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L'Unione informa
 
    5 marzo 2010 - 19 Adar 5770  
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Moked - il portale dell´ebraismo italiano
alef/tav    
  roberto colombo Roberto
Colombo,

rabbino 
Secondo il Yalkùt Shim’onì, Moshè spezzò le tavole della legge perché le lettere incise sulla pietra si staccarono volando lontano. A questo punto la pietra non serviva più e poteva essere rotta. Quando la Torà è concepita solo come un bel libro di parole e concetti su cui ricamare ideologie prive d’azione, la pergamena si cancella e diventa inservibile (Ben Tzion Phirer).
Nel nostro ebraismo le donne hanno una parte speciale non solo in famiglia e nei tanti loro ruoli individuali, ma anche come insieme nel tessuto sociale e comunitario, ne è esemplare la capacita di aggregazione e la continua straordinaria attività dell’Adei. A Torino e in alcune altre Comunità oggi assistiamo allo sviluppo di un ulteriore dimensione al femminile: “il Beth Ha Midrash delle donne”. Un folto gruppo di donne che si ritrovano per analizzare e approfondire passi di Torà, di Talmud e di altre fonti. Gli impegni quotidiani del lavoro, della famiglia, della casa, gli interessi e le esigenze di relax, non frenano un numero crescente di donne giovani e meno giovani e dei più diversi orientamenti perché mosse da passione e dal desiderio di studiare e di confrontarsi. Il Beth Ha Midrash stimola, costringe alla riflessione, obbliga a porsi domande, avvicina ed offre spazi a donne che difficilmente si sentirebbero completamente a proprio agio nel confrontarsi in contesti di studio aperti a tutti. Probabilmente anche le discussioni sul cresciuto numero dei matrimoni misti che hanno messo più in luce il significato della matrilinearità e quindi il ruolo e la responsabilità delle donne hanno contribuito a questa impetuosa crescita. In ogni modo, il Beth Ha Midrash delle donne è una realtà di successo in diverse Comunità italiane, possiamo dunque riconoscerne un’espressione ebraica di vitalità e creatività, al femminile, naturalmente. Sonia
Brunetti Luzzati,

pedagogista
sonia brunetti luzzati  
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  Qui Roma - Forum dei direttori scolastici
Presente e futuro dell'educazione ebraica

 

ForumSi è svolto a Roma, nella sede del Centro Bibliografico  dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, l'undicesimo Forum di formazione per direttori scolastici organizzato dal Centro pedagogico del Dipartimento educazione e cultura Ucei (Dec), una full immersion di due giorni per   analizzare i punti di forza dell'educazione ebraica in Italia  valutandone  possibili sviluppi e nuovi valori da trasmettere ai ragazzi.
“E' emersa una forte esigenza di sinergia operativa, ma anche la necessità di una riflessione a tutto tondo sugli orientamenti e sulle linee da dare all'educazione ebraica in Italia nel prossimo futuro. Questi sono forse i punti che confermano l'importanza di questo Forum” afferma infatti il Rav Roberto Della Rocca direttore del Dec che ha presieduto le sessioni di lavoro guidate dallo psicologo ed esperto di coaching Daniel Segre. “Questo Forum  è forse l'esperienza più entusiasmante che io abbia fatto negli ultimi anni” osserva Segre “ Perché riuscire a costruire una dimensione in cui ciascuno possa esprimere i propri dubbi senza avere il timore di essere contestato sentendosi, viceversa appoggiato e capito, è il sogno più grande di uno psicologo. E' un cammino che è costato molto e ci sono delle persone che in questo ambito hanno intrapreso un percorso di crescita personale notevole”.
Anche i direttori della rete delle scuole ebraiche italiane esprimono la propria soddisfazione nei confronti del  Forum,  piattaforma di dialogo e di confronto aperto sulle tematiche inerenti l'educazione ebraica.
“Che cosa vorrebbero gli insegnanti dai propri allievi?” Si domanda il Rav Benedetto Carucci Viterbi che ha partecipato al Forum in qualità di dirigente scolastico della scuola media  Angelo Sacerdoti e  del liceo Renzo Levi di Roma “ La capacità di condividere attraverso la mediazione dell'insegnante. Questo fra adulti è molto difficile. Questi incontri rappresentano un grande patrimonio comune che ci aiuta anche a focalizzare i problemi”.
“Ognuno di noi raccoglie in questi giorni spunti e nuove proposte di lavoro che potrà rielaborare all'interno della propria realtà” osserva Marta Morello dirigente scolastico della scuola ebraica di Torino, mentre Tamar Misan dirigente scolastica della scuola elementare di Trieste, Claudia Bagarelli di quella di Milano e Milena Pavoncello di quella di Roma annuiscono per esprimere la propria approvazione a questo pensiero.
“Il Forum oltre che occasione di condivisione di esperienze è anche una valida opportunità di confronto per analizzare i problemi valutando altre possibilità di intervento” spiega Milena Pavoncello.
I dirigenti scolastici che partecipano alla rete delle scuole ebraiche italiane (Milano, Roma, Torino e Trieste) si incontreranno di nuovo il 5, 6 e 7 luglio a Firenze, dove la prossima settimana si svolgerà  il terzo incontro dei vicepresidi e collaboratori alla direzione che affronterà tematiche relative ai ruoli che queste persone ricoprono all’interno delle scuole ebraiche.
“Questi due Forum hanno creato nel corso degli anni un punto fermo della progettualità del Centro Pedagogico” spiega Odelia Liberanome, coordinatrice del Centro “Essi rappresentano una modalità di scambio reciproco delle necessità ma anche delle modalità in cui poter operare a beneficio dell'educazione ebraica. I due Forum hanno la responsabilità di portare avanti le nostre istituzioni scolastiche e maggiore è la condivisione e lo scambio di esperienze e di vedute più trasparente potrà essere il messaggio educativo che daremo ai nostri ragazzi”

Lucilla Efrati


Qui Torino – Italiani brava gente, ma non sempre

libroL'alba ci colse come un tradimento, edito da Mondadori, racconta la poco raccontata storia del campo di concentramento nazionale di Fossoli. Il libro di Liliana Picciotto è stato presentato alla Comunità Ebraica di Torino e Alessandra Chiappano, la studiosa che coordina l'evento, parla di “un'opera che colma una lacuna”.
È d'accordo l'autrice, storica della Shoah e responsabile di ricerca preso il Centro di documentazione ebraica di Milano: “Della storia di Fossoli non si sa abbastanza. Duemilaottocentoquarantaquattro ebrei passarono da Fossoli, senza contare i molti prigionieri politici”. È un grosso vulnus nella storia del nostro Paese. Perché, come disse Liliana Picciotto in un'intervista su queste colonne, ci costringe a rivedere il mito degli 'italiani brava gente'.
L'incontro è organizzato dalla Comunità ebraica torinese insieme con il Museo diffuso della resistenza e l'Istituto per la storia della resistenza (Istoreto). A presentare il libro con l'autrice interviene il professor Fabio Levi, storico contemporaneista dell'Università di Torino. “Liliana Picciotto adotta uno stile asciutto – spiega Levi – si limita a riportare i fatti, i risultati di una lunga e difficile ricerca, senza aggiungervi commenti. E di commenti davvero non si sente il bisogno. Non fatica a prescinderne, l'autrice, per rendere l'atmosfera e la sensazione dell'anticamera dell'ignoto – continua il professor Levi – della deportazione, della morte”.
Il tema centrale del libro, secondo Levi, è la relazione tra gli apparati militari italiani e tedeschi: “l'incontrovertibile prova delle atroci responsabilità delle forze armate repubblichine, il loro ruolo fondamentale nella grande macchina della deportazione”.
Il 30 novembre 1943 Tamburini, il capo della polizia della Repubblica di Salò, emanò l'ordine di arresto per tutti gli ebrei italiani e la loro concentrazione a Fossoli. Di qui le forze di occupazione naziste li prelevavano. Innumerevoli convogli partirono per Auschwitz, Mathausen, Bergen-Belsen.
“Fossoli – spiega Fabio Levi – è il documento principale che certifica la collaborazione dei fascisti con i nazisti nella persecuzione antiebraica, Per questo è importante raccontarne la storia”.
Lo storico riprende così un concetto espresso dal presidente della Repubblica Giorgio Napolitano nella prefazione che ha scritto de L'alba ci colse come un tradimento. Per l'inquilino del Quirinale infatti Liliana Picciotto “ fa emergere tutte le tremende responsabilità di quelle strutture poliziesche e amministrative che, eseguendo l'ordine di arresto di tutti gli ebrei emanato dalla Repubblica di Salò, consegnarono alle forze di occupazione naziste uomini e donne di ogni età per la loro deportazione nei campi di sterminio tedeschi, dove la maggior parte di loro trovò la morte.
Soltanto la memoria degli orrori di quel tempo può impedire che essi possano mai ripetersi”.
“Non è una verità di Stato – conclude l'intervento di Levi – quella che quest'opera chiama a gran voce. Bensì uno Stato che riconosca la verità su se stesso”.

Manuel Disegni
 
 
 
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  Il Tate Modern di Londra ospita Trembling Time,
la rassegna di video arte israeliana

Bartana Trembling Time è una rassegna di video arte israeliana presentata in questi giorni alla Tate Modern di Londra. Curata da Sergio Edelsztein, direttore del Centro per l’Arte Contemporanea di Tel Aviv, la rassegna ha il merito di mostrare il grande impatto che i video artisti israeliani stanno avendo sulla comunità artistica internazionale: Yael Bartana, Omer Fast e Keren Cytter sono diventati nomi noti nel mondo dorato dell’Arte Contemporanea (in alto un'immagine di Yael Bartana tratta dal filmato presentato al Trembling Time 2001).
In Israele la video arte nasce tra la fine degli anni ’70 e i primi anni ’80, quando artisti come Raffi Lavie, Yair Garbuz e Michal Neeman iniziano a lavorare con l’immagine in movimento utilizzando il Super-8. 
Dopo un periodo di silenzio che dura fino agli anni ’90, entra in scena una nuova generazione di video artisti guidata da Doron Solomons, Guy Ben Ner e Boaz Arad.
La rassegna parte da qui per arrivare fino ai lavori più recenti.
Guy Ben Ner crea video nei quali, attraverso una messa in scena piena di riferimenti alla letteratura colta e al cinema di Buster Keaton, presenta se stesso e la sua famiglia e analizza quelle ossessioni  della società contemporanea che sono il lavoro, i consumi e i rapporti personali.
Gli stessi temi sono al centro della ricerca artistica di Doron Solomons. In 
A Shopping Day, Solomons riusa gli elementi del linguaggio pubblicitario per sovvertirne l’effetto e creare una storia tragicomica, così diversa da quelle raccontate nella pubblicità.
I drammatici eventi della Seconda Intifada e le sue ripercussioni sulla società israeliana  sono affrontati nei lavori di Avi Mograbi, Malki Tesler, Ruti Sela e Amir Yatzir.
Ruti Sela in Beyond Guilt #2 invita in una camera d’albergo degli uomini che ha conosciuto su un sito internet. Davanti alla macchina da presa gli uomini parlano di se stessi e delle loro fantasie sessuali. L’artista cerca di capire come l’essere cresciuti in una società in guerra e l’aver avuto esperienze militari ha influenzato il carattere e le abitudini di questi adulti.
Mentre Avi Mograbi in Detail si concentra sui dettagli di uno scontro tra una famiglia palestinese e dei soldati israeliani in Cisgiordania, Playground di Malki Tesler mostra una performer che crea scompiglio in un parco giochi quando occupa fisicamente uno scivolo impedendo così ai bambini di usarlo. La metafora della situazione politica Israeliana è tanto diretta quanto efficace.
Questi sono lavori di artisti critici della politica Israeliana in Cisgiordania.
Se la realtà contemporanea è l’oggetto dell’indagine artistica di molti artisti, la macchina da presa di Yael Bartana punta al passato e, suggestivamente, combina insieme alcuni dei capitoli della recente Storia ebraica: la scomparsa dell’Ebraismo dell’Europa Orientale, il Sionismo, la fondazione d’Israele e la questione palestinese. In Wall and Tower, un gruppo di coloni israeliani costruisce un insediamento nel centro di Varsavia. Summer Camp mostra dei volontari intenti a ricostruire una casa Araba distrutta dall’esercito israeliano; il film è girato nello stile dei documentari sionisti degli anni ’30.
Una diretta conseguenza della ricerca che gli artisti hanno compiuto sul conflitto Israelo-Palestinese è il moltiplicarsi dei lavori intorno ai temi dell’identità personale e nazionale.
Shajar Marcus e Boaz Arad offrono delle comiche riflessioni sulle complesse relazioni tra aschkenazim  e sephardim in Israele.
In Sabich Marcus si rifà al famoso film di Jackson Pollock in azione girato da Hans Namuth, per creare, lui un aschkenazita, un gigante sabich, una pitta ripiena di melanzane  tipica della cucina Irachena.
Boaz filma sua madre mentre prepara il gefilte fish (il piatto per eccellenza degli ebrei dell’Europa Orientale), racconta la storia della sua famiglia e commenta sulle rivalità tra ashkenazi e sephardi. Il video suggerisce l’inevitabile progressivo allontanamento di tanti Ebrei d’Israele dalle loro radici Europee: nella famiglia dell’artista solo l’anziana madre sa preparare il gefilte fish.
Le incertezze del nostro confuso presente sono all’origine dei lavori di Keren Cytter:  rielaborando il linguaggio cinematografico e rifacendosi ai film di genere,  Cytter crea dei cortometraggi che, sorprendentemente, riescono a dare una nuova vita al formato filmico.
Il futuro prossimo e quello lontano sono messi in immagine nei lavori di Uri Katzenstein e Miri Segal.
Uri Katzenstein in Hope Machines crea il futuro post-apocalittico di un’umanità ridotta a vivere su piccole isole artificiali in un mondo sommerso dall’acqua, sotto un cielo perennemente arancione dove brillano tre soli. Qui gli uomini ripensano con nostalgia al loro passato (il nostro presente), il periodo della loro (nostra) ingenuità.
Miri Segal, invece, in Be Right Back costruisce un mondo virtuale e medita sulla vita dell’uomo nella società tecnologica facendo riferimento a Nietzsche e alla realtà parallela creata dai computer.
Trembling Time mostra la grande vitalità e qualità della video arte israeliana. Riflettendo sulla situazione politica Mediorientale e decostruendo la complessità della società tecnologica contemporanea i video artisti Israeliani creano opere che sfidano la nostra percezione del mondo dettataci dai mass-media  offrendoci la visione di un’alternativa.

Rocco Giansante


Eurolega – Il Maccabi conquista i playoff

Pini gershonEra una partita da dentro o fuori. E il Maccabi Electra non l’ha sbagliata. Trascinata dalla super coppia Bluthenthal-Anderson, vecchie conoscenze del nostro campionato mai sufficientemente rimpiante, è riuscito a sopravanzare il Montepaschi Siena e a conquistare, con un turno di anticipo, i playoff dell’Eurolega. Otto squadre in lizza per il più importante trofeo continentale: gli israeliani, dopo la pesantissima debacle della scorsa stagione, saranno nuovamente tra i protagonisti della competizione (nell'immagine in alto Pini Gershon allenatore del Maccabi).
Ma nonostante il punteggio netto (97-82), l’incontro è stato a lungo in bilico, con i senesi che hanno accarezzato il sogno di espugnare la Nokia Arena. A risultare decisivo è stato l’ultimo periodo, nel corso del quale i padroni di casa hanno realizzato la bellezza di 43 punti (nuovo record di Eurolega). Di questi, 15 firmati da Anderson, autentico mattatore degli ultimi dieci minuti di gioco. Per la Montepaschi, senza rivali in patria, resta l’amarezza per una eliminazione che non le consente di fare quel definitivo salto di qualità che i tifosi chiedono anche in campo internazionale.
Esulta invece Pini Gershon, allenatore del Maccabi, che a caldo commenta: “Per la vittoria finale ci siamo anche noi”. L’obiettivo dichiarato è quello di arrivare alla Final Four, che quest’anno si svolgerà a Parigi. Sulla loro strada, nei quarti, una squadra tra Barcellona, Partizan Belgrado e Maroussi Atene. Per conoscere il prossimo avversario sarà necessario attendere l’ultima giornata di gare, quando i gialloblu di Tel Aviv e il Real Madrid si contenderanno la leadership del girone. Vincere vorrà dire evitare, con tutta probabilità, il temibile club catalano, forte della sua leadership nel raggruppamento E.
Tornando a ieri sera, il match è stato all’insegna dell’equilibrio sin dall’inizio. Dopo una partita a razzo del Maccabi, gli ospiti replicavano prontamente e chiudevano la prima frazione in vantaggio (19-21). Al ritorno sul parquet, le triple di Bluthenthal ribaltavano il risultato: a metà gara il parziale era di 43-37. Ma grazie ad un eccellente terzo tempo (11-20), i toscani si portavano di nuovo davanti di una manciata di punti, sfiorando anche la possibilità di prendere il largo (49-55).
Si arrivava al gran finale, ricco di spettacolo e canestri. Il Maccabi vinceva grazie alla maggior precisione dei suoi tiratori, la Montepaschi sbagliava più volte la fase difensiva.

Adam Smulevich
 
 
 
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I risultati delle elezioni amministrative in Olanda, primo turno in una serie di chiamate alle urne che impegneranno il paese, in previsione delle elezioni politiche che si terranno tra tre mesi, impensierisce, e non di poco, buona parte della stampa e, con essa, di parte del pubblico dei lettori. Netta la vittoria del Partito della libertà che, al di là del suo nome, si situa nel filone delle organizzazioni politiche populiste di stampo xenofobo. Così Paolo Passarini su la Stampa, che riporta anche le dichiarazioni del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. Chi ne sia il promotore, Geert Wilders, è raccontato in maniera secca da Giancesare Flesca su il Fatto quotidiano, che ne fa un veloce ritratto ponendo in rilievo quello, che a suo dire, è uno dei suoi caratteri più significativi, ovvero l’opportunismo. Quanto poi ci sia di calcolo e quanto di convinzione nell’agire di un politico dei giorni nostri, alfiere della contrapposizione ad un fenomeno sociale, l’immigrazione straniera connotata da una appartenenza religiosa che viene letta con un unico indice di interpretazione, ovvero nel segno della deriva e della minaccia, è questione di poco conto a ben vedere. Ciò che va registrato è che un tipo di interpretazione molto orientata nel senso dell’allarme sociale, ha oggi buoni addentellati e quindi ampi riscontri tra gli elettori. Dietro il segno, indiscutibilmente preoccupante, della vittoria di una lista che rimanda al confronto secco e al rifiuto netto nei confronti dell’immigrazione e di ciò che, più o meno propriamente, viene chiamato «multiculturalismo», ci sono evidentemente più ragioni, non ascrivibili solo all’intolleranza crescente, che pure è un tratto dei tempi che stiamo vivendo. Marco Zatterin su la Stampa ci consegna un reportage sull’Olanda di oggi, dipinta nei suoi sentimenti - ma soprattutto risentimenti - dominanti. Di certo, e non è materia per soli politologi, i nostri paesi stanno vivendo un’età populista, che può essere letta in molti modi. La crisi economica, che attanaglia le nostre società, è un fattore che incide enormemente nell’amplificazione delle insicurezze collettive. Non di meno, morde i margini ai processi di integrazione degli stranieri, accelerando invece le risposte di ordine comunitarista (ognuno con i suoi, ogni gruppo contro gli altri), assai poco congeniali a delle democrazie che proprio sulla capacità di costruire processi di cittadinanza giocano invece tutta la loro credibilità. Il voto olandese, quindi, registra due aspetti simmetrici: l’esistenza di un ampio disagio sociale e civile; la difficoltà degli elettori di dare ad esso un nome che non sia quello che più facilmente si manifesta in presenza di diversità, di cui gli immigrati sono spesso titolari, viste non solo come inconciliabili con l’identità propria ma anche come foriere di tensioni inconciliabili. Altre elezioni in vista, quelle legislative irakene che si terranno tra due giorni, altri problemi all’orizzonte. Un sunto al riguardo ci è offerto da Riccardo Redaelli su l’Interprete internazionale, dove si fa un bilancio della questione della sicurezza, uno dei temi su cui le forze politiche che vanno alle urne si giocano buona parte delle loro fortune. L’instabilità permanente del paese è all’origine stessa della scelta di andare ad un confronto politico che vorrebbe spostare il baricentro dei conflitti dalle piazze alle schede elettorali, sottraendo al terrorismo un po’ di spazio e cercando di offrire una qualche chance al sogno di normalità che accompagna la buona parte dei cittadini di quel paese. Aggiornamenti dal versante Israele ci sono invece dati da Virginia Di Marco su il Riformista, che ci informa sulle ultime mosse dei protagonisti da Ramallah e Gerusalemme, così come Rita Fatiguso, su il Sole 24 Ore, ci rammenta che esiste anche un’altra Palestina, non quella militante (e disperata) che ci è servita quotidianamente come piatto forte del conflitto aperto con gli israeliani ma un paese che si adopera per maturare economicamente, avendo ben più di una carta a suo favore. Il Foglio, nell’articolo «finalmente c’è un po’ di Sapienza», fa una rassegna dell’andamento dell’iniziativa promossa da una rete internazionale di atenei, tra i quali tre università italiane (quelle di Roma, Bologna e Pisa), per il sostegno alle accademie palestinesi e il correlativo boicottaggio di quelle israeliane. La buona notizia è che La Sapienza ha stipulato un gemellaggio con la Tel Aviv University, rivelando così come l’adesione alla campagna contro Israele sia assai meno compatta e tangibile di quanto gli organizzatori non intenderebbero far pensare. In realtà in ogni università coesistono, negli stessi luoghi e nel medesimo tempo, minoranze tanto determinate quanto rumorose, che pretendono con le loro iniziative di parlare a nome di tutti, con maggioranze silenziose, sospese tra disinteresse ma anche dissenso. Il ricorso al nome di prestigiosi atenei per giustificare prese di posizione politiche, tanto nette quanto conflittuali, non deve farci pensare ad una immediata e corale adesione da parte di chi dentro quei posti ci lavora, studia e, in parte, vive. La realtà universitaria italiana, come quella di qualsiasi altro paese, è troppo ampia e articolata per potere essere ricondotta ad una sola volontà. Sarebbe come dire che la vittoria parziale, in una qualche tornata occasionale, di un partito (pensiamo ancora all’Olanda di questi giorni), sia l’espressione di un consenso compatto, ossia di una omogeneità di opinioni che di certo, invece, non esiste. Rimane il pluralismo come caposaldo delle democrazie occidentali e l’esibizione di una qualche determinazione verbale non deve essere scambiata per l’acquisizione di una supremazia intellettuale e morale che – invece - non sussiste. Quel che tuttavia è non meno vero è che un tema come il conflitto israelo-palestinese, per le sue ricadute emotive e identificative, raccoglie un grande seguito negli ambienti intellettualizzati, da dove sono frequentemente partite iniziative che hanno polarizzato il giudizio del pubblico. La responsabilità della comunicazione e dei comunicatori è una questione troppo delicata per essere risolta con qualche exploit che chiama alla facile mobilitazione animi già esacerbati da una forte lettura ideologica degli eventi. Infine, per gli amanti del genere spionistico, che in queste settimane ha conosciuto una nuova impennata grazie alle vicende di Dubai, dove un gruppo di agenti del Mossad avrebbe operato, sotto false coperture, per l’eliminazione di uno dei faccendieri e dirigenti di Hamas, segnaliamo l’articolo di Paola Caridi su l’Espresso dedicato allo Yaman, acronimo di Yehidat Mishtara Meyuhedet, un reparto operativo della polizia di frontiera israeliana composto di poche centinaia di appartenenti capaci di adoperarsi nelle situazioni più critiche. Alle parole si corredano le foto, suggestive e acrobatiche, di quello che, a detta dell’autrice, è qualcosa di così segreto da essere conosciuto anche attraverso un articolo di giornale.
 
Claudio Vercelli

 
 
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Al via la sperimentazione del body scanner a Fiumicino              
Fiumicino (Roma), 5 mar -
Vitaliano Turrà, Direttore dell'Ente nazionale aviazione civile (Enac) dell'aeroporto di Fiumicino, ha così commentato la sperimentazione del body scanner a Fiumicino "E' partita 'timidamente' la sperimentazione del body scanner sui passeggeri, stiamo ancora apportando al macchinario delle ulteriori modifiche e tarature, essendo il primo giorno di avvio vero e proprio , ma tutto sta procedendo senza problemi e qualche risultato lo stà già dando, così come qualche elemento utile di valutazione". Turrà era tra le autorità presenti questa mattina al Terminal 5, all'avvio della sperimentazione del body scanner a onde millimetriche sui passeggeri in partenza per gli Stati Uniti e Israele. "La sperimentazione del body scanner a Fiumicino durerà 5, 6 settimane - prosegue Turrà - al termine del quale potremo trarre delle conclusioni circa il pieno utilizzo di queste macchine".
 
 
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Gli utenti che fossero interessati a partecipare alla sperimentazione offrendo un proprio contributo, possono rivolgersi all'indirizzo desk@ucei.it per concordare le modalità di intervento.
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