliate, la seconda avvenuta perché
non anticipata dai servizi. Posto che Gardner abbia ragione il Mossad è
in buona compagnia. Secondo, anche ammettendo che sia stato
Israele a ordinare l'assassinio di alMabhou - e alcuni dettagli della
storia sollevano qualche dubbio - cosa ci si aspettava? Immaginiamoci
la scena. Immigrazione di Dubai agli assassini israeliani:
«Nazionalità?». «Israeliano!». «Professione?». «Agente del Mossad».
«Scopo della visita?». «Assassinio di un terrorista di Hamas!»
«Benvenuti a Dubai!». [...] [...] E sesto, a un Israele cui si
rinfaccia l'uso eccessivo della forza nel reagire agli attacchi dei
suoi nemici - vedi Operazione Piombo Fuso su Gaza - si dovrebbe
applaudire, non deprecare di aver preso a cuore tale critica e questa
volta di aver eliminato una minaccia senza danno collaterale alcuno. […] Emanuele Ottolenghi, il Sole 24 ore, 3 marzo
Hollywood si prende troppe licenze. Così il nazismo diventa gioco Già
l’anno scorso c'eravamo meritati Bastardi senza gioita di Quentin
Tarantino, dove Hitler non moriva a Berlino maa Parigi, nell'incendio
di un cinema. Dove ebrei americani, combattenti per la libertà,
strappavano lo scalpo ai nazisti che catturavano; o incidevano una
svastica sulla fronte di coloro che lasciavano in libertà. Il sergente
Donnie Donowitz, alias «l'Orso ebreo», giocava a baseball con i crani
delle proprie vittime. Lo stesso Hitler diventava una sorta di Grande
Produttore che aveva esteso a Germania ed Europa le frontiere dei suoi
studio. E Tarantino, quando gli si chiedevano spiegazioni sul
significato ultimo del suo film, non temeva di rispondere che, per gli
angeli sterminatori antinazisti le cui «nonnette» europee erano rimaste
«impotenti» quando per la prima volta si andò a «bussare alle loro
porte», il tempo era scaduto e «l'ora della vendetta» era suonata. [...] [...]
Oggi è un altro gigante del cinema americano, Martin Scorsese, a
impadronirsi del materiale altamente infiammabile che è la storia del
nazismo, e nel farlo, temo, si assume una responsabilità dello stesso
genere. Anche in questo caso, il talento non è in causa. Né è in causa
la trama del film, dal titolo «Shutter Island» (nei cinema italiani da
venerdì, ndr), che mescola con un virtuosismo sbalorditivo i
riferimenti a Hitchcock, a Samuel Fuller, a Vincent Minnelli o al film
troppo spesso sottovalutato di Val Lewton e Mark Robson, «Il vampiro
dell'isola». Ma cosa pensare, di nuovo, dell’identificazione implicita
di Guantanamo con i campi della morte? Cosa pensare dell'isola del
Diavolo, situata nel cuore degli Stati Uniti, dove l'amministrazione
avrebbe riciclato dopo la guerra ex criminali nazisti? E Dachau? Che
dire delle immagini del campo di Dachau allegramente confuso con
Auschwitz, visto che sul frontone dell'entrata appare la celebre
scritta: Arbeit Macht Frei? Che pensare degli ossari dove morti
colorizzati ci guardano con occhi da bambole di cera o di plastica e
tornano, lungo tutto il film, come un terribile Leitmotiv, a
ossessionare il cervello dell’eroe? E come non sussultare, infine,
quando appare l'inquadratura della camera a gas vuota di cui Leonardo
Di Caprio, errando nei sotterranei dell'ospedale psichiatrico dove
svolge la sua inchiesta, apre inavvertitamente la porta e intravede i
rubinetti delle docce non più usati? [...] Bernard Henri Lévy, il Corriere della Sera, 3 marzo 2010 |
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notizieflash |
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Arriva
a Beirut il libro Storia di amore e di tenebre,
scritto dall'israeliano Amos Oz e tradotto in arabo Tel Aviv, 3 mar - Storia
di amore e di tenebre, questo il titolo di uno fra i libri di maggior
successo internazionale dello scrittore israeliano Amos Oz. E’ stato
tradotto anche in arabo e nei prossimi giorni uscirà a Beirut. Ad
occuparsi delle traduzione è stato lo scrittore Jamil Ghneim. La
prefazione è stata scritta dall’avvocato arabo Elias Khoury, il cui
figlio George fu ucciso anni fa a Gerusalemme da attentatori
palestinesi che erano convinti fosse di religione ebraica. “Finanziando
la traduzione del libro - ha spiegato l'avvocato Khoury - ho cercato di
lanciare a mio modo un messaggio di tolleranza”. "Pensavo che si
trattasse di una storia provinciale, comprensibile solo a chi aveva
vissuto nella Gerusalemme negli anni della mia giovinezza. Mentre lo
scrivevo - ha detto Amos Oz al quotidiano Haaretz - non ero sicuro che
anche a Tel Aviv esso sarebbe stato compreso". Invece è stato tradotto
in 27 lingue e venduto in un milione di copie.
Netanyahu: “Pronti a riprendere le trattative con la Siria” Beirut, 3 mar - Il
premier israeliano Benyamin Netanyahu si è detto "pronto a recarsi
immediatamente a Damasco per incontrare il presidente siriano Bashar al
Assad" per avviare colloqui di pace tra i due Paesi. A divulgare la
notizia è stato il quotidiano panarabo Asharq al Awsat, secondo lo
stesso la proposta del premier israeliano giunge in risposta a quanto
affermato la settimana scorsa dal ministro degli Esteri siriano Walid
al Muallim circa la "disponibilità siriana ad accettare un ritiro
israeliano a tappe dalle Alture del Golan", occupate dallo Stato
ebraico nel 1967.
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L'Unione
delle Comunità Ebraiche Italiane sviluppa mezzi di comunicazione che
incoraggiano la conoscenza e il confronto delle realtà ebraiche. Gli
articoli e i commenti pubblicati, a meno che non sia espressamente
indicato il contrario, non possono essere intesi come una presa di
posizione ufficiale, ma solo come la autonoma espressione delle persone
che li firmano e che si sono rese gratuitamente disponibili. Gli
utenti che fossero interessati a partecipare alla sperimentazione
offrendo un proprio contributo, possono rivolgersi all'indirizzo desk@ucei.it per concordare le modalità di intervento.
Il servizio Notizieflash è realizzato dall'Unione delle Comunità
Ebraiche Italiane in collaborazione con la Comunità Ebraica di Trieste,
in redazione Daniela Gross. Avete
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