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L'Unione informa |
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8 marzo 2010 - 22 Adar 5770 |
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Riccardo
Di Segni, rabbino capo di Roma |
Le
lingue europee contengono numerosi termini apparentati con radici
semitiche o più specificamente ebraiche e in ogni momento e luogo vi
sono stati dei cultori appassionati che si sono dedicati a raccogliere
e ordinare delle liste di queste parentele. Qualche volta la
derivazione dall'ebraico è sicura (esempio: "fasullo" da pasùl), altre volte è chiaramente inventata (un esempio classico è "Calliope" da Kol-Yafè).
Un'espressione che circola con insistenza nelle ultime ore è "decreto
truffa". Senza entrare nel merito morale e politico della questione, da
dibattere in ben altre sedi, c'è da chiedersi quale sia l'origine della
parola "truffa". I dizionari etimologici brancolano nel buio: la
mettono in rapporto con il francese truffe che significa "tartufo", o
con il germanico treffen-troffen che vuol dire "colpire, cogliere". E se fosse invece collegata alla radice ebraica trf, letteralmente "sbranare", da cui tarèf?
L'originario senso italiano della parola truffa è "portare via in
qualunque modo cosa ad altri affidata". E' esattamente il senso con il
quale il verbo litrof viene
ripetutamente usato da Rashi, nella Francia dell'XI secolo e che prima
non compariva nelle fonti letterarie ebraiche. |
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Otto
marzo, festa internazionale della donna. Già da alcuni anni, gli
storici (ho presente un bell'articolo di Giulia Galeotti, ma altri ne
hanno scritto) hanno sfatato il mito che la giornata, celebrata per la
prima volta nel 1909, sia stata istituita per commemorare un
terribile rogo di operaie che sarebbe avvenuto l'8 marzo 1908 nella
fabbrica Cotton di New York. La fabbrica Cotton non è mai esistita, il
rogo non c'è stato, si tratta solo di una leggenda fondativa, simile a
tante altre nella storia, nate dal bisogno di ancorare una ricorrenza
generale, quella delle donne, a fatti storici concreti, in questo caso
avvolti in un'aura di martirio. In realtà, un rogo c'è stato, ma nel
1911, il 25 marzo per l'esattezza, quello della Triangle Factory,
anch'essa una fabbrica tessile. Vi morirono 146 operai, uomini e donne,
non solo donne quindi. Erano per la maggior parte immigrati, italiani
ed ebrei dell'Est Europa, molte erano le donne. Che questa memoria,
successiva alla prima celebrazione della giornata, sia confluita in
quella falsa di un rogo mai avvenuto, è evidente. Ma pensavo a quegli
operai tessili, uomini e donne, ma tante donne, e tanti di loro ebrei
immigrati dalla Russia, persone che avevano lasciato il loro mondo, per
venire a popolare le Americhe, per importare a New York libri e
giornali in yiddish, per lavorare nelle industrie tessili della città,
sindacalizzarsi, scioperare. Ne abbiamo le foto, conosciamo come
vivevano, qual'era il loro universo di immigrati trasformati in operai
di fabbrica. In Italia non c'è stata immigrazione dall'Est, o quasi.
Non c'è stato la proletarizzazione degli immigrati, così importante a
New York, Londra, Parigi. E ho la sensazione che il mondo ebraico
italiano poco ci rifletta, su questa sua differenza. Forse varrebbe la
pena di pensarci, magari in occasione proprio dell'otto
marzo. |
Anna Foa,
storica |
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davar |
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Qui Firenze - Un grande successo la festa di Purim dell’Ugei
Quasi
400 giovani si sono dati appuntamento a Firenze per la festa di Purim
organizzata nel weekend appena conclusosi dall’Unione Giovani Ebrei
d’Italia. Evento storico del mondo Ugei, alla festa hanno
partecipato ragazzi provenienti da tutta Italia. Buona parte di loro si
è fermata in città per l’intero weekend e ha avuto la possibilità di
cenare e pranzare nelle sale della Comunità di Firenze. Il
magnifico Castel di Poggio, situato in una delle colline che circondano
il capoluogo toscano, ha ospitato una sfilata di maschere di ogni tipo.
Tra le più gettonate quelle di Biancaneve e di Joker, l'acerrimo nemico
di Batman. A tutti i partecipanti è stata distribuita una copia di HaTikwa, il giornale dei giovani ebrei italiani nuovamente in stampa.
Qui Milano - Antisemiti si nasce o si diventa? Un talk show sul tema al Teatro Franco Parenti
La
teoria del complotto è sempre esistita. Per screditare un avversario.
Per annientare un rivale. Per criminalizzare i nemici. Per perseguitare
i diversi. Per spiegare fenomeni inquietanti. Per trovare capri
espiatori. E forse semplicemente perché è più facile inventare una
cospirazione che analizzare con criteri scientifici una realtà
complessa e problematica. Vittime predilette della teoria del
complotto sono sempre stati gli ebrei. E nei secoli si è delineato uno
stereotipo, che ancora continua a comparire, magari oggi riferito
all’”entità sionista”, che garantisce l’esistenza di un potere occulto,
imperialista, guerrafondaio, interessato solo al guadagno, un potere
cospiratorio in grado di determinare storia e politica per i propri
inconfessabili fini, detenuto da un gruppo internazionale potentissimo
e segreto, ovviamente composto da ebrei. Quante volte si sente ripetere
che finanza, mezzi di comunicazione, spettacolo, sono in mano a una
lobby ebraica mondiale, tanto potente quanto segreta? Di questo si
è parlato ieri sera al Teatro Franco Parenti, in un originale talk-show
teatralizzato voluto dall’Unoine delle Comunità Ebraiche Italiane e
ideato e condotto dal giornalista Davide Parenzo. Sul palco Giulio
Giorello, filosofo della scienza, lo storico Francesco
Germinario, Alessandro Aliotti, direttore del think tank Milania, e lo
scrittore Errico Buonanno, che ha appena pubblicato, per i tipi di
Einaudi, un gustoso libro “Sarà vero: la menzogna al potere - falsi
sospetti e bufale che hanno fatto la storia”. “Il complotto è una
mistificazione che si autoalimenta” dice Buonanno. E cita la favola
degli ebrei che avrebbero provocato il crollo delle Torri Gemelle per
speculare in Borsa e scatenare gli americani contro i nemici di Al
Quaeda. “Come giustificazione veniva addotto il fatto che nessun ebreo
era presente quel giorno negli uffici delle Torri. E quando si è
scoperto che qualche ebreo c’era, -certo, qualcuno è stato messo lì
apposta per depistare i sospetti- è stata la pronta risposta del
complottista.” Insomma, nulla scoraggia chi immagina trame oscure e addita capri espiatori. Che
non sono stati solo gli ebrei. Massoni, gesuiti, streghe, ugonotti,
cattolici quando in minoranza, soni stati additati via come untori,
propagatori di magie nere, complottisti. “Il capro espiatorio è sempre
il diverso, detentore di un sapere alternativo ritenuto minaccioso per
l’establishment, o viceversa così derelitto da poter essere accusato
senza tema di smentite” sostiene il Alessandro Aliotta. Ma fra
tutti i gruppi gli ebrei sono stati nella storia le vittime
predestinate della teoria del complotto, alimentata dalla Chiesa che li
ha sempre additati come il popolo deicida. Accusati di tutto e del
contrario di tutto, registi occulti di pestilenze, guerre,rivoluzioni
di destra e di sinistra, crisi economiche e arricchimenti, comunisti e
speculatori di destra, artefici di crolli di regimi e di elezioni di
presidenti… “E’ così radicato il preconcetto verso gli ebrei che
si può essere antisemiti anche senza averne mai visto uno” scherza, ma
non troppo, il professor Germinario. E cita Il mercante di Venezia di
Shakespeare, scritto in un periodo in cui gli ebrei erano stati espulsi
dall’Inghilterra. Così il nazismo oggi è radicato anche in Paesi dove
gli ebrei non ci sono più. Ma la teoria del complotto giudaico non
è retaggio dei regimi dittatoriali. Esso si propaga anche nelle società
aperte e democratiche. Basti pensare alla Rete, preoccupante veicolo di
mistificazioni antisemite e di un antisionismo che utilizza gli stessi
stereotipi per condannare Israele, Paese imperialista, capitalista,
oppressore, collegato alla lobby ebraica mondiale in grado di
influenzare l’Occidente per perseguitare i nemici degli ebrei. “Si
può paragonare la mentalità complottistica alla pseudo-scienza” spiega
il professor Girello. “Mi viene in mente l’alchimista che, di fronte al
piombo che non ne voleva sapere di diventare oro, se la prese con il
suo fornitore, sostenendo che gli aveva venduto piombo di pessima
qualità! La teoria del complotto è rassicurante, non sfida i principi
costituiti, elimina la complessità del reale. E’ più facile credere a
un piombo “cattivo” che mettere in discussione la teoria, allora
accreditata, della trasmutazione dei metalli..” E così nella rete
ogni fantasia rimbalza e trova nutrimento, ogni scemenza messa
inonda da You Tube assume connotati di verità. E poiché in Rete la
popolarità finisce per diventare sinonimo di verità, la teoria del
complotto assume dignità di scienza. Ed ecco che i media si adeguano e
fanno da grancassa, mandando in onda interviste a manipolatori
dell’opinione pubblica che vengono presentati come autorevoli
pensatori. Lo hanno fatto la CNN, la BBC, a ahimé anche la Rai e ieri
sera se ne sono visti raggelanti spezzoni. Questo non vuol dire
che i complotti non esistano, come ha fatto notare uno spettatore. Ce
ne sono sempre stati e quelli che hanno avuto successo hanno cambiato
la storia, come l’assassinio di Giulio Cesare, o la Rivoluzione
bolscevica. Si può distinguere un complotto vero da uno
falso? “Sì - risponde convinto Girello - ma solo sottoponendo i
dati a una verifica rigorosa e scientifica. Se no si rischia di fare
come quelli che sostengono che anche il Titanic affondò per una
congiura semita, e portano come prova il fatto che Iceberg è un cognome
ebraico”.
Viviana Kasam
Qui Padova - La grande festa per il Sefer restaurato
Non
era Yom Kippur, e non si celebrava neppure un matrimonio, ma la Scola
Italiana di Padova ieri era affollatissima come nelle grandi occasioni.
La Comunità ebraica padovana ha celebrato così il restauro di uno dei
suoi numerosi e preziosi Sefarìm, organizzando una solenne cerimonia di
accoglienza del Sefer Torà nell’Aròn Haqodesh. Accompagnato da un
nutrito miniàn di cui facevano parte, oltre al rabbino capo di Padova
Adolfo Locci, il presidente della Comunità Davide Romanin Jacur, il
rabbino capo della comunità di Venezia rav Elia Richetti e il Sofer
restauratore rav Amedeo Spagnoletto, il Sefer ha compiuto un breve giro
per le vie del ghetto, davanti alla casa della famiglia Trieste,
donatori originari, per poi essere introdotto nella Scola Italiana,
gremita in ogni ordine di posti. “Shaar asher nisgar”…
“La porta che fu chiusa, alzati, aprila! E la gazzella che fuggì,
mandala a me!”. Le poesie delle Hakkafot e i salmi, cantati anche con
la partecipazione dei coristi di Roma, Marco Di Porto e Attilio Lattes,
sono stati eseguiti con un delicato accompagnamento di un quintetto di
musicisti (i maestri Fabrizio Durlo al piano, Roberto Lea violino,
Steno Boesso fagotto, Sophie Babetto flauto traverso e Antonello
Barbiero contrabbasso) ed hanno fatto da contrappunto a un evento
significativo: una piccola Comunità che rifiuta il ruolo di semplice
testimone di un pur glorioso passato, e si fa protagonista di un gesto
di vita nel presente e di speranza per le future generazioni. Non
è forse un caso il fatto che nello stesso momento in cui si celebrava
l’ingresso del Sefer nella Scola Italiana, nell’adiacente ex Scola
Tedesca - imponente cuore del ghetto bruciato dai fascisti nel maggio
del 1943 - fosse aperta un’importante mostra su Auschwitz e lo
sterminio degli ebrei. La vita in faccia alla morte. La vita di una
piccola Comunità, anch’essa colpita duramente dalle persecuzioni, che
dimostra di essere di gran lunga superiore e vincente nei confronti dei
cultori della morte. Dopo le Hakkafot, i rabbini Locci e Richetti
hanno indirizzato dei brevi Devàr Toràh, il rabbino Spagnoletto ha
brevemente spiegato ai presenti il valore e il significato storico del
lavoro compiuto, mentre il presidente Romanin Jacur ha salutato e
ringraziato tutti i convenuti ricordando l’importanza di vivere assieme
tutti i momenti di aggregazione che una Comunità può offrire ai suoi
componenti. La cerimonia si è conclusa, dopo il giro finale del Sefer, con l’Hatikvà cantata solennemente da tutto il pubblico presente. Una
giornata emozionante che rimarrà impressa nei cuori degli ebrei
padovani e anche di tutti coloro che, da altre comunità, sono arrivati
per condividere questa gioia. Chizkù ve-imzù
Gadi Luzzatto Voghera |
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I fatti non parlano da soli
Da
poco è stata lanciata in Israele una nuova campagna del Ministero
dell’Informazione che questa volta, per andare subito al punto, ha
fatto vedere ai giornalisti della stampa estera alcuni spot: il sunto
del modo in cui trasmettono nel mondo l’immagine di Israele. L’ironia
non è stata compresa, la satira non è stata colta. Per questo sarebbe
infatti necessaria una autocritica - almeno qualche briciola - che i
giornalisti presenti sembra non abbiano avuto. Ma evidentemente il
problema è ben più complesso e profondo. Non si tratta solo di cattiva
informazione. La realtà, si sa, sta nel racconto che l’articola e la
dice. Nessuno può credere che il “fatto” parli da sé. Chi lo pretende è
già sospetto: spaccia la sua interpretazione per l’unica obiettiva,
cerca di totalizzare la verità. Il “newsmaker” interpreta già
selezionando una notizia piuttosto che un’altra. Perfino l’immagine,
nella sua apparente certezza, può svolgere funzioni diverse, a seconda
del contesto in cui è inserita, e può essere mostrata, con una sapiente
regia, per mostrare l’opposto di quello che dovrebbe (il caso
gravissimo dell’assassinio in diretta del piccolo Mohammed Al-Durah di
cui furono mostrati solo 55 secondi su 26 minuti e fu accusato
ingiustamente l’esercito israeliano è paradigmatico). Quel che
colpisce è che da quando, con la mondializzazione, la questione ebraica
è diventata una questione planetaria, Israele viene sistematicamente
escluso dalla narrazione delle vicende del mondo. D’altra parte, il
racconto che l’opinione internazionale sembra aver adottato sul
conflitto mediorientale, e soprattutto su Israele, è monocorde. Le
stesse voci raccontano dalla loro prospettiva (in buona o in mala fede)
la loro storia, e raccontando la consolidano. Il risultato è
l’unanimità, il consenso generale, la totale concordanza. E Israele?
Del paese, della gente, della vita quotidiana, della scuola,
dell’università, del sistema sanitario, viene detto poco o nulla. Come
vivono gli israeliani, quali problemi hanno, che cosa pensano - quasi
nessuno in Europa lo sa. La prospettiva del giornalista, dell’inviato o
del reporter, raramente è interna. Dal confine esterno, tra un po’ di
soldati e qualche carro armato, si racconta dal di fuori. È stato
questo il monito ironico degli spot indirizzati alla stampa estera. Il
racconto monolitico si è imposto al punto che è divenuto perfino
inimmaginabile che ci possa essere una visione ebraica che non sia una
semplice reazione emotiva. Non è un caso che si lascino parlare quasi
esclusivamente alcuni scrittori. Ma la narrazione del popolo ebraico
nel suo complesso è messa al bando. Non c’è posto per un dialogo in cui
potrebbe articolarsi. Negando questa narrazione si finisce però per
negare anche l’esistenza di chi dovrebbe narrare e non può, cioè di
Israele.
Donatella Di Cesare, filosofa |
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rassegna stampa |
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Non
vi sono quasi notizie direttamente pertinenti al mondo ebraico o a
Israele sulla rassegna di oggi. Si può segnalare l'ennesimo commento
antisraeliano di Sergio Romano sul Corriere
che nega l'evidenza e cioè che l'Iran stia costruendo delle armi
atomiche e possa usarle per aggredire Israele, arrivando a paragonarlo
al pacifico Giappone. Nel frattempo ci pensa l'Iran a smentire
l'immagine tranquillizzante dell'ex ambasciatore, reagendo
"scompostamente" (come ha detto il prudente ministro degli Esteri
Frattini) all'arresto di un suo agente indiziato dalla magistratura di
contrabbando d'armi e minacciando pericolose rappresaglie (Caprara sul Corriere). Da segnalare infine sull'Unità
qualche dettaglio sulla ripresa dei "colloqui indiretti" fra Israele e
palestinesi: dovranno durare non più di quattro mesi, si partirà dalla
discussione sui confini e la sicurezza, saranno gestiti dall'inviato
americano Mitchell. La decisione palestinese di tornare al tavolo dei
negoziati dopo un anno e più di ostruzionismo non è stata unanime,
oltre ad Hamas si oppongono altre forze minoritarie dentro l'OLP e,
secondo de Giovannangeli che simpatizza, nel campo palestinese prevale
il pessimismo. Ugo Volli |
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notizieflash |
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La sinagoga del filosofo medievale Maimonide riprende vita Tel Aviv, 8 mar - “Ha
il sapore di un miracolo”, "E' un risultato stupefacente: un restauro
di grandissima bellezza, non bastano le parole per descriverlo", con
queste frasi l'inviata del quotidiano israeliano Yediot Aharonot al
Cairo descrive la "resurrezione" della sinagoga del filosofo medievale
Maimonide. Dopo anni di lavoro e di ricostruzione, finanziati dal
governo egiziano, l'antica sinagoga riprende vita. Ieri i membri della
piccola Comunità ebraica locale vi hanno celebrato una prima funzione,
assieme con religiosi giunti per l'occasione da Israele. La riapertura
ufficiale della sinagoga, nel rione ebraico della Città vecchia del
Cairo, avrà luogo fra una settimana. L'investimento delle autorità
egiziane per i lavori è stato di oltre due milioni di dollari.
Biden in Israele: “L'Iran, una minaccia anche per gli Stati Uniti” Tel Aviv, 8 mar - Il
vicepresidente degli Stati Uniti Joe Biden comincia oggi la sua visita
di tre giorni in Israele e nei Territori palestinesi. In un'intervista
al quotidiano israeliano Yediot Ahronot parla del pericolo della
minaccia iraniana. “Se i programmi nucleari iraniani fossero coronati
da successo - ha notato - ne risentirebbe la stabilità regionale”, e
ancora: "Un'Iran che fosse dotata di armi atomiche rappresenterebbe una
minaccia non solo per Israele, ma anche per gli Stati Uniti”, anche per
questo l'America annette dunque "un senso di urgenza" alle
consultazioni internazionali su nuove sanzioni nei confronti dell'Iran.
Biden ha comunque fatto notare a Yediot Ahronot che gli sforzi degli
Stati Uniti di "gettare ponti" verso il mondo islamico, e segnatamente
la Siria, possono risultare di beneficio anche per Israele. Il
vicepresidente ha poi ribadito la necessità di rilanciare con vigore
negoziati israelo-palestinesi anche per evitare che si crei un vuoto
diplomatico "che andrebbe a beneficio solo degli estremisti". Biden ha
infine lodato la moratoria temporanea dei nuovi lavori di espansione
nelle colonie israeliane in Cisgiordania annunciata lo scorso novembre
dal premier israeliano Benyamin Netanyahu. "Non è tutto quello che
volevamo - ha concluso - ma si tratta comunque di una operazione
importante con riflessi significativi sul territorio". |
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L'Unione
delle Comunità Ebraiche Italiane sviluppa mezzi di comunicazione che
incoraggiano la conoscenza e il confronto delle realtà ebraiche. Gli
articoli e i commenti pubblicati, a meno che non sia espressamente
indicato il contrario, non possono essere intesi come una presa di
posizione ufficiale, ma solo come la autonoma espressione delle persone
che li firmano e che si sono rese gratuitamente disponibili. Gli
utenti che fossero interessati a partecipare alla sperimentazione
offrendo un proprio contributo, possono rivolgersi all'indirizzo desk@ucei.it per concordare le modalità di intervento.
Il servizio Notizieflash è realizzato dall'Unione delle Comunità
Ebraiche Italiane in collaborazione con la Comunità Ebraica di Trieste,
in redazione Daniela Gross. Avete
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