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L'Unione informa |
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5 marzo 2010 - 19 Adar 5770 |
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alef/tav |
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Roberto Colombo, rabbino |
Secondo il Yalkùt Shim’onì, Moshè
spezzò le tavole della legge perché le lettere incise sulla pietra si
staccarono volando lontano. A questo punto la pietra non serviva più e
poteva essere rotta. Quando la Torà è concepita solo come un bel libro
di parole e concetti su cui ricamare ideologie prive d’azione, la
pergamena si cancella e diventa inservibile (Ben Tzion Phirer).
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Nel
nostro ebraismo le donne hanno una parte speciale non solo in famiglia
e nei tanti loro ruoli individuali, ma anche come insieme nel tessuto
sociale e comunitario, ne è esemplare la capacita di aggregazione e la
continua straordinaria attività dell’Adei. A Torino e in
alcune altre Comunità oggi assistiamo allo sviluppo di un
ulteriore dimensione al femminile: “il Beth Ha Midrash delle donne”. Un
folto gruppo di donne che si ritrovano per analizzare e approfondire
passi di Torà, di Talmud e di altre fonti. Gli impegni quotidiani del
lavoro, della famiglia, della casa, gli interessi e le esigenze di
relax, non frenano un numero crescente di donne giovani e meno giovani
e dei più diversi orientamenti perché mosse da passione e dal desiderio
di studiare e di confrontarsi. Il Beth Ha Midrash stimola, costringe
alla riflessione, obbliga a porsi domande, avvicina ed offre spazi a
donne che difficilmente si sentirebbero completamente a proprio agio
nel confrontarsi in contesti di studio aperti a tutti. Probabilmente
anche le discussioni sul cresciuto numero dei matrimoni misti che hanno
messo più in luce il significato della matrilinearità e quindi il ruolo
e la responsabilità delle donne hanno contribuito a questa impetuosa crescita.
In ogni modo, il Beth Ha Midrash delle donne è una realtà di successo
in diverse Comunità italiane, possiamo dunque riconoscerne
un’espressione ebraica di vitalità e creatività, al femminile,
naturalmente. |
Sonia Brunetti Luzzati,
pedagogista |
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Qui Roma - Forum dei direttori scolastici Presente e futuro dell'educazione ebraica Si
è svolto a Roma, nella sede del Centro Bibliografico dell'Unione delle
Comunità Ebraiche Italiane, l'undicesimo Forum di formazione per
direttori scolastici organizzato dal Centro pedagogico del Dipartimento
educazione e cultura Ucei (Dec), una full immersion di due giorni per
analizzare i punti di forza dell'educazione ebraica in Italia
valutandone possibili sviluppi e nuovi valori da trasmettere ai
ragazzi. “E' emersa una forte esigenza di sinergia operativa, ma
anche la necessità di una riflessione a tutto tondo sugli orientamenti
e sulle linee da dare all'educazione ebraica in Italia nel prossimo
futuro. Questi sono forse i punti che confermano l'importanza di questo
Forum” afferma infatti il Rav Roberto Della Rocca direttore del Dec che
ha presieduto le sessioni di lavoro guidate dallo psicologo ed esperto
di coaching Daniel Segre. “Questo Forum è forse l'esperienza più
entusiasmante che io abbia fatto negli ultimi anni” osserva Segre “
Perché riuscire a costruire una dimensione in cui ciascuno possa
esprimere i propri dubbi senza avere il timore di essere contestato
sentendosi, viceversa appoggiato e capito, è il sogno più grande di uno
psicologo. E' un cammino che è costato molto e ci sono delle persone
che in questo ambito hanno intrapreso un percorso di crescita personale
notevole”. Anche i direttori della rete delle scuole ebraiche
italiane esprimono la propria soddisfazione nei confronti del Forum,
piattaforma di dialogo e di confronto aperto sulle tematiche inerenti
l'educazione ebraica. “Che cosa vorrebbero gli insegnanti dai
propri allievi?” Si domanda il Rav Benedetto Carucci Viterbi che
ha partecipato al Forum in qualità di dirigente scolastico della scuola
media Angelo Sacerdoti e del liceo Renzo Levi di Roma “ La capacità
di condividere attraverso la mediazione dell'insegnante. Questo fra
adulti è molto difficile. Questi incontri rappresentano un grande
patrimonio comune che ci aiuta anche a focalizzare i problemi”. “Ognuno
di noi raccoglie in questi giorni spunti e nuove proposte di lavoro che
potrà rielaborare all'interno della propria realtà” osserva Marta
Morello dirigente scolastico della scuola ebraica di Torino, mentre
Tamar Misan dirigente scolastica della scuola elementare di Trieste,
Claudia Bagarelli di quella di Milano e Milena Pavoncello di quella di
Roma annuiscono per esprimere la propria approvazione a questo pensiero. “Il
Forum oltre che occasione di condivisione di esperienze è anche una
valida opportunità di confronto per analizzare i problemi valutando
altre possibilità di intervento” spiega Milena Pavoncello. I
dirigenti scolastici che partecipano alla rete delle scuole ebraiche
italiane (Milano, Roma, Torino e Trieste) si incontreranno di nuovo il
5, 6 e 7 luglio a Firenze, dove la prossima settimana si svolgerà il
terzo incontro dei vicepresidi e collaboratori alla direzione che
affronterà tematiche relative ai ruoli che queste persone ricoprono
all’interno delle scuole ebraiche. “Questi due Forum hanno creato
nel corso degli anni un punto fermo della progettualità del Centro
Pedagogico” spiega Odelia Liberanome, coordinatrice del Centro “Essi
rappresentano una modalità di scambio reciproco delle necessità ma
anche delle modalità in cui poter operare a beneficio dell'educazione
ebraica. I due Forum hanno la responsabilità di portare avanti le
nostre istituzioni scolastiche e maggiore è la condivisione e lo
scambio di esperienze e di vedute più trasparente potrà essere il
messaggio educativo che daremo ai nostri ragazzi”
Lucilla Efrati
Qui Torino – Italiani brava gente, ma non sempre
L'alba ci colse come un tradimento,
edito da Mondadori, racconta la poco raccontata storia del campo di
concentramento nazionale di Fossoli. Il libro di Liliana Picciotto è
stato presentato alla Comunità Ebraica di Torino e Alessandra
Chiappano, la studiosa che coordina l'evento, parla di “un'opera che
colma una lacuna”. È d'accordo l'autrice, storica della Shoah e
responsabile di ricerca preso il Centro di documentazione ebraica di
Milano: “Della storia di Fossoli non si sa abbastanza.
Duemilaottocentoquarantaquattro ebrei passarono da Fossoli, senza
contare i molti prigionieri politici”. È un grosso vulnus nella storia
del nostro Paese. Perché, come disse Liliana Picciotto in un'intervista
su queste colonne, ci costringe a rivedere il mito degli 'italiani
brava gente'. L'incontro è organizzato dalla Comunità ebraica
torinese insieme con il Museo diffuso della resistenza e l'Istituto per
la storia della resistenza (Istoreto). A presentare il libro con
l'autrice interviene il professor Fabio Levi, storico contemporaneista
dell'Università di Torino. “Liliana Picciotto adotta uno stile asciutto
– spiega Levi – si limita a riportare i fatti, i risultati di una lunga
e difficile ricerca, senza aggiungervi commenti. E di commenti davvero
non si sente il bisogno. Non fatica a prescinderne, l'autrice, per
rendere l'atmosfera e la sensazione dell'anticamera dell'ignoto –
continua il professor Levi – della deportazione, della morte”. Il
tema centrale del libro, secondo Levi, è la relazione tra gli apparati
militari italiani e tedeschi: “l'incontrovertibile prova delle atroci
responsabilità delle forze armate repubblichine, il loro ruolo
fondamentale nella grande macchina della deportazione”. Il 30
novembre 1943 Tamburini, il capo della polizia della Repubblica di
Salò, emanò l'ordine di arresto per tutti gli ebrei italiani e la loro
concentrazione a Fossoli. Di qui le forze di occupazione naziste li
prelevavano. Innumerevoli convogli partirono per Auschwitz, Mathausen,
Bergen-Belsen. “Fossoli – spiega Fabio Levi – è il documento
principale che certifica la collaborazione dei fascisti con i nazisti
nella persecuzione antiebraica, Per questo è importante raccontarne la
storia”. Lo storico riprende così un concetto espresso dal
presidente della Repubblica Giorgio Napolitano nella prefazione che ha
scritto de L'alba ci colse come un tradimento. Per l'inquilino del
Quirinale infatti Liliana Picciotto “ fa emergere tutte le tremende
responsabilità di quelle strutture poliziesche e amministrative che,
eseguendo l'ordine di arresto di tutti gli ebrei emanato dalla
Repubblica di Salò, consegnarono alle forze di occupazione naziste
uomini e donne di ogni età per la loro deportazione nei campi di
sterminio tedeschi, dove la maggior parte di loro trovò la morte. Soltanto la memoria degli orrori di quel tempo può impedire che essi possano mai ripetersi”. “Non
è una verità di Stato – conclude l'intervento di Levi – quella che
quest'opera chiama a gran voce. Bensì uno Stato che riconosca la verità
su se stesso”.
Manuel Disegni
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Il Tate Modern di Londra ospita Trembling Time, la rassegna di video arte israeliana
Trembling Time è una rassegna di video arte israeliana presentata in
questi giorni alla Tate Modern di Londra. Curata da Sergio Edelsztein,
direttore del Centro per l’Arte Contemporanea di Tel Aviv, la rassegna
ha il merito di mostrare il grande impatto che i video artisti
israeliani stanno avendo sulla comunità artistica internazionale: Yael
Bartana, Omer Fast e Keren Cytter sono diventati nomi noti nel mondo
dorato dell’Arte Contemporanea (in alto un'immagine di Yael Bartana
tratta dal filmato presentato al Trembling Time 2001). In
Israele la video arte nasce tra la fine degli anni ’70 e i primi anni
’80, quando artisti come Raffi Lavie, Yair Garbuz e Michal Neeman
iniziano a lavorare con l’immagine in movimento utilizzando il
Super-8. Dopo un periodo di silenzio che dura fino agli
anni ’90, entra in scena una nuova generazione di video artisti guidata
da Doron Solomons, Guy Ben Ner e Boaz Arad. La rassegna parte da qui per arrivare fino ai lavori più recenti. Guy
Ben Ner crea video nei quali, attraverso una messa in scena piena di
riferimenti alla letteratura colta e al cinema di Buster Keaton,
presenta se stesso e la sua famiglia e analizza quelle ossessioni
della società contemporanea che sono il lavoro, i consumi e i rapporti
personali. Gli stessi temi sono al centro della ricerca artistica di Doron Solomons. In A Shopping Day,
Solomons riusa gli elementi del linguaggio pubblicitario per
sovvertirne l’effetto e creare una storia tragicomica, così diversa da
quelle raccontate nella pubblicità. I drammatici eventi della
Seconda Intifada e le sue ripercussioni sulla società israeliana
sono affrontati nei lavori di Avi Mograbi, Malki Tesler, Ruti Sela e
Amir Yatzir. Ruti Sela in Beyond Guilt #2 invita
in una camera d’albergo degli uomini che ha conosciuto su un sito
internet. Davanti alla macchina da presa gli uomini parlano di se
stessi e delle loro fantasie sessuali. L’artista cerca di capire come
l’essere cresciuti in una società in guerra e l’aver avuto esperienze
militari ha influenzato il carattere e le abitudini di questi adulti. Mentre Avi Mograbi in Detail si
concentra sui dettagli di uno scontro tra una famiglia palestinese e
dei soldati israeliani in Cisgiordania, Playground di Malki Tesler
mostra una performer che crea scompiglio in un parco giochi quando
occupa fisicamente uno scivolo impedendo così ai bambini di usarlo. La
metafora della situazione politica Israeliana è tanto diretta quanto
efficace. Questi sono lavori di artisti critici della politica Israeliana in Cisgiordania. Se
la realtà contemporanea è l’oggetto dell’indagine artistica di molti
artisti, la macchina da presa di Yael Bartana punta al passato e,
suggestivamente, combina insieme alcuni dei capitoli della recente
Storia ebraica: la scomparsa dell’Ebraismo dell’Europa Orientale, il
Sionismo, la fondazione d’Israele e la questione palestinese. In Wall
and Tower, un gruppo di coloni israeliani costruisce un insediamento
nel centro di Varsavia. Summer Camp mostra dei volontari intenti a
ricostruire una casa Araba distrutta dall’esercito israeliano; il film
è girato nello stile dei documentari sionisti degli anni ’30. Una
diretta conseguenza della ricerca che gli artisti hanno compiuto sul
conflitto Israelo-Palestinese è il moltiplicarsi dei lavori intorno ai
temi dell’identità personale e nazionale. Shajar Marcus e Boaz
Arad offrono delle comiche riflessioni sulle complesse relazioni tra
aschkenazim e sephardim in Israele. In Sabich Marcus
si rifà al famoso film di Jackson Pollock in azione girato da Hans
Namuth, per creare, lui un aschkenazita, un gigante sabich, una pitta
ripiena di melanzane tipica della cucina Irachena. Boaz
filma sua madre mentre prepara il gefilte fish (il piatto per
eccellenza degli ebrei dell’Europa Orientale), racconta la storia della
sua famiglia e commenta sulle rivalità tra ashkenazi e sephardi. Il
video suggerisce l’inevitabile progressivo allontanamento di tanti
Ebrei d’Israele dalle loro radici Europee: nella famiglia dell’artista
solo l’anziana madre sa preparare il gefilte fish. Le incertezze
del nostro confuso presente sono all’origine dei lavori di Keren
Cytter: rielaborando il linguaggio cinematografico e rifacendosi
ai film di genere, Cytter crea dei cortometraggi che,
sorprendentemente, riescono a dare una nuova vita al formato filmico. Il futuro prossimo e quello lontano sono messi in immagine nei lavori di Uri Katzenstein e Miri Segal. Uri
Katzenstein in Hope Machines crea il futuro post-apocalittico di
un’umanità ridotta a vivere su piccole isole artificiali in un mondo
sommerso dall’acqua, sotto un cielo perennemente arancione dove
brillano tre soli. Qui gli uomini ripensano con nostalgia al loro
passato (il nostro presente), il periodo della loro (nostra) ingenuità. Miri
Segal, invece, in Be Right Back costruisce un mondo virtuale e medita
sulla vita dell’uomo nella società tecnologica facendo riferimento a
Nietzsche e alla realtà parallela creata dai computer. Trembling
Time mostra la grande vitalità e qualità della video arte israeliana.
Riflettendo sulla situazione politica Mediorientale e decostruendo la
complessità della società tecnologica contemporanea i video artisti
Israeliani creano opere che sfidano la nostra percezione del mondo
dettataci dai mass-media offrendoci la visione di un’alternativa.
Rocco Giansante
Eurolega – Il Maccabi conquista i playoff
Era
una partita da dentro o fuori. E il Maccabi Electra non l’ha sbagliata.
Trascinata dalla super coppia Bluthenthal-Anderson, vecchie conoscenze
del nostro campionato mai sufficientemente rimpiante, è riuscito a
sopravanzare il Montepaschi Siena e a conquistare, con un turno di
anticipo, i playoff dell’Eurolega. Otto squadre in lizza per il più
importante trofeo continentale: gli israeliani, dopo la pesantissima
debacle della scorsa stagione, saranno nuovamente tra i protagonisti
della competizione (nell'immagine in alto Pini Gershon allenatore del
Maccabi). Ma nonostante il punteggio netto (97-82), l’incontro è
stato a lungo in bilico, con i senesi che hanno accarezzato il sogno di
espugnare la Nokia Arena. A risultare decisivo è stato l’ultimo
periodo, nel corso del quale i padroni di casa hanno realizzato la
bellezza di 43 punti (nuovo record di Eurolega). Di questi, 15 firmati
da Anderson, autentico mattatore degli ultimi dieci minuti di gioco.
Per la Montepaschi, senza rivali in patria, resta l’amarezza per una
eliminazione che non le consente di fare quel definitivo salto di
qualità che i tifosi chiedono anche in campo internazionale. Esulta
invece Pini Gershon, allenatore del Maccabi, che a caldo commenta: “Per
la vittoria finale ci siamo anche noi”. L’obiettivo dichiarato è quello
di arrivare alla Final Four, che quest’anno si svolgerà a Parigi. Sulla
loro strada, nei quarti, una squadra tra Barcellona, Partizan Belgrado
e Maroussi Atene. Per conoscere il prossimo avversario sarà necessario
attendere l’ultima giornata di gare, quando i gialloblu di Tel Aviv e
il Real Madrid si contenderanno la leadership del girone. Vincere vorrà
dire evitare, con tutta probabilità, il temibile club catalano, forte
della sua leadership nel raggruppamento E. Tornando a ieri sera,
il match è stato all’insegna dell’equilibrio sin dall’inizio. Dopo una
partita a razzo del Maccabi, gli ospiti replicavano prontamente e
chiudevano la prima frazione in vantaggio (19-21). Al ritorno sul
parquet, le triple di Bluthenthal ribaltavano il risultato: a metà gara
il parziale era di 43-37. Ma grazie ad un eccellente terzo tempo
(11-20), i toscani si portavano di nuovo davanti di una manciata di
punti, sfiorando anche la possibilità di prendere il largo (49-55). Si
arrivava al gran finale, ricco di spettacolo e canestri. Il Maccabi
vinceva grazie alla maggior precisione dei suoi tiratori, la
Montepaschi sbagliava più volte la fase difensiva.
Adam Smulevich |
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I
risultati delle elezioni amministrative in Olanda, primo turno in una
serie di chiamate alle urne che impegneranno il paese, in previsione
delle elezioni politiche che si terranno tra tre mesi, impensierisce, e
non di poco, buona parte della stampa e, con essa, di parte del
pubblico dei lettori. Netta la vittoria del Partito della libertà che,
al di là del suo nome, si situa nel filone delle organizzazioni
politiche populiste di stampo xenofobo. Così Paolo Passarini su la Stampa,
che riporta anche le dichiarazioni del Presidente della Repubblica
Giorgio Napolitano. Chi ne sia il promotore, Geert Wilders, è
raccontato in maniera secca da Giancesare Flesca su il Fatto quotidiano,
che ne fa un veloce ritratto ponendo in rilievo quello, che a suo dire,
è uno dei suoi caratteri più significativi, ovvero l’opportunismo.
Quanto poi ci sia di calcolo e quanto di convinzione nell’agire di un
politico dei giorni nostri, alfiere della contrapposizione ad un
fenomeno sociale, l’immigrazione straniera connotata da una
appartenenza religiosa che viene letta con un unico indice di
interpretazione, ovvero nel segno della deriva e della minaccia, è
questione di poco conto a ben vedere. Ciò che va registrato è che un
tipo di interpretazione molto orientata nel senso dell’allarme sociale,
ha oggi buoni addentellati e quindi ampi riscontri tra gli elettori.
Dietro il segno, indiscutibilmente preoccupante, della vittoria di una
lista che rimanda al confronto secco e al rifiuto netto nei confronti
dell’immigrazione e di ciò che, più o meno propriamente, viene chiamato
«multiculturalismo», ci sono evidentemente più ragioni, non ascrivibili
solo all’intolleranza crescente, che pure è un tratto dei tempi che
stiamo vivendo. Marco Zatterin su la Stampa
ci consegna un reportage sull’Olanda di oggi, dipinta nei suoi
sentimenti - ma soprattutto risentimenti - dominanti. Di certo, e non è
materia per soli politologi, i nostri paesi stanno vivendo un’età
populista, che può essere letta in molti modi. La crisi economica, che
attanaglia le nostre società, è un fattore che incide enormemente
nell’amplificazione delle insicurezze collettive. Non di meno, morde i
margini ai processi di integrazione degli stranieri, accelerando invece
le risposte di ordine comunitarista (ognuno con i suoi, ogni gruppo
contro gli altri), assai poco congeniali a delle democrazie che proprio
sulla capacità di costruire processi di cittadinanza giocano invece
tutta la loro credibilità. Il voto olandese, quindi, registra due
aspetti simmetrici: l’esistenza di un ampio disagio sociale e civile;
la difficoltà degli elettori di dare ad esso un nome che non sia quello
che più facilmente si manifesta in presenza di diversità, di cui gli
immigrati sono spesso titolari, viste non solo come inconciliabili con
l’identità propria ma anche come foriere di tensioni inconciliabili.
Altre elezioni in vista, quelle legislative irakene che si terranno tra
due giorni, altri problemi all’orizzonte. Un sunto al riguardo ci è
offerto da Riccardo Redaelli su l’Interprete internazionale,
dove si fa un bilancio della questione della sicurezza, uno dei temi su
cui le forze politiche che vanno alle urne si giocano buona parte delle
loro fortune. L’instabilità permanente del paese è all’origine stessa
della scelta di andare ad un confronto politico che vorrebbe spostare
il baricentro dei conflitti dalle piazze alle schede elettorali,
sottraendo al terrorismo un po’ di spazio e cercando di offrire una
qualche chance al sogno di normalità che accompagna la buona parte dei
cittadini di quel paese. Aggiornamenti dal versante Israele ci sono
invece dati da Virginia Di Marco su il Riformista, che ci informa sulle ultime mosse dei protagonisti da Ramallah e Gerusalemme, così come Rita Fatiguso, su il Sole 24 Ore,
ci rammenta che esiste anche un’altra Palestina, non quella militante
(e disperata) che ci è servita quotidianamente come piatto forte del
conflitto aperto con gli israeliani ma un paese che si adopera per
maturare economicamente, avendo ben più di una carta a suo favore. Il Foglio,
nell’articolo «finalmente c’è un po’ di Sapienza», fa una rassegna
dell’andamento dell’iniziativa promossa da una rete internazionale di
atenei, tra i quali tre università italiane (quelle di Roma, Bologna e
Pisa), per il sostegno alle accademie palestinesi e il correlativo
boicottaggio di quelle israeliane. La buona notizia è che La Sapienza
ha stipulato un gemellaggio con la Tel Aviv University, rivelando così
come l’adesione alla campagna contro Israele sia assai meno compatta e
tangibile di quanto gli organizzatori non intenderebbero far pensare.
In realtà in ogni università coesistono, negli stessi luoghi e nel
medesimo tempo, minoranze tanto determinate quanto rumorose, che
pretendono con le loro iniziative di parlare a nome di tutti, con
maggioranze silenziose, sospese tra disinteresse ma anche dissenso. Il
ricorso al nome di prestigiosi atenei per giustificare prese di
posizione politiche, tanto nette quanto conflittuali, non deve farci
pensare ad una immediata e corale adesione da parte di chi dentro quei
posti ci lavora, studia e, in parte, vive. La realtà universitaria
italiana, come quella di qualsiasi altro paese, è troppo ampia e
articolata per potere essere ricondotta ad una sola volontà. Sarebbe
come dire che la vittoria parziale, in una qualche tornata occasionale,
di un partito (pensiamo ancora all’Olanda di questi giorni), sia
l’espressione di un consenso compatto, ossia di una omogeneità di
opinioni che di certo, invece, non esiste. Rimane il pluralismo come
caposaldo delle democrazie occidentali e l’esibizione di una qualche
determinazione verbale non deve essere scambiata per l’acquisizione di
una supremazia intellettuale e morale che – invece - non sussiste. Quel
che tuttavia è non meno vero è che un tema come il conflitto
israelo-palestinese, per le sue ricadute emotive e identificative,
raccoglie un grande seguito negli ambienti intellettualizzati, da dove
sono frequentemente partite iniziative che hanno polarizzato il
giudizio del pubblico. La responsabilità della comunicazione e dei
comunicatori è una questione troppo delicata per essere risolta con
qualche exploit che chiama alla facile mobilitazione animi già
esacerbati da una forte lettura ideologica degli eventi. Infine, per
gli amanti del genere spionistico, che in queste settimane ha
conosciuto una nuova impennata grazie alle vicende di Dubai, dove un
gruppo di agenti del Mossad avrebbe operato, sotto false coperture, per
l’eliminazione di uno dei faccendieri e dirigenti di Hamas, segnaliamo
l’articolo di Paola Caridi su l’Espresso
dedicato allo Yaman, acronimo di Yehidat Mishtara Meyuhedet, un reparto
operativo della polizia di frontiera israeliana composto di poche
centinaia di appartenenti capaci di adoperarsi nelle situazioni più
critiche. Alle parole si corredano le foto, suggestive e acrobatiche,
di quello che, a detta dell’autrice, è qualcosa di così segreto da
essere conosciuto anche attraverso un articolo di giornale. Claudio Vercelli |
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notizieflash |
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Al via la sperimentazione del body scanner a Fiumicino Fiumicino (Roma), 5 mar - Vitaliano
Turrà, Direttore dell'Ente nazionale aviazione civile (Enac)
dell'aeroporto di Fiumicino, ha così commentato la sperimentazione del
body scanner a Fiumicino "E' partita 'timidamente' la sperimentazione
del body scanner sui passeggeri, stiamo ancora apportando al
macchinario delle ulteriori modifiche e tarature, essendo il primo
giorno di avvio vero e proprio , ma tutto sta procedendo senza problemi
e qualche risultato lo stà già dando, così come qualche elemento utile
di valutazione". Turrà era tra le autorità presenti questa mattina al
Terminal 5, all'avvio della sperimentazione del body scanner a onde
millimetriche sui passeggeri in partenza per gli Stati Uniti e Israele.
"La sperimentazione del body scanner a Fiumicino durerà 5, 6 settimane
- prosegue Turrà - al termine del quale potremo trarre delle
conclusioni circa il pieno utilizzo di queste macchine". |
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L'Unione
delle Comunità Ebraiche Italiane sviluppa mezzi di comunicazione che
incoraggiano la conoscenza e il confronto delle realtà ebraiche. Gli
articoli e i commenti pubblicati, a meno che non sia espressamente
indicato il contrario, non possono essere intesi come una presa di
posizione ufficiale, ma solo come la autonoma espressione delle persone
che li firmano e che si sono rese gratuitamente disponibili. Gli
utenti che fossero interessati a partecipare alla sperimentazione
offrendo un proprio contributo, possono rivolgersi all'indirizzo desk@ucei.it per concordare le modalità di intervento.
Il servizio Notizieflash è realizzato dall'Unione delle Comunità
Ebraiche Italiane in collaborazione con la Comunità Ebraica di Trieste,
in redazione Daniela Gross. Avete
ricevuto questo messaggio perché avete trasmesso a Ucei
l'autorizzazione a comunicare con voi. Se non desiderate ricevere
ulteriori comunicazioni o se volete comunicare un nuovo indirizzo
e-mail, scrivete a: desk@ucei.it indicando nell'oggetto del messaggio “cancella” o “modifica”. |
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